Innanzi tutto, debbo ringraziare il Prof. Nunziatino Magro ; malgrado le distanze che ci separano, telefonicamente mi ha incoraggiato a riprendere la mia penna, ridandomi il gusto per esprimermi e di rimemorare il mio passato.
Ma, prima di continuare, desidero chiedere scusa a tutti i miei amici e intellettuali, per l’uso del mio semplice vocabolario. In verita’ non ho mai frequentato le aule e i banchi delle Università. Rappresento una vecchia generazione randazzese possedendo semplicemente un modesto diploma elementare.
Ma , amo moltissimo , non solamente la mia città di Randazzo perche’ è stato il luogo della mia nascita, ma anche i resti delle sue opere d’arte che i nostri alleati non hanno osato demolire nel periodo dei bombardamenti del luglio e agosto 1943. Spesse volte, mi siedo alla terrazza del mio modesto appartamento, ammirando il panorama del Principato di Monaco, con le sue moderne costruzioni destinati ad una classe sociale privilegiata e milionaria.
Talvolta, socchiudo i miei occhi, facendo divagare la mia mente ed anche il mio pensiero, percorrendo le vecchie stradine dei nostri antichi quartieri di Santa Maria, S. Nicolò e San Martino della nostra città, luoghi riposanti, pieni di misteri, aneddoti, storie, li’ dove molti anni indietro, erano animati con la presenza di artigiani, carrettieri, contadini , musicisti, pastori, intellettuali, moltissime signorine ,sedute davanti le loro porte d’ingresso, ricamando la loro dote eseguendo un lavoro d’arte e talvolta prezioso, dando vita e animazione a questi luoghi storici.
In certi periodi delle stagioni, sentivamo gli odori del vino, delle mele e di altri frutti, che i nostri antenati e le nostre mamme avevano l’arte ed il segreto di conservazione per il periodo invernale.
Ma, ritorniamo alla realtà.
Qualche anno indietro, trascorrevo un certo periodo di vacanza presso i miei famigliari ; qualche giorno dopo il mio arrivo, ricevo un cortese invito dal Prof. Nunziatino Magro invitandomi ad una lunga passeggiata piuttosto storica. A bordo del suo veicolo, abbiamo percorso parecchi kilometri , salendo verso Santa Domenica vittoria. Ma, quale fu la mia sorpresa ? fermandosi, non solamente abbiamo ammirato lo stupendo paesaggio della nostra Randazzo ma anche il panorama dell’imponente Etna molto invidiata dai nostri turisti stranieri.
La seconda, è stata la scoperta dei resti di una antica cappella situata sul lato Sud dei Nebrodi dedicata in passato a San Marco.
Da ragazzo, percorrevo spesso questo cammino per recarmi a Santa Domenica Vittoria soprattutto per assistere alla festa di S. Antonio , chiedendomi sempre , che cosa rappresentavano questi ruderi. Penso, che qualche secolo fà , è stato un luogo di raccoglimento di pellegrinaggio, di raduno e di preghiera non solamente per i contadini ,numerosi in questo settore agricolo, ma anche per gli abitanti delle masserie e dei comuni limitrofi.
Finalmente, dopo tanti anni, la mia curiosità è stata ricompensata. Penso, che qualche tempo indietro, questo luogo è stato citato dal Dott. Salvatore Rizzeri nel suo libro : Le Cento Chiese .
Riscendendo, dopo avere attraversato il Ponte di San Giuliano, l’ho pregato di fermarsi a sinistra su questo piazzale chiamato volgarmente da noi randazzesi : U Stazzuni , in quanto che, volevo far conoscere una antica costruzione dove attualmente esiste un mulino inefficiente chiamato dai nostri antenati : Il Mulinello.
L’accoglienza del proprietario è stato molto cordiale e soprattutto amichevole . Fiero di mostrare non solamente la vecchia costruzione, ma anche il resto delle vecchie macine o mole, con qualche resto di antichi accessori. La botte situata sul piano superiore , la quale serviva di riserva e di pressione, é in eccellente stato di conservazione e di curiosità per gli alunni di tutte le scuole e soprattutto per osservare e conoscere , i vecchi sistemi idrici usati nell’epoca passata.
