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SEBASTIANO GRASSO

 

Figlio naturale di un generale-medico (1903-1985) e della marchesa Giuseppina Camardi Polizzi ( Castiglione di Sicilia 1916-1966), figlia a sua volta di Camardi Antonino e di Polizzi Soccorsa (nata a Randazzo nel 1890) . Sebastiano Grasso è nato in Sicilia il 24 novembre del  1947. 
Ha conosciuto la madre a dodici anni e il padre a diciannove anni. 
Studia al collegio San Michele di Acireale, dei Padri Filippini.  Si dedica anche alla scherma, canto e musica (abbandonata dopo la morte della madre, eccellente pianista).
Appena laureato, insegna per un paio d’anni Letteratura Italiana all’università.
Il suo primo libro “ Orizzonti lontani ” esce nel 1964, quindi ” Plaquette “(1968, prefazione di Carlo Bo),”  Poesie fuori stagione ” (1970, introduzione di Diego Valeri) , Il giuoco della memoria (1973, prefazione di Mario Luzi e disegni di Cantatore, Kodra, Mignecoe Sassu), tradotto in Spagna (1977) nella celebre « Co- leccién Adonais»; La stagione del clown (1978, presentazione di Riccardo Bacchelli); “ I poeta e il fantasma” (1980, introduzione di Carlo Bo);
Nel 1970 dirige per l’editore Giannotta di Catania la collana di letterature straniere “Mondo”.
Si dedica a traduzioni di Apollinaire, Baudelaire, Senghor, Valery, Cendras, Machado, Jìmenez, Neruda, Alberti, Lorca.
Dal 1971 vive a Milano dove  ha lavorato al Corriere della Sera come inviato speciale e responsabile della pagina dell’Arte.
Dal marzo 2007 è presidente del Pen Club Italia.
Ha pubblicato una ventina di libri di poesia.
 Fondamentale l’incontro con la donna che gli ispirerà la trilogia:
 – nel 2000 “Il tuo pube nero befferà la morte” con un saggio critico di Carlo Bo e sei disegni di Renzo Vespignani,
 –  nel 2002  “Sul monte di Venere” ,presentato da Mario Luzi,
 –  nel 2004 “La preghiera di una vergine”.
La sua vena poetica continua con:
 –  nel 2006 esce “Il talco sotto le ballerine”, (Premio Lerici Pea),
 –  nel 2007 “La cenere ringrazia della brace e della favilla”,
 –  nel 2009 “Tu in agguato sotto le palpebre”.
E’ tradotto in Spagna, Russia, Polonia, Francia, Svezia, Inghilterra, Macedonia.

Ha curato : 
 il Teatro breve di Federico Garcia Lorca  (1970, testimonianza di Rafael Alberti e disegni di Corrado Cagli);
Ritorni del vivo lontano di Rafael  Alberti (1976);
 Spade come labbra di Vicente Aleixandre (1977);
Dalì di Ramén Gémez dela Serna (1978 e 2002);
Cancion del amor herido di Alberti (1979);
Montale, lettere a Quasimodo (1981, prologo di Maria Corti);
Donna Rosita la zitella di Garcia Lorca (1987, testi di Rafael Alberti e Carlo Bo);
Vedute di Roma di Giovan Battista Piranesi (1991);
Ballate gitane di Garcia Lorca (1993, conscritti di Rafael  Alberti e Carlo Bo e disegni di Migneco);
Il  bicchiere di giada (2001, con Stella Ku Pan, incisioni di Hsiao Chin);
I piaceri proibiti di Luis Cernuda (2002, con Margherita Alverà);
Destino Espagnia: la Spagna vista dal « Corriere della Sera » (2002, con Marina Cotelli).

Sebastiano Grasso – il poeta italiano, ospite d’onore alla Fiera del Libro, Tirana 2011

Sebastiano Grasso

La poesia assomiglia ai giorni, che sembrano gli stessi senza mai esserlo. Cosa già detta da Eraclito paragonando il tempo con l’acqua. Il paragone in se stesso è anche poesia.
L’acqua non è sempre la stessa e, così, le sue forme. Infatti nel momento in cui esse si ripetono, sono sempre nuove come i giorni, anzi ognuna di esse è unica. Riviverle è esattamente lo stesso.
Questa sensazione è rafforzata dal poeta italiano Sebastiano Grasso, che nei suoi versi trattiene il tempo e l’acqua – la memoria di entrambi – ma, soprattutto, materia d’amore che è l’amore stesso.
La sua poesia, simile ad altre, è totalmente sua, come la sua vita. Perché è possibile dividere le pene con un’altra persona, così come la gioia – come si divide una stanza – ma non si può mai soddisfare la sete per un altro. La poesia non può essere trapiantata.
Sebastiano Grasso scrive come se prima di lui non fossero vissuti altri poeti, come se con lui iniziasse tutto; è come se egli cercasse di (ri)scoprire l’amore dopo averlo osservato, toccato, gustato, lasciato, fatto impazzire, deluso.
Che cosa importa se altri prima di lui hanno espresso le proprie sensazioni. Importa solo quello che il poeta scopre da sé.

Ma il dolore non è un capriccio, non si placa l’insonnia.

Ecco una raccomandazione misteriosa, che il poeta tira fuori da sé: per sé e per gli altri. La parola poeta, (che in latino è poéta e in greco antico poiétés e che deriva da poeíéín), vuole dire “fare”, “produrre”. Che cosa? Sentimenti, oppure emozioni. Inventarli, raccontarli o provocarli? Raccontare l’attimo che è eternità e l’eternità che diventa attimo. Qui c’è una sorta di nodo che non va mai sciolto. Tutto ciò si vede anche nel poeta Grasso.

Di quanti enigmi si compone la nostra storia;
di quante magie […]
Il dialogo interrotto ricomincia: sogno
un tempo che non era nel sogno.

Senza alcun complesso, disincantato dell’incanto, in modo naturale, egli ripercorre – con una specie di sentimento sublime, segreto, primitivo – la giornata di una persona. Sole, pioggia, vento, le stagioni dell’età con incontri, separazioni, timori, cambiamenti e amori ovunque ed in ogni cosa.
Ogni cosa diventa il ricordo di un amore, vi si identifica.
Talvolta il ricordo è più forte della realtà. Ecco il sogno dell’amore.

L’amore si serve di tutto: treni, macchine, passi, ascensori, balconi, piante rampicanti, bicchieri di vino, divani, posacenere con sigarette che ancora emettono fumo, fogli scritti – e, soprattutto fogli non scritti -, viaggi improvvisi, ritorni, letti disfatti e vuoti, ecc.
Ma nessuno può ripetere te; così come tu non puoi ripetere gli altri.
Siamo la stesso uomo, quello di Borges, con la stessa poesia, ma infinitamente diversa.

Scrive Grasso:
Cambiamo abitudini: poche partenze, troppi arrivi.
Il poeta si allontana senza allontanarsi. Solo fra la gente, tende a scoprire l’anima: ovunque, soprattutto nella parola, nella quale crede. E sembra che dica: “Altri poeti dentro di me, così come io ero dentro di loro”: Anche la pioggia ha la sua voce… Questo insieme di uomo-natura e di natura-uomo, rimasto nelle parole che non riusciamo ad inventare, ha il potere di inventarci di nuovo, ti rendeva l’immortalità per un altro giorno.
Ancora un giorno in più per essere immortali.
Ed ancora:
I nostri angeli sono 
altrove, in alto mare, come uccelli migratori. 
Le notti si gonfiano, diventano bolle di ricordi
ma non riescono a scoppiare. Dio!, il nostro
destino è un tormento perenne. Ed è proprio qui,
dici, il crepuscolo della vita, il nostro inferno.
Si scopre con ritardo che abbiamo amato poco,
o peggio ancora, che non abbiamo saputo amare?

Siamo davanti a versi di una chiarezza straordinaria. Probabilmente ciò è dovuto al lavoro del poeta, che fa il giornalista al Corriere della Sera, il maggiore quotidiano italiano, dove hanno lavorato anche Eugenio Montale e Dino Buzzati (di cui Grasso ha “ereditato” la pagina dell’Arte). Il giornalista deve scrivere chiaro, per farsi capire da tutti. Ed ecco che la maniera di scrivere si trasferisce dall’articolo al verso.
Grasso ha scritto anche del nostro Ibrahim Kodra, del quale era molto amico. Anch’io divenni loro amico durante la mia permanenza a Milano. In entrambi c’era qualcosa di affascinante: l’uno lo trasformava in colore; l’altro, in parole. Ma tutti e due lo facevano in maniera poetica.
Grasso è nato nell’estremità più meridionale dell’Italia, in Sicilia. A sedici anni ha pubblicato il suo primo libro.
Dopo la laurea in Lettere moderne, ha insegnato all’università letteratura italiana per un paio d’anni. Poi, nel ’71, il trasferimento a Milano, al Corriere della Sera, dove attualmente è inviato speciale e responsabile dell’Arte. Dal 2007, Grasso è anche presidente del Pen club Italia.
Dal 1964 al 1980, oltre ad alcuni libri di traduzioni da francese e spagnolo, ha pubblicato le raccolte di versi Orizzonti lontani, Plaquette, Poesie fuori stagione, Il giuoco della memoria, Pour Marie-Hélène, Il poeta e il fantasma. Segue un silenzio durato vent’anni.
Poi, nel 2000, l’esplosione. Il poeta incontra Giuliana ed escono Il tuo pube nero bufferà la morte, Sul monte di Venere, La preghiera di una vergine, Il talco sotto le ballerine. Uno di essi ottiene il Premio LericiPea (assieme all’americano della “Beat generation”, Lawrence Ferlinghetti), e’ stato asdssegnato a Ismail Kadare. Alcuni di questi libri – singoli o come antologie – vengono tradotti in Spagna (prefazione del premio Nobel José Saramago), Russia (prologo di Evgenij Evtushenko), Polonia, Svezia (introduzione di Jesper Svenbro), Siria (presentazione di Adonis, il più grande poeta arabo vivente).
L’ultima raccolta, uscita in Italia nel 2009, si intitola Tu, in agguato sotto le palpebre; ed è quella che adesso presentiamo in albanese, una lingua fra le più antiche e preziose del mondo. Nella traduzione ho cercato di conservare il ritmo dei venti, delle onde e l’eco di quelle conchiglie che racchiudono singolarmente una stella. Spero, anche se in parte, di esserci riuscito.

A Sebastiano Grasso è stato assegnato il ” Premio Montale Fuori di casa “ con la seguente motivazione:  

         “ per la sua poesia d’amore erede della grande tradizione erotica classica che da Catullo giunge sino a Raphael Alberti e Adonis, per la sua attività di         giornalista-inviato speciale e critico d’arte svolta al Corriere della Sera e la sua opera di intellettuale attento a quanto dalla cultura europea e mondiale emerge nella nostra epoca “.

Alcune pubblicazioni di Sebastiano Grasso.

 

 

Sebastiano Grasso e il suo castello da sogno a Piacenza 

Quella che segue è la storia di un sogno che si realizza. In un periodo in cui tutto sembra più complicato del dovuto e il fenomeno della mediocrità morale sembra dilagare, c’è ancora qualcuno che crede nella cultura e nell’importanza dei desideri. Più difficile è realizzare un castello in aria e più è grande la soddisfazione quando ci si riesce, anche se ci vuole molto tempo.  La realizzazione di un sogno.  A proposito di castelli, Sebastiano Grasso, critico e articolista del Corriere della Sera, uno tra i più importanti quotidiani nazionali, ha deciso, a settant’anni, di realizzare un sogno coltivato da quando era solo un bambino.
 Il poeta e scrittore, responsabile per oltre trent’anni della pagina dell’arte, ha acquistato un castello nella provincia di Piacenza, sulle sponde del fiume Nure, pensandolo come luogo ideale in cui continuare a portare avanti ciò che lo ha appassionato per tutta la vita.
Grasso ha spiegato a Ville&Casali che quando era molto piccolo, la nonna decise di donare il suo castello al Comune, ma l’acquisto del maniero di Riva, del diciottesimo secolo, sembra avergli fatto recuperare parte della sua infanzia.
La regale proprietà si trova nel paese di Ponte dell’Olio, in una terra ricca di altre strutture medievali di un tempo appartenute all’alto bordo e soprattutto di prelibatezze gastronomiche. 
Questo grande desiderio di tornare a possedere il maniero, Grasso, l’aveva già espresso alla sua amica Rita Zanardi Rivalta, anch’essa proprietaria del castello vicino e che gli ha segnalato la messa in vendita del complesso immobiliare della famiglia Fioruzzi.
A seguito di numerose trattative, il giornalista ha concluso l’acquisto, prendendosi l’onere di ristrutturare e consolidare l’intera struttura, in particolar modo la torre principale e la villa collegata al castello.
L’ambizione di Sebastiano Grasso era quella di creare un punto di riferimento per tutti gli intellettuali e gli artisti e spiega a Ville& Casali:

CONFERENZE, SPETTACOLI TEATRALI E MUSICALI E, UNA VOLTA ALL’ANNO, UNA MOSTRA ALL’APERTO DEDICATA A UNO SCULTORE CONSACRATO E A DEI GIOVANI ARTISTI. TUTTO SARÀ GRATUITO.

La Torre principale del castello, appoggiata a una roccia, sarà la sede della biblioteca principale e accoglierà circa trentamila volumi di arte e letture giornalistiche.
Con un progetto di questa levatura, il sindaco di Ponte dell’Olio, Sergio Coppelli, ha accolto il giornalista a braccia aperte, offrendogli la massima collaborazione, soprattutto per favorire il turismo dell’area di Valnure.
Quello di Ponte dell’Olio, infatti, è il primo comune piacentino a essere stato introdotto nel piano di tutela sui paesaggi naturali protetti.
Dal mese di agosto, quando il nuovo castellano si è insediato insieme ai suoi collaboratori, sono stati ripuliti tutti i locali, ridipinti porte e cancelli e ricostruiti tutti i merli crollati.
A breve lo stemma della precedente famiglia proprietaria, verrà sostituito da quello della casata del giornalista e verrà posto all’ingresso, proprio sopra al grande portone, dove una volta scorrevano le catene del ponte levatoio.

Purtroppo anche Sebastiano Grasso è finito sotto gli strali oltraggiosi di Vittorio Sgarbi, ma gli è andata bene !!!!

Sgarbi condannato per ingiurie al giornalista del Corriere Sebastiano Grasso

Contrariato da un articolo sul Corriere della Sera che criticava il Padiglione Italia della Biennale di Venezia del 2011, da lui curato, il critico d’arte e politico Vittorio Sgarbi, oggi assessore ai Beni culturali della Sicilia, ma in odore di rinuncia per candidarsi al Senato grazie ad un “posto sicuro” in lista, offerto da Berlusconi, prima ha iniziato a scrivere sms con parolacce e offese all’autore del pezzo pubblicato, il giornalista Sebastiano Grasso e poi in un articolo su Il Giornale, ha usato nei confronti del recensore considerazioni da lui ritenute diffamatorie.Ora il Tribunale di Milano, giudice Nicola Di Plotti, in sede civile, lo ha condannato a una pena pecuniaria per ingiuria e diffamazione a mezzo stampa. E inoltre alla pubblicazione, a proprie spese, di un estratto della sentenza sul Corriere della Sera. La notizia è stata resa nota dall’avvocato Biagio Cartillone, patrocinante di Grasso già responsabile delle pagine dell’arte sul quotidiano di via Solferino, che ha prodotto integralmente la sentenza. (Ansa)
22 gennaio 2018  

Noi ci permettiamo di rivolgere un invito al dr.Sebastiano Grasso ed è quello di venire a Randazzo e rivederla con gli occhi della sua maturata esperienza  nella Poesia, nell’Arte, nella Letteratura e nella Cultura in genere ( pensare di fare un museo del libro e realizzarlo in un bellissimo Castello  e sicuramente una cosa veramente notevole. Complimenti !!).
a cura di Francesco Rubbino

Mario Alberghina – Ospedale Civile Randazzo – 1470/1864

IL PRESIDENTE ACCADEMIA GIOENIA DI CATANIA

 

Prof Mario Alberghina

Il prof. Mario Alberghina, già professore ordinario di Biochimica presso la Scuola di Medicina della nostra Università, ha lavorato presso: Laboratory of Veterinary Biochemistry, University of Utrecht, (1978); Institute of Neurobiology, University of Goteborg (1980); IBRDD, Staten Island, New York, USA (1986); Marine Biological Laboratory (Visiting associate) di Woods Hole, MA, USA, (1987-1991).
E’ stato ‘Invited Visiting Professor’ presso la Polish Academy of Sciences, Warsaw, ottobre 1995-1996-1997.
E’ stato membro del Comitato scientifico del 41°, 48°, 54° e 55° Congresso della Società Italiana di Biochimica (SIB). E’ stato membro del Consiglio Direttico della SIB (quadriennio 2009-2013).
E’ stato coordinatore del Master II livello (2008) in “Tecnologie ed imaging molecolari per la biomedicina”, del Master di II livello (2011) (2013) in “Diagnostica molecolare e medicina traslazionale” e organizzatore e coordinatore scientifico della ISN International School on “Lipidomics in the nervous system cells” (2010).
E’ stato Presidente del CdL in Odontoiatria e Protesi dentaria (quadriennio 2010-2014).

Gli interessi di ricerca scientifica sono:
a) metabolismo lipidico nel CNS e PNS;
b) processo di trasporto assonale in nervi cranio-spinali;
c) regolazione di enzimi correlati al metabolismo fosfolipidico in membrane, in cellule endoteliali, in periciti e co-colture;
d) interazioni superfici inorganiche e cellule endoteliali.
E’ autore di oltre 100 lavori scientifici a carattere neurobiochimico e di biochimica microvascolare.

E’ membro delle seguenti società scientifiche:
Italian Society of Biochemistry (SIB);
European Society for Neurochemistry (ESN);
International Society for Neurochemistry (ISN);
International Society for Developmental Neuroscience (ISDN).
E’ nei ‘Referee board’ delle seguenti riviste internazionali: 
J. NeurochemistryNeurochemistry InternationalMicrovascular ResearchAtherosclerosis and vascular BiologyNeuroscience LettersBiochimica Biophysica ActaMolecular Neurobiology.
 E’ membro dell’Editorial board delle riviste scientifiche Folia Neuropatologica e The Open Journal of Circulation and Vascular Diseases.
E’ stato editore del volume Biochemistry of Lipids in Vascular Function (Research Signpost, 2004).

E’ stato membro del Consiglio direttivo del Consorzio Interuniversitario per le Biotecnologie (Trieste) per il sessennio 1990-1996.
Dal 1996 al 2005 è stato membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione SINTESI tra le Università di Catania, Messina e Palermo.
E’ stato consulente per la ricerca scientifica dell’Assessorato regionale alla Pubblica Istruzione.
Per gli anni 2002/2013 ha fatto parte dell’Albo degli esperti del MIUR.
E’ stato membro della Commissione scientifica d’Ateneo dell’Università di Catania per il triennio 2005-2007.
E’ socio effettivo dell’Accademia Nazionale di Storia dell’Arte Sanitaria (Roma); 
socio aggregato della Società Italiana di Storia della Medicina;
socio effettivo dell’Accademia Gioenia di Scienze Naturali di Catania;
socio corrispondente dell’Accademia degli Zelanti di Acireale.
E’ autore di articoli di divulgazione scientifica, di un libro-testo di chimica per medicina e di otto libri-saggio sulla storia della medicina e della scienza siciliana.
E’ autore di un sito web sulla Storia dell’ospedalità antica in Sicilia: 
www.unict.it/aos.

 

1. LUPO G., MOTTA C., SALMERI M., SPINA-PURRELLO V., ALBERGHINA M., ANFUSO C.D. (2014). An in vitro retinoblastoma human triple culture model of angiogenesis: A modulatory effect of TGF-beta. CANCER LETT. Nov 1;354(1):181-8. doi: 10.1016/j.canlet.2014.08.004 (i.f. 5.07).

2. BARRESI V., SIGNORELLI S.S., MUSSO N., ANZALDI M., FIORE V., ALBERGHINA M., CONDORELLI D.F. (2014). ICAM-1 and SRD5A1 gene polymorphisms in symptomatic peripheral artery disease. VASC. MED., 19(3):175-181 (i.f. 1.67).

3. MOTTA C., SALMERI M., ANFUSO C.D., AMODEO A., SCALIA M., TOSCANO M.A., GIURDANELLA G., ALBERGHINA M., LUPO G., MCCORMIK B.A. (2014). Klebsiella pneumoniae Induces an Inflammatory Response in an In Vitro Model of Blood-Retinal Barrier. INFECT. IMMUN. 82(2):851-63 (i.f. 4.074).

4. ANFUSO C.D., MOTTA C., GIURDANELLA G., ARENA V., ALBERGHINA M., LUPO G.(2013). Endothelial PKCα-MAPK/ERK-phospholipase A2 pathway activation as a response of glioma in a triple culture model. A new role for pericytes? BIOCHIMIE. Nov 25. pii: S0300-9084(13)00422-7. doi: 10.1016/j.biochi.2013.11.013. [Epub ahead of print] (i.f. 3.782).

5. LUPO G., MOTTA C., GIURDANELLA G., ANFUSO C.D., ALBERGHINA M., DRAGO F., SALOMONE S., BUCOLO C. (2013). Role of phospholipases A2 in diabetic retinopathy: In vitro and in vivo studies. BIOCHEM. PHARMACOL. 86(11):1603-13 (i.f. 4.576).

6. SALMERI M., MOTTA C., ANFUSO C.D., AMODEO A., SCALIA M., TOSCANO M.A., ALBERGHINA M., LUPO G. (2013). VEGF receptor-1 involvement in pericyte loss induced by Escherichia coli in an in vitro model of blood brain barrier. CELL. MICROBIOL.,15(8):1367-84 (i.f. 5.458)

7. ANFUSO C.D., MOTTA C., SATRIANO C., GENNARO S., MARLETTA G., GIURDANELLA G., ALBERGHINA M., LUPO G. (2012). Microcapillary-like structures prompted by phospholipase A(2) activation in endothelial cells and pericytes co-cultures on a polyhydroxymethylsiloxane thin film. BIOCHIMIE, 94(9), pp. 1860-70 (i.f. 3.782)

8. SALMERI M., MOTTA C., MASTROJENI S., AMODEO A., ANFUSO C.D., GIURDANELLA G., MORELLO A., ALBERGHINA M., TOSCANO M.A., LUPO G.(2012). Involvement of PKCα-MAPK/ERK-phospholipase A(2) pathway in the Escherichia coli invasion of brain microvascular endothelial cells. NEUROSCI. LETT., 511, pp. 3-7. (i.f. 2.605)

9. ALBERGHINA M., MOTTA C., LUPO G., ANFUSO C.D., BERNARDINI R. (2011). Melanoma-induced endothelial cell growth involves phospholipase A2 and COX2 upregulation. Chapter 7th in: Breakthroughs in Melanoma Research, Tanaka Y. Editor, InTech Publisher, ISBN 978-953-307-291-3, pp. 119-142.

10. PONNAMBALAM S., ALBERGHINA M. (2011). Evolution of the VEGF-regulated vascular network from a neural guidance system, MOLECULAR NEUROBIOLOGY, vol. 43, pp. 192-206, ISNN 0893-7648 (i.f. 6.068)

11. GIURDANELLA G., MOTTA C., MURIANA S., ARENA V., ANFUSO C.D., LUPO G., ALBERGHINA M. (2011). Cytosolic and calcium-independent phospholipase A2 mediate glioma-enhanced pro-angiogenic activity of brain endothelial cells. MICROVASCULAR RESEARCH, vol. 81; pp. 20-37, ISSN: 0026-2862 (i.f. 3.05)

12. ALBERGHINA M. (2010). Phospholipase A2: new lesson from endothelial cells. MICROVASCULAR RESEARCH, vol 79(4), p. 230-236, (i.f. 3.00)

Libri pubblicati

– M. Alberghina, Una famiglia di Accademici lunga centoventi anni, Maimone editore, Catania 1998.

– M. Alberghina, Il corallo rosso e il gelsomino, saggio breve sulla scienza, l’università e l’aristocrazia nell’Ottocento catanese dei Borbone, Maimone editore, Catania 1999.

– M. Alberghina, D’argento le orme degli aironi, avventure e disavventure di un barone borbonico e di un medico fisico, professore all’Università, seguite dalla dimostrazione, Maimone editore, Catania 2000.

– M. Alberghina, Medici e Medicina a Catania, dal Quattrocento ai primi del Novecento, Maimone editore, pp.228, Catania 2001. Premio nazionale “Massimo Piccinini” dell’Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria – Roma.

– M. Alberghina, I chierici vaganti di Gauss, cronica di viaggi i più interessanti a farsi nella Sicilia ferdinandea per esercitarvi le scienze, Maimone editore, Catania 2002.

– M. Alberghina, I cofanetti di M. Charrière, altra maniera di leggere il progresso delle scienze medico-chirurgiche nella Sicilia del secolo XIX, Maimone editore, Catania 2004.

– M. Alberghina, L’Accademia Gioenia, 180 anni di cultura scientifica, Maimone editore, pp. 190, Catania 2005.

– P. Finocchiaro, M. Alberghina, Idee, cultura e storia per la Città della Scienza, pp. 97, G. Maimone editore, Catania 2007.

– M. Alberghina, Wunderkammer barocca, G. Maimone editore, pp. 205, Catania 2010. Premio nazionale “G. Bufalino” della Fondazione Brancati-Carlevani.

– M. Alberghina, La locanda di fronte al mare, A&B editrice, pp. 199, Acireale-Roma 2011.

– M. Alberghina, Ospedalità antica in Sicilia, A&B editrice, pp. 157, Acireale-Roma 2013.

– M. Alberghina, La bottega di carta, G. Maimone editore, Catania 2014. Premio letterario “Tito Mascali” 2016 della Sez. Provinciale di Catania dell’Associazione Siciliana della Stampa.

– E. Santaniello, M. Alberghina, M. Coletta, F. Malatesta, S. Marini, Principi di Chimica generale e organica per i corsi di laurea a indirizzo bio-medico, Piccin-Padova, 2014

 

Di seguito l’articolo del prof. Mario Alberghina sull’Ospedale Civile di Randazzo dal 1470 al 1864

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Ospedale Civile di Randazzo nell’ USL n.39 – Bronte

MARIA TERESA MAGRO

 

      La dott. ssa  MAGRO  Maria Teresa  nata a  Catania  il 15/05/1957  si e’ laureata  in Lettere Classiche   data 30/11/ 1983 presso L’Università di Catania con voto 110 e lode su 110 con una tesi in Archeologia Classica per la quale le e’ stato conferito il premio bandito dall’Università di Catania G.Libertini per la migliore tesi dell’anno, e successivamente ha conseguito il diploma di Specializzazione in Archeologia Classica presso l’Università  di Catania  nel 1993.
    Nel  1988 è risultata vincitrice del concorso bandito dall’Università di Catania per il premio di Laurea intitolato al nome del prof. Guido Libertini per la migliore tesi di laurea in Archeologia e Storia dell’Arte Greca nell’anno accademico 1983-84

E stata docente  di Storia dell’Arte e ha ricoperto numerosi  incarichi scientifici come archeologa per la Soprintendenza Archeologica di Catania e Siracusa  per allestimento di vetrine riservate ad alcuni centri del Siracusano del Museo Paolo Orsi.

Inoltre ha ricoperto incarichi di catalogazione  scientifica per schedatura di beni archeologici.
Dal 1990 collabora con il comune di Randazzo avendo ricoperti numerosi incarichi per  la l’inventariazione  dei reperti vascolari, metallici e numismatici  della Collezione Vagliasindi, di cui ha curato anche la ricomposizione dei frammenti vascolari, il restauro e l’allestimento museale nell’odierna  sede del Castello-Carcere ;

 Dall’anno 2000  ricopre la carica di Direttrice scientifica del Museo Archeologico Paolo Vagliasindi e nel 2014 ha curato la  Mostra permanente nella Sala inferiore del Museo Civico Paolo Vagliasindi di Randazzo con la redazione di apparato didattico .

Nel 2004  fa parte dell’associazione culturale Artemia  che ha come finalità lo sviluppo delle attività artistiche , turistiche e culturali nella provincia di Catania con numerosi progetti in fieri con il patrocinio della Provincia di Catania ed il CNR.

Dal 2005 è funzionario archeologo  presso la Soprintendenza di Catania e nel 2010 ha progettato l’ attività Scuola Museo “Conoscere le collezioni dei musei di Randazzo” 

Dal 2013  è Esperto della Materia di Topografia Antica presso l’Università di Catania Dipartimento  di Scienze Umanistiche, in commissione d’esami di Topografia Antica, di Topografia  del Territorio in età classica e medievale, Topografia Antica per la Scuola di Specializzazione in  Scuola di Specializzazione in Archeologia Classica.

Ha pubblicato i seguenti testi:

  • Guida ai Musei di Randazzo e Linguaglossa, Assessorato Regionale ai Beni Culturali e Ambientali alla P.I 99-123
  • Importazioni attiche in un centro indigeno : il caso di Licodia Eubea in I vasi attici ed altre ceramiche coeve in Sicilia, Consiglio Nazionale delle ricerche, Catania 1996 vol .II 113-119
  • Fragili testimonianze del mondo antico in Etna Territorio , Trimestrale di cultura, ambiente e natura n. 15, 1993 pp.VI-XV,
  • Il museo Archeologico di Randazzo in Randazzo Notizie ( aut. N. 593 del 3/5/1982 Tribunale di Catania) anno XI n. 38 agosto 1991 pp.1-9;
  • Le collezioni Vagliasindi. Sua storia e costituzione in Randazzo Notizie anno XI, n. 37 maggio 1991 pp. 12-13
  • Attestazioni artistiche dall’antica Randazzo in Randazzo Notizie ,anno XII nn 44-45, 1993 pp 32-
  • Progettazione attività Scuola Museo “Conoscere le collezioni dei musei di Randazzo” per l’anno scolastico 2010-2011
  • 2012 -2016 Attività di scavo archeologico in convenzione con l’Università di Catania Dipartimento di Scienze Umanistiche  in c.da Reitana di Acicatena e Pianotta di Calatabiano
  • Fragili testimonianze del mondo antico in Etna Territorio , Trimestrale di cultura, ambiente e natura n. 15, 1993 pp.VI-XV,
  • Il museo Archeologico di Randazzo in Randazzo Notizie ( aut. N. 593 del 3/5/1982 Tribunale di Catania) anno XI n. 38 agosto 1991 pp.1-9;
  • Le collezioni Vagliasindi. Sua storia e costituzione in Randazzo Notizie anno XI, n. 37 maggio 1991 pp. 12-13
  • Attestazioni artistiche dall’antica Randazzo in Randazzo Notizie ,anno XII nn 44-45, 1993 pp 32- 45
  • Considerazione sui vasi plastici siciliani in CSIG News, Winter 2014, pp11-14 ( www. Coroplastic studies.org /newsletters)
  • Arte e natura nei Musei Civici di Randazzo Palermo 2014
  • Archeologia nelle pendici etnee in Etna, Patrimonio dell’Umanità  Il mito, i segni dell’uomo, i percorsi della fede a cura di Benedetto Caruso Palermo    2014
  • Maria Teresa Magro Ivana Vacirca Recenti ricerche archeologiche nel territorio di Caltagirone in Lenti Progressive Contributi di storia archeologia e comunicazione culturale Caltagirone 2015 pp. 129-143
  • Maria Teresa Magro Ivana Vacirca Antichi sistemi di canalizzazzione della Rocca di Caltagirone in Geologia dellAmbiente 2015 pp.36-42
  • Note di topografia antica in La Nunziatella sopra Mascali ( acura di G.Buda ) Palermo 2015 pp.89-96
  • Maria Teresa Magro Antonino Mazzaglia, Indagini in via San Francesco in Catania Antica Nuove Prospettive Di Ricerca (a cura di F. Nicoletti) Palermo 2015 359-378
  • Andrea Orlando, Maria Teresa Magro and Marco Stefano Scaravilli, The oriented altars of Rocca Pizzicata end the rocky sites of Alcantara Valley in Mediterranean Archaeology and Archaeometry, Vol. XX, No X,(2015)
  • Materiali per Catania Greca in La carta archeologica a cura di Edoardo Tortorici. Roma 2016
  • Importazioni attiche e produzioni coroplastiche di VI e V secolo a.C. a Santa Anastasia di Randazzo in Scritti in onore di Lina di Stefano( a cura Elena Lattanzi e Roberto Spadea).Roma 2016
  • Maria Teresa Magro Stefano Scaravilli, I siti rupestri della Valle dell’Alcantara, convegno Dialoghi sull’Archeologia della Magna Grecia e del Mediterraneo Antico Paestum 2016
  • Maria Teresa Magro Villaggio dell’età del Bronzo a Monte San Paolillo di Catania in Atti Giornata di Studi sulla Sicilia nell’Età del Bronzo( acura di Massimo Cultraro ) Alia 2016(in corso di stampa).
  • Maria Teresa Magro Contatti tra la costa orientale siciliana ed il Mediterraneo : il caso di Monte San Paolillo  di Catania in atti per 5 ma riunione scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria E Protostoria 2016
  • T. Magro, Note di topoprafia antica in G.Buda ( a cura di) La Nunziatella sopra Mascali , Palermo 2015 pp. 91-95
  • Magro M.T., Recenti scoperte archeologiche in contrada Reitana ad Acicatena in Agorà n.57, 2016 pp.p.25-29
  • T. Magro, Nuovi ritrovamenti di produzione di anfore late roman in c.da Reitana , 6th International conference on Late Roman Coarse Ware, Cooking Ware and Anphorae in the Mediterranean. Archeology and Archaeometry . Land and sea: pottery routes . Agrigento 24-28 maggio 2017 ( in c.d.s.) 
  • T.Magro-R.Pennisi, Lo scavo archeologico in c.da Reitana e i ritrovamenti anforicici, Atti del Convegno Interdisciplinare “Migrazioni e commerci in Sicilia» Modelli del passato come paradigma del presente 20/210ttobre 2017, Castello Maniace, Siracusa ( in c.d.s.)  La dott.ssa Maria Teresa Magro ha collaborato alla pubblicazione ” Breve Guida ai Musei di Randazzo”  scrivendo i testi del MUSEO ARCHEOLOGICO VAGLIASINDI”  che di seguito pubblichiamo.  




