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IL CASTELLO SVEVO
Al centro di Randazzo, di fronte allo splendido campanile della chiesa di San Martino, sorge il cosiddetto castello-carcere di età normanna,vestigia delle mura che circondavano la città e degno contenitore della collezione archeologica .
Il castello in realtà era la torre più poderosa, il cosidetto maschio, delle mura che circondavano per circa tre km la città di Randazzo raggiungendo l’altezza di tre metri con dodici porte e sette torri, adesso visibili a tratti ed inserite nelle strutture moderne. Le mura di cinta furono costruite durante il regno di Federico II che dimorò nella città insieme alla giovane regina per qualche mese nel 1210 per sfuggire alla peste che imperversava a Palermo, insieme al Palazzo Reale e alla Chiesa di San Martino.
Nel 1282 le mura e probabilmente anche il Castello furono restaurate quando si stanziò in contrada Re con le sue truppe Pietro I D’Aragona nella lotta contro gli Angioini .
Una delle storie più interessanti che si svolsero a Randazzo è l’arrivo il 3 giugno del 1411 della Regina Bianca di Navarra, vedova di Re Martino . Proprio re Martino nel 1406 avevano ordinato che le mura di Randazzo fossero rimesse in piedi e la Vicaria Bianca con il suo corteo le attraversò per entrare nella città che aveva scelto come sede del Parlamento Generale affinchè la Sicilia potesse scegliere autonomamente il suo re. Tale avvenimento è rievocato ogni anno con un corteo fastoso di dame e cavalieri con sontuosi abiti e ha il suo nucleo all’ombra del Campanile di San Martino ed in tutto il quartiere attorno alla piazza con feste e musica che immergono il.paese in un clima di altri tempi.
Il 17 ottobre 1535 dall’arco della porta di San Martino entrava a Randazzo l’imperatore Carlo V con un corteo solenne accolto festosamente dalla popolazione e da che soggiornò nel Palazzo Reale dalla cui finestra proclamò tutti cittadini di Randazzo cavalieri del regno.
Il Castello divenne Carcere della città sotto il regno di Filippo II ma divenne Palazzo ducale sotto il Vicerè Conte di Melle che lo restaurò e lo trasformò, nel 1630 fu venduto alla famiglia Romeo che lo trasformarono in fortezza prendendo il nome di Baroni del Castello , un secolo dopo venduto dagli stessi alla famigia Vagliasindi , che a loro volta lo affittarono al Municipio per essere trasformato in carcere .
Lo scrittore Leonardo Vigo lo descrive come luogo spaventevole e tetro, citando la stanza dei teschi ( o meglio di li crozzi), i pozzi dove erano dimenticati i prigionieri e le teste mozzate dei giustiziati appese alla torre centrale .
IL MUSEO
Il museo è dedicato a Paolo Vagliasindi , proprietario del fondo, dove alla fine dell’Ottocento furono rinvenuti i reperti che fanno parte della collezione Vagliasindi, tutt’ora di proprietà privata , concessi al Comune di Randazzo dagli eredi affinchè fossero esposti per essere conosciuti e ammirati dai visitatori .
I reperti della collezione, in numero di mille, furono spostati dalle due sale della Casa di riposo per anziani, dove erano stati custoditi dal 1967, ed esposti nel piano superiore del Castello nel 1998, dopo un lungo lavoro di catalogazione e ricomposizione, voluto dal Comune di Randazzo in collaborazione con la Soprintendenza di Catania.
Il Museo si svolge nelle sale superiori del castello, diviso in cinque sale secondo una esposizione tipologica del materiale, diviso per classi ed epoche,in quanto non è stato possibile ricostruire i corredi tombali. Disegno museo
Nella prima sala centrale è esposto l’ esemplare piu’ pregevoli della collezione: la splendida Oinochoe a figure rosse con il mito dei Boreadi, mito poco conosciuto e rappresentato dai ceramisti greci .
Sul lato sinistro della vetrina sono esposti degli oggetti di oreficeria : si tratta di due coppie ad elice in lamina d’oro ornate con teste di ariete alle estremità a cui si aggiunge un medaglione in lamina d’oro raffigurante la testa di Eracle con la leontè e un cammeo in sardonica con la raffigurazione di un satiro che suona la cetra.
Dall’altra parte della vetrina è esposta la base di una statua, di cui rimangono solamente i piedi.