Scendendo, e passando dietro l’antica costruzione, la nostra seconda grande sorpresa, è stata di scoprire una delle antiche fornaci , numerosissime qualche secolo fa , in questo quartiere di San Giuliano, destinate alla fabbricazione della calce e nello stesso tempo alla cottura delle tegole, mattonelle e recipienti di argilla.
Ed è proprio di questo soggetto, di quest’ arte , di questi artigiani più che artisti nella loro materia, dotati di una straordinaria esperienza e di un sapere sconosciuto dai nostri giovani, i quali non hanno mai avuto l’occasione e la gioia di ammirare il lavoro di questi talentuosi artigiani.
Le fornaci erano state costruite principalmente in questo quartiere ; numerose nei dintorni di questo piazzale chiamato come avevo scritto prima : Stazzone : in dialetto randazzese, U Stazzuni. Sopra questa superfice , dove le costruzioni in duro non esistevano, c’erano circa quattro fornaci ; un certo numero appartenevano alle famiglie Arcidiacono, molto numerose fino agli anni 1960.
Altre, si trovavano nei dintorni della Via Regina Margherita , oggi chiamata in onore del nostro concittadino sindacalista e deceduto molto tempo fa, Via Giuseppe Bonaventura.
Una di queste, apparteneva al Signor Egidio Arcidiacono, specializzato nella fabbricazione di anfore, giare , vasi , lampade ad olio, ed altri oggetti, i quali servivano per conservare l’acqua, l’aceto , l’olio di oliva indispensabile per la nostra buona cucina. Questo artigiano, ha smesso la sua attività dopo il 1950 emigrando come moltissimi dei nostri concittadini in Argentina.
Le ultime notizie del signor Egidio, le ho ottenute nel dicembre del 1987. Essendomi recato parecchie volte a Buenos Aires, e dopo nella città di Haedo , situata nella grande periferia della Capitale, dal nostro concittadino Nino Luca, fratello del defunto Mario Luca, all’occasione di un incontro piu’ che affettuoso e nello stesso tempo, per la visita della sua , grande fabbrica di mobili .
Preciso, che in questa Citta’ , vivevano moltissime famiglie originarie della nostra Randazzo.
Il signor Egidio, si era stabilito in un’altra regione ; forse nella città di Mendoza.
Diverse fornaci, si trovavano nei pressi della chiesa del Signore della Pietà. Un’atra, apparteneva alle famiglie Mazza ; salvo errore da parte mia, questa era vicino la discesa del Ciapparo.
Mi chiedo sempre, perchè i nostri antenati , avevano dato questo nome . Oltrepassando la chiesetta, e andando a sinistra seguendo la strada che conduceva sia alle vecchie vasche di scarico delle fognature del comune ed anche al vecchio Mulino di Citta’ Vecchia, una di queste era proprieta’ del defunto Signor Alfio Bordonaro, padre del Dr. Nunzio Bordonaro, il quale da professionista, aveva creato una vera piccola industria per la fabbricazione della calce e soprattutto produrre la migliore qualita’ del prodotto.
Altre fornaci si trovavano nel quartiere di Murazzorotto, andando verso il lago Gurrida .
Anni passati, questa zona era molto popolata, dove ancora si potevano contemplare molte antichissime casette costruite in pietra lavica a secco, esistenti forse anche all’epoca araba, le quali, potevano servire temporaneamente di alloggio per i contadini e nello stesso tempo , come riserve di foraggio per nutrire asini, cavalli ,muli, pecore , numerosi in quel periodo.
Ma quasi tutte sono state demolite per ignoranza ed incoscienza , costruendo casette certo moderne , ma senza stile ed in un modo piu’ che disordinato.
Un’ altra fornace molto antica, si trovava a fianco del muro di cinta della Citta’ tra il Convento di San Giorgio e la Via Duca degli Abruzzi esattamente a fianco dell’antica Porta dell’Erbaspina , chiamata anche , Porta del Quartarario ; esisteva anche una piccola fontanella chiamata dai nostri antenati, Fontanella dell’Erbaspina.
Questo artigiano lavorava esclusivamente l’argilla per la fabbricazione delle Quartare, vasi, e diversi recipienti in terracotta. Desidero precisare che questa porta con il suo semiarco e i suoi due pilastri, era visibile prima del Luglio 1943. Una parte è stata demolita dai bombardamenti ; il resto, dall’incoscienza umana.