       

    Considerazioni sui vasi plastici siciliani presenti nella collezione Vagliasindi di Randazzo

    Raffigurazioni musicali nella collezione Vagliasindi di Randazzo di Maria Teresa Magro*

    ATTUALITÀ | Cavillier e Magro raccontano il “Progetto Iside” ad ArcheoMe

     

     

     

     

     

FRANCESCO RUBBINO

Francesco Rubbino nasce a Randazzo il 18 dicembre del 1947. Dichiarato dal padre Carmelo  il 2 gennaio 1948 ( era usanza del tempo dichiarare i figli maschi nati a fine anno in quello successivo per  ritardare di un anno il servizio militare).

Ha frequentato le scuole elementari  statali di Randazzo, le medie e il ginnasio presso il Collegio Salesiano San Basilio e ha conseguito la maturità classica al liceo Capizzi di Bronte. 

Assunto nel 1974 alla Esattoria Comunale di Catania e l’anno dopo  sposa Rosetta Proietto con la quale ha due figli: Carmelo (detto Lucio) e Valentina.

 

Direttivo del Club “Gli Amici”. F.Rubbino, R.Foti. G.Guidotto, A.Fioretto, N.Modica, C.Luca, A.Priolo, A.Rubbino, F.Salanitri.

Impegno nel Sociale,  nella Politica e nelle Istituzioni:

Nel 1963 a soli quindici anni fonda, assieme ad altri coetani,  il “Club gli Amici”, Associazione Culturale e Ricreativa che aveva lo scopo di avvicinare i ragazzi di diversi ceti sociali culturali,  organizzando conferenze, cineforum, recitazioni teatrali, gite ed altre attività.

Successivamente  inizia il suo impegno nella politica iscrivendosi nella Democrazia Cristiana. Eletto delegato giovanile della sezione,  entra a far parte della Direzione Provinciale e Regionale.

Dal 1967 al 1972 è responsabile della segreteria politica di Catania dell’on.le Francesco Parisi.

Alle elezioni amministrative 1970 viene eletto Consigliere Comunale di Randazzo.

Nel 1972 dopo una drammatica rottura nel gruppo della DC tra i giovani rinnovatori ( di cui faceva parte) e la vecchia classe dirigente, viene eletto Sindaco da una coalizione formata  dai giovani della DC, dal PRI e dal PSI con l’appoggio esterno del PSIUP e del PCI.

Dopo una breve crisi nel giugno del 1973 si dimette, ma viene riconfermato nella carica dalla stessa coalizione.

                  Elezione a Sindaco – 5 ottobre 1971

 

Da ricordare durante questo mandato:

  • La commovente cerimonia di consegna degli attestati di Cavaliere di Vittorio Veneto ai nostri Combattenti della Prima Guerra Mondiale.
  • La pubblicazione del libro “Storia di Randazzo” di don Calogero Virzì, ottenuta gratuitamente grazie alla disponibilità della tipografia Pantano di Messina. Libro distribuito a tutti gli alunni delle scuole dell’obbligo per far conoscere le bellezze artistiche e storiche  del Paese.
  • La realizzazione da parte dell’ESA della strada “Quota Mille con il ritrovamento da parte degli operai della ditta del “ PITHOS” che fa bella mostra nel Museo Vagliasindi.
  • La legge n. 44 del 22 luglio 1972 , ottenuta a furor di popolo,che autorizzava i Mercati Domenicali in Sicilia,  ove per tradizione si erano svolti. In esecuzione di questa legge, l’Assessore Regionale all’Industria e Commercio, con D.A. n. 558 del 13 settembre 1972 sanciva il diritto all’apertura del Mercato Domenicale nel Comune di Randazzo, di fatto esistente da oltre trentacinque anni.

S.Agati, maresciallo Fargnioli, F.Rubbino, un operaio, G.D’Amico

Alle elezioni del 1975 si presenta con una lista civica ed è il primo degli eletti. Segue una lunga fase di turbolenza politica dove si susseguono diverse amministrazioni. Nel 1979 dopo le dimissioni di Salvatore Agati (più per problemi personali che politici), viene rieletto Sindaco.

Da ricordare durante questo mandato:

  • Il Consiglio Comunale  conferisce la Cittadinanza Onoraria al sacerdote salesiano don Calogero Salvatore Virzì.
  • Il Consiglio Comunale revoca la delibera di adozione del Piano Regolatore Generale.
  • Nel corso di una riunione con la presenza dell’on.le Vito Scalia è stato richiesto di fissare un incontro con l’allora Ministro dei Lavori Pubblici on.le Nino Gullotti per sollecitare l’ammodernamento del tratto Bronte -Adrano della SS 284 per l’eliminazione delle molteplici curve pericolose ed il rifacimento del manto stradale. Questo per consentire un più agevole collegamento con Catania. Una  delegazione formata dal sindaco di Santa Domenica Vittoria rag. Salvatore Perdichizzi, dal sindaco di Maletto Filippino Bonina,  dal sindaco di Bronte  Prof Vincenzo Paparo, dal Sindaco di Adrano Gulino e dal sindaco Francesco Rubbino viene ricevuta dal Ministro che assicura un primo finanziamento di 500 milioni. Un ulteriore finanziamento di 500 milioni  fu stanziato dal nuovo  Ministro dei LL.PP. Dr. Stammati sollecitato in un altro incontro, promosso anche questo dall’on.le Vito Scalia, con i suddetti  Sindaci.

Alle elezioni amministrative del 1980, si presenta con la lista della DC, e viene riconfermato Consigliere Comunale.

Nel 1982 viene eletto Sindaco da una coalizione di centro-sinistra.

Da ricordare durante questo mandato:

  • Sollecitato dalla Delegazione dei Sindaci, si è recato con l’assessore Giuseppe D’Amico (PSDI), a Roma accompagnati dall’on.le Dino Madaudo dal Ministro dei Lavori Pubblici on.le Nicolazzi a cui hanno rappresentato la problematica della SS 284. Il Ministro sensibilizzato nel merito e rendendosi conto dell’importanza dell’opera, provvede a finanziare il completamento dei lavori. La realizzazione di questo primo tratto di strada è stata “seguita”  da alcuni cittadini di Adrano e Bronte che pensarono bene di anteporre la tutela dei propri interessi  a quelli  della collettività.  Comunque sia uno  straordinario miglioramento della strada c’è stato.
  • La elezione della prima Assemblea Generale della USL n.39 che era costituita dai comuni di : Bronte, Randazzo, Maletto, Maniace, Santa Domenica Vittoria.
  • La istituzione del Premio Piracmone.
  • La cerimonia di consegna di Attestati ai Sigg. Consiglieri Comunali delle prime due legislature.
  • L’Inaugurazione della statua di San Giuseppe in ricordo dello scampato pericolo dell’eruzione dell’Etna dell’anno precedente (1981). 
  • La pubblicazione del periodico “Randazzo Notizie”.
  • Ma soprattutto aver posto le basi per una lunga e duratura alleanza tra alcune forze politiche che garantisse alla Città un periodo di sana stabilità politica ed amministrativa.

A settembre del 1982 si dimette da Sindaco e da Consigliere Comunale per essere eletto Presidente del Comitato di Gestione della USL n.39.

Da ricordare durante questo mandato:     

  • Più di due miliardi di lire per la ristrutturazione dell’Ospedale di Bronte.
  • Ristrutturazione locali ex INAM
  • Ristrutturazione locali Servizio Territoriale Salute Mentale
  • Ristrutturazione uffici amministrativi
  • Ristrutturazione e totale rinnovamento dell’Ospedale di Randazzo ( inaugurazione con la banda musicale e alla presenza del Presidente Rino Nicolosi)
    Finanziamenti per oltre 4 miliardi per attrezzature tecnico/sanitari.
  • Scuola Allievi Infermieri Professionali, da una sezione con 25 allievi a 4 sezioni con 100 allievi che subito hanno trovato un impiego
  • Nomina di centinaia di professori ogni anno della Scuola Allievi Infermieri Professionali. ( quasi tutti dipendenti della nostra USL che cosi per alcuni anni hanno raddoppiato il loro stipendio 
  • Assunzioni per concorso pubblico di quasi 300 (trecento) tra personale Medico Amministrativo, Infermieristico, ausiliario e tecnico 
  • Riqualificazione di tutti gli infermieri generici dei presidi sanitari in infermieri professionali.
  • Creazione del Servizio territoriale della Salute Mentale

Nel mese di maggio del 1990 si dimette dalla carica di Presidente dell’USL n.39 per candidarsi nella lista della DC, alle elezioni amministrative di Randazzo dove risulta essere il più votato (la DC prende 18 Consiglieri su 30) ed eletto Sindaco con una coalizione DC-PSI.
Dopo un periodo di fattiva collaborazione tra le varie componenti politiche il PSI decide unilateralmente di ritirare l’appoggio alla coalizione e la DC, al fine di dare continuità amministrativa alla città, forma una amministrazione monocolore riconfermando alla carica di sindaco il Rubbino. Nel febbraio 1992, in considerazione della situazione politica nazionale, ritenendo opportuno dare alla città una amministrazione che coinvolgesse tutte le forze politiche presenti in Consiglio Comunale, preannuncia le proprie dimissioni in modo di poter favorirne  un accordo.
Dopo ben sette mesi di estenuanti trattative finalmente si raggiunse l’accordo e il 22 novembre 1992 viene eletto sindaco Giovanni Germanà (PCI).
Dopo alcune mesi il Germanà decide di dimettersi. A questo punto il Rubbino ritenendo non esserci più le condizioni per dare una Amministrazione forte e unitaria si dimette da Consigliere Comunale ed invita gli altri a fare altrettanto.

Il numero dei dimissionari non fu sufficiente a far decadere il Consiglio Comunale ed i restanti Consiglieri dettero via ad una nuova amministrazione eleggendo sindaco Francesco Lanza.

 Da  ricordare durante questo mandato:

  • Accertamenti più equi e giusti sulla tassa della spazzatura con notevole recupero di somme evase ed eluse.
  • Un finanziamento straordinario sulla legge regionale n.1 di 600 milioni per servizi e 600 milioni per investimenti.
  • L’affitto dei locali Fisauli per la Biblioteca Comunale.
  • L’incarico alla d.ssa Maria Teresa Magro della Sovrintendenza delle Belli Arti di CT per la catalogazione dei reperti archeologici del Museo Vagliasindi.
  • La riapertura del Palazzo Comunale come sede degli uffici comunali.
  • La Siciliana Gas inizia i lavori di metanizzazione della Città.
  • Statua bronzea raffigurante la Pace e la Libertà in quel momento compromessa dello scultore Nunzio Trazzera posta all’ingresso del Palazzo Municipale con una commovente cerimonia.
  • Inaugurazione dell’Istituto Tecnico Commerciale alla presenza del Presidente della Provincia di Catania dr. Diego Di Gloria 

Monsignor Malandrino e il sindaco Rubbino per l’inaugurazione del Municipio.

Il Presidente della Provincia dottor Diego Di Gloria il sindaco Rubbino durantle cerimonia di inaugurazione dell’Istituto Tecnico Commerciale.

Altri incarichi in Enti Istituzionali di Francesco Rubbino: 
Assessore della Comunità Montana Etnea con sede a Zafferana Etnea nel 1979
Presidente della Unità Sanitaria Locale n. 39 con sede a Bronte dal 1982 al 1990
Componente del Consiglio Nazionale dell’ANCI  (Associazione Nazionali Comuni d’Italia)  con sede a Roma dal 1986 al 1993
Componente del Consiglio Regionale dell’ Azienda Forestale dal 1994 al 1998 con sede a Palermo
Componente, Amministratore Delegato e Presidente della Società Joniambiente ATO ( ambito territoriale ottimale) CT1 con sede a Giarre ed attualmente in liquidazione.

 

Giulio Nido, Marco Patti

 

Agatino Cariola, Pino Aprile

 

Don Virzi, Don De Luca, F.Rubbino, Giuseppe Montera

 
 

Consiglio di Amministrazione ATO CT1 – Soc. Joniambiente Giarre

 

Associazione Sportiva Randazzo

 

Rubbino, Agati, Don DeLuca ……… Maresciallo Farglioli

 
 

Sala Consiglio Comunale Bronte – Sen Firrarello, F.Rubbino. A Caruso

 

La Famiglia Rubbino

 

Nino Franco, Mimo Campione, Antonio Vecchio, Umberto Cariola, Salvatore Munforte, Francesco Rubbino.

 
 

Alberto Angela, Francesco Rubbino – dic.2019

 

Philippe Daverio con Francesco Rubbino (Milano 6 febbraio 2020)

 

Consiglio Comunale – i 100 anni di Vincenzo Munforte. I sindaci: Francesco Rubbino, Ernesto Del Campo, Giuseppe Montera, Salvatore Agati.

 
 

Giuseppe Castiglione Presidente Provincia Ct con la rappresentanza politica/amministrativa di Randazzo.

 

A. Caruso, CRACCO, F.Rubbino, A.Cariola. – Milano 6 febbraio 2020

A.Vecchio, F.Rubbino, Carmelo Carmeni, Mimmo Campione – Agosto 2019

 

 

 

 

Io con Papà e al centro l’on.le Calogero Mannino

 

Sott.Segretario Interni on.le D’Alì-Francesco Rubbino-Maria Castiglione-Graziano Calanna-sen.Pino Firrarello-Aldo Catania-Gigi Saitta.

 

 

 

Rubbino, Del Campo, Montera, Agati omaggiano i 100 anni di Vincenzo Munforte.

 

 

Riapertura Ospedale 11 febbraio 1987 - Cipriano, on.le Ferdinando Basile, on.le Francesco Parisi, on.le Salvatore Leanza, on.le Pino Firrarello, on.le Rino Nicolosi Presidente della Regione

Cerimonia di riapertura Ospedale Civile 1 febbraio 1987 – il comandante Cipriano, On.le Francesco Parisi ,arciprete Vincenzo Mancini, on.le Rino Nicolosi Presidente della Regione.

 

 

                                                     Assemblea D.C. 2 febbraio 2003

 

 

  Il 17 settembre 2023 viene pubblicato da Amazon il libro di padre Luigi Magro Cappuccino “Cenni Storici della Città di Randazzo” (1946) a cura di Francesco e Lucio Rubbino. Il libro originale viene implementato da oltre 50 fotografie molte delle quali riproducono i ritratti degli Scrittori Storici a cui fa riferimento il Magro (al secolo Santo Magro). Le note bibliografiche sono 72 e le pagine 427.


Gaetano Spartà

Gaetano Spartà randazzese classe 1979 ha iniziato a suonare il pianoforte a quattro anni, cominciando a prendere lezioni ad otto e sostenendo i primi esami presso l’Istituto musicale “V. Bellini” di Catania e il Conservatorio di Stato “F. Torrefranca” di Vibo Valentia. Studia con il M° Vera Pulvirenti sotto la cui guida si diploma con brillante votazione nell’ottobre 2002 presso l’Istituto Musicale “V. Bellini” di Caltanissetta.

Gaetano Spartà

A seguito di tale eccellente risultato, nella primavera 2003, viene invitato a partecipare alla Rassegna “I migliori diplomati d’Italia 2002” presso Castrocaro.

Nel 2004 la svolta della sua carriera, intraprende infatti, con il pianista Osvaldo Corsaro, gli studi jazzistici partecipando a numerosi seminari e Masterclass tenuti da musicisti di calibro internazionale quali: Enrico Rava, Dado Moroni, John Taylor, Sandro Gibellini e Francesco Cafiso.

Nel settembre 2005 ha partecipato al Campus Internazionale della Musica a Gallodoro (ME) dove erano presenti grandi musicisti quali: Salvatore Bonafede (con il quale intraprende successivamente un importante percorso di studio), Roberto Gatto e Maurizio Rolli.

Nel febbraio 2006 è tra i primi in Italia a conseguire il Diploma Accademico di II Livello in “Musica, Scienza e Tecnologia del Suono” presso il Politecnico Internazionale “Scientia et Ars” sito in Vibo Valentia, discutendo la tesi dal titolo:
                “Lo stimolo sonoro e le nuove tecnologie. Esperienze d’ascolto con soggetti affetti da Trisomia 21”.

Nel 2008 partecipa al Tuscia in Jazz Music Workshop presso Soriano nel Cimino (VT) tenuto da star del jazz internazionale quali: Kenny Barron, Ray Mantilla, Rick Marigitza, Flavio Boltro, Shawn Monteiro, Tony Monaco, Eddy Palermo e Karl Potter.

Nel 2011 partecipa ai seminari estivi di Piazza Jazz nella classe di Giovanni Mazzarino, inoltre, in questa occasione, suona con il Master Ensemble di Steve Swallow esibendosi con Dino Rubino, Giuseppe Asero ed i fratelli Cutello.

Nel Luglio 2012 partecipa alla Berklee Summer School at Umbria Jazz Clinics e vince la prestigiosa borsa di studio per partecipare al Valencia Master’s Program in Spagna. inoltre, si esibisce in occasione di Umbria Jazz con il Berklee/UJ Clinics Award Group sul palco dei Giardini Carducci. 

 

 

Nel settembre 2015 partecipa alla Masterclass tenuta in Sicilia dal leggendario pianista Barry Harris.

Fin dal principio la sua attività concertistica ha riscosso lusinghieri consensi di pubblico e critica nelle rassegne e manifestazioni a cui ha partecipato.

Attualmente suona con l’IN…SOLITO JAZZ TRIO (con il batterista catanese Pucci Nicosia ed il contrabbassista romano Fabrizio Scalzo) con il quale esegue un repertorio di Originals da lui composti e che si è esibito per la “Giornata mondiale del Jazz 2016” sotto l’egida dell’UNESCO selezionato come Residenza Creativa al prestigioso #4 JAZZIT FEST, presso Cumiana (TO).

 

Ha partecipato con il suo GAETANO SPARTA’ 4et al MESSINA SEA JAZZ 2015.

Ha suonato, inoltre, con lo STJEPKO GUT JAZZ 4ET (con il famoso trombettista serbo Stjepko Gut, il batterista palermitano Marcello Pellitteri, docente presso il prestigioso Berklee College of Music di Boston U.S.A., e il contrabbassista Giuseppe Campisi).

Sarà Residenza Creativa al #6 JAZZIT FEST, dal 22 al 24 Giugno 2018, presso Montegrosso (BT)

 

 

Si è esibito con: Stjepko Gut, Marcello Pellitteri, Dino Rubino,Nicola Caminiti, Giuseppe Asero, I gemelli Cutello, Giuseppe Mirabella, Giuseppe Campisi, Carmelo Venuto, Osvaldo Corsaro e molti altri ancora.

ACCENTè il suo primo disco da leader, registrato insieme a Valerio Vantaggio (batteria), Daniele Sorrentino (contrabbasso) e con ospiti il grande flicornista FRANCO PIANA e la B.i.m.

Orchestra diretta da Giuseppe Tortora e Marcello Sirignano, prodotto dalla casa discografica ALFAMUSIC di Roma e distribuito da EGEA nei migliori negozi di musica e da BELIEVE FRANCE su tutte le maggiori piattaforme digitali internazionali.

Attivo anche didatticamente, è docente di ruolo di Educazione Musicale e Potenziamento Musicale per il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Consiglieri Comunali

in aggiornamento

Consiglieri Comunali dal 1946 al 1952

N. COGNOME E NOME PARTITO VOTI
1 Emanuele Giuseppe PCI   
2 Mannino Gaetano Indipendentista  
3 Palermo Nicolò   DC  
4 Giuffrida Sebastiano   PLI  
5 Montera Giuseppe  PCI  
6 Cinquegrana Pietro PCI  
7 Pasqua Giuseppe Ind.  
8 Magro Giovanni  Ind.  
9 Spitaleri Nunzio PCI  
10 Magro Francesco   PSI  
11 Mannino Carmelo  PCI  
12 Schillirò Vincenzo  DC  
13 Sangrigoli Vincenzo  PSDI  
14 Castiglione Gaetano  PCI  
15 Spartà Nunzio  Ind.  
16 La Piana Mariano Alfio PCI  
17 Camarda Paolo  PCI  
     
1 Basile Vito  PLI  
2 Barbagallo Giuseppe  PLI  
3 Vagliasindi Pietro  DC  
4 Saletti Salvatore  DC  
5 Camardi Giovanni  DC  
6 Petrina Antonino  DC  
7 Romeo Carmelo  DC  
8 Scalisi Vincenzo  Monarchico  
9 Criffò Salvatore  DC  
10 Palermo Alfio  DC  
11 Rasano Giuseppe  Indipendentista  
12 Paparo Gioacchino  DC  
13 Caggegi Michelangelo DC  

 

Consiglieri Comunali dal 1952 al 1956

N. COGNOME E NOME PARTITO  VOTI
1 Vagliasindi Pietro  DC  
2 Barbagallo Giuseppe  DC  
3 Germanà Sebastiano  DC  
4 Bonaventura Giuseppe   DC  
5 Palermo Nicolò   DC  
6 Grasso Isidoro   DC  
7 Fisauli Giuseppe   DC  
8 Tripoli Francesco Paolo   DC  
9 Bongiovanni Antonino   DC  
10 Romeo Carmelo   DC  
11 Scala Raffaele  PSDI  
12 Cocivera Alfio   DC  
13 Dilettoso Giuseppe   DC  
14 Foti Mariano   DC  
15 Lo Castro Antonino DC   
16 Scuderi Antonino   DC  
17 Scalisi Salvatore   DC  
18 Longhitano Alfio   DC  
19 Olivo Giuseppe   DC  
20 Fisauli Gaetano   DC  
21 Sangrigoli Vincenzo  PSDI  
22 Munforte Antonino   DC  
23 Panissidi Salvatore   DC  
24 Mascali Salvatore  DC  
 
25 Montera Giuseppe PCI  
26 Lazzaro Gaetano  PCI  
27 Sciavarello Salvatore  PCI  
28 Mannino Carmelo  PCI  
29 Monforte Antonino   PCI  
30 Finocchio Carmelo  PCI  

 

Consiglieri Comunali dal 1956 al 1960

N. COGNOME E NOME PARTITO  VOTI
1 Vagliasindi Pietro  DC  
2 Barbagallo Giuseppe  PLI  
Fisauli Giuseppe  PLI  
Mascali Salvatore   DC  
Facondo Vincenzo  MSI  
Salanitro Gino DC  
7 Agati Martino Monarchico  
Camardi Giovanni PLI  
Saletti Sebastiano PLI  
10  Castorina Armando MSI  
11 Magro Pietro  DC  
12  Alfonso Alfio Salvatore MSI  
13  Del Campo Agostino MSI  
14  Bongiovanni Antonino  DC  
15  Di Francesco Armando Claudio Monarchico  
16  Fisauli Francesco IND  
17  Gangemi Mariano IND  
 18 Vaccaro Antonino DC  
 19 Nucifora Lucio DC  
 20 Spitaleri Carmelo MSI  
 21 Di Stefano Arturo  DC  
 22 Calà Santo MSI  
 23 Longhitano Alfio  DC  
 24 Fisauli Gaetano IND  
 
25 Lazzaro Gaetano PCI  
26  Sciavarello Salvatore  PCI  
27  Magro Antonio  PCI  
28  Magro Francesco   PSI  
29  Munforte Antonino   PCI  
30  Munforte Vincenzo  PSI  

 

Consiglieri Comunali dal 1960 al 1964

N. COGNOME E NOME PARTITO VOTI
1 Bonaventura Giuseppe DC  
2 Giuffrida Sebastiano DC  
3 Munforte Alfio DC  
4 Montera Giuseppe DC  
5 Panissidi Salvatore DC  
6 Cocivera Alfio DC  
7 Virgilio Pietro DC  
8 Pallante Carmine DC  
9 La Piana Giuseppe DC  
10 Foti Antonino DC  
11 Emanuele Giuseppe DC  
12 Germanà Sebastiano DC  
 
13 Lazzaro Gaetano PSI  
14 Munforte Vincenzo IND  
15 Magro Francesco PSI  
16 Iovino Paolo Felice PSDI  
17 Mineo Carmelo PSI  
18 Mascali Salvatore IND  
19 Lombardo Vincenzo IND  
     
20 Palermo Nicolò IND  
21 Sciavarello Salvatore PCI  
22 Magro Antonino PCI  
23 Proietto Antonino  PCI  
 
24 Fisauli Antonio IND  
25 Del Campo Agostino MSI  
26 27lfonso Vincenzo MSI  
27 Bonanno Salvatore MSI  
 
28 Pagano Antonino Salvatore L. CIVICA
Leone Rampante
   
29 La Piana Basilio L. CIVICA
Leone Rampante
   
30 Di Francesco Antonio Claudio L. CIVICA
Leone Rampante
   

 

Consiglieri Comunali dal 1964 al 1970

N. COGNOME E NOME PARTITO  VOTI
1 Giuffrida Sebastiano DC  
2 Fisauli Antonino DC  
3 Mineo Pasquale DC  
4 Quattropani Arturo DC  
5 Montera Giuseppe DC  
6 Panissidi Salvatore DC  
7 Salanitri Nicolò DC  
8 Grasso Carmelo DC  
9 Modica Gaetano DC  
10 Lo Presti Vito DC  
11 Pallante Carmine DC  
12 Mascali Salvatore DC  
13 Caruso Vincenzo  DC  
 
14 Sciavarrello Salvatore PCI  
15 Magro Antonino PCI  
16 Calà Antonino Salvatore PCI  
17 Proietto Antonino PCI  
18 Cammarata Santo  PCI  
 
19 Vagliasindi Pietro L. CIVICA
Leone Rampante
   
20 Spitaleri Gino L. CIVICA
Leone Rampante
   
21 Salanitri Gino Antonio L. CIVICA
Leone Rampante
   
22 Dilettoso Emanuele L. CIVICA
Leone Rampante
   
23 La Piana Basilio  L. CIVICA
Leone Rampante
   
 
24 Lazzaro Gaetano PSIUP  
25 Munforte Vincenzo PSIUP  
26 La Monaca Alfio PSIUP  
27 Magro Nunziato PSIUP  
 
28 Pagano Antonino Salvatore PSI  
29 Mineo Carmelo  PSI  
         
30 Scalisi Giuseppe  MSI  

 

Consiglieri Comunali dal 1970 al 1975

N. COGNOME E NOME PARTITO  VOTI
1 Montera Giuseppe DC  
2 Agati Salvatore DC  
3 Petrullo Giovanni DC  
4 Caruso Antonino DC  
5 Panissidi Salvatore DC  
6 Foti Vincenzo DC  
7 Dilettoso Emanuele DC  
8 Germanà Carmelo DC  
9 Rubbino Francesco Paolo DC  
10 Parlavecchio Mariano DC  
11 Modica Gaetano DC  
12 Gulino Giuseppe DC  
13 Zappalà Gaetano  DC  
     
14 Sciavarrello Salvatore PCI  
15 Calà Impirotta Antonino PCI  
16 Cammarata Carmelo PCI  
17 Mollica Paolo PCI  
18 Salanitri Alfio  PCI  
     
19 Lazzaro Gaetano PSIUP  
20 Munforte Vincenzo PSIUP  
21 Magro Nunziato PSIUP  
22 Zappalà Alfio PSIUP  
23 Ruffino Luigi PSIUP  
     
24 Iovino Paolo Felice PSI  
25 Pagano Antonino Salvatore PSI  
26 Arena Dino  PSI  
     
27 Scalisi Mario PRI  
28 Cammarata Santo PRI  
29 Luca Carmelo  PRI  
     
30 Tempesta Francesco LISTA CIVICA
Fiaccola con Bandiera
   

 

Consiglieri Comunali dal 1975 al 1980

N. COGNOME E NOME PARTITO VOTI
1 Agati Salvatore DC  
2 Mineo Pasquale DC  
3 Mollica Aldo DC  
4 Petrullo Giovanni DC  
5 Torre Alfio DC  
6 Petrina Gisella Carmela DC  
7 Caruso Antonino DC  
8 Dilettoso Giambattista DC  
9 Luca Carmelo DC  
10 Foti Vincenzo  DC  
 
11 Iovino Paolo Felice Fortunato PSI  
12 Magro Nunziato PSI  
13 Munforte Vincenzo PSI  
14 Zappalà Alfio PSI  
15 Mannino Pietro  PSI  
 
16 Rubbino Francesco Paolo L. CIVICA
Per una vera Democrazia
   
17 Montera Giuseppe L. CIVICA
Per una vera Democrazia
   
18 Parlavecchio Mariano L. CIVICA
Per una vera Democrazia
   
19 Panissidi Salvatore L. CIVICA
Per una vera Democrazia
   
20 Dilettoso Emanuele  L. CIVICA
Per una vera Democrazia
   
 
21 Sciavarrello Salvatore PCI  
22 Caruso Vincenzo PCI  
23 Agati Giuseppe PCI  
24 Sangrigoli Vincenzo  PCI  
 
25 Tempesta Francesco MSI  
26 Ragonese Angelo MSI  
27 Rizzo Mario Antonio  MSI  
 
28 D’Amico Giuseppe PSDI  
29 Pagano Antonino Salvatore PSDI  
30 Arena Dino  PSDI  

 

Consiglieri Comunali dal 1980 al 1985

N. COGNOME E NOME PARTITO VOTI
1 Cunsolo Antonino DC  
2 Petrullo Giovanni DC  
3 Agati Salvatore DC  
4 Parlavecchio Mariano DC  
5 Pruiti Ciarello Vincenzo DC  
6 Petrina Antonino Maria DC  
7 Rubino Francesco Paolo DC  
8 Sorbello Ignazio DC  
9 Russo Alfio DC  
10 Mineo Pasquale DC  
11 Panissidi Salvatore DC  
12 Emanuele Antonino DC  
13 Cicero Giovanni Osvaldo DC  
14 Galati Giordano Gino DC  
15 Ragaglia Alfio  DC  
 
16 Mineo Luigi PSI  
17 aggegi Antonino PSI  
18 Scalisi Giuseppe PSI  
19 Proietto Pitinzano Salvatore  PSI  
 
20 Lanza Francesco L. CIVICA    
21 La Ruota Giuseppe L. CIVICA    
22 Gangi Michele L. CIVICA    
23 Calà Impirota Giuseppe  L. CIVICA    
 
24 Agati Carmelo PCI  
25 Papotto Antonino PCI  
26 Sangrigoli Vincenzo  PCI  
 
27 Magro Nunziato PRI  
28 Scrivano Rosario  PRI  
 
29 D’Amico Giuseppe  PSDI  
 
30 Bonfiglio Giuseppe  MSI  

 

Consiglieri Comunali dal 1985 al 1990

N. COGNOME E NOME PARTITO VOTI
1 Agati Salvatore DC  
2 Emanuele Grazia DC  
3 Sorbello Ignazio DC  
4 Fioretto Antonino DC  
5 La Ruota Mario DC  
6 Scala Alfio DC  
7 Petrullo Giovanni DC  
8 Ragaglia Alfio DC  
9 Foti Vincenzo DC  
10 Mineo Pasquale DC  
11 Russo Alfio DC  
12 Spartà Giovanni DC  
13 Emanuele Antonino  DC  
 
14 Lanza Antonino PSI  
15 Salanitri Domenico PSI  
16 Lanza Francesco PSI  
17 Mineo Luigi PSI  
18 Proietto Pitinzano Salvatore PSI  
19 Caggegi Antonino Francesco PSI  
20 Scalisi Giuseppe  PSI  
 
21 Germanà Giovanni PCI  
22 Agati Carmelo PCI  
23 Militi Francesco  PCI  
 
24 D’Amico Giuseppe PSDI  
25 Papotto Vincenzo PSDI  
26 Giaquinta Arturo  PSDI  
 
27 Magro Nunziato PRI  
28 Varsallona Angelo  PRI  
 
29 Tempesta Francesco MSI  
30 Bonfiglio Giuseppe  MSI  

 

 

Consiglieri Comunali dal 1990 al 1994

N. COGNOME E NOME PARTITO VOTI
1 Rubbino Francesco Paolo DC  
2 Emmanuele Grazia DC  
3 Foti Vincenzo DC  
4 Petrullo Giovanni DC  
5 Foti Ettore DC  
6 Spartà Giovanni DC  
7 Salanitri Angela DC  
8 Del Campo Ernesto DC  
9 Salanitri Antonio DC  
10 Parlavecchio Paolo DC  
11 Ragaglia Alfio DC  
12 Spartà Salvatore DC  
13 Paccione Franco DC  
14 La Ruota Mario DC  
15 Fioretto Antonino DC  
16 Pillera Giuseppa DC  
 
17 Lanza Francesco PSI  
18 Lanza Antonino    
19 Caggegi Carmela    
20 Sangrigoli Francesco    
21 Portale Salvatore    
22 Sangrigoli Salvatore    
 
23 Germanà Giovanni PCI  
24 Caggegi Fortunato Francesco PCI  
 
25 Finocchiaro Agatino PLI  
26 Cernuto Fernando Antonio PLI  
 
27 Magro Nunziato PRI  
28 Rizzeri Salvatore PRI  
 
29 D’Amico Giuseppe PSDI  
 
30 Tempesta Francesco MSI-DN  

 

Consiglieri Comunali dal 1994 al 1998

N. COGNOME E NOME PARTITO VOTI
1 Militi Francesco Liberare e Costruire    
2 Aidala Fabio Renato Liberare e Costruire    
3 Lo Giudice Calogero Carlo Liberare e Costruire    
4 Reali Fabio Giuseppe Liberare e Costruire     
5 Caggegi Fortunato Liberare e Costruire     
6 Magro Antonino Liberare e Costruire     
7 Militi Carmelo Liberare e Costruire     
8 Crimi Giuseppe Liberare e Costruire     
9 Farina Maria Liberare e Costruire     
10 Cariola Giuseppe Salvatore Liberare e Costruire    
11 Santangelo Pietro Liberare e Costruire     
12 Farina Maria Grazia Liberare e Costruire     
13 Pagano Domenico Liberare e Costruire     
14 Caruso Antonino Liberare e Costruire     
 
15 Foti Concetta F.I. – C.C.D. – A.N.  
16 Russo Giuseppe F.I. – C.C.D. – A.N.  
17 Luca Maria Giovanna F.I. – C.C.D. – A.N.  
18 Romano Giuseppe F.I. – C.C.D. – A.N.  
19 Modica Filippo F.I. – C.C.D. – A.N.  
20 Lanza Franco F.I. – C.C.D. – A.N.  

