La Rivolta di Randazzo – 25 luglio 1920

La Rivolta di Randazzo – 25 luglio 1920

                                                   

                         Il 25 luglio del 1920, preceduto da una serie di proteste,  anche da parte di molte donne, vi fu una grande dimostrazione di Cittadini (oltre 700) contro il Commissario Prefettizio Rocco Scriva, a causa della mancanza del pane e da una iniqua distribuzione della farina.
I dimostranti assaltarono il Municipio e dopo che furono stati costretti ad uscire si accalcarono dietro le due porte d’uscita.
I carabinieri , forse impauriti da tutta questa gente, incominciarono a sparare sulla folla.
Il risultato fu che vi furono sette morti:
 – i contadini Vincenzo Calcagno, Francesco Paolo Magro, Giuseppe Sorbello,
 – il pastore Giuseppe Giglio,
 – il calzolaio Luigi Celona,
 – il falegname Benedetto La Piana,
 – lo scalpellino Gaetano Mangione 
e sedici feriti di cui quattro dell’Arma.

Il 27 luglio del 1920 la Camera del Lavoro di Catania delibera uno sciopero generale in seguito ai fatti di Randazzo.

Lo sciopero proclamato dalla Camera del Lavoro venne subito avversato dai ceti medio-alti tramite i giornali. 

Dopo lo sciopero, il 28 Luglio, a piazza Manganelli le guardie regie nascostesi fuori dal teatro San Giorgio caricarono la folla all’uscita di un comizio tenuto da Maria Giudice nello stesso teatro, facendo tre morti e trenta feriti. 

Nei giorni successivi, nel commentare i fatti accaduti, gli industriali e i commercianti della provincia auspicavano l’istituzione di guardie speciali di controllo: i tempi del fascismo erano maturi.

 

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La rivolta di Randazzo: da pag 34 a pag 38

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                                       QUELLA TERRIBILE DOMENICA DI TANTI ANNI FA…