Le fornaci, potevano avere la forma di un grande cubo munito di una corta ciminiera oppure rotonde come un grande cilindro di un diametro di parecchi metri, munite sempre di una ciminiera. Il materiale utilizzato, erano le pietre laviche, murate con un impasto di calce e sabbia dell’Etna . L’ argilla in certi casi era utilizzata per la sua resistenza al calore.
L’ interno, era diviso in diversi piani ; si accedeva attraverso una apertura situata a piano terra. Il sottosuolo era riservato per il grande focolare, il primo perimetro , per la cottura delle pietre calcaree . Il piano superiore, per la cottura delle tegole, i mattoni, le mattonelle. In seguito, le anfore, vasi, ed alti oggetti ad esempio le lampade ad olio, molto utilizzate nel periodo della guerra e specialmente nel periodo dei bombardamenti del luglio e agosto 1943. I focolari, erano alimentati con parecchie tonnellate di legno proveniente dalle nostre foreste comunali ed anche da foreste private.
DA DOVE PROVENIVANO LE PIETRE A CALCE ?
La cava delle pietre a calce, si trovava sul versante Nord dei Monti Peloritani parecchi kilometri dopo il comune di Santa Domenica Vittoria.
Nella mia giovinezza, ho avuto una sola volta di visitarla in compagnia di un conoscente e concittadino carrettiere , offrendomi un passaggio. Preciso che questo signore, faceva il trasporto di materiale edile. Non mi ricordo il nome di questa contrada ; mi ricordo solamente che durante il tragitto , ho potuto ammirare il magnifico paesaggio, ma anche i lavori dei campi eseguiti dai nostri bravi contadini.
L’ estrazione delle pietre, era un lavoro molto faticoso e soprattutto pericoloso per gli operai. I mezzi meccanici moderni non esistevano. Tutto era eseguito con la forza delle loro braccia, a colpi di mazza , picco ed altri rudimentari arnesi per potere spaccare le grosse rocce, ottenendo cosi’ il volume desiderato.
Il trasporto era eseguito con l’aiuto dei carretti trainati dai muli e per i piu’ ricchi, dai cavalli. Moltissime famiglie di carrettieri della nostra città eseguivano il trasporto di questo materiale, approvvigionando i proprietari delle fornaci.
I carrettieri partivano nella notte, per ritornare di buon mattino evitando cosi’ l’afoso calore dell’ estate. Il lavoro degli artigiani carrettieri, era molto impegnativo e faticoso , anche per gli animali che in realtà erano ben nutriti , ben curati e ben protetti.
IL LAVORO DELL’ARGILLA
Diversi proprietari di fornaci, come avevo accennato prima, si erano specializzati nella lavorazione dell’argilla , fabbricando mattoni, mattonelle, anfore, piatti e casseruole, molto usate dai nostri antenati per la cottura dei cibi prelibati e gustosi.
Queste piccole imprese, erano proprieta’ di parecchie famiglie randazzesi. Desidero citare la famiglia Mazza, la famiglia Bordonaro e soprattutto, le numerosissime famiglie Arcidiacono.
Sicuramente, ne esistevano altre , ma onestamente non ho mai avuto l’occasione di conoscerle.
Per quanto concerna la famiglia Arcidiacono, ho conosciuto i due fratelli , Luigi e Battista, intimi amici musicisti, che per molti anni, hanno fatto parte del Corpo Musicale di Randazzo, all’epoca in cui era diretto dal Maestro Lilio Narduzzi e sovvenzionato dal Comune di Randazzo e soprattutto con l’aiuto e la contribuzione degli abitanti molto fieri del loro complesso.
Parlerò di Battista Arcidiacono nelle prossime pagine.
La nostra argilla, era estratta nel piano della Gurrida. All’epoca, questo terreno , era molto argilloso. In certe stagioni il fiume Simeto e Flascio , non solamente alimentavano il lago Gurrida ma anche moltissime superfici adibiti a vigne e ortaggi. Alimentavano anche un piccolo corso d’acqua che scorreva ai piedi del Castello Svevo per finire nel fiume Alcantara.