Le amministrative del 1994 sono le prime votazioni con elezione diretta del sindaco in un sistema a doppio turno.

I candidati che hanno partecipato alla competizione sono:

Vecchio Angela (voti 2037)  –  Sangrigoli Giovanni  (voti 1825) – Lanza Francesco (voti 1562) – Proietto Umberto (voti 1484)

Al ballottaggio: Vecchio Angela (voti 5388)  –  Sangrigoli Giovanni  (voti 4612)

 

Consiglieri Comunali dal 1998 al 2003

N. COGNOME E NOME PARTITO VOTI
1 Gullotto Giuseppe Rinascita Randazzo    
2 Amato Francesco Rinascita Randazzo    
3 Pellazza M. Giuseppa Rinascita Randazzo    
4 Aidala Antonino Carlo Rinascita Randazzo    
 
 5  Proietto Umberto Alleanza Nazionale   
 
6 Zingali Antonino CDU  
7 Caggegi Mariano CDU  
8 Emanuele Grazia CDU  
 
9 Emanuele Nunzio Davide Forza Italia  
10 CantalI Gino Forza Italia  
11 Salvatore Quattropani Forza Italia  
 
12 Sgroi Francesco Giovanni Insieme Con Randazzo    
 
13 Grillo Antonino Socialisti Democratici e Italiani  
 
14 Proietto Piero Insieme per migliorare Randazzo    
 
15 Salanitri Francesco Paolo Costruire il Futuro    
16 Militi Francesco Costruire il Futuro    
17 Caggegi Fortunato Costruire il Futuro    
18 Crimi Giuseppe Costruire il Futuro    
 
19 Lo Giudice Carlo CDR    
20 Cimino Sergio CDR    

I candidati che hanno partecipato alla competizione sono:

Vecchio Angela (voti 2691)  –  Del Campo Ernesto (voti 2333) – Lanza Francesco (voti 2154) – Parlavecchio Paolo (voti 345 )

Al ballottaggio: Del Campo Ernesto (voti 3581) – Vecchio Angela (voti 3564 )

 

 

Consiglieri Comunali dal 2003 al 2008

N. COGNOME E NOME PARTITO VOTI
1 Amato Francesco Paolo LISTA CIVICA

Randazzo Da Vivere

   
2 Franco Carmelo LISTA CIVICA

Randazzo Da Vivere

   
3 D’Amico Giuseppe LISTA CIVICA

Randazzo Da Vivere 

   
4 Bertone Giovanni LISTA CIVICA

Randazzo Da Vivere 

   
 
5 Sgroi Francesco  Alleanza Nazionale  
6 Sindoni Giuseppe  Alleanza Nazionale   
7 Minissale Franco Giuseppe Alleanza Nazionale   
 
 8  La Ruota Mario Randazzo nel Cuore     
9 Scala Alfio Randazzo nel Cuore    
10 Lo Presti Cristoforo Alfredo Randazzo nel Cuore    
 
11 Di Vincenzo Salvatore Riscoprire Randazzo    
12 Proietto Batturi Nunzio Riscoprire Randazzo    
 
13 Gullotto Giuseppe Forza Italia  
14 Mollica Sebastiano Forza Italia  
15 Emanuele Nunzio Davide Forza Italia  
 
16 Foti Concetta  UDC  
17 Costanzo Zammataro Antonino  UDC  
 
18 Caggegi Fortunato Angela Vecchio Sindaco    
         
19 Grillo Antonino Con Graziella per Randazzo    
 
20 Caggegi Mariano Insieme per Randazzo    

I candidati  Sindaci che hanno partecipato alla competizione sono:

Agati Salvatore  (voti 2893)  – Del Campo Ernesto (voti 2097)   –  Emmanuele Grazia (voti 1664) – Vecchio Angela  (voti 1171)

Al ballottaggio: Agati Salvatore  (voti 3613)  – Del Campo (voti 3450)

 

 

Consiglieri Comunali dal 2008 al 2013

N. COGNOME E NOME PARTITO VOTI
1 Rubbino Carmelo Lucio PDL  
2 Zingali Antonino PDL  
3 Raciti Paolo PDL  
4 Montagno Gaetano PDL  
5 Scala Alfio PDL  
 
6  Lo Giudice Calogero Carlo Del Campo Sindaco   
7 Giarrizzo Carmelo  Del Campo Sindaco  
8 Caggegi Mariano Del Campo Sindaco  
 
9 Minissale Giuseppe  Alleanza per Randazzo  
10 Lazzaro Alfio Alleanza per Randazzo  
11 Zagami Rosario Alleanza per Randazzo  
 
12 Proietto Umberto Vola Alto  
 
13 Anzalone Gianluca PD  
14 Gullotto Giuseppe PD  
 
15 Grillo Antonino Protagonisti con Michele  
16 Amato Francesco Protagonisti con Michele  
 
17 Sgroi Francesco Famiglia, Lavoro, Solidarietà  
18 Franco Carmelo Famiglia, Lavoro, Solidarietà  
 
19 Foti Concetta Sicilia Forte e Libera  
 
20 Lo Presti Cristoforo Alfredo MPA  

I candidati che hanno partecipato alla competizione sono:

Del Campo Ernesto (voti 3539)   –  Mangione Michele (voti 2366) – Lanza Antonino (voti 1837)

Al ballottaggio: Del Campo Ernesto (voti 4225) – Mangione Michele (voti 2358)

 

Consiglieri Comunali dal 2013 al 2018

N. COGNOME E NOME PARTITO VOTI
1 Grillo Antonino Articolo 4  
2 Gullotto Maria Cristina Articolo 4  
3 Ceraulo Vincenzo Articolo 4  
4 Mollica Sebastiano Articolo 4  
 
5 Anzalone Gianluca Giuseppe Randazzo Democratica  
6 Priolo Carlo Randazzo Democratica  
7 Sindoni Sara Anna Randazzo Democratica  
 
8 Emmanuele Grazia Impegno per Randazzo  
 
9 Ragaglia Alfio Del Campo Sindaco  
10 Russo Maria Serena Del Campo Sindaco  
11 Giarrizzo Carmelo Del Campo Sindaco  
 
12 Pillera Alfio Insieme per Francesco Sgroi  
13 Salanitri Stefania Milena Insieme per Francesco Sgroi  
14 Scalisi Carmelo Tindaro Insieme per Francesco Sgroi  
 
15 Arrigo Maria Loredana PDL  
16 Rubbino Carmelo PDL  
 
17 Gullotto Giuseppe Il Paese Che Vogliamo  
18 Minissale Franco Giuseppe Il Paese Che Vogliamo  
 
19 Guidotto Antonino Angela Vecchio Sindaco  
 
20 Foti Concetta Carla Luisa Vivi Randazzo  

Le amministrative del 2013 sono elezione con sistema elettorale misto con elezione diretta del sindaco in un unico turno.

I candidati che hanno partecipato alla competizione sono:

Mangione Michele (voti 2195) – Sgroi Francesco (voti 1597) – Del Campo Ernesto (voti 1213) – Vecchio Angela (voti 698) –
Proietto Umberto (voti 696)

 

Consiglieri Comunali dal 2018 al 2023

N. COGNOME E NOME PARTITO/LISTA VOTI
1 Giardina Maria Enrichetta Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco  453
2 Pillera Alfio Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco 432
3 Proietto Maria Rita Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco 393
4 Gullotto Giuseppe Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco 376
5 Padalina Carmelita Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco 323
6 Scalisi Carmelo Tindaro Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco 318
7 Ragaglia Alfio Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco 301
8 Petrina Chiara Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco 299
9 Lo Castro Giuseppe  Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco 199
10 Crimi Stigliolo Marco Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco 198
11 Bordonaro Alessia Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco 190
 
12 Antonino Grillo Vivere Randazzo – Grillo Sindaco (*)
13 Anzalone Gianluca Vivere Randazzo – Grillo Sindaco 329
14 Ceraulo Vincenzo Vivere Randazzo – Grillo Sindaco 328
15 Sindoni Sara Anna Vivere Randazzo – Grillo Sindaco 243
16 Caggegi Carmela Vivere Randazzo – Grillo Sindaco 240

Le elezioni amministrative del 2018 si sono svolte con sistema elettorale maggioritario con elezione diretta del sindaco in un unico turno. Il candidato sindaco che ottiene il maggior numero di voti è eletto con una maggioranza di 11 consiglieri, il candidato sindaco primo dei non eletti (*) è proclamato consigliere, vengono eletti n. 5 consiglieri della lista che risulta la seconda come numero di voti riportati.

I candidati sindaci che hanno partecipato alla competizione sono:

1) Sgroi Francesco (voti 2.521) – 2) Mollica Nuccio (voti 767) – 3) Grillo Nino (voti 2.125) – 4) Lanza Francesco (voti 1.565)

le liste collegate hanno riportato i seguenti risultati:

1) Insieme Per Randazzo – Sgroi Sindaco (voti 2.557) – 2) Movimento 5 Stelle (voti 575) – 3) Vivere Randazzo – Grillo Sindaco (voti 2.050) – 4) Noi Randazzesi con Lanza Sindaco (voti 1.630)

 

 

 

A cura di Lucio Rubbino

Avv.Gualtiero Fisauli

 

Avv. GUALTIERO FISAULI

Da tempo desideravo scrivere dell’Avv. Gualtiero Fisauli, personaggio singolare e complesso: forte la sua personalità ed i suoi sentimenti, lucida la sua intelligenza, profonda la sua cultura e sofferta la sua vita.

Gualtiero Fisauli nacque in Randazzo il 7 dicembre 1870, ultimo di dieci figli del Barone Giuseppe e di Antonina Vagliasindi del Castello.
Molto c’è da dire su quest’uomo, sulla sua vita pubblica e, perché no?, privata, caratterizzata da un forte impegno civile e morale. Pertanto, egli va collocato senz’altro fra i personaggi maggiori della nostra città. 
Amante dell’arte, della storia, aperto alle prime curiosità tecnologiche, la sua vita si è mossa attraverso fasi che lo hanno visto ora protagonista sicuro, tenace e dinamico, ora uomo solitario, chiuso nelle sue riflessioni, nei suoi ripensamenti , in una sorta di distacco illuminato di una fede sopravvenuta. 
Nell’affermare ciò tengo anche in mente la sua villa-rifugio, in campagna, “Villa Queta” squisita creatura del suo amore per il bello, muta spettatrice dei suoi trionfi, delle scelte osate e di amarezze vissute con grande dignità. 
La sua formazione giovanile fu liberal-anticlericale, malgrado gli studi fatti in Torino presso il nostro Istituto di Valsalice che gli permisero di conoscere personalmente il nostro Santo Fondatore, Don Giovanni Bosco.
Mi preme ricordare qui la tenerezza di questo incontro giovanile e la commozione sempre uguale nel ricordarlo. 
Siffatta mentalità tardo-ottocentesca improntò la sua esperienza civile e di pubblico amministratore. Ciò è emerso nella reggenza degli affari comunali e in quell’annosa questione dell’Opera de Quatris, che lo vide artefice principale degli interessi civici. 
Bisogna anche però onorare l’onestà e l’oculatezza nel maneggio della cosa pubblica e la sottile delusione dell’uomo impegnato che vede, sente e subisce gli ostacoli.
Sono sue queste parole, tratte da una memoria-diario:
            “La mia psicosi sviluppata, nei primi anni della vera giovinezza, in mezzo ad idee di grandiosità auto suggestiva, di odii e di rancori personali, di gravi sacrifici pecuniari, di rammarico continuo … conseguenza principale la delusione”.
Ritornerà alla vita pubblica solamente in un momento di emergenza quale fu quello del vettovagliamento del periodo bellico (2° guerra mondiale) allorchè le Autorità Provinciali si valsero di Gualtiero Fisauli quale Commissario Prefettizio del Comune.

Ma se la sua partecipazione civile non fu costante, non fu tale la sua passione per gli studi che coltivò fino alla fine della sua vita. Egli fu veramente un uomo di cultura, come io personalmente, a principio del mio interesse per le cose di Randazzo, avevo potuto constatare. Sapevo infatti che l’unico che nella città aveva affrontato con criteri scientifici tali studi era l’avv. Fisauli.
Mi avvicinai a lui e rimasi veramente impressionato della vastità della sua preparazione: aveva letto e sunteggiato un numero di documenti enorme: manoscritti del Plumari, atti delle famiglie, delle Confraternite delle Chiese ecc. ecc. per cui aveva felicemente affrontato il problema della paleografia.

 

Gualtiero Fisauli – foto 1920

Gualtiero Fisauli

Gualtiero Fisauli con la moglie Angela

Gualtiero Fisauli con il figlio Francesco

Le foto sono state gentilmente prestate dalla nipote Angela Fisauli.

Egli fu quindi un appassionato ricercatore delle radici sue e della sua terra, felice di scoprire dati e scritti che potessero far luce sul passato di Randazzo che amò con autentico sentimento. 
Mi è doveroso affermare a questo punto per una più limpida comprensione di fatti sopra cennati che anche nella citata vertenza De Quatris, la molla del suo agire fu, più che un superficiale atteggiamento anticlericale, un profondo attaccamento per la sua città e per un problema vivo e persistentemente attuale della stessa: dare ossigeno all’economia del paese.

Amore per Randazzo che egli espresse anche con generosità discreta.
Infatti pochi sanno che se la Chiesa di Cristo Re in Montelaguardia esiste lo si deve a lui. Al fine di permetterne la costruzione, donò il terreno e le suppellettili senza mai farsi vanto di ciò, senza alcuna pubblicità.

Uomo di cultura, abbiamo detto. Esistono nell’archivio di famiglia due preziosi archivi da me ultimamente consultati: le Confraternite in Randazzo e le notizie storiche sulle Chiese parrocchiali di Randazzo. Validissimo è stato anche il lavoro certosino di sunteggiare i “Libri Rossi” delle Chiese e del perduto “Libro dei Privilegi” di Randazzo.

Il ritiro volontario dalla vita pubblica lo vide più impegnato in seno alla famiglia che gli affidò l’amministrazione familiare(1906), dopo la morte del fratello primogenito Benedetto.

E qui si innesta l’altra fase della sua vita piena di fascino e di sorprese: la sua storia privata, le scelte osate e le conseguenze gravi; ineluttabili o volute? Forse entrambi le soluzioni.

L’Avv. Fisauli era nato e cresciuto in una famiglia in cui erano radicate, assieme al raggiungimento di avanzati traguardi economici o al fine degli stessi, dure regole interne, alle quali difficilmente si poteva sfuggire.
Era una mentalità persistentemente feudale sino a tempo recente, che – per altro – aveva improntato l’ascesa economico . sociale della Famiglia Fisauli, comparsa in Randazzo nel sec. XVI allorchè due fratelli (originari di Gangi) Gioan Vincenzo ed Antonino si trasferirono nella nostra Città a seguito del loro matrimonio con due sorelle Romeo, Eleonora e Jacopella.

L’idea del patrimonio presso la famiglia era da generazioni qualcosa che trascendeva la stessa. Ogni evento della famiglia guardava al patrimonio, all’unicità e all’integrità dello stesso. Pertanto, solo il primogenito poteva contrarre matrimonio.
Era la dura e retriva “Legge del Maggiorasco”
Anche l’Avv. Fisauli era stato cresciuto e nutrito da queste idee, ovvie ed indiscutibili. D’altra parte il rispetto per la famiglia, l’orgoglio del nome erano stati fino allora quasi la sua forza interiore, la sua ragione di esprimersi. 
Non a caso ho parlato agli inzi di “Villa Queta”. Infatti, la ratio espressiva di questa poderosa e bella costruzione, immersa in uno stupendo parco di verde, di alberi secolari, di viali incrociantisi, era si rifugio suo personale, ma anche un “inno alla Famiglia Fisauli”.

Dall’iscrizione in lettere gotiche sul frontespizio della Casa: “Quietem ex incunabulorum loco vocaverunt me Didacus et Gualterius Fisauli, quorum memoriam nominis maiorum, gloria et armis aucti, pulchritudine et arte sacro. Opus Vincenti Fisauli 1900”; al famoso salone dove – assieme al “Mito di Amore e Psiche” – sono dipinti (tutta la villa è stata dipinta dal famoso Ciulla) i volti di tutti i familiari che troneggiano li, tristemente complici di una mentalità che di li a poco avrebbe schiacciato il nostro Gualtiero.
Preferisco, a questo punto, riportare un brano della citata memoria: “Io mi ero creato una famiglia, senza vincolo matrimoniale, ed avevo in fatto l’idea, derivata da tutte le precedenti ragioni di tradizione familiare che i miei figli non potessero partecipare alle ricchezze della Famiglia Fisauli come allora non partecipavano al nome nostro”. 
Risale a quest’epoca all’incirca il ritorno alla fede, le riflessioni su quali fossero le priorità nella sua vita. La risposta non tardò: Dio e la Famiglia. Scelte osate, abbiamo detto agli inizi! 
Ed infatti, essendo l’idea del patrimonio tale anche in lui, pensò di rinunziare ai legittimi diritti sullo stesso. 
Ma leggiamo ancora le sue parole: “Accettai quest’ordine di idee, in quanto mi sembrava che non avendo più la mia famiglia di origine a temere per una possibile diminuzione di patrimonio mi sarebbe stato più facile legittimare finalmente i miei figli e sposare la mia compagna”.  
Così la scelta della libertà morale ebbe il suo duro prezzo. 
Sono pagine tanto belle! Sono lontani i tempi della “vera giovinezza”: la baldanza ha ceduto il passo alla compostezza, l’orgoglio alla dignità, l’agnosticismo alla Fede. 
Gualtiero ed Angela Fisauli, dopo aver contratto regolare matrimonio, vissero una lunga vita serena, circondati dall’affetto dei loro figli. “Villa Queta” è ancora oggi piena di nipoti e pronipoti: le vetuste stanze sono gioiosamente popolate di bambini, di vita e di amore. 
Prima di chiudere desidero ringraziare il nipote, mio carissimo ex-alunno e tanto vicino a me, Mimmo Fisauli, per le notizie fornitemi e per avermi messo in condizione di approfondire, attraverso la lettura di Diari personali l’aspetto umano ed intimo di suo nonno, uomo tanto da me stimato e tanto vicino alla mia propensione di studioso delle cose della nostra città.
Don Calogero Virzì                                                                                       

Vito La Mantia

 

LA MANTIA VITO

di Maria Antonella Cocchiara – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 63 (2004

 

Vito La Mantia

LA MANTIA, Vito. – Nacque il 6 nov. 1822 a Cerda, piccolo comune del Palermitano, da Francesco e da Rosa Arcara, entrambi appartenenti a famiglie dell’agiata borghesia terriera. Compiuti gli studi superiori a Termini Imerese, si trasferì a Palermo per iscriversi alla facoltà giuridica, dove ebbe tra i suoi maestri E. Amari e B. D’Acquisto. 
Negli anni di studi universitari fu insignito del premio Angioino per l’economia politica e del premio Di Giovanni in lingua greca e latina, storia sacra e storia di Sicilia. A uno di tali premi è legata la sua prima pubblicazione, Sul modo di procurare la ricchezza e la civiltà delle nazioni (Palermo 1843), in cui il La Mantia  professava un’incondizionata adesione al liberismo economico, pur differenziando le proprie posizioni da quelle della scuola degli economisti siciliani di matrice autonomistica e liberale, quali R. Busacca e F. Ferrara.
Dopo qualche anno di pratica legale presso lo studio di P. Calvi, nel febbraio 1846 conseguì la laurea in giurisprudenza, dedicandosi, dopo un vano tentativo di ottenere un incarico universitario, all’avvocatura. 
Antinapoletano convinto e prudente sostenitore del movimento liberale siciliano, restò tuttavia estraneo all’esperienza rivoluzionaria e costituzionale del 1848 e, di conseguenza, all’ondata di persecuzioni successive al ritorno dei Borbone. Fino all’Unità, continuò a esercitare la professione di avvocato. Risalgono a questo periodo diverse memorie difensive e il progetto di dotare il foro siciliano di una rivista di legislazione e giurisprudenza, gli Annali di legislazione e giurisprudenza patria e straniera: nel 1858 ne pubblicò il primo (e unico) volume, seguito dalla raccolta di Decisioni della Corte suprema di Sicilia (Palermo 1858), relativa al primo decennio di attività della Suprema Corte siciliana (1819-29).
Nel 1856, il L. sposò Antonina Salemi, sorella del democratico-radicale G. Salemi-Oddo. Dalla loro unione nacquero quattro figli, Francesco Giuseppe, Giuseppe – futuri collaboratori del padre e autori anch’essi di numerosi lavori storico-giuridici -, Rosa e Maria Concetta.
In un contesto culturale impoverito dalla fuga di cervelli causata dalla repressione borbonica, il L. avviò il primo nucleo di studi di storia dell’antico diritto siciliano. Nell’opuscolo Discorso sulle basi della legislazione seguito da un progetto di storia del diritto civile e penale in Sicilia (Palermo 1853), presentò l’ambizioso disegno che, con qualche modifica resasi ancor più necessaria a seguito dell’unificazione territoriale e legislativa del Regno d’Italia, avrebbe preso corpo con la pubblicazione della Storia della legislazione civile e criminale di Sicilia (I-IV, ibid. 1858-74). L’opera, che gli avrebbe dato ampia notorietà, è ancora oggi punto di riferimento per gli studi di storia del diritto siciliano.
Articolata su due grandi aree temporali (dai tempi primitivi all’espulsione degli Arabi dall’isola e dalla conquista normanna sino ai suoi giorni), la Storia della legislazione, dopo i primi due volumi pubblicati nel 1858 e nel 1859, fu completata dopo l’Unità d’Italia (Palermo 1866 [ma 1868] e 1874), finendo per costituire una sorta di testimonianza dell’impatto con il processo di unificazione e codificazione nazionale.
Il 6 agosto 1860 il La Mantia  fu nominato giudice del tribunale civile di Palermo, entrando così a far parte della rinnovata magistratura siciliana. Nei trentacinque anni di attività giudiziaria, il L. continuò a coltivare gli studi di storia del diritto, spesso anteponendoli a interessanti prospettive di carriera e affrontando con rigore la difficoltà di conciliarli con i doveri del suo ufficio. All’età di 73 anni, pressato dal carico di lavoro connesso ai compiti di consigliere di Corte di cassazione, chiese l’anticipato collocamento a riposo, per dedicarsi totalmente alla ricerca storico-giuridica e, in particolare, ai lavori sulle consuetudini siciliane.
La dimensione praticistica dei suoi studi, sollecitati sin dagli anni giovanili anche da esigenze di natura professionale, trovò alimento nell’attività di magistrato: le indagini per risolvere le controversie sottoposte alla sua cognizione si associavano alla ricerca storica sulle fonti, ritenuta necessaria per dominare un sistema giuridico di tipo codicistico, ma con vaste influenze dell’antico sistema giurisprudenziale del diritto comune. Rivelavano interferenze tra il lavoro di giudice e l’impegno di storico del diritto i numerosi approfondimenti su argomenti presi in esame in ragione del suo ufficio.
Si ricordano, in proposito, le ricerche in tema di prescrizione centenaria, di diritti del Pubblico Demanio sulle spiagge e terreni adiacenti, di decime siciliane e di tonnare. Su quest’ultimo argomento il L. pubblicò la monografia Le tonnare in Sicilia (Palermo 1901), che riprendeva una nota alla sentenza della Corte di cassazione di Palermo del 22 marzo 1890, di cui era stato estensore. Lo studio ricostruiva, con ampio corredo di fonti documentarie e normative, la regolamentazione giuridica delle tonnare siciliane, ripercorrendone le tappe: dal sistema della libertà della pesca, riconosciuto dal diritto romano, alle concessioni di età normanna, sveva, angioina e aragonese, fino alla normativa di età borbonica e alla vigente legislazione unitaria. Un esame già effettuato in occasione del giudizio di cassazione, non per gusto antiquario ma per ragioni processuali, poiché, pur nel vigore della normativa nazionale, il caso concreto esigeva, per accertare il titolo del possesso, un’indagine storica sulle fonti.
Riconducibili ai suoi percorsi di carriera furono anche le ricerche sugli statuti di Roma, primo passo verso l’ambizioso progetto, rimasto incompiuto, di scrivere una storia della legislazione italiana. Il L. iniziò questo filone di studi quando, nel 1877, trasferito a Perugia in seguito alla promozione a consigliere di corte d’appello, fu costretto ad allontanarsi dagli archivi siciliani e quindi a sospendere le ricerche da tempo intraprese sulle consuetudini delle città di Sicilia.
Avviate in occasione del rinvenimento di un codice membranaceo custodito nell’Archivio segreto Vaticano, le indagini sfociarono in un breve saggio intitolato Statuti di Roma: cenni storici (Roma 1877), che costituì il primo lavoro critico intorno agli statuti romani di età medievale. L’illustre Eugène de Rozière elogiò il lavoro, conferendo al L. notorietà e consensi negli ambienti storico-giuridici e letterari d’Oltralpe e consacrandolo come l’iniziatore di quegli studi.
Affrontato in un più articolato saggio dal titolo Origini e vicende degli statuti di Roma (Firenze 1879), il tema sarebbe stato successivamente ripreso e sviluppato nella memoria I Comuni dello Stato romano nel Medio Evo (s.l. 1884) e, quindi, nella più vasta opera Storia della legislazione italiana, I, Roma e Stato romano (Torino 1884). A questo volume fu riservata, però, un’inattesa, negativa accoglienza da parte della intelligencija accademica.
Se la parte relativa alla ricostruzione delle fonti – la cosiddetta “storia esterna” – fu unanimemente apprezzata, il metodo storico-sistematico, con il quale il L. seguì cronologicamente l’evoluzione del diritto, degli studi giuridici e della giurisprudenza per aree politico-geografiche differenziate, suscitò aspri giudizi. Il tentativo di passare da una dimensione localistica a una storia del diritto nazionale produceva una somma di storie regionali che prendevano in sostanza le mosse dall’età comunale. Scelta infelice in anni in cui proprio alla storia del diritto italiano e al diritto romano si affidava il compito di saldare i nessi dell’unità culturale della nazione italiana, all’insegna della continuità tra l’antica Roma e l’ottocentesco Regno d’Italia.
Forse in conseguenza di quelle critiche, il L. archiviò il progetto di una storia generale del diritto italiano e tornò a dedicarsi agli studi sull’antico diritto siciliano e, soprattutto, ai lavori sulle consuetudini delle città di Sicilia, che suscitarono interesse e approvazione tra i contemporanei e ai quali ancora oggi è in gran parte legata la sua notorietà.

 


Avviati intorno agli anni Sessanta, con la pubblicazione di una raccolta di Consuetudini delle città di Sicilia (Palermo 1862) in cui si limitava a includere i capitoli di diritto civile ritenuti utili per risolvere questioni pendenti in giudizio, gli studi sulla legislazione cittadina sarebbero stati da lui approfonditi in successivi lavori: Notizie e documenti su le consuetudini delle città di Sicilia, monografia pubblicata a puntate nell’Archivio storico italiano, poi raccolta in estratto (Firenze 1888); le Consuetudini siciliane in lingua volgare, in Il Propugnatore, XVI (1883), pp. 3-73; Leggi civili del Regno di Sicilia: 1130-1816 (Palermo 1895).
Seguirono altri saggi che confluirono nell’ampia silloge Antiche consuetudini delle città di Sicilia (ibid. 1900), comprensiva non solo dei testi delle consuetudini in senso stretto, ma di gran parte dello ius proprium, costituito da privilegi, capitoli, ordinationes ecc. Una scelta apprezzata, che avrebbe consentito di registrare in modo organico l’estensione delle libertates vantate, in tempi diversi, dalle varie città siciliane.
Socio dell’Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo e della Società siciliana per la storia patria, il L. fu anche assiduo collaboratore del più originale tra i cenacoli culturali palermitani, il Circolo giuridico, editore dell’omonimo periodico (dopo la morte del fondatore, Circolo giuridico Luigi Sampolo), fra le cui pagine pubblicò, a puntate, dal 1883 al 1894, il saggio Diritto civile siciliano esposto secondo l’ordine del codice italiano. Il lavoro, in cui ripercorreva la tradizione giuridica isolana in aderenza con la sistematica del codice civile del 1865, fu poi dato alle stampe, nella redazione completa, nel citato volume Leggi civili del Regno di Sicilia.
Protagonista di vivaci polemiche con storici del diritto italiani e stranieri (particolarmente aspre quelle con O. Hartwig, A. Del Vecchio, A. Todaro della Galia), che rivelavano l’intransigenza e la spigolosità del carattere, fu peraltro legato da rapporti di amicizia e cooperazione con illustri esponenti della cultura giuridica nazionale, da F. Sclopis a P.S. Mancini, su invito del quale scrisse diverse voci dell’Enciclopedia giuridica italiana. Collaboratore di prestigiose riviste storiche e giuridiche nazionali, il L. pubblicò, tra monografie, saggi, memorie, recensioni e scritti polemici, oltre cento lavori.
Coadiuvato dai figli il La Mantia completò altri lavori originali in materia di diritto consuetudinario, come quelli sulle Consuetudini di Paternò (Palermo 1903) e le Consuetudini di Randazzo (ibid. 1903), riproponendosi di dare alle stampe in tempi brevi un volume conclusivo sulla legislazione cittadina siciliana di età medievale e moderna.

Il progetto non si realizzò. Vito La Mantia  morì a Palermo, dopo breve malattia, il 16 giugno 1904.

Apparve postumo, per cura dei figli, il volume L’Inquisizione in Sicilia. Serie dei rilasciati al braccio secolare, 1487-1732. Documenti su l’abolizione dell’Inquisizione 1782 (Palermo 1904), che completava il suo precedente lavoro sull’Inquisizione siciliana (Origine e vicende dell’Inquisizione in Sicilia, ibid. 1886). Si tratta di un’opera ricca di documenti inediti, capace di suggerire interessanti itinerari di ricerca, e in grado di offrire agli studiosi un prezioso materiale per indagini ancora passibili di sviluppi.

Il libro “Consuetudini di Randazzo”  di Vito La Mantia (che puoi sfogliare cliccando sui link sottostanti) è una gentile concessione di Angela Militi – 

Consuetudini di Randazzo 01.pdf

Consuetudini di Randazzo 02.pdf

 

Calogero (Lillo) Mannino

Calogero Mannino detto Lillo nasce ad Asmara (capitale dell’Eritrea) il 20 agosto del 1939.
Il papà Salvatore (nato a Randazzo il 3 novembre 1911) con  la mamma originaria di Sciacca, il 30 agosto 1938 emigrano ad Asmara.
Nel 1950 rientrano a Randazzo rimanendovi alcuni mesi per trasferirsi definitivamente a Sciacca. Lillo è il primo di quattro figli – Marisa, Pasquale, Roberto – ha un figlio Salvatore ed è nonno di due bambine.

Laureatosi in Giurisprudenza e successivamente in Scienze Politiche diviene Assistente di Scienze delle Finanze presso l’Università di Torino.
  Nel 1960 inizia il suo impegno politico quando ad appena 21 anni viene eletto Consigliere Provinciale di Agrigento.
Deputato all’Assemblea Regionale Siciliana dal 1967 al 1976.
Assessore Regionale alle Finanze dal 1971 al 1976.

On.le Calogero Mannino

Nel 1976 viene eletto deputato al Parlamento Nazionale nella circoscrizione della Sicilia Occidentale facendo parte della Commissione Finanze e Tesoro della Camera. E’ il più giovane deputato della Camera allorquando  è relatore per la maggioranza del bilancio previsionale dello Stato.
Viene riconfermato deputato nelle elezioni del 1976, 1979, 1983, 1987, 1992 con la Dc, nel 2008 con l’Udc (partito col quale nel 2006 fu eletto al Senato).
In tutti questi anni ha ricoperto le seguenti cariche istituzionali:
Sottosegretario al Tesoro nel governo Forlani (1980-1981), ministro della Marina mercantile nello Spadolini I e II (1981-1982),ministro dell’Agricoltura nel Fanfani V (1982-1983) nel De Mita e nell’Andreotti VI (1988-1991), ministro  dei Trasporti nel Goria (1987-1988), ministro degli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno nell’Andreotti VII (1991-1992). ( con il suo intervento viene sbloccata finalmente e definitivamente l’iter per la costruzione della scuola materna di via Dei Romano).

Nel  1994 inizia il suo calvario giudiziario.

Il 24 febbraio 1994 la Procura di Palermo avvia un’inchiesta nei suoi confronti con la notifica di un avviso di garanzia; viene arrestato il 13 febbraio 1995  con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa: secondo l’accusa, poi rivelatasi insussistente, Mannino avrebbe stretto un patto con la mafia per avere voti in cambio di favori.
Dopo un periodo di detenzione (nove mesi di carcere e tredici di arresti domiciliari), durante il quale si mette in moto un’ampia mobilitazione sostenuta anche da una raccolta di firme per la scarcerazione motivate dalle sue precarie condizioni di salute, nel gennaio del 1997  viene rimesso in libertà per scadenza dei termini di custodia cautelare.

Ne2001 Mannino è assolto in primo grado perché il fatto non sussiste.

L’assoluzione viene impugnata dal pubblico ministero e la corte d’appello di Palermo, nel maggio 2003, lo riconosce colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa fino al 1994, e condanna Mannino a 5 anni e 4 mesi di reclusione.