Le due vetrine ai lati della sala contengono numerosi oggetti di bronzo appartenenti alla collezione, nella vetrina di sinistra sono conservate due anse orizzontali decorate da due teste di cigno appartenenti ad una grande hydria di bronzo purtroppo perduta, foto anse allo stesso vaso apparteneva un’altra ansa verticale decorata da protomi leonine, da confrontarsi con una pregevole hydria proveniente da Randazzo e conservata allo Staatlische Museum diBerlino dove giunse tramite il mercato dell’ottocento. Altri oggetti sempre di bronzo conservati sono un colum ed uno strigile.
La vetrina contiene anche la ricca raccolta numismatica raccolta dal Barone Vagliasindi e costituita nell’ordine da monete greche e romane d’argento, monete greche di bronzo delle piu’ importanti colonie siceliote e delle città greche, monete di bronzo romane dal periodo della repubblica a quella imperiale, monete bizantine e arabe d’oro, monete arabe in vetro, monete medievali e moderne fin quasi al secolo scorso che mostrano il carattere antiquario del collezionista.
E’ possibile che il nucleo piu’ antico di età greca fosse costituito da un tesoretto rinvenuto nel feudo del Vagliasindi.
Sull’altro lato della sala sono raccolte in una vetrina altri oggetti in bronzo di uso quotidiano come grattugie , applique di mobili , specchi , ami da pesca di eta’ greca e oggetti di eta’ medievale come una statuetta di soldato che fungeva da manico , fibbie , grattugie.
Il percorso museale continua nelle due sale a destra, la prima contiene i reperti piu’ antichi della collezione costituite dalle importazioni corinzie e ioniche.
La prima vetrina contiene gli esemplari piu’ famosi della collezione costituiti dal gruppo di balsamari configurati a corpo di animali come il ratto, il delfino e il cavallo , decorati con tralci di foglie d’edera in vernice nera sul colore dell’argilla.
Tra i balsamari spicca il cosiddetto centauro che presenta l’inserzione di un busto umano.
Nello spazio successivo è esposto il gruppo delle importazioni di fabbrica corinzia datati al Corinzio Recente costituiti da kotylai miniaturistiche, oinochoai , aryballoi , pissidi cilindriche e hydrie miniaturistiche e ancora dopo le importazioni ioniche costituite da coppe ioniche, gli stamnoi e un’anforisko. Da notare sono certamente le importazioni fenicie costituite da una collana di trentatre vaghi in faience ed un aryballos in faience , unico esemplare rimasto di un gruppo numeroso attestato nella collezione .L’ultima parte della vetrina contiene alcuni esemplari di ceramica indigena evidentemente rinvenuti insieme ai reperti di importazione , tra le forme presenti possiamo citare l’oinochoe a bocca trilobata .
La sala successiva contiene i numerosi esemplari di fabbrica attica coperti interamente da vernice nera, divisi per tipologie vascolari. La sala presenta un aspetto particolarmente affollato ma al momento dell’esposizione si è scelto di esporre tutto il materiale della collezione affinché il visitatore potesse avere un’idea anche numerica della consistenza dei ritrovamenti . Le forme presenti sono costituite dagli skyphoi che presentano un excursus cronologico dagli inizi del V secolo a.c. al IV secolo a.c., le pissidi con coperchio, i gutti , le coppette sia su alto piede che basso , gli attingiti monoansati ed infine le lucerne normalmente presenti nelle tombe greche .In un incavo del muro è stata ricavata un piccola vetrina in cui sono esposte forme meno presenti numericamente come un askos configurato ad astragalo, un askos ad anello e alcune oinochoai di bella fattura interamente coperte da vernice nera.
Il percorso prevede che si ritorni nella sala centrale per visitare l’altra parte del Museo costituito da altre due sale dedicate alla ceramica attica figurata e alla ceramica di produzione ellenistica. La sala in fondo al corridoio presenta una notevole rassegna di esemplari decorati nelle due tecniche a figure nere e a figure rosse. La prima vetrina presenta le due belle oinochoai a configurate a testa femminile purtroppo mutile databili al 480 a.c. di indubbio valore artistico. Tra le lekythoi a figure rosse sono da citare la lekythos decorata con il suonatore alato di cetra e la lekythos con una fanciulla coperta da chitone che volge indietro la testa.Nella stessa vetrina sono esposte due lekythoi purtroppo mutile di maggiori dimensioni, la cui vasca è coperta da un fondo bianco farinoso e con una decorazione sovra-dipinta in colore paonazzo per lo piu’ scomparsa ; tale classe di esemplari, rinvenuti in contesti strettamente tombali, fa ipotizzare la presenza nel centro di Randazzo di un gruppo di immigrati ateniesi di una certa rilevanza sociale che hanno conservato le usanze funerarie tipiche della madrepatria.