Non posso precisare il luogo esatto dove l’argilla era prelevata. Sicuramente all’interno di certe proprietà private ed anche nei terreni comunali pagando una tassa. Questa materia, era trasportata con i carretti a Randazzo e depositata sul luogo di lavoro. Ma, prima di usarla, necessitava una lunga preparazione. Depositata al suolo ed al sole per moltissimi giorni l’ argilla si riduceva cosi’ in finissima polvere. In seguito, era depositata in un grande bacino dove era mescolata e dosata con una qualità di terra che ogn’uno di loro, conosceva il segreto ed il dosaggio.
Il lavoro più faticoso, era quando tutta questa materia doveva essere mescolata, umidificata e pigiata da parecchi operai con la forza dei loro piedi e delle gambe, ottenendo così una materia omogenea , malleabile e pronta per la lavorazione .
Gli artigiani, lavoravano a cielo aperto. Moltissime erano le donne, figlie di artigiani adibiti a questo lavoro. Sopra i loro banchi di lavoro ,confezionati in legno oppure con i mattoni, avevano parecchi telai in legno duro molto resistente all’umidità; per le tegole di forma trapezoidale, per i mattoni rettangolari, per le mattonelle in terra cotta, i telai erano quadrati a secondo la superfice richiesta dai clienti.
Per la confezione delle tegole, l’argilla era spalmata con le mani, livellata con una piccola regola nel suo apposito telaio, e dopo averla uscita dal telaio con l’aiuto di una piccola cordicella, era depositata sopra una forma semi rotonda, e impermeabilizzata con un impasto liquido a base di argilla e depositata al suolo e al sole per molti giorni ; in seguito all’interno della fornace per la cottura. Così per i mattoni ed altri oggetti.
Giovane apprendista falegname, ho avuto parecchie occasioni di costruire molti di questi telai. Da ragazzino, vedevo lavorare molte donne ed anche uomini con una enorme rapidità. Questo lavoro era molto impegnativo ; per proteggersi dal sole, specialmente nei mesi estivi, il loro capo era coperto con un cappello di paglia oppure con l’aiuto di un grande fazzoletto .
Gli uomini, erano vestiti con un semplice pantaloncino, talvolta torso nudo e con i piedi scalzi, molto allegri, fieri della loro arte e del loro sapere.
Il primo lavoro, consisteva allo sgombero delle scorie del grande focolare situato nel piano inferiore ed alla pulitura del perimetro interno . Le pietre a calce, erano squadrate con colpi di martello e mazza ; parecchi muri a secco erano costruiti all’interno , occupando cosi’ la prima parte inferiore. Le tegole , le anfore , i grandi vasi ed altre oggetti da fare cuocere, erano situati sulla parte superiore.
L’ entrata veniva murata, lasciando semplicemente un’ apertura per l’alimentazione del focolare con piccoli tronchi d’alberi , truccioli ed anche con enormi mazzi di legno secco di poco valore , usato generalmente per questo lavoro.
Il focolare acceso, la fornace doveva essere alimentata e soprattutto sorvegliata giorno e notte per parecchi giorni. Talvolta, e questo dipendeva della quantità del materiale da cuocere, circa una settimana.
Nel periodo della mia giovinezza, ho avuto molte occasioni di percorrere di notte in compagnia di mio padre Giuseppe e mio nonno paterno Carmine Venezia , mugnai di professione, la strada che partiva dal vecchio mulino di Citta’ Vecchia, e che conduceva verso la chiesetta del Signore della Pieta’, soffermandomi vicino a queste fornaci , per ammirare le fiamme che sgorgavano dal focolare e della ciminiera , creando cosi un gioco d’ artifizio , sviluppando non solamente un grande calore , ma anche un fumo molto denso , soffocante , rendendo ancora più faticoso il lavoro degli operai .
Durante la cottura della calce, le fornaci erano soggetti ai cambiamenti atmosferici ; un giorno, parlando con il Signor Bordonaro, proprietario di questa grande fornace situata in questi paraggi , mi spiegò che un cambiamento atmosferico durante la cottura , poteva influenzare sulla durata del fuoco. Non posso precisare quanti gradi erano necessari per ottenere una eccellente qualità di calce ; forse circa 900 gradi .