Nel 2005 la Corte di Cassazione annulla la sentenza di condanna riscontrando un difetto di motivazione, rinviando ad altra sezione della corte d’appello. Nell’occasione il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, nel chiedere l’annullamento della sentenza di condanna, così si esprime:

        “ Nella sentenza di condanna di Mannino non c’è nulla. La sentenza torna ossessivamente sugli stessi concetti, ma non c’è nulla che si lasci apprezzare in termini rigorosi e tecnici, nulla che possa valere a sostanziare l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Questa sentenza costituisce un esempio negativo da mostrare agli uditori giudiziari, di come una sentenza non dovrebbe essere mai scritta…”.

 

Il 22 ottobre 2008 riprendendo la sentenza di primo grado, i giudici della seconda sezione della corte d’appello di Palermo assolvono Mannino perché il fatto non sussiste.
La procura generale di Palermo in seguito impugna l’assoluzione, facendo ricorso in Cassazione.

Il 14 gennaio2010 la Corte di Cassazione assolve definitivamente l’ex ministro democristiano, confermando le tesi contenute nella sentenza d’appello.

Ma non finisce qui.

È indagato nell’ambito della trattativa tra Stato e mafia. Il 24 luglio 2012la Procura di Palermo, con il Pm  Antonio Ingroia ha chiesto il rinvio a giudizio di Mannino e altri 11 indagati. In tale inchiesta Mannino è accusato di violenza o minaccia verso un corpo politico dello Stato.

Nel 2012 Mannino chiede e ottiene di procedere al processo tramite rito abbreviato.

Il 4 novembre 2015 il giudice dell’udienza preliminare di Palermo, Marina Petruzzella assolve Mannino dall’accusa a lui contestata per “non aver commesso il fatto”. . Per Mannino, unico imputato del processo a scegliere il rito abbreviato, la procura aveva chiesto 9 anni e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
 «Sono talmente stanco che non provo più emozioni e non riesco neppure a parlare».  Si chiude un capitolo doloroso… «Già e io sono ancora qua, vivo, nonostante tutto» ha dichiarato Lillo  Mannino dopo la sentenza.

 Nel 2007 si dimise dalla presidenza del Cerisdi (Centro ricerche e studi direzionali della Regione Siciliana) a causa della sua vicenda giudiziaria (la Prefettura non gli rilasciò il certificato antimafia).

Calogero Mannino associa all’attività politica quella di produttore viti-vinicolo. A Pantelleria è titolare dell’azienda vinicola Abraxas, il cui prodotto principe è il passito naturale, che nel 1999 ha ricevuto la medaglia d’oro alla fiera Vinitaly. Nel dicembre 2012 l’azienda è fatta bersaglio di un attentato che provoca la perdita di 700 ettolitri di passito, in pratica le intere annate 2010-2011 e parte di quella 2012.

Lillo Mannino è un personaggio di primo piano nel panorama politico italiano, basti pensare che si era pensato a Lui quale Presidente del Consiglio dei Ministri in alternativa a l’on.le Giovanni Goria.
Preparato, serio, profondo conoscitore dei problemi del nostro Paese soprattutto della Sicilia, disponibile al dialogo e stato per lungo tempo, e lo è tuttora,  punto di riferimento per le sue analisi sociologiche e politiche. 

Per le sue attenzioni nei confronti della nostra Città il Consiglio Comunale nella seduta del 27 novembre 1989 gli conferisce la Cittadinanza Onoraria.
Il conferimento avviene durante una manifestazione nel gennaio del 1990 davanti ad un numerosissimo pubblico di cittadini e di autorevoli personalità del mondo politico,  economico ed istituzionale. Dopo la relazione del sindaco, l’avvocato Giuseppe Fisauli  presidente della CPC di Catania  traccia una breve biografia della famiglia Mannino e della carriera politica di Mannino.
Il ministro dell’Agricoltura  on,le Calogero Mannino nel prendere la parola, emozionatissimo, ringrazia la Città per non averlo dimenticato, fa una analisi della situazione economica della nostra Isola indicando alcune soluzione e auspica un  avvenire migliore per tutti noi.

    Per un approfondimento della personalità di Lillo Mannino e delle vicende che lo hanno profondamente segnato abbiamo riportato alcuni articoli di giornali.
     Non so se questo doveva essere il suo destino, ma so per certo che la nostra Terra non ha potuto utilizzare appieno uno dei suoi migliori figli.
  Francesco Rubbino

 

 

Il figlio Salvatore nel giorno delle nozze

 

La grave indifferenza per lo stalking giudiziario contro Mannino

Accusato, incarcerato, assolto e ora nuovamente preso di mira dai magistrati di Palermo in cerca di scalpi giudiziari. Ora basta.

La grave indifferenza per lo stalking giudiziario contro Mannino

  

Sino a quando gli italiani dovranno avere la pazienza di sopportare in silenzio le marachelle di un gruppo di procuratori della repubblica di Palermo eterodiretti dal canuto Giancarlo Caselli? Ci riferiamo alla vicenda giudiziaria di Calogero Mannino accusato prima di concorso esterno mafioso e poi di essere stato uno degli autori della famosa trattativa Stato-mafia. Anni di carcere e assoluzioni a gogò di Mannino non hanno fiaccato lo stalking che Caselli, Scarpinato, Ingroia e Di Matteo ed altri di quello strano ufficio di Palermo che hanno praticato per 25 anni contro Calogero Mannino, uno degli uomini di punta della democrazia cristiana nazionale. Perché a guardare bene la vicenda proprio di stalking si tratta e la riprova l’ha dato l’ultimo ricorso della procura generale di Palermo retta da Scarpinato, collega e collaboratore stretto di Giancarlo Caselli. Mi chiedo: perché bisogna avere rispetto di chi non si scusa per il male e il danno che ha fatto quando dei parlamentari, dei singoli ministri, dei presidenti del consiglio si dice di tutto e di più senza che nessuno alzi un sopracciglio? La separazione dei poteri significa che uno di quelli è al di sopra degli altri?
Noi abbiamo trattenuto la nostra indignazione per anni sino a quando abbiamo letto il ricorso alla Cassazione della procura generale di Palermo contro l’ennesima assoluzione di Mannino. In quella sentenza abbiamo letto una puntuale e circostanziata critica dei comportamenti tenuti dall’accusa. Forse sarebbe necessario che quella sentenza venisse inviata alla procura di Caltanissetta per verificare se ci siano elementi sui quali indagare.
Ma torniamo al ricorso in Cassazione contro Mannino. La procura generale di Palermo non contesta alcunché nel merito anche perché non potrebbe farlo per legge dopo due assoluzioni con formula piena ma s’inventa un qualcosa che testimonia lo spirito di persecuzione di cui abbiamo parlato.
 Il motivo addotto è un’originale cavillo che non sta né in cielo né in terra. I grandi persecutori chiedono che la cassazione riconosca una possibile illegittimità costituzionale della sentenza assolutoria emessa dalla corte di appello di Palermo per non aver voluto ascoltare i pentiti Giovanni Brusca, Francesco Onorato e Filippo Bisconti e rinvii alla Corte costituzionale il tutto perché esamini la vicenda mandando così la palla sugli spalti.
     Naturalmente non vale il fatto rilevato dalla stessa corte di appello di Palermo che i pentiti citati da Scarpinato e compagni siano stati più volte sentiti nei vari processi a carico di Mannino risoltisi tutti con assoluzioni con formula piena.
     E perché mai dopo 24 anni di collaborazione con la giustizia e dopo diverse deposizioni dinanzi a più corti di giustizia Brusca, Onorato e Bisconti dovrebbero ricordare cose avvenute in un tempo lontano? Non è forse lecito sospettare che, ad esempio, il più noto dei due, Giovanni Brusca, possa essere stato sollecitato a “ricordare più attentamente” qualcosa? Ricordiamo male o nel 1996, due mesi dopo il suo arresto, Brusca, dichiarando di volersi pentire, cominciò a parlare di Luciano Violante e del suo famoso volo del dicembre 1993 Roma-Palermo con l’allora presidente della commissione antimafia? 
    La vicenda di Brusca è piena di misteri non ultimo il fatto che è rimasto forse l’unico degli arrestati per l’omicidio Falcone e di tanti altri cui non sono stati applicati gli sconti di pena previsti dalla legge per i pentiti di mafia visto che è in carcere da 24 anni. Probabilmente pur avendo lo status di pentito i magistrati inquirenti non lo ritengono affidabile del tutto.
     Noi speriamo che la Cassazione reputi irricevibile un siffatto ricorso per la assoluta inconsistenza delle motivazioni fatto da una procura i cui comportamenti dovranno richiedere prima o poi una commissione di inchiesta parlamentare anche perché nel fantasioso processo sulla trattativa Stato-mafia emergeranno presto omissioni, depistaggi e fantasie a tutela di altre questioni. Ma di questo avremo modo di parlare prendendo ancora una volta atto che i procuratori della repubblica non sempre si mostrano all’altezza, purtroppo, dei loro colleghi giudicanti.

                                                                                                                 ***

 

 

 Mannino contro tutti. Dai pm al giornalista “guitto”.

Più che un’intervista è uno sfogo. Sono durissime le parole dell’ex ministro Dc subito dopo l’assoluzione al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. Mannino contro Di Matteo: “Ha fatto condannare innocenti”.

Calogero Mannino

PALERMO – Calogero Mannino chiede un po’ di tempo per riordinare le idee. Per metabolizzare la notizia dell’assoluzione. Poi, scende dalla sua abitazione e attacca a testa bassa. Ce l’ha con i pubblici ministeri. È chiaro fin da subito: “Io spero che sia stata scritta la parola fine. Certamente è stata scritta su questo atto con una decisione coraggiosa che conferma il mio convincimento. Ho sempre avuto fiducia nella giustizia, non nei pm che rappresentano l’accusa, molte volte in maniera ostinatamente pregiudiziale”.

Sta dicendo che da parte della Procura ci sarebbe stato un accanimento nei suoi confronti?
“Non capisco perché lei parla di Procura della Repubblica, dovrebbe parlare di alcuni pubblici ministeri. Allora le dico di sì, c’è stato decisamente un accanimento. La tesi dell’accusa è fantasiosa, l’abbiamo dimostrato. Leggete l’atto di rinvio a giudizio del Gup, lo stesso Morosini (Piergiorgio Morosini, ndr) si poneva il problema delle prove e affidava ai pm l’incarico di dimostrarle. Non avevano prove, perché non ci sono fatti. In questa vicenda io sto da un’altra parte, ho sempre servito lo Stato e la Repubblica con lealtà. Senza la mia azione politica non ci sarebbero stati due fatti importantissimi: il sostegno politico all’iter complesso e travagliato del maxi processo e quello che ha portato Giovanni Falcone alla direzione generale degli Affari penali. Fu una scelta non personale ma di tutto il governo Andreotti, che fece propria la strategia di Falcone”.

Cos’è stato allora, un processo politico?
“No, tranne Ingroia che poi è fuggito, questi pm non hanno una dimensione politica, hanno dimostrato di avere delle debolezze, qualcuno per altro è assuefatto alla ostinazione accusatoria. Di Matteo è il pm che ha fatto condannare persone innocenti a Caltanissetta. E nessuno gli chiede conto e ragione di ciò, forse con la sua ostinazione voleva ripetere l’errore. I pm si sono dimostrati privi del senso comune, pensare che potessi condizionare tutti è ridicolo”.
Se accanimento c’è davvero stato, lei si sarà chiesto il perché
“Questa domanda va rivolta ai pm. La funzione dell’accusa non è esercitarsi liberamente, ma valutare se sono state trovato prove o meno”.

Lei è considerato l’ispiratore dei contatti fra ufficiali dei carabinieri e Cosa nostraIn pratica avrebbe dato il via alla Trattativa.
“È ridicolo. Chi conosce l’Arma dei carabinieri sa che è fedele nei secoli”.

La sua assoluzione rischia di minare il processo ancora in corso in Corte d’assise?
“È una una valutazione che non intendo fare. Per quel che mi riguarda sono stato assolto per non avere compiuto il fatto. Sono esterno ed estraneo ad ogni possibile Trattativa”.

La Trattativa ci fu o no?
“Ne dubito. Ci sono stati carabinieri che hanno fatto il loro mestiere”.

La Procura dice che impugnerà la sentenza?
“Male. In realtà non è la Procura ma un pm. Ha già annunciato che farà appello (il riferimento è ad Antonino Di Matteo, mentre il procuratore Francesco Lo Voi ha detto che prima bisognerà leggere le motivazioni per valutare cosa fare, ndr). È la prova dell’ostinazione che dovrebbe essere spiegata da questo pm (Di Matteo, contattato dall’Ansa, ha replicato che “non può rispondere alle dichiarazioni di un imputato).

Mannino si sente, dunque, vittima della giustizia?
“Non della giustizia, ma vittima di alcuni pm che continuano ha seguire la linea politica a loto impartita a cavallo dagli anni Novanta”.
Impartita da chi?
“In quella fase dalla convergenza di interesse fra una parte del Partito comunista e una parte della magistratura”.

Nella vicenda Trattativa sono stati coinvolti diversi politici. C’è stata pure la deposizione in aula dell’allora capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Cosa ne pensa?
“È stato penoso. Si è portato Napolitano in un’aula giudiziaria senza avere riguardo per l’immagine dell’Italia nel mondo. Mantengo non pochi rapporti con rappresentanti di molti paesi e so benissimo che ha pesato negativamente. Ma questo non interessa a questi pm. A loro interessava lo spettacolo che un guitto ha fatto in alcune sale cinematografiche in cui impartiva loro gli indirizzi relativi al processo”.

Scusi, chi sarebbe il guitto?
“Un suo collega, un giornalista. (tra i cronisti c’è chi fa il nome di Marco Travaglio). Me lo sta dicendo lei, non confermo e non smentisco (sorride ndr)”.
È pensabile che un processo così delicato sia stato impostato su quello che lei definisce un guitto?
“No, ci ha fatto qualche libro e ci ha guadagnato un po’ di soldi”.

In questi tre anni ha mantenuto la fiducia nella giustizia?
“Ero sicuro della mia innocenza e poi vi sono moltissimi giudici, i più, che sono limpidi e sereni”.

Oggi come si sente?
“Sono contento soprattutto per mio figlio e per i mie nipoti. In questa vicenda non c’è spazio per un contributo dell’immaginazione. Nel 1991 l’esplosione della rabbia di Cosa nostra si è trovata coincidente con interessi politici interni al paese ed esterni che volevano la fine della Dc. È un dato di fatto, un obiettivo realizzato”.
L’INTERVISTA di Riccardo Lo Verso. ( LiveSicilia ).

                                                                                                                                        ***

Calogero Mannino intervistato dal “Foglio “

“Per me si conclude una venticinquennale tortura giudiziaria”, Calogero Mannino è seduto sulla poltrona nello studio biblioteca della sua casa palermitana di fronte a Villa Sperlinga.
A pochi metri c’è la moglie Giusi che lo guarda in silenzio e, di tanto in tanto, scuote il capo.
     “Questo calvario mi ha condannato a una vita agra, come il titolo del romanzo di Luciano Bianciardi”.
E se nel romanzo il protagonista si trasferisce dalla provincia a Milano, disorientato e scosso dalle conseguenze del boom economico degli anni Cinquanta, nella vita reale di Calogero Mannino il boom giudiziario lo obbliga a un mestiere nuovo.
“Difendersi è un lavoro che ti occupa la giornata intera. Vai a Roma, incontra gli avvocati, raccogli i ritagli di giornali, procùrati i documenti, nulla può essere lasciato al caso. Ho trascorso così gli ultimi venticinque anni. Che cos’è questa se non una persecuzione?”.
1991: per la prima volta un pentito tira in ballo il nome del referente della Dc siciliana, lo accusa di rapporti con la mafia, la procura di Trapani indaga ma nel giro di qualche mese il caso è archiviato.
1995: la procura di Palermo lo accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, Mannino trascorre nove mesi dietro le sbarre e tredici ai domiciliari.
Nel 2010 è definitivamente assolto.
2008: Mannino è indagato per la presunta trattativa stato-mafia. Per l’accusa avrebbe ispirato e istigato un accordo volto a porre fine alla stagione stragista in cambio di un’attenuazione delle misure detentive previste dal 41bis.
Oggi il gup di Palermo Marina Petruzzella lo assolve per non aver commesso il fatto.

“Gli stessi pm che mi accusavano di essere socio esterno della mafia mi hanno imbarcato capricciosamente nel processo che mi vede assolto”, il riferimento non troppo velato è ai magistrati Antonio Ingroia e Vittorio Teresi. “Appena Giancarlo Caselli s’insediò a capo della procura palermitana, i due cominciarono a indagarmi.
Non sono riusciti ad ottenere una condanna.
In compenso Ingroia si è lanciato nella politica, ha fallito e non mi risulta che il suo libro abbia riscosso un gran successo di pubblico. Travaglio ha più fortuna”
.
Mannino ha passato gli ultimi venticinque anni a difendersi nei processi, come se il processo non fosse in sé una pena.
     “Difendersi dal processo è un diritto perché la difesa in un’aula di tribunale comporta una fatica immane. Varcare la soglia del palazzo di giustizia è un dolore. In questi anni mi è stato impedito di vivere. La nevrosi mi ha tolto il sonno, mi aggiro per casa alle due di notte, ingoio del pane per calmare l’ansia. Se mi avessero ucciso non avrei patito il medesimo travaglio”.

Ingroia, autore dell’impalcatura accusatoria sulla presunta trattativa stato-mafia, ha abbandonato il processo all’apertura del dibattimento.
     “Voleva evitarsi una brutta figura, e ha lasciato la patata bollente al collega Nino di Matteo”.
Il quale ha già annunciato che la pubblica accusa ricorrerà in Appello, sebbene il procuratore capo Francesco Lo Voi lo abbia poi corretto riservandosi di valutare il caso dopo il deposito della sentenza.
“Che credibilità può avere un pm che annuncia il ricorso senza aver letto le motivazioni?”, si domanda Mannino. “Lo sa che io mi muovevo con la scorta? Nel 1983 da commissario della Dc siciliana nel congresso di Agrigento misi fuori dal partito Vito Ciancimino, ben sapendo che ciò avrebbe generato risentimento nel suo milieu apertamente mafioso. Il maxiprocesso ha segnato una svolta, ed è stato un risultato dello stato. Dal gennaio del ’93 in poi i capi di Cosa nostra sono stati catturati”.
Per la mancata perquisizione del covo di Riina altri uomini dello Stato, l’allora capo del Ros Mario Mori e il carabiniere Sergio de Caprio, sono stati processati e assolti. 
     “E’ un’aberrazione tutta italiana: chi combatte concretamente la mafia si ritrova alla sbarra accanto ai mafiosi. Contro di noi hanno puntato il dito pm e criminali in una occasionale convergenza dei contrari. Questo processo, infarcito di errori di torsione cronologica, fa acqua da tutte le parti perché si basa su una suggestione buona forse per gli storiografi ma non per le aule di tribunale”.

Intervista al Foglio

 

Chi ridarà indietro 25 anni a Calogero Mannino?

 

di Gianluca Veneziani

On.le Calogero Mannino

Diteci chi restituirà adesso 25 anni di vita a Calogero Mannino, l’ex ministro Dc ieri assolto a Palermo dal gup Marina Petruzzella «per non aver commesso il fatto», dall’accusa di «violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario», ossia di avere dato l’input, facendo pressioni sugli alti ufficiali Mario Mori e Giuseppe De Donno, alla trattativa Stato-mafia (fine della stagione stragista in cambio di un alleggerimento del carcere duro per i mafiosi)..
Glieli restituiranno forse le procure siciliane che da oltre un ventennio lo perseguitano, prima per rapporti con uomini d’onore (indagine del 1991 del sostituto procuratore di Trapani subito archiviata), poi per concorso esterno in associazione mafiosa (inchiesta della Procura di Palermo finita a processo, costringendo Mannino a un calvario durato 16 anni, alla fine del quale è stato assolto in Cassazione perché «il fatto non sussiste»)? O magari glieli restituirà il pm Antonio Ingroia, che nel 2012 ha aperto una nuova indagine nei suoi confronti (poi portata avanti dai pm Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia), indicandolo come primo ispiratore della trattativa dello Stato con la mafia, cioè come colui che avrebbe tramato per favorire addirittura Totò Riina, accettando le sue richieste contenute nel “papello”? O piuttosto glieli ridarà indietro Marco Travaglio, l’editorialista de Il fatto quotidiano, che da anni racconta la vicenda Mannino in articoli e in un recital poi confluito in un libro, sostenendo sempre la stessa tesi: cioè che il «patto di Mannino con la mafia sia accertato» e che in cambio l’ex ministro Dc si sia salvato la pellaccia, evitando la fine di Salvo Lima; e questo nonostante la sentenza del gup ora reciti il contrario, perché dopo tutto a Travaglio non interessano le verità giudiziarie ma le sue congetture personali, che lui ha la presunzione di definire “fatti”: «A me interessano poco i reati e molto i fatti», ha scritto ancora oggi in un fondo.
La verità è che quegli anni, quel pezzo di vita, un terzo della sua esistenza (ché oggi Mannino ne ha 76, di primavere) non glieli renderà nessuno.
Non glieli restituiranno neppure le sentenze dei tribunali, che ora paiono rendergli giustizia. Non glieli ridaranno le riabilitazioni postume dei media e magari della storia. E di certo non glieli concederanno i risarcimenti economici che Mannino ha già chiesto per ingiusta detenzione (è stato in carcere 9 mesi e 13 ai domiciliari tra 1995 e 1997 come misura cautelare per l’accusa di concorso esterno) e si è visto rifiutare dalla Corte d’appello di Palermo nel 2012.
Forse glieli ridarà indietro, ma solo simbolicamente, la sua nipotina che lui – come ha confessato a Il Foglio – ha subito chiamato dopo l’assoluzione, dicendole: «È tutto finito, il nonno non ha più pensieri». 
Qui non si valutano le responsabilità politiche dell’uomo Mannino, in una stagione complicata di passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica, in cui il vuoto di potere in Italia è stato spesso riempito da soggetti para-statali, di natura criminale; e in cui allo stesso tempo, insieme a una classe politica e alle bombe dei mafiosi, è esploso il fenomeno giustizialista all’italiana.
Qui si valutano le sue responsabilità penali che – esiti dei processi alla mano – sono nulle.
Da cui la rabbia nel vederlo costretto in aula, messo alla sbarra o dietro le sbarre da indagato, imputato e arrestato, e nel vederlo massacrato come “colpevole” dal giudizio superficiale dell’opinione pubblica, alimentato dalla convinzione di qualche pm e di qualche firma nota della stampa, quando invece (e una doppia sentenza lo ha ribadito) era innocente.

 

 

 

 

Associazione Sportiva Randazzo

     Storia fotografica dell’Associazione Sportiva Randazzo.

 

Stagione sportiva 1980-81 – 2^ Ctg -(vincente Campionato) In alto da sinistra Antonino Germanà, Vincenzo Guidotto, Nino Zingali (Presidente), Alfredo Giordano e Salvatore Batturi (Dirigenti), Giovanni Cosentino, Mario Sauta, Giuseppe Sangrigoli, Salvatore Bernardo, Vincenzo Meli, Gabriele Raineri (Dirigente), Mario Campi, Salvatore Corso (Dirigente), Giovanni Sauta, Antonio Vecchio, Renato Camarda, Egidio Petrullo, Salvatore Manitta e Giovanni Bertone (Dirigenti) in basso da sinistra Giueppe Calà (Dirigente), Ferdinando Benatti, Giovanni Spinale, Antonino Pace, Egidio Petrullo, Filippo Bertolo, Luciano Zingali (mascotte), Antonio Torrisi, Francesco Munda (collaboratore), Luigi Scandurra, Carmelo Militi, Sebastiano Strano, Carlo Camarata.

 

Stagione sportiva 1978-79 – 2^ Ctg – In alto da sinistra Riccardo Lucca, Carmelo Proietto, Antonino Germanà, Alfio Lo Presti, Benedetto Zingali, Luigi Scandurra, Sebastiano Mannino, Nino Paparo (Presidente) Carmelo Lucca, Giovanni Romano, Pippo Facondo (Allenatore); in basso da sinistra Salvatore Spartà, Filippo Bertolo, Carmelo Ruffino, Giuseppe Del Popolo, Mario Sauta, Antonino Spitaleri (Segretario).

 

Stagione sportiva 1979-80 – 2^ Ctg – In alto da sinistra Francesco Munda (collaboratore), Carmelo Proietto, Carmelo Lazzaro, Giuseppe Sangrigoli, Antonino Germanà, Domenico Cannella; in basso da sinistra Sebastiano Strano, Antonio Pantò, Antonino Pace, Luigi Scandurra, Giuseppe Russo, Giuseppe Magro, Vincenzo Meli.

 

 

Stagione sportiva 1975-76 – 2^ Ctg – In alto da sinistra Gianni Petrullo (Dirigente), Giuseppe Mavica, Salvatore Anastasi, Riccardo Lucca, Antonino Facondo, Antonio Cinconze, Carmelo Proietto, Antonino Germanà, Nino Paparo (Presidente); in basso da sinistra Luigi Scandurra, Alfio Rizzeri, Giuseppe Del Popolo, Mario Sauta, Antonio Ragaglia.

 

 

 
 
 

Stagione sportiva 1981-82 – 1^ Ctg- In alto da sinistra Gaetano Muzzio (Allenatore), Antonio Vecchio, Antonino Germanà, Mario Campi, Antonio Monastra, Sebastiano Strano, Francesco Munda (Collaboratore); In basso da sinistra Giuseppe Belfiore, Marcello Buscemi, Paolo Pecora, Giuseppe Magro, Mario Sauta, Domenico Pantò.

 

Stagione sportiva 1983-84 – 1^ Ctg- (vincente Campionato) In alto da sinistra A. Tortorici (sponsor), Nino Zingali (Presidente), Antonino Spartà, Salvatore Lizzio, Giacomo Straci, Antonio Raciti, Cacopardo, Sebastiano Napoli, Egidio Petrullo, Antonino Germanà, Antonino Proietto, Giuseppe Puglisi (Allenatore); In basso da sinistra Gaetano Venezia (Massagg.), Salvatoe Di Raimondo, Paolo Pecora, Vincenzo Meli, Giuseppe Belfiore, Luca Borges, Giunta.

 

Stagione sportiva 1983-84 – 1^ Ctg – (vincente Campionato) In alto da sinistra Giacomo Straci, Giuseppe Puglisi (Allenatore), Antonino Raciti, Antonino Germanà, Tino Puglisi, Agatino Cacopardo, Antonio Monastra, Carlo Camarata, Sebastiano Napoli, Salvatore Bernardo; In basso da sinistra ??, Salvatore Di Raimondo, Giuseppe Belfiore, Egidio Petrullo, Antonio Vecchio, Vincenzo Meli, Giunta, Salvatore Lizzio.

 

Stagione sportiva 1983-84 – 1^ Ctg – (vincente Campionato) In alto da sinistra Giuseppe Puglisi (allenatore), Tino Puglisi, Egidio Petrullo, Antonino Germanà, Cacopardo, Salvatore Lizzio, Giacomo Straci, Sebastiano Napoli, Carmelo Granato (Dirigente); In basso da sinistra Carlo Camarata, Giuseppe Belfiore, Antonino Raciti, Antonio Vecchio.

 

Stagione sportiva 1985-86 – Campionato di Promozione – In alto da sinistra Egidio Petrullo, Gianfranco Grasso (D.S.), Salvatore Barbagallo, Antonino Germanà, Giuseppe Guzzardi, Antonio Faro, Giovanni Gulli, Salvatore Aiello, Giuseppe Magro, Giacomo Spuches, Antonino Mollica (Prep. Atletico), Renato Marletta (Allenatore); In basso da sinistra Salvatore Batturi (Dirigente), Gaetano Perdichizzi, Giuseppe Calamato, Vincenzo Anzalone, Carmelo Militi, Giovanni Murabito, Giacomo Straci, Domenico Maccarrone, Giuseppe Albanese, Giovanni Muscolino.

 

Stagione sportiva 1985-86 – Campionato di Promozione -In alto da sinistra Giuseppe Guzzardi, Giovanni Gulli, Antonino Germanà, Giuseppe Ardizzone, Salvatore Aiello, Giacomo Spuches, Renato Marletta (Allenatore), Gianfranco Grasso (D.S.). In basso da sinistra Giovanni Murabito, Giacomo Straci, Domenico Maccarrone, Giuseppe Albanese, Giovanni Muscolino.

 

 

 

 

Stagione sportiva 1985-86 – Campionato di Promozione – In alto da sinistra Antonino Germanà, Giuseppe Ardizzone, Giuseppe Guzzardi, Giovanni Murabito, Giovanni Platania, Giovanni Gulli, Gaetano Faro, Salvatore Aiello, Domenico Calamato; In basso da sinistra Vincenzo Anzalone, Salvatore Barbagallo, Giuseppe Albanese, Carmelo Militi, Giacomo Straci, Giovanni Muscolino, Domenico Maccarrrone.

 

Foto Nino Proietto

 

Foto Nino Proietto

 

 

foto di Alfredo Lo Presti

Foto di Alfredo Lo Presti

Salvatore Rizzeri

 

Salvatore Rizzeri funzionario in pensione del Banco di Sicilia – Unicredit S.P.A. nasce a Randazzo l’11 Settembre 1954, dopo aver compiuto gli studi dell’obbligo presso le scuole statali della sua città viene iscritto dai genitori presso uno degli Istituti più prestigiosi dell’Isola: Il Collegio Salesiano “ San Basilio “ di Randazzo, prima scuola Salesiana in Sicilia voluta e fondata direttamente da Don Bosco nell’anno 1879.
Nel 1973 consegue il Diploma di Ragioniere e Perito Commerciale col massimo dei voti e ad appena 19 anni viene assunto dall’Istituto di Credito.
Qualche anno dopo è tra i pochissimi dipendenti ad essere prescelto per il conseguimento della specializzazione in Consulenza Finanziaria, cosa che ottiene seguendo i corsi della ( S.D.A.) Scuola di Direzione Aziendale dell’Università “ L. Bocconi “ di Milano.
Si laurea in Economia e Commercio nel 2013, ma il suo vero amore e la sua passione hanno un nome ben preciso: Randazzo.
La ricerca documentale e storica della sua città lo appassiona, in questo certamente favorito dall’ambiente e dalla cultura Salesiana del Collegio in cui ha compiuto gli studi ed in cui operava, proprio in quegli anni, uno degli studiosi e ricercatori più insigni della città: il Sacerdote Prof. Salvatore Calogero Virzì.
Il poco tempo libero a disposizione viene impiegato da Rizzeri nello studio e nella ricerca storica sulla città, ma la vera occasione per approfondire le proprie conoscenze gli viene data a metà degli anni 80 quando, per motivi di lavoro, deve trasferirsi per alcuni mesi a Palermo, avendo così modo di consultare una grande quantità di documenti nei vari archivi della capitale isolana.
Inizia in questo periodo la produzione letteraria del ricercatore, numerosi ed apprezzati gli articoli pubblicati sulla rivistaRandazzo Notizie e su alcuni quotidiani a tiratura regionale quali “ La Sicilia “ di Catania, il “Giornale di Sicilia” di Palermo e la “ Gazzetta dell’Etna “.
Interessantissimi i contenuti delle oltre 60 monografie da lui trattate che spaziano dai personaggi più o meno noti, agli avvenimenti di grande rilievo storico, alle tradizioni culturali e religiose, alle opere d’arte e ai monumenti della sua Città.

  1. Le Confraternite in Randazzo,

  2. La chiesetta degli Agathoi e i suoi affreschi,

  3. Erasmo Marotta da Randazzo,

  4. I Moti rivoluzionari del 1848 – 1860 e la venuta di Nino Bixio a Randazzo,

  5. La Battaglia di Randazzo e i bombardamenti del Luglio-Agosto 1943,

  6. I Normanni e la Sicilia,

  7. La Settimana Santa a Randazzo,

  8. La Judaica Randazzo,

  9. I Vespri Siciliani e l’Assedio di Messina,

  10. I Mulini ad acqua della medievale Randazzo.

Solo per citarne alcune, e cosa non dire dell’opera più importante e voluminosa frutto di molti anni di ricerca e di studio: “Le Cento Chiese di Randazzo i Conventi e i Monasteri “, nonché la completa ed interessante “Guida della Città di Randazzo”. 
Numerosissimi gli studenti, anche stranieri, che a lui si rivolgono per avere notizie particolari che nessun volume su Randazzo riporta e diverse le Tesi di Laurea alla cui stesura ha collaborato e contribuito.
Per la RAI-TV nazionale ha illustrato l’opera pittorica di Girolamo Alibrandi “La Salvezza di Randazzo in occasione di un servizio televisivo sulla Basilica di S. Maria.
E’ stato il relatore in occasione del 67° anniversario dell’affondamento della “Corazzata Roma”, organizzato dall’Ammiragliato per la Sicilia Orientale, sempre trasmesso dalla RAI. Opera nel campo del volontariato in collaborazione con i dirigenti scolastici della città impartendo lezioni di storia ai ragazzi delle elementari e delle medie.
Da sempre contribuisce con il suo costante impegno a divulgare la conoscenza di “ ……. Quel cantuccio di mondo sopravvissuto al medioevo
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L’ultima “fatica” di Salvatore Rizzeri un’opera di 429 pagine sulle origini e fino alla storia recente di Randazzo. Un lavoro straordinario fatto con la consueta passione e meticolosità .