Al centro della vetrina è esposto un gruppo di vasi di notevoli dimensioni e particolare raffinatezza , si tratta di un gruppo di quattro pissidi coperte da una bella vernice lucida interrotta solamente da una fascia di fitto puntinato, che dovrebbero appartenere alla stesso corredo tombale . Le ultime due vetrine sono riempite degli esemplari di lekythoi di piu’ piccole dimensioni. , Nella prima sono esposti gli esemplari decorati a figure nere, che presentano una decorazione meno raffinata di quelle a figure rosse e di tipo piu’ corrente con la raffigurazione del corteo dionisiaco o la scena di partenza di un giovane armato , nell’altra sono esposte le lekythoi decorate solamente da motivi vegetali. In una piccola vetrinetta laterale sono conservate alcuni esemplari di statuette, tra cui le statuette di pithos di età greca con iscrizione offerenti ed altri esemplari di coroplastica del V sec. a.C.
La quarta sala è dedicata alla ceramica della fine del V sec. e di età ellenistica che sono presenti nella collezione con esemplari di squisita fattura. La prima vetrina presenta dei reperti di grandi dimensioni come l’hydria della II metà del V secolo a.C. in cui campeggiano al centro della vasca due grandi figure appartenenti ad una scena mitologica , insieme ad altri reperti dello stesso ambiente in parte frammentari. Nella vetrina successiva sono esposte delle pissidi con coperchio anch’esse decorate con scene figurate . E’ da notare la pisside decorata con una scena legata al mondo femminile, in cui un eros alato offre un piatto rituale ad una donna elegantemente abbigliata, sia per l’accesa policromia che per le scena è stato attribuita al pittore di Lipari .Un altro gruppo della stessa tipologia vascolare presenta una decorazione costituita da teste femminili ,appartenente al cosiddetto Gruppo dell’Etna. Nella stessa sala sono esposti reperti appartenenti alla stesso periodo ma di produzione piu’ corrente come le lekythoi dette Pagensteicher decorate con piccoli animali e numerosi esempi di pissidi strigliate coperte da vernice nera. Anche in questa sala in una piccola vetrina laterale sono esposti alcuni esempi di coroplastica ellenistica appartenenti al mondo della commedia come la statuetta di satiro stante , insieme ad altri oggetti della vita quotidiana.
Ritornando nella sala centrale è possibile visitare la sala superiore dove sono esposti altri reperti appartenenti alla collezione, che, per il loro stato frammentario, sono stati considerati quasi una seconda scelta .Come si è già accennato, lo stato frammentario dei reperti è stato causato da avvenimenti recenti della nostra storia e, in alcuni casi, non è stato possibile ricomporre i numerosi frammenti conservati dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, cosicché, avendo a disposizione un altro spazio espositivo, è sembrato opportuno renderli comunque fruibili da parte del visitatore.
Le vetrine contengono gli stessi esemplari delle sale del piano inferiore ma fanno rendere conto anche dell’aspetto numerico dei ritrovamenti. In una vetrina laterale sono esposte numerose punte di lance di ferro particolarmente interessanti , purtroppo ancora in attesa di restauro .
Al piano terra la sala a destra, nota come la sala de li crozzi, è stata allestita nel luglio del 2012 per esporre il pithos di età preistorica rinvenuto in contrada Donna Bianca. A causa delle grandi dimensioni del reperto, del suo stato frammentario ma anche dei precedenti tentativi di incollaggio il restauro del grande contenitore è stato particolarmente complesso ed ha richiesto un lasso di tempo abbastanza prolungato. Accanto è stato esposto un altro pithos di minore dimensioni di età greca proveniente da contrada Feudo interessante per la presenza di un ‘ iscrizione in caratteri greci probabilmente del IV secolo.