Questi talentuosi artigiani pieni di esperienza e di maestria, conoscevano il momento in cui la fornace doveva essere spenta. Talvolta, una settimana di tempo era necessaria per raffreddare l’insieme di questa piramide, e accedere all’interno recuperando tutto il materiale il quale era venduto a tutti gli artigiani edili ed anche ai privati per la costruzione e la copertura delle nostre vecchie e moderne dimore.
Per la preparazione delle pietre a calce, i nostri artigiani muratori usavano un metodo molto semplice ; creavano un piccolo bacino di una profondità desiderata e secondo la quantità di calce da fare sciogliere. La pietra a calce già cotta, veniva depositata nel fondo di questo bacino e ricoperta con molta acqua. La calce al contatto con l’acqua, si scioglieva, sviluppando un forte calore che talvolta al contatto della pelle e del corpo, causava moltissime ustioni.
Dalla calce sciolta, qualche giorno dopo , si otteneva una materia bianchissima e cremosa, la quale mescolata con la sabbia dell’Etna e con una certa dose di acqua, ottenevano così un impasto per la costruzione dei muri in pietra lavica ma anche per costruire case ed altre opere. Serviva anche per imbiancare i muri e le pareti .
Possiamo anche dire, che tutte le costruzioni della nostra vecchia Citta’, sono state eseguite e realizzate con questi materiali. Voglio precisare un dettaglio molto importante ; nei secoli passati, la calce prodotta dai nostri artigiani, era molto usata da tutti gli artisti frescanti , specializzati nelle esecuzioni degli affreschi.
Ma, prima di usarla, ciascuno di loro, aveva il loro segreto di conservazione.
Moltissimi artisti di grande nome, conservavano la calce all’interno delle botti di legno per circa venti anni cioè conservata per le future generazioni ; per i loro figli ed anche per i nipoti.
Non sono capace di spiegarvi l’effetto e la reazione chimica di questa materia , dopo molti anni di conservazione, posso invece affermarvi, che questo metodo è esistito. Onore ai nostri artisti del passato , i quali ci permettono di ammirare gli affreschi e capolavori dopo molti secoli passati.
Molte cose si potrebbero scrivere concernante la preparazione di questi lavori ; ma il soggetto è troppo importante.
Nelle precedenti pagine, avevo accennato il cognome delle famiglie Arcidiacono. Mi permetto ancora di parlare di Battista e Luigi ; due fratelli che pur essendo specialisti dei lavori in terracotta erano anche due eccellenti musicisti.
Per molti anni, hanno fatto parte del Corpo Musicale di Randazzo ; prima sotto la direzione del Maestro Marrone , dopo sotto la direzione del nostro talentuoso maestro Lilio Narduzzi , deceduto a Roma molti anni indietro.
Ho avuto l’onore di averli frequentato dal 1950 al gennaio 1957 facendo parte anch’io di questo prestigioso Complesso musicale molto amato da noi Randazzesi .
Mi ricordo , che tutte le domeniche e nei giorni festivi nel periodo estivo, i cittadini potevano assistere e ascoltare nelle piazze comunali concerti di musica lirica e non solo.
Colgo l’occasione per ricordare un artista dimenticato da noi randazzesi , deceduto a Milano qualche decennio indietro: Battista Arcidiacono , da giovane, a parte le sue qualità artigianali, possedeva una eccezionale dote musicale . Primo Trombone solista del Corpo musicale sotto la direzione del Maestro Lilio Narduzzi . Battista, era sempre alla ricerca della perfezione , dei coloriti e della raffinatezza musicale.
Una sera, , i componenti del Complesso , eravamo riuniti nella sala del Concerto della Via San Giacomo per la ripetizione generale di una romanza dell’opera Rigoletto di Giuseppe Verdi . Il maestro Narduzzi con la sua bacchetta , chiama con un segno il primo trombone solista ! La risposta è stata più che negativa ! nessun suono. Battista, invece di suonare, si é messo a cantare la romanza mettendo un po’ in collera il maestro ; ma dopo qualche secondo, la collera si è trasformata in un grande sorriso paterno facendo anche ridere tutti i componenti del Corpo musicale. Battista, possedeva una bella voce ,un orecchio più che perfetto sempre alla ricerca della sensibilità musicale.