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Randazzo 1 / Intervista a Salvatore Rizzeri sulla festa dell’Assunta: “La vara è (forse) unica al mondo”.  di  Annamaria Distefano

Annamaria Distefano

Salvatore Rizzeri è un ex Funzionario del Banco di Sicilia oggi Unicredit, da poco in pensione. Laureato in Economia e Commercio, master in Consulenza Finanziaria, presso l’Università  Bocconi, è uno storico appassionatissimo, che conosce ogni particolare di ogni vicenda che abbia in qualche modo coinvolto il suo amatissimo paese, Randazzo. Lo abbiamo intervistato per avere notizie precise circa la nascita e la vita della Vara.
La Vara di Randazzo è stata la prima in Sicilia o ha tratto spunto da altre? Quella di Messina, ad esempio, era antecedente o precedente?
Ritengo che la Vara di Randazzo non possa vantare il privilegio di essere stata la prima  a comparire in Sicilia. Il dotto e storico Salesiano don Salvatore Calogero Virzì a tal proposito afferma, pur senza supporto documentale,  che “ . . . . Le sue origini sono da ricondursi alla seconda metà del 1500 e si collegano certamente alla venuta a Randazzo dell’Imperatore Carlo V.  La delegazione randazzese, invitata ad accompagnare il sovrano a Messina, ebbe così modo di stupirsi e meravigliarsi ammirando lo sfarzo e la magnificenza del carro trionfale dell’Assunta che in quell’occasione venne montato e fatto sfilare dai messinesi, per essere ammirato dall’Imperatore, nonostante il ferragosto fosse già passato da oltre due mesi”. A suo dire, pertanto, anche se di solo qualche anno è successiva a quella di Messina.
Abbiamo fonti storiche che documentano quale sia stata l’ispirazione alla base della creazione della prima Vara?
La mancanza di documenti (molti sono stati nel corso dei secoli gli eventi calamitosi che hanno totalmente distrutto il patrimonio documentale dei vari archivi esistenti nella città) non ci consente di affermare con certezza quale sia stata l’ispirazione alla base della creazione di tale imponente carro trionfale. Gli storici municipali azzardano l’ipotesi che l’ispiratore ed esecutore del progetto possa essere stato il grande architetto del Senato messinese Andrea Calamech, in quegli anni a Randazzo per sovrintendere ai lavori di restauro delle chiese di Santa Maria e di San Nicola. Così come non è da scartare l’ipotesi secondo cui l’idea ispiratrice della realizzazione del carro trionfale possa essere stata data dall’opera pittorica di Giovanni Caniglia, datata 8 agosto 1548, che tutt’ora  trovasi posta nella cappella absidale del Crocifisso nella chiesa di Santa Maria. Il dipinto assume infatti l’aspetto di un trittico verticale in cui risultano sovrapposte tre distinte scene: “La Dormitio” in basso, “l’Assumptio” al centro, “La Glorificatio” in alto.
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Chi ne volle l’importazione a Randazzo ?
 Le nobili e potenti famiglie randazzesi gestivano da sempre il potere economico politico e amministrativo della città. Essendo Randazzo da secoli per importanza la seconda città del Valdemone, dopo Messina, si volle, da parte di questi, dare ancora maggiore risalto e visibilità non solo alla città, ma anche al loro operato.
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Negli anni, la Vara di Randazzo ha subito delle modifiche sostanziali, dal punto di vista strutturale e/o dal punto di vista formale? E il percorso ha subito variazioni?
Nel corso dei secoli la Vara ha subito modifiche anche sostanziali sia dal punto di vista strutturale, così come da un punto di vista formale. Di ciò si ha certezza dai vari e diversi disegni rinvenuti nell’Archivio della Basilica di S. Maria e appartenenti a periodi storici diversi. Alcuni di questi sono stati riportati nell’interessante ed ormai introvabile volume del Salesiano don Calogero Virzi – La Chiesa di S. Maria di Randazzo -, edito dal Comune negli anni ‘80. 
Con quale meccanismo veniva e viene trainata la Vara per le strade di Randazzo?
Il Carro trionfale della Vara, pesantissimo e di non agevole manovrabilità, è stato sempre trainato a forza di braccia, con due lunghissime e possenti funi, da un nugolo di ragazzi. Nei secoli passati, quando il corso Umberto non era ancora lastricato, la Vara si muoveva facendo scivolare il carro su robusti tronchi di legno che man mano venivano posti davanti al carro lungo la direzione intrapresa.
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Ci sono stati anni in cui la Vara di Randazzo non è uscita? Ad esempio durante la guerra?
Solamente dal 1973 la festa della Vara si celebra costantemente ogni anno. In passato la festa aveva una cadenza triennale, salve diverse e più lunghe interruzioni a motivo di eventi particolari (guerre, pestilenze, carestie). Il periodo più lungo di interruzione che personalmente ricordo è quello intercorso tra il 1967 e il 1973
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Attualmente la Vara di Randazzo è l’unica in Sicilia?
La Vara di Randazzo è certamente unica nel suo genere in Sicilia. Quella di Messina, seppur più pubblicizzata dai media, non ha niente a che vedere con l’originalità, bellezza e peculiarità di quella della nostra città, sia per dimensioni (18-20 metri in altezza), che per la presenza di 25 personaggi viventi, nonché per i particolari movimenti che la stessa è in grado di eseguire (rotazione nei due sensi delle ruote centrali, l’una a destra, l’altra a sinistra e inoltre per il movimento rotatorio di tutto l’asse del carro). Un complesso armonioso che suscita lo stupore del forestiero che la vede per la prima volta.
Che lei sappia esiste qualcosa di simile in altre parti d’Italia o in altre nazioni del mondo?
Fercoli sacri di varie strutture e dimensioni sono presenti in varie parti del mondo e soprattutto in Italia. Una delle testimonianze medievali più note, il Carroccio della Lega Lombarda, è testimoniato a partire dal 1176, con sopra una croce ed un altare accompagnava in battaglia i soldati contro Federico Barbarossa. Posso comunque affermare senza possibilità di smentita che non esiste al mondo un carro trionfale simile alla “Vara di Randazzo”.
 
Come è cambiato, se è cambiato, il modo in cui la cittadinanza randazzese vive questo evento?
Nel corso dei secoli, ma in particolare negli ultimi 20 anni, purtroppo, è cambiato un po’ l’atteggiamento della cittadinanza randazzese nei confronti di un tale straordinario evento. Si è ridotto quell’entusiasmo e quell’impaziente attesa che precedeva la festa. Ne vi è più la partecipazione di popolo che caratterizzava l’evento come nei decenni passati. La città si riempie si di decine di migliaia di visitatori entusiasti e sbalorditi alla vista di tale “meraviglia”, ma quelli che si vedono sempre meno sono, purtroppo, i giovani randazzesi che magari preferiscono trascorrere una giornata a mare.
 
Quali sono i suoi primi personali ricordi della Vara di Randazzo?
Da ragazzo abitavo ad appena 150 metri dalla “Tribonia” – le Absidi di Santa Maria -, il luogo ove veniva e viene tutt’ora montata la Vara. Oggi con i moderni mezzi meccanici ci si impiega non più di due giorni per approntarla. Ai miei tempi invece (anni 60), si iniziava il lavoro almeno una settimana prima e tutti i ragazzini del quartiere assistevamo con entusiasmo in particolare all’alzata del “Tronco” e al suo fissaggio al centro del carro.
Operazione non semplice, ed anche pericolosa, che richiedeva il lavoro di esperti operai per la durata di un intero giorno. I 25 personaggi prescelti venivano poi preparati molto tempo prima da Piero Santangelo, e nei giorni che precedevano l’uscita del carro giravano i quartieri e le piazze di Randazzo intonando e provando l’antica canzone-inno alla Vergine, in stretto ed antico dialetto randazzese.

Annamaria Distefano

 

 

 

Salvatore Rizzeri – La Comunità ebraica di Randazzo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Manuela Mannino

Mi chiamo Manuela Mannino, sono nata a Catania il 1° settembre 1977.
Ho vissuto a Randazzo fino ai ventitré anni per trasferirmi successivamente a Lamezia Terme città nella quale vivo fino ad oggi e dove ho creato la mia famiglia. A Randazzo abitano i miei genitori e torno spesso nel “nostro” paese anche solo per poter respirare l’aria di casa e guardare l’Etna che tanto mi manca dove vivo adesso. Forse potrà sembrare sciocco a chi non si è mai allontanato dalle zone etnee, ma vi assicuro che per me è così!

Sono stata invitata a scrivere queste poche righe perché ho pubblicato un libro “Anonima” con la casa editrice bookabook di Milano, ma io non mi definisco e non mi definirò mai una “scrittrice”, perché non lo sono e, per come stanno le cose nel mondo dell’editoria nazionale, ho preso in antipatia il termine che è entrato nel lessico con troppa leggerezza.
Oggi siamo circondati da gente che pubblica non da scrittori. Sono un’autrice, una narratrice e questo mi basta.

Sono arrivata alla scrittura tardi, nel 2015, ma vanto una carriera da lettrice dal 1984.
Ho una laurea triennale in Economia Agraria, ho svolto molteplici incarichi lavorativi tutti in ambiti diversi, anzi diversissimi dal sociale alle gare d’appalto per lavori pubblici!

Ho iniziato a scrivere su una piattaforma online wattpad. Ho iniziato a cuor leggero senza avere l’obiettivo di portare a termine ciò che avevo iniziato. Non avevo messo in conto il mio carattere che mi porta sempre a far sul serio in ogni situazione.
  “Anonima” è nata così e sarebbe rimasta lì se non fossi venuta a sapere di questa casa editrice che accettava manoscritti di aspiranti esordienti e non chiedeva contributi per la pubblicazione. Ho inviato il mio testo e non credevo di passare al vaglio qualitativo e invece il mio scritto è andato avanti e ha passato la selezione qualitativa e anche quella delle prevendite in un solo mese. La fase delle prevendite è stata una prova difficile, ma l’ho superata grazie alla mia ex professoressa d’italiano Nina Romeo che mi ha pubblicizzato.

“Anonima” ha la capacità di essere una storia diversa per ogni lettore. Per me è un romanzo rosa o almeno è il romanzo rosa che io vorrei leggere e che oggi manca nelle librerie perché si prediligono storie non originali che seguono cliché triti e ritriti o ci sono storie al limite del buongusto. Il mio target di lettori di riferimento sono sempre state le donne dai venti anni in su. Dalla pubblicazione in poi invece quasi nessuno mi ha dato ragione, “Anonima” è stato inserito nella categoria della narrativa contemporanea, ho molti lettori uomini che hanno apprezzato il mio testo, c’è chi vede in “Anonima” un testo di denuncia sulla violenza di genere anche se sono davvero poche le parti che trattano tale tema, è stato definito un testo di crescita, di rinascita, c’è chi vi ha intravisto un filone thriller… Insomma, ogni lettore trova pane per i suoi denti e devo dire che la cosa mi dona una certa soddisfazione.

Ecco la sinossi:

“L’esistenza felice e spensierata di Sara è completamente stravolta: una feroce aggressione del suo fidanzato la riduce in fin di vita. Uscita dal coma, una verità difficile da accettare la porta a scappare lontano e sparire. Diventa Ambra, una ragazza diversa, con una nuova casa in un posto lontano. Ma Ambra non vive, si rifiuta di interagire con il mondo circostante perché fugge da un passato che l’ha profondamente ferita sia nel corpo sia nell’anima. Vuole essere anonima, scivolare invisibile agli occhi degli altri, senza mai intrattenere relazioni umane.
Solo l’arrivo di un nuovo collega, Luca, riporterà energia e vita nell’esistenza di Ambra, spingendola a trovare la forza per tornare agli eventi di otto anni prima e a indagare i silenzi che le impediscono di andare avanti.”

Manuela Mannino

Ho anche partecipato al Premio Themis di Bronte nel 2016, aggiudicandomi la pubblicazione in antologia in quanto il racconto, da me presentato in tale occasione, “Pietre al sole” è arrivato fra i primi dieci. Questo concorso è stato una grande soddisfazione anche perché è stato il primo a cui ho partecipato e conteneva un messaggio a me caro che, grazie alla scrittura ho potuto esternare.

Ecco, la scrittura per me è un veicolo attraverso il quale si può lanciare un messaggio importante anche a persone che non conosci e lasciare un qualcosa in ognuno di esse.

Lo scritto che per ora alberga nel mio cuore e nella mia mente è il mio secondo racconto “DUE APRILE”.
Spero proprio di riuscire a pubblicarlo. DUE APRILE ( il carattere maiuscolo ha un suo significato, è un urlo di denuncia ), è ambientato a Randazzo con: l’Etna, la ginestra, l’istituto Santa Caterina, il pellegrinaggio a Mojo Alcantara, il bar Musumeci, Santa Maria…

La sintesi è un mio dono e dunque direi che basti questo! Ringrazio il blog per avermi contattata.

È possibile acquistare “Anonima” presso la cartolibreria di Donata Reitano o su tutti gli store online.

Pagina autrice: https://www.facebook.com/Manuela-Mannino-Autrice-1606014162825077/

 

Intervista all’autrice Manuela Mannino…

Ciao Manuela benvenuta tra noi, parto subito con il chiederti di presentarti e raccontarci un po’ chi sei e cosa fai.

Ho 40 anni, sono mamma e moglie . Laureata in Agraria, da tre anni scrivo. A gennaio è stato pubblicato il mio primo libro Anonima. Ho fatto di tutto e voglio continuare a fare di tutto.

Hai altre passioni che coltivi oltre alla scrittura?

Ovviamente la lettura è stata la mia prima passione e, ultimamente, le serie tv che stanno diventando quasi una droga!

Che tipo di libri scrivi, ce ne parli un po’? Presentaci i tuoi personaggi.

Ciò di cui scrivo è ancorato alla realtà che ci circonda. Intendo la scrittura come un mezzo per esternare i nostri pensieri e porre l’accento su ciò che accade nel quotidiano donandogli il tempo necessario per assimilarlo. Oggi tutto accade troppo velocemente e le notizie ci scivolano via senza lasciare nulla a parte uno stupore passeggero. Attraverso un libro si ha un più ampio respiro, si può far entrare in empatia il lettore con il personaggio. Principalmente parlo di donne quando scrivo racconti lunghi, uomini nei miei racconti brevi.

Hai sempre amato scrivere o è una passione uscita con il tempo?

Ho sempre amato leggere, ho iniziato a scrivere nel 2015 per gioco sulla piattaforma di wattpad e mai avrei pensato che sarei riuscita a completare la mia prima storia né tantomeno di pubblicarla con una casa editrice.

Da dove arriva l’ispirazione? Hai rituali o abitudini a cui ti affidi prima di scrivere e leggere?

L’ispirazione arriva all’improvviso, come una folata di vento inaspettata e mi travolge, inizio subito a immaginare dialoghi o le sensazioni che devono suscitare nel lettore certe scene, espressioni dei volti, stati d’animo dei protagonisti. Se, dopo un po’, non riesco a liberarmi di questa idea mi siedo e scrivo. Una abitudine che ho è il non iniziare a scrivere senza aver mangiucchiato qualcosa. Per la lettura no, non ho nulla di particolare.

Cosa c’è sempre e non può assolutamente mancare nei tuoi libri? Cosa invece non troveremo mai e perché?

Ad oggi c’è sempre la Sicilia, c’è la realtà, c’è un dramma. Non troveremo mai… non saprei proprio dirvelo! Mai dire mai, la mia fantasia vola in alto e si è pure spinta sotto due metri di terra.

Solitamente prima di essere scrittori si è lettori, tu che tipo di lettrice sei? Hai dei generi preferiti?

Io  passo da periodi di massima attività nella lettura a momenti in cui mi blocco e non leggo. Se, ad esempio, becco un libro che non mi piace mi blocco, e poi lo riprendo e lo porto al termine (perché non interrompo mai un libro a metà), ma se non mi piace impiego molto tempo per finirlo. Odio chi abbandona un libro, qualsiasi libro.

Amo le storie realistiche, amo gli autori del passato quelli veri, quelli che hanno saputo lasciare una vera opera che resiste al tempo a una lingua che cambia. Non disdegno comunque nessun genere, ciò che non sopporto sono i libri cloni di una moda temporanea.

Progetti in writing progress e futuri che tieni in un cassetto?

Sto limando il mio secondo lavoro “Due Aprile” con lentezza e nel frattempo il mio subconscio è alla ricerca di una spinta per scrivere un nuovo racconto lungo.

Quanto è difficile il mondo dell’emergente? Cosa cambieresti e cosa svilupperesti invece?

È difficilissimo! Oggi un autore non deve essere solo capace di scrivere ma anche un abile venditore. I libri che si vendono da soli sono quelli di autori affermati non quelli di un emergente comune. Chi già all’esordio ha un discreto successo sono quegli autori che hanno alle spalle grosse case editrici che investono in una serie di servizi atti a rendere appetibile un’opera. Io credo che l’editoria debba tornare a fare il suo lavoro e l’autore debba saper scrivere non per forza saper vendere.

Self o Ce, cosa ne pensi di questi due mondi?

La Casa editrice è stata la mia scelta e spero di poter avere una Ce anche per “Due Aprile”. Il self potrebbe essere una bellissima realtà, ma ad oggi io credo che almeno in Italia non sia una valida scelta per un emergente perché è troppo affollata e la maggior parte di ciò che ho comprato si è rivelata spazzatura. Ciò va a svantaggio di chi lavora veramente bene e di chi si impegna a rendere il suo elaborato di qualità. Unico acquisto che mi ha soddisfatta è stato quello di una ragazza che ho conosciuto su wattpad che ha pubblicato delle strisce umoristiche davvero perfette: bella impaginazione, disegni accurati, sceneggiatura davvero divertente e intelligente. Ma attenzione! Anche le Case editrici sono tante, proprio come gli autori in self e anche molte Ce sono in realtà delle grandi tipografie e niente di più. Sarebbe meglio ridimensionare il tutto, non pubblicare ogni piccola ideuzza che si ha da parte degli autori e che chi volesse fare l’editore lo faccia con coscienza non pensando solo al denaro. 

Il commento più bello ricevuto e quello più brutto per i tuoi scritti?

Tanti su wattpad lì si vive solo di commenti! Per quanto riguarda Anonima, il mio libro edito, alcune lettrici mi hanno detto di non esser riuscite a smettere di leggere, di averlo finito in un’unica sessione di lettura. Hanno apprezzato in molti anche il mio tono nella narrazione l’esser stata delicata su certi aspetti, si complimentano anche sul  finale non scontato ed è molto apprezzato. Commenti brutti no, forse negativi? Anche se per me nessun commento può esser negativo, perché un parere è uno scambio che io accetto sempre e con umiltà. Uno di questi è stato la caratterizzazione dei personaggi secondari che per alcuni è stata poco approfondita, io concordo con questo appunto anche se riconosco che la storia di Anonima sia solo la storia di Ambra la protagonista, io mentre scrivevo vedevo solo lei e lei era concentrata solo su se stessa.

Un libro che assolutamente consigli e uno invece che non sei riuscita a terminare?

La storia di Elsa Morante per me è uno dei libri fondamentali insieme ad altri. Li termino tutti! Ma sconsiglio i prodotti commerciali che affollano le librerie.

Un viaggio che da sempre desideri fare ma che non hai ancora potuto? Perché?

Desidero andare a Parigi perché non ci sono ancora andata. È una risposta banale ma è la verità!

Hai una citazione, un motto a cui sei particolarmente  affezionata?

Ultimamente penso sempre alla favola “Il vestito nuovo dell’imperatore”. C’è la frase del bambino in cui dice che l’imperatore è nudo, ecco mi ripeto sempre di esser quel bambino e di non perdere la sua capacità di vedere la verità senza sottostare a nessun tipo di condizionamento. Poi c’è da dire che sono cresciuta con mia nonna e lei mi ripeteva sempre tutti i modi di dire dialettali che conosceva e quelli li intercalo spesso nelle varie situazioni che mi si prospettano durante la giornata!

Augurandoti il meglio, spero ti sia piaciuto stare un po’ con noi, a presto Manuela!

https://bookabook.it/libri/anonima/

 

      JFM consiglia: Due Aprile di Manuela Mannino

 

Da ora in poi il giovedì sarà dedicato a consigliarvi romanzi di altri autori Wattpad.
Oggi vi parlerò di un libro fuori dagli schemi (perchè su Wattpad, udite, udite, potete trovare anche libri che non parlano di teenager che vengono consensientemente stuprate da badboy con la faccia di Harry Styles)!
Scusandomi con Manuela Mannino per aver messo nella stessa frase il suo libro e Harry Styles, oggi vi parlo di Due Aprile. https://www.wattpad.com/story/67679775 (in corso).
Questa è una delle prime storie che ho trovato su Wattpad, ha anche vinto, meritevolmente, il premio Wattys 2016.
Il due aprile è la giornata dedicata all’autismo ed è proprio da questa data che l’autrice fa scaturire il suo racconto, un misto fra una narrativa poetica mescolato ad una critica consapevole della cruda realtà. L’autismo è ai giorni nostri ancora un tabù, un mistero, qualcosa che ci sfiora ma non comprenderemo mai appieno.
Ed è questo l’intento dell’autrice, trascinarci nel baratro insieme alla protagonista che, invece, dell’autismo ha fatto la sua malattia, perché la vive tutti i giorni, da sola affronta il mondo con e per suo figlio, colpito da questa sindrome.

Il racconto si svolge in prima persona e ci sviscera per filo e per segno una quotidianità distrutta da questo orco invisibile, una realtà vista con occhi consumati, una donna che lotta da sola, perché il resto del mondo non potrà mai capire cosa significhi davvero quello che sta passando; ma il tutto narrato attraverso una poetica che ti culla, ti immedesima, ti fa comprendere, ti fa sperare che un raggio di sole possa entrare nella vita di questa persona, per lenire anche un po’ la nostra coscienza di spettatori esterni.


Quindi se volete ricredervi sulla qualità delle storie che girano su Wattpad, cominciate da questa =)
L’autrice ha anche da poco pubblicato il suo primo libro in self publishing, Anonima, che ovviamente consiglio. Lo potete visionare e, spero, acquistare, a questo link! https://bookabook.it/prodotto/anonima/  
     A cura di Lucio Rubbino

 

 

 

 

ANTONIO CANEPA

CANEPAAntonio. – Nacque a Palermo il 25 ott. 1908, in una famiglia di origine genovese, da Pietro e da Teresa Pecoraro.

Nel 1930 il C. si laureò in giurisprudenza all’università di Palermo con una tesi di filosofia del diritto dal titolo Unità o pluralità di ordinamenti giuridici?, nella quale appaiono già con chiarezza tesi politiche antifasciste.

Durante il servizio militare, prestato a Palermo, iniziò l’attività pratica di opposizione al regime, che si concretò inizialmente nei legami stretti con un gruppo di antifascisti settentrionali (Attinelli, Vittoriano Massolo, Davide Turrone, Biglieri ed altri).
Con essi formò un gruppo omogeneo per orientamento ideologico, più tardi chiamato dei “sanmarinesi”, con i quali studiava l’attuazione di un colpo di mano nella Repubblica di San Marino, per dimostrare l’esistenza in Italia di forze contrarie al regime fascista.

Questo piano, che doveva concretamente essere messo in atto nei primi di giugno del 1933, consisteva nel far convergere nella Repubblica alcuni gruppi provenienti da varie parti d’Italia, occupare i posti di polizia locali, impadronirsi della radio, catturare la famiglia fascista Gozzi, che a San Marino deteneva il potere, impadronirsi del tesoro pubblico (destinato a finanziare l’antifascismo all’estero), emettere via radio una serie di comunicati antifascisti, quindi, dopo ventiquattro ore di occupazione, possibilmente riparare in Svizzera.

Il complotto tuttavia fallì, in seguito all’arresto del fratello del C., Luigi, che era stato trovato in possesso dei piani dell’occupazione, durante un suo soggiorno di ricognizione a San Marino. Subito dopo le autorità fasciste operarono altri venti arresti fra cui quello dello stesso Canepa.
.In seguito al processo il Canepa venne internato in manicomio a Roma e poi a Palermo, mentre agli altri congiurati vennero inflitte pene varianti fra i quattro e i due anni. Dimesso dalla casa di cura nel 1935 il C. rinunciò, temporaneamente, all’attività di aperta opposizione al fascismo ed iniziò una attività di ricerca e di studio. Già nel 1937 pubblicò a Roma in tre volumi il
 Sistema di dottrina del fascismoBenché quest’opera venisse lodata dalla rivista ufficiale Gerarchia (XVIII [1938], 8, p. 580) e nonostante il titolo, essa era costruita con un abile taglio per la propaganda di idee democratiche antifasciste, con amplissime citazioni di opere proibite, specie marxiste. Questa caratteristica non sfuggiva al Popolo d’Italia, che le dedicò un corsivo molto polemico.

Nel 1937 il C. otteneva l’incarico di storia delle dottrine politiche e di storia dei trattati e politica internazionale, all’università di Catania. Egli venne allora ad assumere il duplice ruolo di professore universitario ligio al regime e di clandestino animatore ed organizzatore dei primissimi nuclei di Giustizia e Libertà. Contemporaneamente divenne agente dell’Intelligence Service inglese.

Johann Wolfgang von Goethe.

Allo scoppio della guerra il Canepa  era in prima linea nell’attività antifascista: rappresentava infatti i nuclei Sicilia e Libertà a Catania: si trattava delle prime organizzazioni di orientamento indipendentista, di cui era presidente Andrea Finocchiaro Aprile, convinte della necessità di azioni armate contro il fascismo.
Sin da questa prima fase il Canepa  rappresentò l’ala sinistra del movimento indipendentista siciliano e, con tale orientamento, pubblicò, a Catania, nel 1942, un opuscolo che ebbe larga diffusione a Catania, ma anche a Messina e a Palermo.
Il titolo di tale opuscolo era 
La Sicilia ai siciliani e venne pubblicato con lo pseudonimo di Mario Turri.

In esso, dopo una ricostruzione delle vicende storiche dell’isola il C. afferma che “la Sicilia si è trovata male sotto qualunque governo che non fosse siciliano. E si è trovata malissimo sotto il governo italiano. E si è trovata ancora peggio, peggio che mai, sotto il governo fascista”, e conclude affermando “Non si può continuare come per il passato. Per noi siciliani è questione di vita o di morte. Separarci o morire”.

Argomentazione centrale del C. in questo scritto è inoltre quella che l’indipendenza siciliana sia lo strumento indispensabile per il progresso delle classi inferiori.

In questa idea sta anche il nucleo dell’indipendentismo di sinistra rappresentato, oltre che dal C., più tardi anche da Antonino Varvaro.
Tale concezione sarà però destinata a scontrarsi con il separatismo reazionario degli agrari e sarà, molto verosimilmente, questa l’origine, non solo della divisione del movimento indipendentista, ma anche della morte stessa del Canepa.

L’attività pubblicistica era però la parte meno importante dell’azione antifascista del Canepa, dalla fine del 1942 alcuni gruppi da lui diretti iniziarono azioni armate contro installazioni fasciste e germaniche. In tal modo, sempre per iniziativa del C., prese corpo il primo nucleo dell’E.V.I.S. (Esercito volontario per l’indipendenza siciliana).
Fra le azioni di rilievo compiute in questa fase va annoverato soprattutto il sabotaggio compiuto all’aereoporto di Gerbini, presso Catania, importante base aerea germanica per le incursioni sulla isola di Malta, un mese prima dello sbarco alleato in Sicilia.
Dopo l’arrivo delle forze alleate il C. collaborò attivamente con esse e operò anche da collegamento con le organizzazioni partigiane del Nord.
Nei primi mesi del 1944 si trovava infatti in Toscana, dove comandava una brigata partigiana denominata “Matteotti”, ma di orientamento anarchico e non inquadrata nei partiti del Comitato di liberazione nazionale.
A Firenze fondò anche, ma si trattò solo di un’esperienza transitoria, un “Partito dei lavoratori“. In tale periodo si collocano anche i suoi contatti, secondo molte testimonianze assai stretti e per taluni anche da militante, con il Partito comunista italiano.
Per esempio secondo Edoardo D’Onofrio il C. ebbe strettissimi contatti con le organizzazioni del partito (cfr. Gaja, pp. 200-02); questa attività militante del Canepa  nelle file del PCI non è però corroborata da altre testimonianze: Leonardo Sciascia ricorda come manchi in proposito un documento ufficiale e il Renda lo esclude esplicitamente.

Dopo il periodo di cui si è detto al Nord, il Canepa  ritornò, alla fine del 1944, a Catania dove riprese il suo posto di professore universitario, e il ruolo di capo del braccio armato del Movimento indipendentista, al quale egli affidò, in opposizione alla maggioranza moderata dell’indipendentismo siciliano, un ruolo decisamente rivoluzionario. Il movimento era stato, fin dal suo sorgere nel 1942, appoggiato dalle forze alleate. Quando tale appoggio venne a mancare, la lotta armata tuttavia continuò in varie parti dell’isola. Il C., che costituì anche una sua brigata nel marzo del 1945, continuò ad esserne uno dei capi militari.

Il 17 giugno 1945, nel corso di un conflitto a fuoco con i carabinieri, sulla strada fra Randazzo e Cesarò, Antonio Canepa veniva ucciso.
Alcune donne (tra cui la mamma di Emanuele Gullotto) sentendo tutto questo trambusto andarono nella chiesa dei Cappuccini a chiamare il dottor Gianbattista Pannisidi Sapio  che stava ascoltando la Messa e questi con padre Luigi Magro (autore del libro: “Cenni storici della Città di Randazzo” che puoi trovare in un’altra parte del sito) prontamente si recarono sul posto, ma non c’era più nulla da fare per il Canepa. Furono portati all’ospedale, lì si trovavano casualmente Nino Greco e Gino Paparo, e venne chiamato pure il dottor Salvatore Mannino che accerta la morte di Antonio Canepa (per dissanguamento  e dei giovani che erano con Lui: Giuseppe Lo Giudice e Carmelo Rosano.

Antonio Canepa è sepolto nel cimitero di Catania, nel viale dei siciliani illustri, accanto a Giovanni Verga e Angelo Musco.

 

Luigi Putrino

Dopo 79 anni ha un volto il «Ragioniere Donovan»: lo 007 che contribuì allo sbarco del ’43 in Sicilia

di — 

 

Mario Carastro

Dopo 79 anni ha un volto il «Ragioniere Donovan», è mister Anthony Eric Heath, ex vice amministratore della Ducea Nelson di Bronte, lo 007 inglese facilitatore dello sbarco Alleato del ’43 (avvenuto nella notte fra il 9 e 10 luglio), nonché contatto degli indipendentisti siciliani Antonio Canepa e Salvatore Giuliano.
Il misterioso personaggio è stato identificato dall’ingegnere Mario Carastro, cultore di storia patria, originario di Bronte.

«Secondo molti studiosi, il famoso ragioniere Donovan era stato amministratore della Ducea Nelson, negli anni Trenta. Ebbene, oltre Heath – spiega Carastro – tale ruolo in quel decennio lo ricoprirono: George Dubois Woods (partito per il Canada nel 1938), George Niblett (trasferitosi in Inghilterra nel 1940) e Lawrence Hughes (internato come nemico in un campo di concentramento a Parma dal giugno 1940)».

Prosegue Carastro: «Soltanto Anthony Eric Heath, quindi, poteva trovarsi in Sicilia nel 1943 ed essere riconoscibile come ex amministratore dei Nelson. Questo e altri dettagli consentono, con ragionevole certezza – puntualizza l’ingegnere -, d’identificare Heath con il ragioniere Donovan, capo operativo di Mario Turri, alias del professore Antonio Canepa, comandante dell’Evis e agente segreto inglese pure lui, ucciso durante il conflitto a fuoco vicino a Randazzo, all’alba del 17 giugno 1945».

Sulla prima permanenza siciliana del giovanissimo Tony, Carastro racconta: «Nel novembre del 1929, il V duca di Bronte, Alexander Nelson Hood, a Londra decise di assumerlo come aiuto amministratore. Le modalità del suo viaggio, comunicate da Scotland Yard personalmente al Duca, fanno dedurre che l’impiego fosse di copertura e che Nelson Hood lo sapesse, vista la sua posizione alla Corte britannica. Heath arrivò a Bronte, al castello di Maniace, il 4 gennaio 1930, ad agosto 1935 fuggì a Malta, per scampare all’arresto del controspionaggio italiano».
Mario Carastro non è nuovo a scoop sulla Ducea di Bronte, ambiente dov’è cresciuto e di cui conserva, oltre ai suoi, ricordi e documenti personali del padre Giuseppe e del nonno Mario (un tempo impiegati al Castello Nelson). Ricerche nell’«Archivio privato Nelson», riscontri nel diario personale inedito del V Duca di Bronte e altri approfondimenti – sia bibliografici sia con i figli di mister Heath, Philip (che, come l’ingegnere, abita a Roma) e Sebastian (che vive in Inghilterra) – hanno consentito a Carastro d’individuare l’agente segreto dell’MI6 «Heath-Donovan», tanto cercato per 79 anni da storici e giornalisti.
«Nel 1943 l’abile 007 fu inviato in Nord Africa, con la VIII Armata inglese, e poi in missione segreta in Sicilia, per facilitare lo sbarco alleato. Nel catanese, sotto le vesti del ragioniere Donovan – evidenzia Carastro -, Heath ordinava sabotaggi a Canepa e al suo gruppo clandestino antifascista di giovani guerriglieri, fiduciosi nel sostegno inglese per l’indipendenza siciliana.
Il 10 giugno ’43, nella piana di Catania presso Paternò, ci fu il sabotaggio più clamoroso, alla base aerea militare italo-tedesca di Gerbini, che l’indomani – ricorda – consentì agli Alleati la presa di Pantelleria e il via libera all’operazione Husky».
«Nel 1950 Tony Heath è di nuovo in Sicilia, per parlare con il bandito Salvatore Giuliano, su richiesta dello stesso colonnello dell’Evis, il quale, alcuni mesi dopo quell’incontro, nella notte fra il 4 e il 5 luglio, sarà ucciso a Castelvetrano», conclude Carastro.
Anthony Eric Heath (1912-1995), nella sua lunga carriera rivestì anche prestigiose cariche diplomatiche per il Governo britannico in diversi Stati, fra cui l’Italia, dove intrattenne relazioni di alto profilo politico-istituzionale e culturale.
Questo e altro, Mario Carastro affronta nella sua ultima ricerca storica sulla Ducea Nelson, dal titolo «Spionaggio e controspionaggio a Bronte e Maniace 1930-1945» (luglio 2022).