Quadro dei siti d’interesse archeologico :
1)C.da Donna Bianca
In questa contrada situata a circa 50 metri dall’odierno bivio di Santa Caterina nel giugno del 1972 durante i lavori di costruzione della strada denominata Quota Mille, che tagliando le pendici dell’Etna attraverso i boschi avrebbe unito i paesi del versante settentrionale etneo,emerse il bordo di un grande vaso.
Il grande pithos venne liberato dalla terra in stato frammentario e consegnato a Don Salvatore Calogero Virzì, fino alla sua ricomposizione e restauro avvenuto nel 2012 .
Nel luglio dello stesso anno è stato esposto nella sala inferiore del Museo Archeologico Paolo Vagliasindi .
Il pithos di età castellucciana probabilmente apparteneva ad un insediamento stabile o stagionale del quale non sappiamo nulla poiché non furono fatti scavi scientifici ma alcuni frammenti di ceramica dipinta della stessa epoca furono trovati nei dintorni del luogo di rinvenimento durante una ricognizione degli anni ottanta.
2)c.da Santa Anastasia fig
La più conosciuta in letteratura è contrada Santa Anastasia , a circa 6 km dal paese,nota anche come contrada Feudo ,dove è stata rinvenuta alla fine dell’ottocento una vasta necropoli di età greca . I sepolcri furono scavati senza alcuna tecnica scientifica ed i reperti divennero la collezione personale di Paolo Vagliasindi. , a cui segiurono scavi archeologici effettuati dalla Soprintendenza di Palermo che inviò l’architetto Patricolo nel luogo e in questa occasione vennero alla luce numerose tombe con ricchi corredi vascolari, conservati da allora presso il museo Antonio Salinas ed esposti solo in piccola parte. Infine, nel 1906, una terza campagna di scavi viene effettuata dalla Soprintendenza di Siracusa, che rinviene sessanta tombe, di cui viene data una breve comunicazione scientifica nelle Notizie degli scavi di Antichità da Paolo Orsi, ma i reperti sono tuttora conservati nei depositi del museo di Siracusa.
Dalla stessa contrada proviene probabilmente un’hydria bronzea con manico antropomorfo rinvenuta alla fine dell’ottocento e rivenduta tramite il mercato antiquario allo Staatliche Museum di Berlino (inv. 8467) ed uno splendido elmo bronzeo decorato a rilievo acquistato da Paolo Orsi conservato presso il Museo Archeologico di Siracusa ..fig
Altro rinvenimento casuale consiste in tesoretto monetale di età romana consegnato alla Soprintendenza di Catania nel 2005.
3) c.da Inbischi – Acquafredda fig
In questa contrada a metà tra il comune di Randazzo e quello di Castiglione sono stati effettuati degli scavi negli anni novanta a cura della Soprintendenza di Catania che mise in luce alcuni settori di abitato molto danneggiati da scavi clandestini . I saggi hanno accertato l’esistenza di un abitato regolare con almeno due fasi tra il IV e il III secolo a.C. La presenza di un sito di tale importanza fa ipotizzare che il sito sia legato ad un phrourion greco avamposto di Naxos, verso l’interno. Alla identificazione con Tissa citata da Cicerone, più recentemente è prevalsa l’ipotesi di Piakos o ancora meglio Callipolis
Nel 1980 fu rinvenuto da scavatori di frodo un tesoretto di monete comprendente 539 tetradrammi d’argento di Siracusa e Messina disperso nel mercato clandestini.
4) c.da Zita Vecchia –
Il toponimo ricorda nell’area un’antica città. La contrada, vicinissima al paese, è nota per i rinvenimenti archeologici di cui ci danno notizia gli scrittori locali tra cui il Plummari che vi localizzavano un’ipotetica Pentapoli . Oggetto di numerose ricognizioni in terreni privati di difficile accesso lungo le rive di Alcantara, mostra tutt’ora di essere interessata ad una vasta area di frammenti ceramici di età greca a vernice nera di V e IV secolo a. C. ma non è stata mai oggetto di scavi sistematici
5)c.da Ciarambelli
Altro toponimo legato alla presenza di una vasta area di frammenti ceramici detti ciarambelli nel linguaggio locale. Alcuni saggi sono stati compiuti dalla Soprintendenza di Catania i cui risultati sono in corso di studio.
STORIA E ILLUSTRAZIONE DEL MUSEO PAOLO VAGLIASINDI DEL CASTELLO – RANDAZZO
A cura di Lucio Rubbino
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