La sua esecuzione della Cavatina di Figaro del Barbiere di Siviglia era eccezionale ; un vero delizio per gli appassionati della musica lirica.
Come moltissimi randazzesi, nel periodo del 1960 è partito per Milano, continuando a perfezionarsi nella storia musicale . Mi è stato riferito che dirigeva un complesso musicale, dedicandosi anche alla composizione.
Ho avuto l’ occasione di rivederlo a Randazzo nel periodo estivo con il complesso Marotta presentando prima dell’esecuzione dell’ opera musicale, i dettagli storici dei grandi compositori italiani.
Tante storie potrei scrivere concernente certi componenti del vecchio Corpo Musicale di Randazzo.
Non volendo cambiare i miei propositi , prima di terminare questo modesto diario, desidero semplicemente citare qualche cognome di concittadini , facendo parte del Corpo musicale negli anni 1950 ed anche dopo.
Gaetano Lazzaro , grande clarinettista, grande copista, dotato di una eccezionale calligrafia musicale ,abitava in Piazza San Martino , allievo del Maestro Marrone, primo clarinetto A sotto la direzione del Maestro Narduzzi . Il nostro concittadino è deceduto a Milano , Carmelo Scalisi , primo clarinetto , di professione ebanista.
Salvatore Mendolaro , clarinetto, di professione calzolaio
Salvatore Raciti , primo clarinetto , accompagnato dal figlio Mario Raciti trombettista. In realtà Mario suonava parecchi strumenti. Voglio ricordare ai nostri giovani randazzesi , che il Signor Salvatore Raciti , era un grande maestro scalpellino ; accompagnato dal figlio Mario, verso gli anni 1947 cioè nel dopo guerra, le dobbiamo il restauro del Chiostro , colonne , banchine e finestre del nostro Palazzo Comunale , la realizzazione della scalinata del Santuario del Carmine , moltissimi lavori in pietra lavica , e innumerevoli monumenti funerari .
Pietrino Grasso , anche lui suonava il clarino ed anche i saxsofoni . Eccellente copista sicuramente negli archivi del Complesso Marotta, si possono trovare ancora molte partizioni musicali trascritte dalle sue mani.
Per completare, voglio accennare la fine delle nostre antiche fornaci.
Nel quartiere di San Giuliano e nei pressi della Via Carcare, quasi tutte le fornaci sono state demolite . Ci sarebbe da conservare e proteggere ancora qualche fornace più che nascosta e che sarebbe dell’ epoca Araba , non voglio citarla , per paura della demolizione.
Ricordo, la sera dell’ 11 agosto 2001 in occasione dell’ inaugurazione della Grande Esposizione in onore di Federico II , realizzata dall’artista siciliano Pippo MADE’ e presentata all’ interno del Chiostro Municipale dal Rev.mo Monsignore Santino Spartà. Dopo la presentazione di questa grandiosa esposizione, dei suoi oggetti preziosi e del suo libro, terminò il suo discorso accennando la delicata questione della protezione e della conservazione dei resti antichi lasciati per miracolo in salvo dopo i bombardamenti del luglio e agosto 1943 .
Ascoltai e ammirai il coraggio di questo eminente religioso , affermando pubblicamente che questi, non sono stati ne curati ne apprezzati da certi cittadini . Noi dobbiamo essere fieri di avere un religioso intelligente , un uomo di lettere , dotato di un grande sapere , con moltissime buone idee non solamente al livello amministrativo , ma anche per la protezione dei nostri monumenti, e per lo sviluppo del turismo locale.
Molte volte le sue buone idee non sono state ben seguite ed eseguite da certi dirigenti della nostra Amministrazione . La citta’ di Randazzo, ha bisogno di un grande sviluppo economico. Molti giovani non hanno occupazione . Per rimediare a questa grande lacuna, male cancerogeno della nostra epoca, due soluzioni esistono ; rilanciare l’ agricoltura e il turismo.
Non dimentichiamo che il nostro territorio, è stato sempre una grande zona artigianale e agricola. Produrre locale, significa creazione di posti di lavoro e impieghi per i nostri giovani , evitando così l’immigrazione e la separazione dell’unità famigliare. Nelle contrade del nostro Comune, esistono ancora bellissime proprietà agricole con sontuose palazzine antiche di una vera bellezza architetturale inestimabile.