Luigi Putrino

 

 

Fu strage di stato

A tutt’oggi ancora avvolto nel mistero
l’agguato di Randazzo del 17 giugno 1945

di Giuseppe Scianò

 

La mattina del 17 giugno 1945, sulla strada che da Cesarò porta a Randazzo e in prossimità del bivio per Bronte, in contrada “Murazzu ruttu”, un rumoroso e malandato motofurgone Guzzi 500 incappa in un posto di blocco, non casuale, dei Regi Carabinieri. Non è un motofurgone qualsiasi, che avrebbe comunque dato nell’occhio perché sono tempi tristissimi nei quali sono pochi gli automezzi in circolazione. Sono più comuni i quadrupedi e i carretti.

 

L’uccisione di Antonio Canepa.

Questo motofurgone è particolare perché trasporta armi nel cassone e ha a bordo il fior fiore dell’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia)
. Probabilmente i carabinieri ne erano stati informati. Chi c’è, in pratica, sul furgone? In tutto sei persone.

Alla guida, isolato nella semicabina anteriore, c’è Giuseppe Amato Papaleo (nome di battaglia: Joe, anche se gli amici lo chiamano Pippo), vice comandante dell’EVIS, amico di vecchia data e principale collaboratore del comandante Mario Turri, con il quale ha condiviso la inquietante lunga esperienza di agente dell’Intelligence britannica. Pippo è un giovane molto efficiente e preparato, è di idee socialiste e appartiene a una prestigiosa famiglia borghese di Catania. Da poco ha compiuto ventuno anni, essendo nato il 9 giugno 1924.

All’interno del furgone ha preso posto il comandante Mario Turri. È questo, infatti, lo pseudonimo scelto dal prof. Antonio Canepa, nato a Palermo il 25 ottobre del 1908, docente dell’università di Catania, protagonista di diverse iniziative politiche e talvolta rivoluzionarie, quanto meno nelle intenzioni. Era stato attivo collaboratore, se non un agente, dei servizi segreti britannici in funzione antifascista e antitedesca.
Non sappiamo perché nel 1943, quando, con lo sbarco degli Alleati, già in Sicilia si sarebbe potuta giocare la carta dell’indipendenza, il prof. Canepa invece se ne sia andato in Continente a fare il partigiano italiano. Ma, in quel 17 giugno 1945, Canepa ha già da tempo lasciato alle spalle l’esperienza di partigiano vissuta, con lo pseudonimo di Tolù, fra gli Abruzzi e la Toscana.

E ha anche abbandonato la guida di un partito marxista-leninista fondato a Firenze, unitamente a una battagliera testata giornalistica. Non sappiano, né ci interessa sapere, quanto la sua attività fosse apprezzata dal Comitato toscano di liberazione nazionale. Siamo sicuri però che un certo “scrusciu” lo faceva. 
Con l’accusa che il suo giornale veniva stampato senza autorizzazione, Canepa aveva dovuto subire un processo e una piccola, ma significativa, condanna. Segno, questo, che i compagni del PCI della Toscana non gli volevano più bene (ammesso che prima gliene possano aver voluto) né lo volevano più fra loro.

Nell’ottobre del 1944 Canepa era quindi ritornato in Sicilia, ben deciso a mettere a disposizione della lotta per l’indipendenza le proprie esperienze, l’immensa cultura, il coraggio e, soprattutto, la sua stessa vita. Probabilmente è quello il momento in cui Canepa è diventato separatista. Di certo è che egli è separatista.
Dopo un incontro con Andrea Finocchiaro Aprile, leader carismatico dell’Indipendentismo siciliano, ottiene il “silenzio-assenso” (o ne riceve una vera e propria autorizzazione) a costituire l’EVIS. Fino a quel momento in Sicilia erano esistite varie formazioni separatiste giovanili, soprattutto studentesche, paramilitari. Basate però prevalentemente sullo spontaneismo e sull’entusiasmo. Senza la preparazione, l’addestramento e quel senso dell’organizzazione quasi scientifica che Canepa voleva che l’EVIS avesse.

Il 17 giugno 1945 un altro passeggero del motofurgone è lo studente universitario (Facoltà Economia e Commercio) Carmelo Rosano, il quale proprio quel giorno compie ventidue anni (era nato il 17 giugno 1923). Rosano è senza dubbio uno dei migliori uomini dell’EVIS. Preparato, serio, militante convinto. Naturalmente distinto ed elegante nel portamento. Appartiene a un’ottima famiglia ed è il braccio destro del comandante Turri.

[ Sulla morte di Carmelo Rosano leggi “Onore ai martiri siciliani” ]

Altri due giovani studenti che si trovano sul motofurgone, entrambi nati nel 1924, sono Nino Velis e Armando Romano che, per percorsi e diverse vicende sopravviveranno all’eccidio di Randazzo unitamente a Pippo Amato. Infine, c’è il guerrigliero più giovane. Si chiama Giuseppe Lo Giudice, detto Pippo, studente ginnasiale, appena diciottenne. Era nato a San Michele di Ganzeria il 2 gennaio 1927.

Quanto fosse valido lo dimostra il fatto che i superiori lo avevano voluto con loro in una missione tanto delicata. Gli si legge in faccia che è un giovane di ideali purissimi e pieno di entusiasmo. Non è un personaggio secondario, qualche volta da ricordare e qualche volta no. Ben rappresenta tutti i ragazzi siciliani. Giuseppe Lo Giudice è, infatti, il simbolo dell’Indipendentismo Siciliano di ogni epoca: onesto, leale e generoso.

Ci siamo permessi di richiamare qualche dato biografico dei sei guerriglieri per evitare che con il tempo si dimenticasse anche ciò che è importante. Ma soprattutto per ricordare a noi stessi e agli storici e ai giornalisti e a coloro che sono soliti occuparsi del Separatismo Siciliano, come  nessuno (dico nessuno) dei guerriglieri siciliani che il 17 giugno del 1945 si trovavano sul vecchio Guzzi 500 potesse essere accusato di essere delinquente comune o mafioso In contrada “Murazzu Ruttu” morì crivellato di colpi, e per primo, Giuseppe Lo Giudice. Canepa e Rosano, gravemente feriti, moriranno invece a Randazzo.

 

La morte di Antonio Canepa: un “caso” rimasto aperto dal 1945.

La morte di Antonio Canepa, il “professore guerrigliero” creatore dell’EVIS (Esercito Volontario Indipendenza Siciliana), avvenuta nel corso di un conflitto a fuoco con una pattuglia di carabinieri alle porte di Randazzo il 17 giugno del 1945, può considerarsi, a tutti gli effetti, un “caso ancora aperto”. In quell’azione militare, la cui dinamica non è mai stata pienamente chiarita, caddero anche due giovani militanti dell’EVIS, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, mentre un quarto ragazzo, Nando Romano, rimase ferito e venne arrestato.

Il “caso Canepa” viene riaperto con la pubblicazione di due volumi del giornalista Salvo Barbagallo, “Antonio Canepa, ultimo atto” e “L’uccisione di Antonio Canepa”, due libri connessi tra di loro: nel primo si trova l’analisi del personaggio e del periodo storico in cui visse; nel secondo libro una vera e propria “anatomia” sui documenti (la maggior parte inediti) che riguardano l’oscura vicenda del conflitto a fuoco a Randazzo.

 

La fine di Antonio Canepa, che rappresentava la punta avanzata e progressista del Movimento indipendentista siciliano (che allora contava ben 500 mila iscritti, là dove i nascenti partiti tradizionali – dal PCI al PSI, alla DC – raggranellavano poche migliaia di iscritti), segna una svolta nella vita della Sicilia che aspirava all’indipendenza. Un anno dopo all’ Isola verrà concessa un’Autonomia Speciale quale palese compromesso tra la nuova Italia, nata dalle macerie della guerra, e la Sicilia che dal giogo fascista era stata liberata nell’estate del 1943, quando le sorti del conflitto mondiale ancora erano incerte.

Il Movimento indipendentista siciliano venne non solo accettato ma anche alimentato dagli “alleati” angloamericani e abbandonato quando si comprese che la fine della Germania nazista era prossima.

Antonio Canepa era d’ostacolo a ciò che il futuro del mondo presentava, dopo gli accordi di Yalta.

Chi volle l’eliminazione di Canepa?  Nessuna traccia documentale negli archivi italiani, inglesi e americani.
Che la fine di Canepa sia stata predeterminata il giornalista Salvo Barbagallo lo fa emergere proprio dall’analisi dei documenti che è riuscito a reperire, pur dovendo ammettere che sui “mandanti” di quello che oggi può definirsi un vero “agguato” si possono fare solo ipotesi.

Francis Drak

 

Ciccina Lo Giudice: “Piango ancora mio fratello, ucciso con il prof. Canepa e gli altri”. 

                   Ciccina Lo Giudice sorella di Peppino ucciso con Canepa.

Sono passati pochi giorni dalla commemorazione della strage di murazzu ruttu, a Randazzo dove il 17 giugno del 1945 vennero uccisi, antonio canepa, docente universitario e comandante dell’evis (esecito volontario per l’indipendenza della sicilia),  insieme con carmelo rosano (22 anni), giuseppe amato detto pippo (21 anni), antonio velis (21), peppino lo giudice ( studente liceale diappena 18 anni). Incredibilmente i reali carabinieri, li avevano scambiati per banditi. Un professore universitario e tre ragazzi. Della figura di canepa, della sua morte e delle particolari condizioni storico-politiche  della sicilia del dopoguerra, vi abbiamo raccontato in numeorisi articoli, come questo: canepa una strage premeditata. (e in altri correlati sotto).
Sono passati pochi giorni dalla commemorazione della strage di Murazzu ruttu, a Randazzo. Dove il 17 giugno del 1945 vennero uccisi, Antonio Canepa, docente universitario e comandante dell’EVIS (Esecito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia),  insieme con Carmelo Rosano (22 anni), Giuseppe Amato detto Pippo (21 anni), Antonio Velis (21), Peppino Lo Giudice ( studente liceale diappena 18 anni). Incredibilmente i Reali Carabinieri, li avevano scambiati per banditi. Un professore universitario e tre ragazzi. Della figura di Canepa, della sua morte e delle particolari condizioni storico-politiche  della Sicilia del dopoguerra, vi abbiamo raccontato in numeorisi articoli, come questo: Canepa una strage premeditata. (E in altri correlati sotto).

 

Oggi  pubblichiamo, invece,  la straordinaria testimonianza di quei giorni della sorella di Peppino Lo Giudice, il più giovane tra le vittime di quel giorno del lontano 1945:  Ciccina Lo Giudice, che ha parlato con  la nostra collaboratrice, Daniela Giuffrida, attivista del Mis, il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, del suo dolore mai sopito per la morte violenta e prematura del fratello. Si sono incontrate al cimitero di Randazzo, il 17 giugno scorso.

In un angolo assolato del cimitero di Catania, in quel “viale degli uomini illustri” dove riposano in pace anche Giovanni Verga ed Angelo Musco, quattro “giovani banditi” morti per la loro terra, riposano, sotto il sole cocente, all’ombra di una colonna spezzata a metà come le loro vite, mentre, la loro bandiera “da combattimento”, sventola adagio sopra i nostri fiori gialli e rossi. Sono in quattro e riposano li, uno accanto all’altro, per l’eternità, come vicini avevano lottato per un unico scopo… per quella “Indipendenza” della Sicilia che aveva regalato loro la stessa sorte, la stessa morte.
Antonio Canepa, docente universitario di 37 anni, comandante dell’EVIS , Carmelo Rosano, il suo braccio destro, 22 anni, laureando in scienze economiche, 22 anni compiuti proprio quel 17 giugno) Giuseppe Lo Giudice (18 anni studente liceale) e Francesco Ilardi ucciso 5 giorni dopo i suoi compagni, durante un pattugliamento nei dintorni di Cesarò…
Stanno li in quell’angolo dimenticato di cimitero, lontano dai fasti e “nefasti” delle manifestazioni ufficiali, lontani dalle cineprese e dai microfoni, dalle scene e dalle “sceneggiate” di chi, a torto o a ragsi ritiene unico depositario dei valori e del destino della nostra terra… Un cimitero e poi una stele, posta a Murazzu ruttu a perenne memoria. Campagne verdi a Murazzu ruttu e fiori, tanti fiori e ancora bandiere e tanta commozione alle parole di una vecchina piccola e bianca di 92 anni che, dopo 67 anni, non si rassegna ancora al “furto” crudele della giovane vita del suo Peppino…
Piange Ciccina Lo Giudice e fra le lacrime mi racconta di come quel giorno i carabinieri fossero andati a casa loro, a San Michele di Ganzaria, a cercare notizie del giovane Peppino. Peppino lo Giudice studiava a Caltagirone, mi racconta Ciccina, era bravo….si voleva diplomare. La sua vita fu fermata, invece, quel 17 giugno, nelle campagne di Randazzo, morto per le ferite riportate durante l’agguato misterioso di quella mattina, agguato voluto forse da servizi segreti, forse…non si sa da chi… la Storia è vaga, ma la storia dei “vinti” non è mai “vera storia”, lo sappiamo bene e resta coperta da un velo di mistero e nel frattempo la polvere del tempo si aggiunge rendendo quel velo ancor più imperscrutabile, impenetrabile, sebbene….
Ciccina piange e guardando la foto del fratello, mi mostra il maglioncino che indossa sotto una giacca. Quel maglione glielo aveva fatto lei all’uncinetto o forse ai ferri da maglia, non se ne ricorda più, ma ricorda il dolore e lo sconforto di quella mattina, quando i “reali carabinieri” dopo aver chiesto loro “dove fosse Giuseppe” accompagnarono lei e sua madre sul luogo in cui i tre ragazzi erano stati “assassinati”.
Feriti dagli stessi carabinieri, in un agguato, erano stati caricati e trasportati, per disposizione degli stessi carabinieri, all’ospedale di Giarre, anzicchè a quello vicinissimo di Randazzo, dove forse qualcuno di loro si sarebbe potuto salvare…ma evidentemente non dovevano salvarsi. Furono lasciati morire dissanguati. Erano in sei quella mattina, due riuscirono a fuggire, mentre gli altri 4, dentro casse di legno “ca parevanu chiddi da frutta, si puttanu o cimiteru”.
Al cimitero il guardiano (Isidoro Privitera, separatista anche lui) chiese i nomi di quei “morti” ma i reali carabinieri risposero che erano solo quattro “banditi morti in conflitto” ! Un docente universitario e tre studenti, erano “volgari banditi” da poter essere giustiziati come agnelli al macello…. squarciati da un colpo da fuoco e lasciati dissanguare… Il guardiano del cimitero, sapendo per esperienza che prima di essere inumati sarebbe passato del tempo, aprì quelle casse, nel tentativo di farle arieggiare…. Triste spettacolo si offrì ai suoi occhi, corpi di ragazzini crivellati di colpi mentre quello più “anziano” del gruppo, aveva soltanto uno squarcio nella gamba che oppurtunamente bendato gli avrebbe impedito di morire dissanguato… I medici dell’ospedale di Giarre avevano infilato in tutta fretta quei corpi dentro le casse, ma nella quarta cassa, uno di quei ragazzi era ancora vivo… era Armando Romano, nome di battaglia Nando, il suo diaframma si muoveva, era ancora vivo..,
Ma tutto questo la “storia ufficiale” non lo racconta, ”nuddu ni parra ma du carusu si savvau grazie o vaddianu du cimiteru!” Mi dice Ciccina e il suo sguardo da fiero diventa rabbioso, stringe i pugni, mi abbraccia e scoppia a piangere, mi abbraccia ancora..
E’ l’istinto che guida la mia mano, stacco il mio spillino, un triscele argentato, dal mio petto e lo metto sul suo, le mostro quel simbolo per cui il suo Peppino è morto... il mio triscele adesso sta sul petto “giusto”, sul petto di una donna antica, fiera, arrabbiata e addolorata, ma dalla dolcezza infinita e dal sorriso stanco e amaro ma non sconfitto…sul petto di una madre antica, nobile e grande….proprio come la nostra terra.

Antonio Canepa e i suoi tre ragazzi dormono vicini, dunque, sotto quella colonna spezzata, come le loro giovani vite, all’ombra della loro, della nostra bandiera, i nostri fiori fanno loro compagnia, il nostro cero illuminerà per un pò la loro notte e poi sarà ancora “lotta” con loro, per loro, per quel triscele argentato…

di Daniela Giuffrida 21 giugno 2012 
Attivista M.I.S. – Movimento per l’Indipendenza della Sicilia

Randazzo 17 giugno 1945: una strage “premeditata” Per non dimenticare Antonio CanepaCanepa e l’oscurantismo mediatico

 

 

 

 

 

  

Ogni anno il 17 giugno un gruppo di persone si riuniscono qui a Randazzo per rendere onore ad Antonio Canepa e alle altre vittime dell’eccidio.

 

 
     
 
 
     
     
     
     

 17 Giugno 1945 

 

17 giugno 1945, una data che la cosiddetta storia ufficiale d’Italia (o chi l’ha scritta e la scrive ancora) ha volutamente cancellato.
Eppure questa data per l’Italia dovrebbe significare qualcosa, dal momento che in quel giorno di 72 anni addietro si consumò uno dei misfatti più gravi di un Paese appena uscito dalla guerra, con un Governo “provvisorio” e che ancora non aveva trovato la strada per il suo futuro. Quel 17 giugno del 1945 veniva assassinato in circostanze mai chiarite il professore Antonio Canepa, capo dell’EVIS (Esercito Volontario Indipendenza Siciliana) che voleva una Sicilia “Indipendente”, non legata all’Italia. Un personaggio che doveva essere eliminato necessariamente per non rischiare un effetto domino in altre regioni.


Ogni anno, in questa ricorrenza, gruppi sparuti di Sicilianisti ricordano quell’episodio nella strada che porta a Randazzo, dove un ceppo indica il presunto luogo dove venne ucciso, in un presunto conflitto a fuoco con carabinieri, Antonio Canepa e due militanti dell’EVIS, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice.
Altri che non vogliono spingersi sino alla pendice dell’Etna, portano fiori sulla tomba dove sono custoditi i resti dei tre “guerriglieri”, nel viale degli Uomini Illustri nel cimitero di Catania.
Tante volte descritta quella vicenda alla quale gli organismi istituzionali non hanno mai dato risposte esaurienti. Per non ripeterci riportiamo quanto pubblicato lo scorso anno: il “contenuto” di quell’articolo è come se fosse stato scritto oggi.

20 giugno 2016 – La Voce dell’Isola

Antonio Canepa 17 giugno 1945: la memoria cancellata

di Salvo Barbagallo

Avrebbe stupito tutti, e soprattutto i Siciliani, il Capo dello Stato Sergio Mattarella (Siciliano) se nel festeggiare l’anniversario della Repubblica avesse ricordato gli avvenimenti che precedettero la nascita della nuova Italia e avesse ricordato la “concessione” alla Sicilia dell’Autonomia Speciale con “Speciale” Statuto prima ancora che la Repubblica Italiana nascesse, e il perché quell’Autonomia venne data.

No, non è il tempo delle “meraviglie” o degli “stupori” nel Paese che dà medaglie a chi si è macchiato d’eccidi in patria (vedi quella a Valentino Bortoloso a Schio), nel Paese dove “tutto va bene” e dove la memoria è stata scientificamente cancellata per evitare che le generazioni che non hanno vissuto gli anni tragici della guerra potessero conoscere verità scomode e inconfessabili.

Non crediamo che il Capo dello Stato abbia perduto la sua memoria, ma che probabilmente ha ritenuto non opportuno in questi giorni di pace rinverdire eventi che potrebbero riaprire contenziosi mai sanati tra lo Stato e la sua regione più a sud, la Sicilia. D’altra parte lo stesso presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, non poteva avere alcun interesse a riportare a galla episodi che hanno segnato la sua Terra in netto contrasto con l’Italia d’allora e l’Italia d’oggi.

Perché si dovrebbe “commemorare” una data come il 17 giugno del 1945, una data che aprì in Italia la stagione dei delitti di Stato e la stagione dei compromessi?

Già, il 17 giugno 1945, il giorno in cui venne “assassinato” nelle campagne di Randazzo Antonio Canepa, il professore che aveva creato l’EVIS, l’esercito di volontari che auspicavano una Sicilia Indipendente.

Già, quell’Indipendenza della Sicilia richiesta dalla maggioranza della collettività da quando l’Isola era stata “liberata” dalle truppe angloamericane e quando ancora le sorti del conflitto mondiale erano incerte.

Oggi vengono chiamati “buchi neri” i fatti che accadono ovunque che non trovano spiegazioni o soluzioni.
Una volta, invece, venivano definiti più semplicemente “misteri”.
L’Italia e la Sicilia nel corso degli ultimi settantun anni hanno collezionato una infinità di “misteri”: tanti e tanti avvenimenti, la maggior parte riferiti a crimini oppure a storie irrisolte.
Probabilmente la definizione “buco nero” (black hole in inglese) si adatta meglio a certe realtà siculo-italiche. Scientificamente un “buco nero” è una regione dello spaziotempo con un campo gravitazionale così forte e intenso che nulla al suo interno può sfuggire all’esterno, nemmeno la luce. Generalizzando: nel corso degli ultimi decenni in Italia sono stati costruiti artificialmente tanti “buchi neri” da trasformarla in un Paese dello spaziotempo dove non ci sono frontiere o confini visibili, un territorio ancora sconosciuto. Chi intendesse esplorare questo Paese correrebbe l’evidente rischio di rimanere inesorabilmente intrappolato al suo interno: in passato, infatti, chi ha tentato l’impresa non è più tornato per riferire sulle sue scoperte.

Nel rapporto Sicilia/Italia non ci sono buchi neri ma verità abilmente nascoste dopo avere cancellato altrettanto abilmente le memorie. Parlare delle istanze indipendentiste della Sicilia è anacronistico, là dove si sta perdendo anche la misura della Sovranità dello stesso territorio nazionale e la dignità di un passato è affidata a pochi sopravvissuti nello scempio generale.

Così come sono stati in pochi a ricordare ieri (domenica 19 giugno) alla periferia di Randazzo, nel luogo della presunta scena del crimine, la fine del professore-guerrigliero che lottava per una Sicilia libera e democratica, Indipendente e Sovrana nell’autodeterminazione del suo futuro.

E non colonia come si ritrova a distanza di 70 anni dalla nascita della Repubblica Italiana

 

 

Ma chi fu Antonio Canepa?

 

Il fascismo e la sua fine, la guerra e la Resistenza, il separatismo e la sua guerra furono gli ambiti in cui si svolse la turbinosa esistenza di Antonio Canepa

Il delitto Matteotti (10 giugno 1924) indusse il giovane Canepa, che non aveva ancora compiuto sedici anni, ad esprimere tutto il suo sdegno contro il governo fascista.

Questa ostilità contro il fascismo si materializzò nella preparazione di un attentato a Mussolini: attraverso un passaggio segreto aveva progettato di giungere addirittura nella Sala del Mappamondo, a Palazzo Venezia, ma la chiusura del passaggio fece fallire il piano.

Ma, poi, nel 1937 ottenne la cattedra di Dottrina del Fascismo, con tre volumi dal titolo “Sistema della Dottrina del Fascismo. Una formidabile contraddizione che lo stesso Canepa ammette, ma che invita a sciogliere attraverso una lettura attenta del testo, dal quale si può capire che il fascismo è pericoloso per l’Italia e per gli altri Stati, che il fascismo si può combattere, che ci sono molti scrittori che lo giudicano negativamente.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale entrò in contatto dei servizi segreti britannici, preparò ed attuò con successo, la notte del 10 giugno 1943, l’attentato all’aeroporto di Gerbini, neutralizzando i caccia tedeschi, distruggendo bombe, armi e munizioni.

Come si sa bene, dopo trenta giorni gli angloamericani sbarcarono dalle parti di Gela non incontrando, anche per merito del sabotaggio alla postazione tedesca di Gerbini, un’adeguata resistenza.

A questo punto ecco un altro fatto inspiegabile o, quanto meno, difficile da spiegare: Canepa lasciò la Sicilia e si recò tra l’Abruzzo e la Toscana a fare il partigiano.

La lotta partigiana intrapresa da Canepa fu assolutamente finalizzata alla liberazione dai nazifascisti in particolare dei territori in cui operò tra l’Abruzzo e la Toscana. Avendo conseguito questo risultato e giunto a Firenze nel maggio del 1944, lanciò un’operazione politica di segno divergente rispetto alla linea politica dei CLN e del governo: in nome del Partito Dei Lavoratori, diffuse, il 20 giugno, un appello in cui, per un verso si ringraziavano gli alleati per il decisivo aiuto fornito per la liberazione dai nazifascisti, per un altro si chiedeva agli Alleati di collaborare con i partigiani ed in particolare con la componente comunista, per l’instaurazione di un governo liberato dalla “borghesia – un pugno di capitalisti, di speculatori e di parassiti – (che) ha portato l’Italia alla rovina”.

I contenuti del manifesto non potevano essere condivisi neppure dagli Alleati, sicché Canepa – Tolù perse i riferimenti con il SIS (Secret Intelligence Service), il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) lo arrestò e lo condannò a venti giorni di reclusione con la condizionale e a mille lire di multa.

Decise, quindi, nell’autunno del 1944, di tornare in Sicilia, di morire come Canepa –Tolù e di rinascere come Mario Turri. Molto probabilmente dopo l’eccidio di Palermo, il 19 ottobre 1944, Mario Turri incontrò Andrea Finocchiaro Aprile , riuscendo a convincerlo dell’opportunità di istituire l’EVIS.

Canepa tenne conto, necessariamente, degli intendimenti espressi da Finocchiaro Aprile e da Togliatti: certamente nel primo, il “fatto” istituzionale contava di più di quello sociale e non poteva che essere così (non dimentichiamo che Andrea Finocchiaro Aprile faceva parte di un triunvirato in cui c’era il conte Luigi Tasca, latifondista, e Calogero Vizzini, ex gabelloto e ora latifondista mafioso), mentre per Togliatti, condizionato ancora dalla “svolta di Salerno”, e lui stesso al governo, considerava la soluzione “autonomistica” quella più avanzata, oltre la quale non era lecito, per impedimenti nazionali ed internazionali, pensare di potere andare; in ogni caso, per Togliatti, restava la monumentale questione sociale della riforma agraria ancora da risolvere e i comunisti ne sarebbero stati ancora i grandi protagonisti.

Non si sa bene se Canepa fu più indipendentista o comunista, ma, forse, Tasca, Finocchiaro Aprile e Vizzini lo considerarono più comunista e forse anche per questo fu tolto di mezzo a Murazzu ruttu il 17 giugno 1945, colpito a morte in uno scontro a fuoco con una pattuglia di carabinieri che lo intercettarono a bordo di un furgone guidato da Pippo Amato. Assieme a Canepa quel giorno morirono Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice.

Nessuno ha mai saputo come si svolsero i fatti, chi dette inizio alla sparatoria, chi avvisò i carabinieri di Randazzo del passaggio del furgone, perché i corpi furono sepolti in tombe senza nome.
La storia della Sicilia è soprattutto storia di persone difficili da capire, di fatti difficili da capire e da spiegare perché volutamente censurati e tacitamente dimenticati.

Elio Camilleri – maggio 2013

 

 

 La morte del capo dell’EVIS Antonio Canepa primo delitto di Stato in Italia?

 

Un paese che bagna  i suoi passaggi epocali con il sangue e il mistero. Questa è l’Italia. Da Bronte ai briganti, da Canepa a Capaci e via D’Amelio è tutto un fiorire di momenti in cui, soprattutto nel mezzogiorno d’Italia, il dissenso e le figure scomode sono stati soffocati nel sangue e senza che venissero perseguiti a dovere i responsabili di crimini efferati. E la domanda che viene da farsi, forse inutilmente, è: quando è incominciata la stagione delle stragi dell’Italia repubblicana? Quando la stessa ancora non lo era ancora, Repubblica, e usciva, a pezzi, da una guerra disastrosa.

Quest’opinione viene certamente rafforzata dalla lettura dei due volumi (“Antonio Canepa ultimo atto” e “L’assassinio di Antonio Canepa” – nella collana Storia e Politica della Bonanno Edizioni- che compongono l’ultima fatica del direttore de “La Voce dell’Isola” Salvo Barbagallo, libri che verranno presentati in un tour di incontri che parte dalla Sicilia l’11 e il 12 ottobre, con gli appuntamenti di Catania (Giovedì 11 ottobre, alle ore 17.30, alle Ciminiere di Catania) e di Acireale.

Salvo Barbagallo ha analizzato a fondo i documenti che, con difficoltà enormi, è riuscito a raccogliere sulla morte di Antonio Canepa. Creatore e comandante dell’Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana, la sua scomparsa avvenne in circostanze mai chiarite in quel di Randazzo il 17 giugno del 1945 e l’autore, senza esplicitare fino in fondo la tesi della strage di Stato, lascia che quest’ultima affiori tra le righe della sua ricerca appassionata. Prima di Portella della Ginestra e della tragica fine di Salvatore Giuliano, prima degli attentati e delle sparizioni dei sindacalisti socialisti e comunisti nelle campagne dell’interno della Sicilia, c’era chi agiva per oscuri motivi e faceva fuori, senza troppi complimenti, chi si opponeva a disegni diversi da quelli previsti.

Delitto di Stato? Già, di uno Stato “nuovo” che ancora non era nato, e che però sapeva di non potersi permettere di perdere una risorsa strategica del suo territorio, la Sicilia. E a cui in molti, dall’estero, guardavano con occhi tutt’affatto disinteressati, nella prospettiva di rafforzare la propria presenza nel Mediterraneo.

Antonio Canepa cadde, insieme a due militanti dell’esercito indipendentista, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, “ufficialmente” colpito a morte dai proiettili esplosi dai fucili di una pattuglia di tre carabinieri. E di questa vicenda Salvo Barbagallo ricostruisce meticolosamente l’anatomia, mettendo a disposizione di tutti i documenti nei quali sono raccolte le dichiarazioni a verbale dei protagonisti del presunto conflitto, i tre carabinieri, delle dichiarazioni dei superstiti che scamparono al fuoco dei militari, di quanti potevano essere a conoscenza di ciò che realmente era accaduto. E l’autore del libro, inevitabilmente, giunge a conclusioni non certo lusinghiere: la verità su quanto si verificò a Randazzo è stata occultata sotto una montagne di menzogne.

Il conflitto bellico si era appena concluso a livello nazionale, ma in Sicilia la “pace” era scoppiata subito dopo l’occupazione dell’Isola, governata da americani e inglesi mentre l’Italia rimaneva occupata dai nazifascisti e le sorti della guerra erano incerte. Il momento migliore per far rinascere nel cuore dei siciliani l’aspirazione all’indipendenza e soddisfare così anche le esigenze di una popolazione che voleva dimenticare le violenze subite. E a molti quest’idea  apparve la formula migliore visto che nel corso di pochi mesi migliaia, centinaia di migliaia (per l’esattezza in cinquecento mila) aderirono al MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia), non ascoltando la voce di socialisti, democristiani e comunisti.
Era una “pace” che non cambiava l’ordine delle cose, quella che i Siciliani vivevano: fuori i fascisti, sostituiti da un governo di occupazione presieduto da americani e inglesi e, soprattutto, con la prospettiva di andare sotto ad un governo provvisorio italiano che, come altri prima di lui, invece di ascoltare le istanze della popolazione, si presentò con manovre repressive, sedando nel sangue le rivolte provocate dalla fame.

Canepa, quindi, come protagonista principale della prima strage di Stato repubblicano? E’ la conclusione a cui si è naturalmente portati dalla lettura della mole di documenti messi a disposizione del lettore da Barbagallo. Meglio. Una prova generale di quello che, qualche anno dopo, sarebbe stato il capolavoro che portò alla fine di tutte le velleità indipendentistiche siciliane: la fine di Salvatore Giuliano, eseguita con una metodologia che conferma uno stile che, ciclicamente, si  è ripresentato nel tempo, sino ai giorni nostri. Una strategia che i servizi segreti (noti e ignoti) in molti casi hanno applicato.
Nella vita del nostro Paese, afferma Salvo Barbagallo, non ci sono misteri, ma (semplicemente ma amaramente) verità che vengono nascoste: come dargli torto?

Alla presentazione dei due volumi a Le Ciminiere di Catania, l’11 ottobre prossimo, prendono parte Valter Vecellio, capo redattore del Tg 2 Rai (che ha curato la prefazione del primo volume), Corrado Rubino, presidente dell’Istituto per la Cultura Siciliana, Marco Di Salvo (che ha curato la prefazione del secondo volume), condirettore del quotidiano online “La Voce dell’Isola”, e l’autore dei due libri su Antonio Canepa, Salvo Barbagallo. Introduce e modera l’incontro il giornalista e scrittore (già capo redattore delle pagine Cultura del quotidiano “La Sicilia”) Salvatore Scalia.

20 settembre 2015 – La Voce dell’Isola

 

Ancora oggi la parola “indipendentismo” allarma

 

Se pronunciate la parola “indipendenza” nel contesto di un Paese che presenta instabilità, allora noterete che negli ambienti governativi o politici si crea subito preoccupazione, a volte anche allarmismo. Ma che significa, in fondo, questa parola che può suscitare reazioni a vari livelli e magari contrastanti? I dizionari mostrano diverse sfaccettature del termine “indipendenza”: il Sabatini Coletti per “indipendenza” indica la “Libertà di agire secondo il proprio giudizio e la propria volontà”, il Treccani come la “Condizione di chi o di ciò che è indipendente, riferito sia a stato o nazione, sia a persona, sia a cose, fatti, ecc”, il Garzanti come “La condizione di chi non dipende da altri”, insomma la “Capacità di sussistere e di operare in base a principi di assoluta autonomia”. Da “indipendenza” a “indipendentismo”, il passo è facile. Indipendentismo? I dizionari lo indicano come “atteggiamento” o come “orientamento”: “Orientamento di coloro che propugnano l’indipendenza della propria nazione, del proprio territorio o del proprio partito politico” (dizionario Hoepli).