I DRAMMATICI FATTI DEL 25 LUGLIO 1920 A RANDAZZO

di  Giuseppe Portale 

Giuseppe Portale

                Storia si ripete. “Corsi e ricorsi storici”, diceva il famoso filosofo italiano Giambattista Vico (1668 – 1744), come molti ricorderanno avendolo certamente studiato sui libri di scuola.
Ed infatti è così.
Dalle cronache di questi giorni – che si stanno giustamente occupando e preoccupando della pandemia da Covid ’19 – apprendiamo che, scontenti delle varie misure, e conseguenti chiusure, programmate dai vari governi nazionali per cercare di fermare l’espandersi del Coronavirus, molti imprenditori, lavoratori, studenti e semplici cittadini, hanno dato e stanno dando vita a sempre più numerose azioni di protesta, con relativi disordini, in quasi tutte le piazze delle principali città italiane e straniere.
È proprio così. Collegati alle varie epidemie e pandemie, la Storia ci insegna che vi sono sempre stati malumori, tumulti, disordini sociali e chi più ne ha più ne metta.
Chi non ricorda, infatti, i tumulti che vi furono a Milano, ed un po’ in tutta la Lombardia, nel mese di novembre del 1628, con gli assalti ai forni, magistralmente descritti da Alessandro Manzoni nel suo “I Promessi Sposi”?
O chi non ricorda quanto accaduto, nel secolo appena scorso, proprio cento anni fa, a seguito dell’epidemia di “Spagnola” che tanti lutti portò non solo in Italia ma un po’ in tutta Europa e nel mondo intero?
Una delle tante sommosse che si ebbero allora in tutta Italia e, di conseguenza, anche in Sicilia, si verificò pure nella nostra città di Randazzo nella giornata di domenica 25 luglio 1920.
Al già pesante prezzo di vite umane pagato a causa di una prima epidemia di colera verificatasi nel 1897, e di una seconda nell’agosto del 1911 durante la quale si contarono ben 102 vittime, ben presto si aggiunsero anche quelli della Prima Guerra Mondiale (1915-18) e – come si accennava prima – dell’epidemia di febbre “Spagnola” che funestò l’intera Europa, ed ovviamente anche la nostra Randazzo,  dal 1918 a tutto il 1921, facendo sentire ancora i propri terribili strascichi sino a quasi l’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
Proprio in quel periodo fra i due conflitti mondiali, Randazzo ebbe a sopportare uno dei più gravi momenti di collasso economico per il fatto che la sua agricoltura toccò livelli così bassi fino ad allora mai conosciuti: la città, infatti, in quei lunghissimi anni, risultò popolata unicamente da donne, vecchi, infermi e bambini.
E come se la guerra e l’epidemia di “Spagnola” non fossero bastate, il 25 luglio 1920, domenica, a seguito di tutta una serie di manifestazioni contro il carovita e per la mancanza di viveri, si verificarono nella nostra città diversi tafferugli tra la popolazione e le forze dell’ordine, durante i quali ben nove randazzesi persero la vita e molti altri rimasero feriti.
I motivi di tali manifestazioni popolari trovava la sua ragion d’essere nelle delusioni post-belliche della Prima Guerra Mondiale, nelle giuste lotte socialiste e rivendicazioni sindacali, e purtroppo nell’azione governativa di allora tendente già ad ammassare grano e nella penuria di generi di prima necessità.
A questo quadro generale si aggiunse per Randazzo la prossimità della battaglia elettorale tra Popolari e Socialisti per la conquista del Comune.
Si capisce, quindi, il tipo di clima che in quei giorni spirava e si respirava in città.
In ultimo, si ricorda che a dirigere la municipalità vi era in quel preciso momento l’inflessibile e – sotto certi aspetti – “terribile” commissario prefettizio Rocco Scriva.
L’incidente cui accennavamo prima ebbe origine nel corso di una riunione che si stava tenendo, in quella calda mattinata domenicale del 25 luglio 1920, al Municipio tra il commissario e una delegazione di cittadini.
La richiesta, peraltro già accettata, consisteva nel mantenere nella nostra città il grano che era stato requisito proprio a Randazzo, dal momento che quello rimasto in mano ai produttori non sarebbe bastato né per i fabbisogni familiari dell’intero anno a venire né per l’ormai prossima semina del successivo periodo autunnale. Richiesta più che legittima la quale – come si accennava prima – sembra fosse stata già accolta ed accettata dal responsabile prefettizio.
A provocare l’incidente, poi, furono alcune donne, particolarmente e comprensibilmente arrabbiate – visto   il delicato e difficile momento che stavano vivendo in quel periodo le famiglie della nostra città – le quali, ad un’infelice battuta da parte di un impiegato comunale presente, fecero letteralmente volare in aria sedie e tavoli degli uffici comunali che venivano letteralmente messi a soqquadro.
Alla forza pubblica intervenuta venne ordinato di allontanare con ogni mezzo la delegazione che, una volta fuori dal Comune, continuò però a protestare.
Sul vero motivo per cui i Regi Carabinieri da lì a poco fecero fuoco sui presenti, attraverso le sbarre del cancello di sinistra del Municipio (quello, per intenderci,  oggi prospiciente al Circolo unione operai e professionisti, ed i cui segni delle pallottole proprio sulle sbarre del cancello sono ancora oggi ben visibili), non si riuscì a fare completa luce.
Fatto sta che sul selciato rimasero privi di vita ben sette persone: i contadini Vincenzo Calcagno, Francesco Paolo Magro e Giuseppe Sorbello, il pastore Giuseppe Giglio, il calzolaio Luigi Celona, il falegname Benedetto La Piana e lo scalpellino Gaetano Mangione; mentre altre quindici rimasero gravemente ferite, due delle quali all’indomani morirono.
Fu così che, per non morire di miseria con le loro famiglie, nove sventurati morirono di piombo. Un’altra grave ingiustizia, nella storia dell’umanità, era stata consumata!

Il successivo mercoledì 28 luglio, a Catania, e più precisamente in Piazza Manganelli, durante una manifestazione organizzata dalla nascente Cgil con la sua Camera del Lavoro, per protestare proprio a causa dell’eccidio che era stato consumato tre giorni prima a Randazzo, si ebbero ancora altri scontri fra le truppe regie in assetto di guerra, i dimostranti ed alcuni provocatori nazionalfascisti che disturbavano il comizio tenuto dai dirigenti socialisti Maria Giudice e Giuseppe Sapienza.
Nei disordini causati soprattutto dai provocatori che, come al solito, cercavano di pescare nel torbido (come sta succedendo ancora oggi) e nelle dure reazioni delle forse dell’ordine che ne seguirono, fra i dimostranti vi furono ancora altri sei morti con circa un’altra quarantina di feriti.
E tutto questo, solo per non morire di fame, loro e le loro famiglie.

Sì. È proprio così: la Storia si ripete come sempre, ancora una volta, anche ai giorni nostri…

Giuseppe Portale

 

 

Angelo Manitta e Salvatore Maugeri ne: ” La Valle dell’Alcàntara – Dalla preistoria all’età contemporanea”   raccontano questo tragico avvenimento così:

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Questi sette Randazzesi uccisi perché reclamavano un giusto diritto non sono morti invano.

Eppure non sono mai ricordati dai nostri storiografi, solo un accenno di padre Luigi Magro a pagina 151 del: “Cenni storici della Città di Randazzo” .

Non una via, una piazza, una lapide per ricordare il loro sacrificio.
 
Sarebbe molto significativo che il 25 luglio del 2021 si potesse inaugurare una lapide nel cortile del Palazzo Municipale
a ricordo di questo tristissimo avvenimento.

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a cura di Francesco Rubbino
 

 

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