Ammiro sempre, il coraggio dei proprietari, i quali con la forza fisica e mentale, malgrado gli inconvenienti amministrativi, riescono con molta volontà e gusto, al restauro, trasformandoli in alberghi, ristoranti e luoghi di vacanza , creando qualche posto di lavoro per i nostri giovani .
Ma, tutti i cittadini randazzesi amano le nostre antiche costruzioni ? Trovandomi molto distante della mia amata Randazzo, la mia risposta è forse negativa.
Senza la forza e la fede degli abitanti, un giorno o l’altro , moltissimi vestigi antichi e meno antichi, saranno distrutte . Non desidero impicciarmi di certi affari . Ultimo caso , la parte antica Est del vecchio palazzetto Germana’ ; questa piccola particella piu’ che antica, è rimasta per miracolo in piedi dopo i disastrosi bombardamenti del 1943.
Da ragazzo, ho conosciuto il vecchio palazzetto ; potrei anche descrivere come era , il pianoterra, era occupato da parecchie botteghe di artigiani ; falegnami, barbieri, stagnini e venditori di buon vino.
Era possibile salvarla ? questa particella, poteva essere inglobata nella nuova costruzione ? Non essendo un esperto in questa materia , non posso rispondere a queste spinose questioni.
Amici miei randazzesi, amministratori comunali di tutte le tendenze , avete pensato al salvataggio del nostro vecchio Convento di San Giorgio ? al nostro Convento dei Frati Cappuccini ? al nostro rinomato Collegio San Basilio ? volete che questi monumenti cadono in rovina e dare via libera ai demolitori ? Sarebbe un gesto ed un atto più che grave .
Il turismo, si attira proteggendo le vecchie pietre e non costruendo muri in cemento oppure in calcestruzzo .
Ho avuto diverse occasioni di visitare molte regioni della Francia con i suoi sublimi antichi villaggi ; talvolta abbandonati a causa delle guerre e delle carestie , oggi risuscitati dal disastro , con la forza e la volonta’ dei cittadini , ridando vita a queste antiche dimore , attirando molti turisti e molto benessere per gli abitanti.
Con la volonta’ e l’aiuto delle numerose associazioni locale, nei nostri antichi quartieri, molte cose si potrebbero imbellire ; molti abitanti lo fanno, mettendo in valore i lavori in pietra lavica, archi di porte , finestre, balconi ed altre belle cose.
Di ritorno nella mia Randazzo, mi rendo conto che certe mentalita’ e principi, non cambiano ; pertanto, l’intelligenza e l’istruzione esiste .
I cittadini randazzesi, possiedono un enorme potenziale intellettuale , artistico e culturale . Non dimentichiamo che le belle realizzazioni culturali , intellettuali e architettoniche , si possono realizzare con le idee e la volonta’ di tutti gli abitanti , all’infuori della politica e delle idee politiche.
Ringrazio il Prof. Nunziatino Magro e la sua equipe di T.G.R. Televisione Randazzo , il Signor Giuseppe Portale per le sue interviste , i suoi libri , per i suoi inteventi . Il Signor Francesco Rubbino per il suo sito internet “Randazzo . Blog” il quale con il suo lavoro e le sue ricerche , ha onorato e onora la memoria dei nostri defunti illustri cittadini , ma anche a noi immigrati randazzesi presenti in tutti i luoghi d’Italia e del mondo .
Grazie Signor Rubbino. Grazie a tutti coloro che hanno pubblicato sui siti internet , e consultati da noi residenti all’ estero.
Auguri a tutti i cittadini di Randazzo , e che la nostra Citta’ sia sempre piu’ bella, piu’ prospera, più tranquilla.
Carmelo Venezia Beausoleil Agosto 2019 .
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Corpo Musicale di Randazzo: Storia, Ricordi e Aneddoti di Carmelo Venezia – RANDAZZO.BLOGScritto il1:15 pm - Gen 11, 2023
[…] un mio precedente diario scritto nell’agosto del 2019 con il titolo: Le fornaci del quartiere di San Giuliano, avevo ricordato i nomi di Luigi e Battista Arcidiacono, due fratelli che non solo erano […]