In realtà più che un atteggiamento o un orientamento è un “sentimento” radicato in quanti aspirano a una “indipendenza” (quale che sia, e nei livelli socio-economici-militari di un territorio che non è considerato o non si “sente” sovrano. Ebbene le parole “indipendenza, indipendentismo” suscitano allarme, così come sta avvenendo in questi giorni in Spagna dove in Catalogna fra sette giorni si vota e dove i “secessionisti” sono dati per favoriti: la Confederazione Casse di Risparmio (Ceca) e l’Associazione della Banca (Aeb), le due grandi associazioni del settore bancario spagnolo, hanno minacciato (diramando una nota congiunta) di ritirarsi dalla Catalogna se diventerà indipendente. Le due banche chiedono che “venga tutelato l’ordine costituzionale” spagnolo e “l’appartenenza alla zona euro di tutta la Spagna”. Barcellona il prossimo 27 settembre giunge a un voto che può rappresentare l’inizio del processo di indipendenza del territorio regionale che verrà trasformato in un nuovo Stato, nonostante l’opposizione di Madrid. Il governo spagnolo, infatti, ha negato il referendum sull’indipendenza, bollandolo come anticostituzionale e Barcellona ha dovuto rinunciare al voto esplicito sul proprio futuro, il presidente catalano uscente, Artur Mas, ha però aggirato l’ostacolo trasformando le imminenti elezioni regionali in un pronunciamento sull’indipendenza. Con la nascita di un nuovo Stato, l’adesione della Spagna all’Unione Europea andrebbe ridiscussa, così come si verificò per i Paesi balcanici che hanno chiesto di entrare nell’Ue. L’indipendenza della Catalogna costituisce un “pericolo” immanente: c’è il rischio concreto che l’esempio catalano possa trovare molti imitatori, a partire dai baschi. La Spagna, se nelle elezioni del 27 dovesse passare l’indirizzio secessionista (e i sondaggi vanno in questa direzione) rischia di esplodere.

In Italia la questione dell’indipendentismo è stata posta poco tempo addietro per quanto attiene la situazione di degrado politica ed economica della Sicilia dal politologo (e altro) americano Edward Luttwak in un’intervista concessa a Enrico Deaglio sul “Venerdì” di “Repubblica”. Luttwak esordisce con una frase inquietante: “…Io sono l’unico ad avere la ricetta perfetta per la Sicilia” e i Siciliani. Come? “E’ semplice. Alzando con orgoglio il vessillo indipendentista sanguinante, i siciliani si riuniscono in assemblea e dichiarano la loro separazione da Roma (…)”. Certo, occorre “tirare la cinghia e risorgere, sotto un capo, un nuovo Federico II (…)”.

Apparentemente l’intervista a Edward Luttwak è passata inosservata: al messaggio, all’invito o alla provocazione del politologo (le dichiarazioni di Luttwak, ovviamente, vanno interpretate) non c’è stato (sempre apparentemente) alcun riscontro, nessuno (sempre apparentemente) ha mostrato un interesse. Eppure un personaggio come Edward Luttwak non parla mai a caso, né mai si esprime a caso: una ragione, alla radice di questa intervista (notando anche chi è l’intervistatore) deve pur esserci.

La Sicilia non è la Catalogna. Anche se il “sentimento” dell’indipendenza non si è mai spento, nei Siciliani la spinta verso la propria “sovranità” si è addormentata settant’anni addietro, quando venne concessa alla regione un’Autonomia Speciale che nessun governante siciliano ha mai applicato (forse per un “patto occulto” con lo Stato Italia). L’idea dell’indipendenza oggi sopravvive in decine di gruppuscoli sicilianisti, l’uno in contrasto con l’altro per mancanza di una leadership unica, credibile e affidabile. Oggi non c’è in Sicilia un nuovo Federico II. In Catalogna il movimento indipendentista è stato costantemente in grado di far sentire la propria voce tanto da incutere paura. In Sicilia oggi non incute più paura neanche la mafia, continuamente mitizzata perché torna utile tenerla come paravento quando si presentano fatti di corruzione e malaffare criminale che possono essere collegati alla politica. Se qualche entità estranea ritenesse altrettanto utile rispolverare il mito dell’indipendenza siciliana quale comodo spauracchio (contro chi?), allora (statene certi) l’argomento “indipendenza siciliana” tornerà a rivivere. Ma questo è un rischio che difficilmente si può correre: in fondo, i Siciliani, potrebbero (finalmente e magari) prendere coscienza della loro condizione di sudditanza e del loro degrado. E, chissà, potrebbero approfittarne…

Salvo Barbagallo

 

LA SICILIA AI SICILIANI – ALLA SCOPERTA DI EROI DIMENTICATI, ANTONIO CANEPA

 

Domenica 19 giugno, come avviene da diversi anni, l’Associazione Culturale “La Sicilia ai Siciliani” di Messina ha deposto una corona di fiori sul cippo eretto in contrada Murazzu Ruttu (Randazzo) in ricordo di Antonio Canepa, Carmelo Rosano, Giuseppe Lo Giudice martiri siciliani facenti parte dell’E.V.I.S. (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia) di cui Canepa era comandante.

Il monumento e le lapidi ricordano anche Francesco Ilardi, morto in uno scontro a fuoco qualche giorno dopo l’eccidio di Murazzu Ruttu.
Molti, forse, non sapranno chi era Canepa e cos’era l’E.V.I.S. in quanto la storia racconta solo certe verità.
Verità che tendono a inneggiare personaggi ai quali si sono dedicate vie  come eroi ma che oggi mostrano sempre piu un lato oscuro, tanto da somigliare sempre più a carnefici per la nostra Sicilia.

        Ma chi era Canepa?
Laureato in legge si recò a San Marino dove tentò insieme agli abitanti di organizzare un colpo di stato contro il potere fascista. Arrestato fu poi rilasciato. Nel 1937 ottenne la cattedra di “Storia delle dottrine politiche” all’Università degli Studi di Catania. Dopo l’inizio della seconda guerra mondiale entrò in contatto i servizi segreti britannici e la notte del 10 giugno 1943 attuò con successo un attentato all’aeroporto di Gerbini in cui neutralizzò caccia tedeschi, distrusse bombe, armi e munizioni e dando così la possibilità agli anglo-americani di non trovare resistenza in quella zona dopo lo sbarco.

Successivamente si recò nelle zone tra Abruzzo e Toscana per aiutare i partigiani. Dopo aver conseguito la  liberazione dai nazi-fascisti rientrò in Sicilia per continuare la sua lotta per l’indipendenza della Sicilia. Lotta iniziata anche culturalmente nel dicembre del 1942 con la pubblicazione, con lo pseudonimo di Mario Turri, dell’opuscolo “La Sicilia ai Siciliani” (nome al quale si ispira la nostra associazione) che fu il manifesto della sua idea: egli riteneva che l’ìndipendenza della Sicilia fosse il mezzo per l’emancipazione delle classi popolari.
Nel 1945 costituì l’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia che si contrapponeva alle forze militari che occupavano l’isola e che avrebbe dovuto condurre la Sicilia insieme al M.I.S. (Movimento per l’indipendenza della Sicilia) all’indipendenza.
Non riuscì a portare a compimento il suo ideale politico di liberazione perché la mattina del 17 Giugno 1945 fu ucciso insieme ad alcuni militanti dell’E.V.I.S. in un agguato teso dai carabinieri in contrada Murazzu Ruttu a Randazzo,dove oggi sorge un monumento commemorativo a loro dedicato.
Antonio Canepa oggi è sepolto, insieme a Carmelo Rosano, Giuseppe Lo Giudice e Francesco Ilardi,  nel cimitero di Catania nel viale degli Uomini Illustri.

 

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ON.LE PAOLO VAGLIASINDI

      Maristella Dilettoso 

Paolo Vagliasindi era nato il 16 settembre 1858, terzo di 13 figli, da Francesco Vagliasindi, barone del Castello, e Benedetta Piccolo di Calanovela.
Nel 1882 si laureò in giurisprudenza a pieni voti presso l’Università di Roma.
Dopo aver esercitato la professione per qualche tempo, intraprese la strada della politica, che sentiva più congeniale: veniva eletto sindaco di Randazzo nel 1885, a soli 27 anni, e una seconda una volta nel 1887.
Erano tempi difficili: si cominciava ad agitare la vertenza per l’Opera De Quatris, che si trascinò per oltre 50 anni, e vide le opposte fazioni schierate su posizioni contrastanti, e per di più nel 1887 si diffuse un’epidemia di colera, che il giovane sindaco affrontò in maniera “disinteressata, fattiva, responsabile” (Virzì), organizzando lazzaretti, soccorrendo in prima persona gli ammalati, coinvolgendo i propri collaboratori, tanto da meritare più tardi l’attribuzione della medaglia d’argento al valore civile da parte del Governo. Dimostrò il suo impegno alla guida del paese nel curare le strade, e nell’imprimere un nuovo impulso all’agricoltura, in particolar modo aprendo nuove vie al commercio del vino, il principale prodotto su cui si basava l’economia di Randazzo.

Pensando di compiere un “salto di qualità” e di candidarsi al Parlamento, consapevole dell’importanza tanto di una base politica, quanto del peso determinante della stampa, spostò il suo centro d’interessi verso il capoluogo, riorganizzando a Catania l’Associazione Monarchica, poi “Associazione Costituzionale”, di cui fu presidente fino all’anno della morte, e rilanciando il foglio La Sicilia, trasformandolo in un giornale rivolto ad un più vasto pubblico, che sarebbe diventato “la palestra della sua battaglia”.
Diretto da Giuseppe Simili, e finanziato dal principe Manganelli, il periodico resterà in vita fino al 1923. L’attuale testata omonima nascerà nel 1945 ad opera di un diverso gruppo editoriale, senza alcun rapporto di continuità.

Paolo Vagliasindi si candidò per la prima volta nel 1892, per la XVII legislatura, schierandosi con i “Conservatori liberali”, per il Collegio Catania II (Acireale), ottenendo un brillante risultato.
Fu eletto deputato una seconda ed una terza volta nel 1894 e nel 1897 per il Collegio di Bronte, una quarta volta sarà eletto nel 1900 (XXI legislatura) per i Collegi di Bronte e Giarre, optando per Bronte. L’anno 1899, durante il secondo gabinetto Pelloux, data anche la particolare competenza dimostrata nel trattare i problemi connessi all’agricoltura, fu chiamato a ricoprire l’incarico di Sottosegretario del Ministero all’Agricoltura, Industria e Commercio, dicastero allora retto da Antonio Salandra. Manterrà l’incarico dal 14 maggio 1899 al 21 giugno 1900, per tutta la durata del governo.
Nel 1897 si era sposato a Torino con la giovane Ottavia Caisotti dei conti di Chiusano, dalla quale avrà cinque figli: Laura, Benedetta, Emilio (l’unico maschio, che morirà in tenerissima età, a soli 3 anni, nel 1903), Maria ed Ersilia.

Il 31 dicembre 1899 gli veniva conferito il titolo di Commendatore della Corona d’Italia.
L’anno seguente con R.D. 4.3.1900 otteneva il rinnovamento del titolo di barone, che diversamente sarebbe spettato solo al fratello primogenito Giuseppe, barone del Castello.

Nel 1903 il partito monarchico, rappresentato a Catania da Gabriello Carnazza, Guglielmo Carcaci, il principe Manganelli, dopo la sconfitta elettorale, decise di riorganizzarsi, e ne assunse la guida Paolo Vagliasindi.
Fra i tanti che vi aderirono, vi fu anche Giovanni Verga, alieno per temperamento ed educazione dalle lotte politiche.
L’organo del partito fino allora era stato il settimanale Le Marionette, ritenuto da molti troppo frivolo e polemico, cosicché il Vagliasindi disciplinò la stampa del partito, concentrando nelle sue mani, di fatto anche se non di nome, la direzione del quotidiano La Sicilia. Divenne in breve tempo il capo indiscusso del partito costituzionale a Catania.
L’esponente di spicco della parte avversaria era Giuseppe De Felice, leader della sinistra catanese.
L’antagonismo fra i due personaggi si esasperò in occasione della municipalizzazione del pane, voluta proprio da De Felice, cui seguirono lotte e disordini, e conobbe, in seguito, momenti di aspra rivalità, che culminarono in una sfida a duello, ma vi furono anche momenti di sana e leale competizione.

Paolo Vagliasindi si ricandidò per le elezioni del 6 novembre 1904 nel Collegio di Bronte, ma non fu rieletto.
Dai numerosi carteggi emerge come la sua rielezione fosse stata fortemente osteggiata in tutti i comuni del Collegio dall’azione del Prefetto Bedendo, longa manus di Giolitti nella provincia etnea, che favoriva invece l’elezione a deputato di Francesco Saverio Giardina, di Bronte, uomo di Giolitti.
Il Vagliasindi avrebbe poi sostenuto con prove documentarie e testimonianze, davanti alla Giunta delle Elezioni, come quelle votazioni si fossero svolte in un clima di intimidazioni e minacce ai suoi sostenitori, in tutto il Collegio di Bronte, messe in atto ad opera dell’opposta fazione e del prefetto stesso, ricorrendo anche alla violenza ed alla corruzione.
Caduto il governo Giolitti, Bedendo fu deposto, allontanato da Catania e sostituito a Palazzo Minoriti dal comm. Trinchieri.
Paolo Vagliasindi presentò ricorso, chiedendo l’annullamento della votazione, ma, mentre si attendeva che la Giunta delle Elezioni emettesse le deliberazioni definitive, colpito all’improvviso da una pleurite, nel giro di pochi giorni, finiva di vivere a Catania il 23 dicembre 1905, a soli 47 anni.

Monte Colla foto di Paolo Vagliasindi

La sua prematura scomparsa suscitò grande cordoglio, giunsero telegrammi da Ministri e Deputati, visite dalle maggiori autorità civili e religiose di Catania, la città si vestì a lutto, innalzando bandiere a mezz’asta, come la natia Randazzo, il giornale La Sicilia di cui era collaboratore pubblicò un necrologio a tutta pagina, oltre 5000 firme furono apposte sul registro delle visite. Tra i cittadini più autorevoli che si recarono in visita fu notato “il prof. Luigi Capuana”.
Solenni e partecipati i funerali, cui presero parte, tra gli altri, molti tra i maggiorenti randazzesi.
L’ultimo saluto fu dato proprio dall’avversario di sempre, Giuseppe De Felice e dall’avv. Gabriello Carnazza. che di lì a poco avrebbe preso il posto dell’estinto nella politica.

Paolo Vagliasindi, politico e giornalista, visse in una città piena di fermenti politici e culturali qual era la Catania di fine ‘800 e inizio ‘900, fu amico di De Roberto, Capuana e Verga, conobbe anche Martoglio, che in “Cose di Catania” gli dedicò un sonetto satirico.
Tra le tante testimonianze, contemporanee e postume, vogliamo citare quella dello storico don Virzì:
“Polemista di valore, alieno, però, da ogni trivialità, seppe combattere con dignità, con uno stile fluido, sereno, improntato ad una signorilità che ne rivelava le origini; fu aperto ad ogni novità, lontano, però, da compromessi; ribelle ad ogni imposizione, con decisa fermezza di carattere e fedele ai suoi principi si conquistò la stima e il rispetto perfino dei suoi più acerrimi nemici politici…”.
Nella politica ebbe un ruolo notevole, sempre in prima fila, sia che si trovasse nella maggioranza, sia che si trovasse all’opposizione, da sottosegretario fece numerosi interventi, propose numerosi provvedimenti che riguardavano la Sicilia.
Tra i tanti scritti, a carattere personale e pubblico, va ricordata la proposta per combattere la fillossera della vite, intervento molto documentato, dove il Sottosegretario di Stato per l’Agricoltura, Industria e Commercio il 04.12.1899, esponeva la sua proposta per combattere la malattia della vite, con competenza e scioltezza di linguaggio.

Nel 1° anniversario dalla morte, lo scrittore Federico De Roberto (La Sicilia n.335 del 23.XII.1906), rese una toccante commemorazione dell’amico fraterno.
L’autore de I Viceré, volle ricordare Paolo Vagliasindi nel suo “nido d’aquila”, la tenuta di Monte Colla dove era stato spesso ospite, e, così concludeva: “Ma sotto l’antico bosco e la tenera pineta, nei viali del parco, nelle sale del castello, dinanzi all’altare della cappella, nel cospetto del vulcano formidabile, del mare immenso e del cielo infinito, nella canzone delle fontane, nei fragori del vento, nell’ultima cima come in ogni recesso del monte Colla io rividi e riudii lo spirito gagliardo, nobilmente audace, tenacemente operoso di Paolo Vagliasindi”.

Il 19 aprile 1914, a Randazzo, nel corso di una cerimonia cui parteciparono numerosi cittadini, e le varie associazioni del tempo, dietro iniziativa del sindaco Alberto Capparelli, veniva inaugurata una lapide, scolpita da Antonino Corallo, e posta sul cantonale del Palazzo Vagliasindi in via Umberto I, il cui testo, dettato proprio da Federico De Roberto, recita:

“Paolo Vagliasindi / nelle lotte della vita pubblica / portò la forza e la gentilezza / di un cavaliere antico / in Parlamento e al Governo / fu propugnatore immutabile / di libertà con ordine / crudelmente troncata / prima di dare tutti i suoi frutti / l’opera nobilissima / del Cittadino esemplare / vive nella memoria dei contemporanei / rivivrà nella storia / di questa diletta sua terra.” 

Maristella Dilettoso 
 

                                                              ————————————————————————————————————————————

 

BARONE ON. PAOLO VAGLIASINDI (1858-1905)  di Salvatore Calogero Virzì.

 

      Federico De Roberto

Sac. Calogero Virzì

Un proclama del Sindaco del tempo (1914), l’avv. Alberto Capparelli invitava i cittadini randazzesi ad una cerimonia inusitata per la domenica 19 Aprile 1914: lo scoprimento di una lapide commemorativa in onore di uno dei più degni figli della nostra cittadina l’on. Paolo Vagliasindi deceduto, tra il rimpianto di tutti i buoni e degli amici, il 23 dicembre 1905.
Accorsero in folla i cittadini, come ci testimoniano le fotografie del tempo; onorarono il raduno, con la loro attiva partecipazione, tutte le associazioni del luogo con le loro bandiere: partecipò il Collegio Municipale salesiano con la sua associazione  sportiva “La Vigor”, macchia vivace di colore tra la folla amorfa dei partecipanti; allietò la cerimonia la banda musicale coi suoi squilli argentini e riscaldò i petti con la sua parola vivace e cordiale il buon Sindaco Capparelli che inneggiò a quest’uomo, onore della famiglia e gloria cittadina.
Ma chi era questo Paolo Vagliasindi che ebbe l’onore di una epigrafe dettata dal grande Federico De Roberto ed eternata su una bianca lapide marmorea apposta al cantonale della sua casa avita e scolpita con amore dal più abile scultore della città, Antonino Corallo?
Paolo Vagliasindi, nato il 16 Sett. 1858, era figlio del Barone Francesco del Castello e di Benedetta Piccolo, uno dei tanti figli che allietarono la famiglia più eminente della cittadina.
La sua giovinezza fu guidata dall’assistenza del padre e dall’esempio cristiano della madre che infusero nel cuore del futuro onorevole il più sentito ideale della patria e della religione.
Giovane ancora fu inviato a Roma dove, col massimo dei voti, conseguì la laurea in giurisprudenza che gli diede la possibilità di esercitare, per qualche anno, la professione di legale e di avviarsi per quella via, la politica, che lo avrebbe portato al Parlamento ed al Governo.
Fu Sindaco di Randazzo nel 1885 e 1887 “portando nell’amministrazione della cosa pubblica quella fierezza, integrità e correttezza che furono le doti non comuni del suo carattere”.

                    Il Palazzo Vagliasindi nel corso Umberto – Randazzo


Tempi difficili in verità, sia per la nazione sia per la comunità randazzese, furono quelli in cui visse il nostro personaggio.
Ho qui davanti una memoria del fratello Diego, uomo singolare del paese, estroso, intelligente, entusiasta, buon parlatore e forbito scrittore che, con stile aggressivo e realistico ci fa un ritratto della vita pubblica politica del paese in questi tempi a cavallo dei due secoli: corpo elettorale inadeguato, Consiglio Comunale imbelle e diretto dalle fazioni in eterna lotta fra di loro, impreparato nel sapere affrontare con onestà gli eterni problemi del paese, vita pubblica dominata dal contrasto insanabile delle famiglie più abbienti pronte, ad ogni momento ai dispettucci, alle astiosità, alla violenza, pensando di essere gli unici investiti del diritto al comando, e in questo marasma di contraddizioni, di risentimenti e di bramosia del potere, ecco inserirsi, con una violenza inaudita, la vertenza “de Quatris” che agitò la vita del paese per anni con le azioni più irriverenti contro la Chiesa si S. Maria che, colpevole di avere ricevuto in eredità dalla Baronessa Giovannella de Quatris i suoi due feudi di Flascio e Brieni, si vede, dalla violenza settaria dei nobilucci del paese, seguiti, violenti o nolenti, dalla massa del popolo ignorante ed illuso, spogliare del suo patrimonio con mistificazioni ed orpelli avanzati da legali senza coscienza che imbrogliarono talmente le cose nei cinquanta e più anni che durò la vertenza, da fare desiderare dai cuori onesti la pace anche a costo di subire ingiustizie e danno.
In questo clima operò Paolo Vagliasindi come Sindaco che, seguendo il programma, fatto poi suo, esposto nel citato articolo del fratello Diego, si occupò delle strade del paese, delle campagne circostanti; diede un impulso efficace alla agricoltura; si industriò ad aprire nuove vie al commercio del vino, cespite primo del paese.
Ma quello che rivelò agli amici ed ai nemici le alte qualità di buono e responsabile amministratore, fu la sua azione disinteressata, fattiva, organizzativa, responsabile, in occasione del colera che imperversò nel paese nel 1887.
Si vide il giovane Sindaco ad organizzare i lazzaretti, a soccorrere i colerosi, personalmente, senza alcun timore e ritrosia; infuse in tutti i responsabili suoi collaboratori tale carica di impegno da fargli meritare gli elogi più alti dalle autorità governative che si sentirono in dovere di ricompensare tanta abnegazione con la medaglia d’argento al valore civile perché con tanto ardimento aveva saputo affrontare le sue responsabilità di uomo al servizio della comunità.
Purtroppo ben poco sappiamo e possiamo aggiungere e specificare di quanto egli fece come Sindaco, dato l’ormai inesistente Archivio Comunale, ma l’esperienza di pubblico amministratore di un paese così contrastato lo aprì verso nuovi ideali più complessi, più responsabili, più vasti in cui avrebbero potuto esplicare gli ideali che formavano la sua personalità.
In verità anche la politica italiana di questo ultimo scorcio del sec. XIX, fu un garbuglio tale da dovere assistere ad una successione continua di Ministeri purtroppo effimeri ed inattivi.
Per cui dobbiamo dire con lo storico che non furono anni molto lieti per l’Italia questi che scorsero tra la fine dell’800 e l’inizio del nuovo secolo.
Anni tra i più oscuri e depressi della vita nazionale “senza grandi ideali e senza speranze, fra miserie e avversità d’ogni sorta”: grandi dissesti finanziari, scandali di ogni sorta privati e pubblici, processi, indegnità morali, difficoltà internazionali specie con la Francia e con il Vaticano e, “dulcis in fundo”, sotto il Ministero del Marchese di Rudinì, il 22 Aprile 1897, il primo attentato al Re ad opera opera dell’anarchico P. Acciarito, la morte in duello di Felice Cavallotti “bardo della democrazia” (6/III/1898) ed i moti sovversivi in Piemonte, Sardegna, Milano sottoposta ad uno “stato d’assedio”, seguito dalla chiusura dei circoli socialisti, dalla soppressione di giornali di personaggi di sinistra, e dal conflitto con lo Arcivescovo di Milano.


Non valsero le azioni decise del Di Rudinì, dei due ministeri del Pelloux, dello Zanardelli e dell’avvento del nuovo astro della politica italiana della sinistra moderna, on. Giolitti, perché il triste e travagliato periodo politico si concluse con l’atto più orrendo per una nazione, il regicidio di Monza (29-VII-1900).
In questo tremendo periodo politico si innesta l’attività del nostro onorevole Paolo Vagliasindi.
Preparatosi alla lotta elettorale e politica riorganizzando l’Associazione Monarchica di Catania, andata in sfacelo per lotte interne e per difficoltà di organizzazione, si lanciò con entusiasmo nel giornalismo, facendo rivivere a nuova vita il foglio che sarà la palestra della sua battaglia “La Sicilia” operando, in modo che esso, da foglio per un pubblico esclusivo, diventasse un giornale rivolto ad una folla sempre più vasta.
Polemista di valore, alieno, però, da ogni trivialità, seppe combattere con dignità, con uno stile fluido, sereno, improntato ad una signorilità che ne rivelano le origini; fu aperto ad ogni novità, lontano, però, da compromessi; ribelle ad ogni imposizione, con decisa fermezza di carattere e fedele ai suoi principi si conquistò la stima e il rispetto perfino dei suoi più acerrimi nemici politici quali, per es., il famoso De Felice, dominatore della sinistra catanese che, violento e intransigente, pur avendolo provocato ad un duello, come era stile del tempo, seppe apprezzare la nobiltà del suo nemico quando, prigioniero delle patrie galere a Volterra, ebbe, commosso, la visita consolatrice di chi meno si aspettava,  il Barone Paolo Vagliasindi.
Atto questo che si innesta e lumeggia la personalità di quest’uomo, signore nei modi, nel sentimento, cavaliere di stampo antico che seppe perdonare con nobiltà e con nobiltà vivere, agire con correttezza anche in quella vita pubblica piena di scontri, di amarezze, di opposizioni e tradimenti che avrebbe dovuto affrontare nella sua breve vita politica durata appena soltanto per 4 anni.
Presentatosi alle elezioni per la prima volta nel 1892, fu eletto con una bellissima votazione, facendo parte dei “Conservatori liberali” del partito di Destra.
Grande fu il numero delle simpatie che egli godette e così potè essere rieletto come rappresentante della sua terra natia nel 1894, 1897, 1900 nei due Collegi di Bronte e di Giarre.
Nel 1899, per i suoi meriti e soprattutto per la sua perizia mostrata nei problemi agricoli, fu chiamato nel secondo Ministero Pelloux ad affiancare il Ministero Sonnino come sottosegretario all’Agricoltura, Industria e Commercio, distinguendosi per zelo, per appropriati interventi portando in quel dicastero “un soffio di vitalità e di energia”, avendo una parte non indifferente in moltissimi progetti che riguardavano l’agricoltura nazionale, come ancora possiamo constatare dal volume delle “Cronache Parlamentari” del tempo, religiosamente conservati fino a qualche tempo fa dalla famiglia e da me attentamente sfogliati nelle copie fornitemi gentilmente dal nipote Ing. Edmondo SCHIMIDT di FRIEDBERG di Roma che volle venire a Randazzo a rivedere i luoghi originari della sua stirpe.
“Gli interventi suoi furono particolarmente numerosi – mi scrive il sopraddetto nipote da me interpellato, cultore appassionato delle memorie familiari – nell’anno in cui fu Sottosegretario, e spaziavano su un orizzonte nazionale ed internazionale… buon oratore, con qualche punto di felice ironia e competenza degli argomenti trattati.
Ma soprattutto uomo di onore nel senso migliore della parola” a lui si deve la proposta di provvedimenti che riguardavano la Sicilia come risulta dalle sopracitate “Cronache Parlamentari” del tempo, e dai numerosi documenti che giacciono a Torino e dal numeroso epistolario (oltre 2000 lettere) che egli scambiò con i più rappresentativi uomini politici del suo tempo, “Salandra, Sonnino, Sangiuliano… Giustino Fortunato”.
Ma purtroppo, nonostante questa sua intensa e costruttiva politica come membro del Governo, nelle susseguenti elezioni, inaspettatamente, fu sopraffatto dai brogli e dalle violenze di un Prefetto venduto (tale Bedendo) che incitò la plebaglia contro di lui, liberò perfino i delinquenti carcerati che scatenarono l’inferno tra gli elettori, con la tacita e consapevole accondiscendenza e il segreto verdetto dell’allora dominatore della politica italiana, on. Giolitti, che nella ultima composizione del precedente Ministero Zanardelli, aveva potuto valutare la forza e il valore di un tanto avversario.

                                              Campanile San Martino – Randazzo


Si ribellarono gli elettori, si pretese la nomina di un Comitato ispettivo delle votazioni, ma il verdetto non arrivò più giacchè la tragedia si era inaspettatamente abbattuta sulla Famiglia Vagliasindi: il 23 Dicembre alle ore 14,30 1905 il Barone Paolo Vagliasindi, curato invano dai medici di famiglia, assistito da parenti ed amici, visitato affettuosamente dal Cardinale Nava, Arcivescovo di Catania, salutato ed affettuosamente abbracciato dall’amico-avversario De Felice, tra lo sbalordimento delle piccole figlie innocenti e della moglie (aveva sposato a Torino una dolce e nobile fanciulla, Ottavia Caissotti di Chiusano nel 1897), portando nel cuore la tragedia della morte immatura dell’unico figlio, moriva questo impareggiabile e nobile lottatore, come “un gladiatore romano”.
Sbalordì la città che in tre giorni appena si era potuto concludere la carriera e la vita di un uomo tanto stimato e ammirato che aveva polarizzato sopra di sé le speranze del partito, l’ammirazione incondizionata dagli avversari, il vanto dei parenti e della città natia.
Questo spiega il fatto che i funerali furono un trionfo: accorse tutta la città, memore delle battaglie sostenute da lui per la difesa dei suoi diritti: accorsero folti gruppi da Bronte, Adrano, Biancavilla, S. Maria di Licodia, Acireale, Randazzo.
Il lungo corteo che si svolse per la via Vittorio Emmanuele alla fioca luce di tutti i fanali abbrunati e sotto la nuvola di petali di fiori gettati a piene mani dai balconi sulla bara portata a spalla dagli amici più cari e sostenuta coi cordoni in mano alle Autorità più alte: Prefetto, proSindaco De Felice, Presidente del Tribunale, Sindaco di Randazzo, vari Senatori.
Una folla di bandiere di tutte le Associazioni catanesi e della provincia chiudevano il corteo lungo la interminabile via facendo una breve sosta alla Chiesa di S. Agostino dove un gruppo degli amici Salesiani impartì la benedizione alla salma.
Alla Porta Garibaldi l’estremo saluto ad un personaggio che tante simpatie aveva suscitato nel popolo tutto appartenente ad ogni ceto che affettuosamente lo accompagnava portando ben 46 corone di fiori, fu detto, tra le lacrime dei più cari amici dall’on. De Felice e dal senatore prof. Carnazza Amari.
Né qui si chiuse il ricordo della giornata terrena del nobile uomo. Manifestazioni imponenti si svolsero nella ricorrenza di trigesima e per vari anni nel giorno anniversario.
Si fecero presenti con lettere e lunghi telegrammi una colluvie di alti personaggi della politica e del Governo sia della Sicilia che del resto della Nazione.
Solenne fu la commemorazione all’Associazione Costituente che volle nella sua sede un suo mezzobusto, alla Federazione Operaia Monarchica che depose sulla tomba una corona floreale di bronzo, alla Camera dei Deputati dove presero la parola nella vasta assemblea dai seggi stipati, gli onorevoli Riccio di Scalea, e Fortis i cui discorsi si conclusero con l’invio di un telegramma di circostanza alla moglie Baronessa Ottavia da parte del Presidente on. Marcora.
Vasta fu l’eco della stampa, i cui stralci ho qui davanti a me assieme ai tre opuscoli che ripetono discorsi e testimonianze: si commossero i poeti che vollero innalzare il loro canto all’uomo insigne scomparso immaturamente; pianse l’amico del cuore, il famoso scrittore Federico De Roberto, che volle rendere omaggio all’amico estinto con l’articolo pervaso di poesia e delicato sentimento che segue questo breve profilo e col dettare il testo della lapide che, come abbiamo detto, fu apposta a Randazzo sul cantonale del Palazzo di Famiglia che ancora possiamo leggere sul niveo marmo:
PAOLO VAGLIASINDI – nelle lotte della vita pubblica – portò la forza e la gentilezza – di un cavaliere antico – in Parlamento e al Governo – fu propugnatore immutabile – di libertà con ordine – crudelmente troncata – prima di dare tutti i suoi frutti – l’opera nobilissima – del Cittadino esemplare – vive nella memoria dei contemporanei – rivivrà nella storia – di questa diletta sua terra.

Sac. Salvatore Calogero Virzì

Randazzo, 6 Settembre 1984

                                                                   IL RICORDO DELLA FIGLIA LAURA

Torino 27 Giugno 1984 

                   Gent.mo e Reverendo don Salvatore Virzì 

    Con profonda gratitudine e commozione ho ricevuto la sua richiesta, e molto mi rallegro per l’amorevole iniziativa verso la memoria di mio padre, che veramente ritengo sia stata una figura esemplare come lealtà e rettitudine, carità di Patria, chiaroveggenza politica, passione di lotta per il trionfo del bene.

           on.le Paolo Vagliasindi

Lo attestano antiche opinioni di amici e collaboratori ormai trapassati, ma in modo speciale il culto devoto e la non mai affievolita affezione di mia madre che, per tutta la vita, serbò nel cuore il suo luminoso ricordo.
Nel 1897, mio Padre aveva infatti sposato Ottavia Caissotti di Chiusano, torinese come tutta la famiglia di lei. Matrimonio sotto ogni aspetto felice, non mai offuscato dalla benché minima nube.
Purtroppo le nozioni che potrò fornire personalmente saranno scarse e un po’ vaghe, sia perché alla morte di mio Padre eravamo 4 sorelle ancora proprio bambine, sia perché la tardissima età, nonché un incidente stradale quasi mortale, mi hanno ridotta allo stato di rudere.
Sappiamo comunque che mio Padre è stato direttore del giornale “La Sicilia” che, se ancora esiste, avrà certamente in archivio tutti gli articoli scritti da lui e su di lui.
Sappiamo che fu eletto deputato per ben 4 volte e che la 5^ legislatura gli venne bocciata dai delinquenti appositamente usciti di carcere e liberati per opera dei suoi detrattori.
Tutte queste angherie, e in modo speciale la morte dell’unico figlio maschio – dolore straziante sopportato con cristiana fermezza e rassegnazione – hanno certamente contribuito a debilitare l’organismo di mio Padre, e a provocare la prematura scomparsa.
Ricordo in modo confuso il clima di appassionato conflitto nei riguardi di un certo “De Felice” che io mi figuravo come una specie di mostro.
Ricordo che mio Padre ebbe un duello in proposito.
Ricordo la sua devozione all’ideale monarchico e conservatore.
Come  Sindaco di Randazzo sappiamo che si adoperò con piena dedizione alla cura del colpiti durante l’epidemia di colera.
Ricordo… una frase scritta da lui in cima ad un mio quaderno:
“Chi impara a conoscere se stesso, impara anche a migliorarsi”.
Qualche anno fa ho avuta la sconvolgente sorpresa di vedere mio Padre ritratto in televisione, a grandezza naturale, mentre in Parlamento citava versi di Dante!
Ulteriori dettagli potranno forse esserle forniti da mio nipote Edmondo Schimidt di Friedberg, figlio di mia sorella Benedetta, il quale è un competente di tradizioni familiari, e sempre ha nutrito grande ammirazione per il Nonno mai conosciuto.
Voglia accogliere i più devoti omaggi e commossi ringraziamenti da una superstite di altri tempi. 
Laura Vagliasindi                                                                                                                      

 

 

NELL’ANNIVERSARIO DELLA MORTE DELL’AMICO BARONE  PAOLO VAGLIASINDI

Lo vidi disteso sul letto di morte, lo seguii verso la fossa e credetti di non poterlo più ritrovare altrove fuorchè nell’intimo mondo delle memorie.

M’ingannavo: lo rividi!

Il suo spirito aleggia ancora sulla vetta di un monte.(nota: m. Colla presso Randazzo, che era di sua proprietà).

       Palazzo Vagliasindi – Randazzo

E’ una delle più alte cime dei Nebrodi orientali: nessun’altra la sovrasta fin dove arriva lo sguardo, tranne quella dell’Etna; ma il vulcano, troneggiando da lungi, oltre l’immenso solco del fiume, non la schiaccia, le dà anzi più spicco. E dal fumante culmine della montagna del fuoco, l’occhio corre, di là dai vaporosi abissi del mare, alle isole del vento (Eolie), emergenti come per incanto dall’incerto orizzonte.
In quel nido d’aquila, tra il candore delle nubi e delle nevi, fuori delle vie del mondo, in mezzo e dinanzi ai primigenii elementi, egli edificò la sua casa: una casa vasta e forte come un castello, ma tutta illeggiadrita dall’edera che la veste come di un verde merletto, ma tutta profumata dal parco che le è cresciuto d’intorno.
La volontà pertinace e l’intelletto d’amore trasformarono quella cima nuda e deserta  in un soggiorno delizioso ed in un campo fecondo. Dove mani imprudenti divelsero e distrussero la secolare foresta, una mano accorta e paziente piantò e difese i nuovi rami che già proteggono l’erta pendice.Quella mano industre prodigò l’alimento al suolo per accrescerne le energie, e tracciò gli argini per infrenare le acque, ed eresse i ricoveri agli armenti che dovevono popolare i pascoli pingui e dissetarsi alle cristalline sorgenti.  

A quel suo piccolo regno dove, pieno di vita, egli mi aspettò nei giorni che le fonti della erano esauste in me, io salii troppo tardi, quando la terra aveva ricoperto da tempo la sua fredda salma.
Ma sotto l’antico bosco e la tenera pineta, nei viali del parco, nelle sale del castello, dinanzi all’altare della cappella, nel cospetto del vulcano formidabile, del mare immenso e del cielo infinito, nella canzone delle fontane, nei fragori del vento, nell’ultima cima come in ogni recesso del monte Colla io rividi e riudii lo spirito gagliardo, nobilmente audace, tenacemente operoso di Paolo Vagliasindi.

            Catania, 23 Dicembre 1906                                                                                           Federico De Roberto

 

Sac. Salvatore Calogero Virzì  da Randazzo Notizie n. 11 – Novembre 1984

 

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        Discorso tenuto dal Sindaco di Randazzo Ernesto Del Campo il 5 settembre 2009, in occasione della posa del Busto in bronzo e dell’Intitolazione della Sala Giunta al Barone Paolo Vagliasindi del Castello.

    E’ con sommo piacere che oggi, sabato 5 settembre 2009, accogliamo, in questa nostra Città di Randazzo, i rappresentanti della Famiglia Vagliasindi, una delle più antiche e più nobili di Randazzo, in occasione dell’inaugurazione del Busto in bronzo e dell’intitolazione della Sala Giunta al Barone Paolo, che, pur nella sua breve vita, tanto lustro portò alla nostra città ed alla Sicilia tutta.
Riteniamo che occasioni come questa siano utili per conoscere, capire, approfondire il nostro passato, la nostra storia, la nostra cultura.
Ho detto in occasione della recente intitolazione della Piazza di Montelaguardia all’Avv. Gualtiero Fisauli e mi piace qui ricordarlo Una società che dimentica le proprie origini, la propria storia, indipendentemente dal ceto sociale, dal ruolo o dall’appartenenza politica dei relativi protagonisti, è una società senza memoria.
Un popolo senza ricordi, senza capacità critica, senza dialogo e senza riflessione non ha futuro, anzi ha difficoltà a comprendere persino il presente”.
Ma chi era questo nobile uomo della nostra terra?
Riteniamo opportuno tracciarne un breve profilo biografico che, certamente, non pretende di essere completo ed esaustivo tenuto conto dell’intensa attività svolta in ogni campo dall’uomo, dal politico, dallo statista, sia qui a Randazzo, dove fu Sindaco, sia al Parlamento Nazionale, dove fu Deputato, sia ancora al Governo, dove fu Sottosegretario di Stato, apprezzato tanto che ebbe l’onore di una epigrafe dettata da Federico De Roberto ed eternata su una bianca lapide marmorea apposta al cantonale della sua casa avita e scolpita dal più abile sculto­re della città, Antonino Corallo.
Paolo Vagliasindi, nato il 16 settembre 1858, era il terzo di 13 figli del Ba­rone Francesco del Castello e di Benedetta Piccolo di Calanovella.
Casato illustre, quello del Vagliasindi, presente a Randazzo già alla fine del XVI secolo, ripartitosi successivamente, dal ceppo principale, in numerosi altri rami, così come altrettanto illustre era, ed è, quello dei Piccolo che, tra i suoi, annovera personaggi di spicco illustri come il grande scrittore Lucio, discendenti da antica nobiltà siciliana, imparentati con Giuseppe Tomasi di Lampedusa, altro celebre scrittore, noto per il suo romanzo “Il Gattopardo”.
La famiglia Vagliasindi aveva avuto sempre un ruolo di primo piano nella vita cittadina, protagonista in ogni attività socio- economico-culturale di Randazzo.

Busto di Paolo Vagliasindi nella sala della Giunta – Palazzo Municipale Randazzo


Ancora giovane, fu inviato a Roma dove, col massimo dei voti, conseguì la laurea in giurisprudenza che gli diede la possibilità di esercitare, per qualche anno, la professione di legale e di avviarsi verso la politica, che lo avrebbe successivamente portato al Parlamento ed al Governo.
Nel 1885, a soli 27 anni, veniva eletto Sindaco di Randazzo, carica alla quale venne riconfermato nel 1887, portando nell’amministrazione della cosa pubblica la fierezza e correttezza che furono le doti principali del suo carattere.
Non erano anni facili, né a livello locale, né ancor meno a livello nazionale.
Leggiamo, infatti, in un ritratto della vita pubblica politica del paese in quegli anni a cavallo tra il XIX ed il XX secolo fatto dal fratello Diego, uomo singolare, estroso, intelligente:
corpo elettorale non sempre all’altezza della situazione, Consiglio Comunale il più delle volte diretto dalle fazioni in eterna lotta fra di loro, impreparato nel sapere affrontare gli eterni problemi della Città, vita pubblica domi­nata dal contrasto insanabile delle famiglie più abbienti pronte, ad ogni momento, ai dispettucci, alle astiosità, alla violenza, e – nel marasma di contraddizioni, di risenti­menti e di bramosia del potere – , ecco inserirsi, con una vio­lenza inaudita, la vertenza De Quatris che doveva trascinarsi per oltre 50 anni, fino al secolo successivo, schierando su posizioni diverse le opposte fazioni.
Vertenza che agitò la vita della nostra Città per tanti anni, con le azioni più irriverenti contro la Chiesa di Santa Maria che, “colpevole” solo di avere ricevuto in eredità dalla Baronessa Giovannella De Quatris i suoi due feudi di Flascio e Brieni, si vide spogliare, alla fine, del suo ingente patrimonio”

Per di più, nel 1887 si diffuse una tremenda epidemia di colera, che il Nostro giovane sindaco affrontò in maniera responsabile, organizzando i lazzaretti e soccorrendo in prima persona gli ammalati, coinvolgendo pure i suoi collaboratori, tanto da meritare, più tardi, l’attribuzione della medaglia d’argento al valore civile da parte del Governo proprio perché, con tanto ardimento aveva saputo affrontare le sue responsabilità di uomo al servizio della comunità.
Dimostrò, inoltre, il suo impegno alla guida della Città nel curare le strade, ma soprattutto imprimendo un nuovo impulso all’agricoltura, ed in particolar modo aprendo nuove vie al commercio del vino, il principale prodotto su cui si basava, allora, la nostra economia.
Coincide, infatti, con quest’epoca l’importanza del porto di Riposto da cui partivano navi e bastimenti carichi di vino diretti in tutto il mondo, Russia compresa. E ciò a dimostrazione del significativo rilancio in quel tempo della viticoltura etnea.

…la scienza ha nell arte la funzione di metodo, fornisce gli strumenti per l osservazione oggettiva del fatto umano e cerca di ricostruirlo in totale aderenza al vero nell arte quel che più ci attrae è sempre la vita Romanzi importanti: Giacinta e Il marchese di Roccaverdina A list of procedures and steps, or a lecture slide with media. Luigi Capuana. 23.


Da rilevare, ancora, che fu proprio durante la sua sindacatura che vennero iniziati, e successivamente portati a termine gli scavi archeologici in Contrada S. Anastasia, i cui reperti sono stati catalogati e resi fruibili nel nostro Museo Archeologico dedicato all’altro cugino Paolo Vagliasindi, oggi vero punto di forza dell’offerta culturale della nostra città.
L’esperienza di pubblico amministratore di una cittadina così contrastata lo aprì verso nuovi interessi, più complessi e più vasti, in cui avrebbe potuto esplicare gli ideali che formavano la sua per­sonalità.
Paolo Vagliasindi meditava di compiere quel “salto di qualità” che da una cittadina di provincia del “profondo sud” lo avrebbe portato ai palazzi della Capitale. Iniziava, così, a preparare il terreno per il momento in cui avrebbe presentato la sua candidatura al Parlamento Nazionale.
Consapevole dell’importanza tanto di una solida base politica, quanto del peso determinante della stampa, spostando il suo centro d’interessi verso il capoluogo etneo riorganizzò a Catania l’Associazione Monarchica che diventerà, poi “Associazione Costituzionale”, di cui Paolo sarà presidente fino all’anno della morte –, e rilanciò il foglio La Sicilia, trasformandolo in un vero e proprio giornale, rivolto ad un più vasto pubblico, che sarebbe diventato “la palestra della sua battaglia”.
Diretto da Giuseppe Simili, e finanziato dal principe Manganelli, il periodico resterà in vita fino al 1923. L’attuale testata omonima nascerà, poi, nel 1945 ad opera di un diverso gruppo editoriale.
Polemista di valore ed alieno però da ogni forma di sterile polemica fine a se stessa, Paolo Vagliasindi, sia come giornalista, sia come politico, seppe esprimersi con dignità, aperto ad ogni novità, lontano da compromessi; ribelle ad ogni imposizione, con decisa fermezza di carattere, si conquistò la stima e il rispetto persino dei suoi più acerrimi nemici politici quali, per esempio, il famoso De Feli­ce, dominatore della sinistra catanese.
Gli anni che scorsero tra la fine dell’800 e l’inizio del nuovo secolo furono tra i più oscuri e depressi della vita nazionale senza grandi ideali e senza grandi spe­ranze, fra miserie e avversità d’ogni sorta: grandi dissesti fi­nanziari, scandali di ogni sorta privati e pubblici, processi, indegnità morali, difficoltà internazionali. In questo tremendo periodo politico si innestava l’attività del nuovo Onorevole, Paolo Vagliasindi.
Presentatosi alle elezioni per la prima volta nel 1892, per la XVII legislatura, nel Collegio elettorale di Catania II (Acireale), fu eletto con un larghissimo consenso popolare, facendo parte dei “Con­servatori liberali” del partito di Destra.
Grande fu il numero delle simpatie che egli godette e così poté essere rieletto come rappresentante della sua terra natia nel 1894, e poi nel 1897, per il Collegio di Bronte, e poi ancora una quarta volta nel 1900, nei due Collegi di Bronte e di Giarre, optando per Bronte.
Nel 1899, per i suoi meriti e soprattutto per la sua competenza nei problemi agricoli, fu chiamato nel secondo Gabinetto Pelloux come Sotto­segretario all’Agricoltura, Industria e Commercio.
Incarico che mantenne dal 14 maggio 1899 al 21 giugno 1900, per tutta la durata del governo, avendo una parte non indifferente in moltissimi progetti che riguar­davano l’agricoltura nazionale, come ancora possiamo co­nstatare dal volume delle «Cronache Parlamentari» del tem­po e, soprattutto, fece numerosi interventi e propose numerosi provvedimenti che riguardavano la Sicilia.
Nel frattempo, il 19 luglio del 1897, si era sposato a Torino con la giovane Ottavia Caisotti dei conti di Chiusano, dalla quale ebbe cinque figli: Laura, Benedetta, il terzogenito Emilio – l’unico maschio che purtroppo morirà in tenerissima età, a soli 3 anni, nel 1903 –, e poi ancora le altre due figlie: Maria ed Ersilia.
Il 31 dicembre 1899 gli veniva conferito il titolo di Commendatore della Corona d’Italia.
Nel mese di novembre del 1904 Paolo Vagliasindi si ricandidò nel Collegio di Bronte, ma stavolta non veniva rieletto a seguito di pressioni ed intimidazioni ad opera dei suoi avversari.
Il barone Paolo Vagliasindi, raccolto il materiale ed acquisite le testimonianze necessarie, presentò ricorso, chiedendo l’annullamento della votazione, ma, mentre si era in attesa che la Giunta delle Elezioni emettesse i provvedimenti definitivi, colpito all’improvviso da una pleurite, nel giro di pochi giorni, alle ore 14.30 del 23 dicembre 1905, ad appena 47 anni, cessava la sua vita terrena.
Sbalordì l’intera città che in tre giorni appena si era potuta concludere la carriera e la vita di un uomo tanto stimato ed ammirato, che aveva polarizzato sopra di sé le speranze del partito, l’ammirazione incondizionata degli avversari, il vanto dei parenti e della città natia.Il giornale “La Sicilia” di cui era collaboratore ne pubblicò un necrologio a tutta pagina.
Tra i cittadini più autorevoli che si recarono in visita fu notato “il prof. Luigi Capuana”. Come riportato da La Sicilia del 24-25 dicembre 1905, ai funerali di Paolo Vagliasindi la città di Catania fu rappresentata da tutte le classi sociali.
Vasta fu l’eco della sua dipartita: si commossero i poeti, che vollero innalzare il loro canto all’uomo insigne scomparso immaturamente; pianse il famoso scrittore Federico De Roberto, che volle rendere omaggio all’amico estinto col dettare il testo della lapide che, come ab­biamo detto, fu apposta a Randazzo sul cantonale del Palaz­zo di Famiglia che ancora oggi possiamo leggere sul niveo mar­mo:

   Paolo Vagliasindi / nelle lotte della vita pubblica / portò la forza e la gentilezza / di un cavaliere antico / in Parlamento e al Governo / fu propugnatore immutabile / di libertà con ordine / crudelmente troncata / prima di dare tutti i suoi frutti / l’opera nobilissima / del Cittadino esemplare / vive nella memoria dei contemporanei / rivivrà nella storia / di questa diletta sua terra.

Come ebbe a scrivere L’Ora del 23.12.1905, giorno della sua dipartita terrena, Paolo Vagliasindi godeva “le simpatie della cittadinanza, per le alte qualità morali e intellettuali, che lo distinguevano tanto da meritarsi anche la stima degli avversari”.

Ed è proprio per ricordare – ancora una volta – questo nobile figlio della nostra terra, il quale, pur nella sua breve vita, tanto lustro portò a Randazzo e alla Sicilia, che oggi siamo qui a farne memoria, inaugurandone il Busto in bronzo, gentilmente donato dalla famiglia ed accettato dall’Amministrazione Comunale con Atto deliberativo n. 38 del 30 marzo 2006, assunto dall’Amministrazione guidata dal Prof. Salvatore Agati e integrato con Delibera n. 76 del 15 maggio 2009, ed intitolandogli la Sala Giunta, ben consapevoli come siamo che una città, o un popolo, che non ha memoria storica del proprio passato, non ha certamente neanche le basi giuste e solide per il suo futuro.

 

Lettera al Sindaco Francesco Sgroi per acquisire dall’Archivio di Stato di Catania l’archivio privato dell’on.le Paolo Vagliasindi.

 

La relazione che accompagna l’Archivio puoi leggerla di seguito.

 

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CIRO ZAPPALA’

 

CIRO ZAPPALA’ nato a Herisau Svizzera il 27 dicembre 1961. 

L’artista  dopo aver frequentato l’Istituto d’arte , si dedica a una ricerca personale della grafica.

A notare l’artista è Santino Spartà esporto saggista e letterato della metà  900; il critico lo accosta, per la poetica

e il tratto grafico  al grande Dore’.

Nel 2012  gli viene conferito il premio “ la Foglia D’argento ”  alla  carriera. (Premio Consiglio dei Ministri in Campidoglio  Roma)

Espone insieme a grandi pittori della metà del 900; come ama sottolineare l’artista questi riconoscimenti gli

sono stati conferiti per la ricerca stilistica della  grafica o graffia.

Espone insieme a Carlos D’Agostino ,noto iconografista presso la sede Vaticana.

Campidoglio – Roma

Nel  2010  gli è stato conferito il premio d’autore (Ciac) a Roma, presso il Campidoglio.

Una sua opera viene esposta permanentemente nella Galleria d’arte L’Agostiniana di Roma.

La sua arte diviene finanche oggetto di studio da parte di studenti tesisti in Storia dell’Arte.

 E’ stato selezionato per la Biennale d’arte Internazionale di Roma ed ha esposto nelle sale del Bramante insieme ai più grandi pittori del Novecento.

Non è  solo  Santino Spartà a notare L’artista , ma  grandi nomi della pittura come Ennio Calabria, A. Tamburo, Venier etc.
hanno apprezzato le sue opere.

Il premio più grande  per l’artista come ama sottolineare lui stesso è il riconoscimento  delle persone comuni che manifestano

 il loro piacere ad avere una sua opera  ( innumerevoli sono stati e sono persone che dagli inizi  ad oggi  hanno voluto una sua  opera ).

Nel 2014  partecipa  all’esposizione internazionale  d’arte contemporanea   “ Il Cromatismo in Europa ”  presso :

 ESPACE  ART GALLERY  BRUXELLES.

Nel 2015 riceve l’invio alla partecipazione per l’ esposizione internazionale arte contemporanea  a NEW

YORK.

Alcune opere di Ciro Zappalà.

 

 

Il Fortino (tecnica china e tempera)

 

La scalinata convento dei cappuccini. Randazzo

La mietitura (tecnica china)

 
 

 
   

 

 

 

 

 

 

Francesco Paolo Finocchiaro

 

 

Francesco Paolo Finocchiaro : il  pittore randazzese apprezzato alla Casa Bianca

 

Francesco Paolo Finocchiaro nacque a Randazzo, da Raffaele e Maria Catena Camarda, il 15 marzo 1868.
Non sappiamo quando si manifestò la sua vocazione pittorica, ma pare che gli fosse stato accordato un sussidio dall’Amministrazione comunale del tempo per proseguire gli studi artistici.
La sua formazione avvenne all’Istituto di Belle Arti di Napoli, sotto la guida di un grande maestro, Domenico Morelli. Proprio a Napoli, durante una mostra, il dipinto Un nuovo fra Melitone, acquistato dal re, doveva far ottenere al giovane Finocchiaro, appena diciottenne, il primo grande successo.

Da lì si trasferì a Roma, dove rimase cinque anni, affermandosi fin da allora in quella che fu la sua specializzazione, la ritrattistica: non sappiamo se per una sorta di predilezione tematica, o se per seguire una tendenza o una “richiesta di mercato” capace di assicurargli stabilità economica, certo è che, nella sua non breve vita, il pittore eseguì numerosissimi ritratti di notabili, ecclesiastici, nobili e dame dell’aristocrazia del tempo. 
Una tappa importante per il giovane artista fu la realizzazione del Battesimo di Gesù, per la Basilica di S. Maria. È possibile seguire la genesi dell’opera attraverso il fitto carteggio con l’Arciprete Francesco Fisauli, durante l’estate del 1892.
In una prima lettera, da Roma, Finocchiaro comunica di avere finalmente trovato il soggetto, in una tela di Prospero Piatti (1879), posta nel Duomo di Ferrara, e di attendere l’exequatur del committente; nelle successive, è assillato dalle dimensioni, dovendo ridefinire le proporzioni nella copia in funzione della cappella di destinazione; finalmente, risolti tutti questi problemi, il 15 ottobre 1892 scrive da Ferrara: ottenuta dalle autorità ecclesiastiche l’autorizzazione a riprodurre, è immerso nel lavoro, e tanto pieno di fervore ed entusiasmo, da dichiarare: “…ed io nulla risparmierò pel migliore disimpegno del mandato affidatomi, mandato pel quale tutto ho impegnato con anticipo, e fama, e avvenire, ed esistenza…”. 
Evidentemente quest’opera assumeva il valore di una scommessa sulla propria carriera futura, di una consacrazione ufficiale; il tono delle missive all’Arciprete Fisauli è deferente, sottomesso, comprensibile però in un giovane e speranzoso artista di 24 anni che più di un secolo fa si rivolgeva al suo committente, ch’era un alto e potente prelato.
Ancor più se il giovane era alle prese con un’
opera grande – non solo per le dimensioni – un’opera destinata ad apparire, e rimanere, nella cattedrale del suo paese, non più in un salotto privato.
Il Battesimo di Gesù, ultimato nel 1893, sarà collocato in S. Maria nel 1895, sopra il fonte battesimale.

Particolare del “Battesimo di Gesù” .

È una grande tela (380 x 520 cm circa), e, benché il suo essere copia può sminuirne il valore, dimostra tuttavia una notevole padronanza della tavolozza e della pennellata, e comunica indubbiamente, per il suo pathos, delle emozioni immediate.
Quello delle riproduzioni di altri dipinti è un filone presente spesso nella pittura del Finocchiaro, ma siccome tante sue opere sono disperse, è difficile stabilire se in questi
d’après egli abbia trasferito validità autonoma e personale.
Sappiamo che eseguì una copia della Madonna in trono di Pietro Vanni, posta sull’altare maggiore di S. Maria, che un tempo faceva mostra di sé nella sua villa di S. Spirito, una copia della tela con la
Morte di S. Giuseppe ai Minoriti di Catania, e una dell’ormai rovinata Resurrezione di Lazzaro di Onofrio Gabrieli (XVII sec.) a S. Martino.
Durante il soggiorno a Ferrara, dove si accostò alla pittura di Giovanni Boldini, Francesco Finocchiaro fu ospitato dai conti Gulinelli, strinse molte amicizie, eseguì vari restauri e ritocchi nelle case patrizie, e lasciò due ritratti, del Conte Massari e del Duca Fioravanti, oggi al Museo civico di Arte Moderna di Palazzo Massari.
Sembra sia stato anche a Parigi, ma non disponiamo di notizie più dettagliate. Certo il nostro pittore ebbe una vita sociale molto intensa e movimentata, dovette riscuotere la stima e le simpatie di molte personalità del tempo, e intessere una fitta rete di amicizie “importanti”.
Ma la stagione più esaltante nella vita e nella carriera del Finocchiaro inizia con il suo trasferimento negli Stati Uniti d’America, intorno alla fine dell’800, o, al più tardi, nei primissimi anni del ‘900, se già nel 1902 ha luogo il suo matrimonio con Florence Angel Manson, a New York.
Si vuole che la moglie fosse una bellissima e ricchissima principessa pellerossa, morta giovane, mentre l’unico figlio nato da queste nozze perì immaturamente.
In sua memoria il pittore avrebbe devoluto all’Ospedale civile di Randazzo l’allora cospicua somma di 100.000 lire, per l’attrezzatura della sala operatoria.
In America Francesco Paolo Finocchiaro incontra successo, fortuna, e ricchezza. Si inserisce negli ambienti newyorchesi più in vista, apre il Bryant Park Studio, nella 44° Strada di New York, dove può esporre le sue opere ed organizzare ricevimenti di un certo richiamo, cui partecipano, tra i tanti, il Console italiano in America, il maestro Sapio e signora, che intrattengono gli ospiti eseguendo brani d’opera accompagnati al pianoforte, un altro emigrato illustre, il tenore Enrico Caruso, collezionista ed intenditore d’arte, allora all’apice della sua luminosa carriera, ambasciatori, esponenti dell’alta società, e persino Theodore ed Eleanor Roosevelt.

Eleanor Roosevelt.


Quella con la famiglia del 26° Presidente degli Stati Uniti dovette essere un’intensa amicizia, con scambi d’inviti e di corrispondenza: sembra che il pittore sia stato un supporter e finanziatore di una campagna per l’elezione di Roosevelt alla Casa Bianca, e più tardi, in occasione di un viaggio in Italia di Mrs. Roosevelt, le scriveva per darle il benvenuto e augurarle “che la mia terra le sia gradita quanto per me lo è stata la sua”.
In quella terra ospitale oltre ai ritratti di Roosevelt e della sua famiglia, alla Casa Bianca, ne realizzò molti altri, dell’Ambasciatore e dell’Ambasciatrice baroni Mayor del Planches,  e di altri personaggi del jet-set statunitense, mentre i giornali si occupavano spesso di lui. L’ombra del sospetto doveva turbare però quegli anni tanto pieni di gloria e di gratificazioni, allorché esplose lo “scandalo degli arazzi”, in cui si trovò coinvolto, per avere trasferito in America, esposto e venduto alcuni arazzi per conto di conoscenti dell’aristocrazia romana.
In suo favore sarebbe sceso in campo Luigi Barzini, che intervistò l’artista nel Massachusetts, per avere la sua versione dei fatti, e lo stesso direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini, che dichiarava, dalle colonne del suo giornale (27.08.1908): “…Egli è incapace di prestarsi a sotterfugi ed intrighi. È un’anima entusiasta ed ingenua…”.
Non abbiamo, oggi, gli elementi per giudicare, ma lo stesso Finocchiaro, nel 1907, da New York, redige una memoria in cui espone tutta la dinamica dei fatti, dimostrando la propria buona fede ed estraneità alle accuse, che peraltro anche la stampa italoamericana riteneva prive di fondamento. 
Non si conosce la data del rientro in Italia, pare comunque che, per qualche anno, il pittore alternasse i soggiorni a Roma, al n.33 della mitica via Margutta, a quelli a Randazzo, dove possedeva terreni coltivati e ville in campagna.
Dal primo gennaio 1930 si stabilisce a Taormina, in una villa sontuosamente arredata di tappeti e oggetti d’arte riportati con sé dai suoi viaggi, gestisce un Hotel e viene anche nominato Commendatore.
Muore proprio a Taormina, il 26 aprile 1947, lasciando ai numerosi nipoti, in assenza di eredi diretti, un immenso patrimonio. Sarà tumulato nella cappella di famiglia del cimitero di Randazzo, e insieme con lui saranno seppelliti tanti misteri, tante domande  che non hanno ancora trovato risposta.

Francesco Paolo Finocchiaro – il Pastorello

Difficile comprendere la personalità di questo artista sfuggente e solare al tempo stesso, entusiasta, provvisto di notevole cultura, geniale secondo qualcuno, sicuramente dotato di fascino ed intraprendenza, forse di un pizzico di spregiudicatezza.
Fu un libertino scialacquatore, oppure un oculato amministratore del proprio genio e della propria ricchezza? Uomo di mondo, ambizioso ma capace anche di grandi slanci di generosità, antepose l’arte ad ogni affetto, o piuttosto riversò in essa quanto la vita gli aveva sottratto? 
Difficile redigere un catalogo completo dei dipinti di Francesco Paolo Finocchiaro, che furono numerosissimi, ma sparsi in varie città d’Italia (Napoli, Roma, Ferrara) e in America.
A Randazzo lasciò ritratti e quadri a soggetto religioso, ma pochissime opere ci sono state documentate: oltre al già citato Battesimo di Gesù, resta la deliziosa tavoletta con il Pastorello (Municipio), opera fresca e spontanea, dai colori sobri e smorzati, ma non spenti, che ritrae un ragazzino dall’espressione ingenua e furbesca al tempo stesso, un San Francesco di Paola (coll. privata), dove l’artista, pur trattando un tema sacro, effonde tutta la sua abilità di ritrattista: lo sfondo appena accennato e il mantello scuro mettono in risalto le tinte calde delle mani e del volto, dallo sguardo palpitante ed intenso, dall’aria saggia e sofferta, non è datato ma è evidente l’influsso della pennellata sfrangiata del Morelli.
Abbiamo notizia di una Trasfigurazione, nella chiesa di S. Francesco di Paola di Randazzo, andata distrutta durante gli attacchi aerei del 1943, di una Madonna, prima esposta a Monaco di Baviera e successivamente nello studio di New York, e di una Cabeza de nino, presentata nel 1910 all’Esposizione Internazionale di Buenos Aires.

Randazzo, 2 ottobre 1909, Palazzo di Città: al Consiglio comunale, riunito in seduta ordinaria, il Presidente, avv. Sebastiano Polizzi, comunica che:
                 “…l’egregio nostro concittadino Sig. Francesco Paolo Finocchiaro… ha donato a questo Municipio alcune fotografie riproducenti taluni lavori da lui eseguiti..” e prosegue  col dire che lo stesso ”occupa ormai nella vita sociale ed artistica un posto così eminente da attirare l’attenzione delle persone più rispettabili ed elevate. Egli primieramente in Roma ed ora negli Stati Uniti di America, ha saputo acquistare degnamente la fama di onesto ed intemerato cittadino e di valente cospicuo artista…”. Il Consigliere  Andrea Capparelli, suo amico d’infanzia, che sarà poi Rettore dell’Ateneo catanese, rende omaggio “a chi con grandi sacrifici e con frutti del suo ingegno ha saputo illustrare la patria sua che è patria nostra…cittadino di elette virtù private, e artista insigne il cui nome sommamente ci onora”.

Questo quasi un secolo fa. Oggi solo pochi anziani in paese hanno “sentito parlare” di Francesco Paolo Finocchiaro, eppure il suo nome ha varcato i confini angusti della patria, ha varcato anche l’Oceano, mentre oggi, a 55 anni dalla scomparsa, neppure una via, una piazza, un monumento, gli è stato dedicato in memoria, e nessuno va a deporre un fiore sulla sua tomba..

Anche se egli visse lontano per parecchio tempo, è strano come a Randazzo se ne sia quasi perduto il ricordo, come nel paese natale ci siano così poche testimonianze, mentre sue tracce si trovano in mezzo mondo.
E poi l’artista ebbe una vita intensa, fitti carteggi, che, resi pubblici, se non giacessero dimenticati, o troppo “gelosamente” conservati, servirebbero a mettere in piena luce la sua figura ed i tanti aspetti ancora oscuri della sua vita.
Perché sicuramente la fama da lui conquistata avrebbe meritato in patria qualcosa di più.

(Articolo pubblicato sul Gazzettino di Giarre n. 12 del 2002)

Maristella Dilettoso

 

Francesco Paolo Finocchiaro “Battesimo di Gesù” – 1893

 Nella Basilica di Santa Maria sopra il Fonte Battesimale si trova una grande tela del Finocchiaro ” Battesimo di Gesù “ opera commissionata dall’Arciprete  Don Francesco Fisauli nel 1892 e ultimata l’anno successivo  nel 1895.

 

 

 

PRESENTAZIONE

Questa pagina è dedicata ai Randazzesi (nati o discendenti) sparsi nel mondo,  rimasti affettivamente legati alla nostra Città, che ci raccontano la loro storia.
Invia il Tuo racconto a: postmaster@randazzo.blog.  
Invita i tuoi conoscenti che potrebbero essere interessati ad inviarci il loro racconto. 

SALVATORE PAOLO PERDICHIZZI

     Il 25 gennaio del 1915 nasce a Santa Domenica Vittoria, paesino dei Nebrodi della Valle dell’Alcantara.
Studia al Collegio Salesiano San Basilio di Randazzo. Si diploma in ragioneria a Messina.
     In qualità di Segretario Comunale esercita la propria attività nei comuni di Roccella Valdemone e Mandanici.
    Si trasferisce in Piemonte dove con grande abilità e competenza salva 

dal dissesto finanziario non pochi Comuni tanto che dalla Prefettura riceve diversi encomi e viene segnalato alla famiglia Olivetti.
     Questi gli danno l’incarico di Direttore Amministrativo per la costruzione dell‘Ospedale di Ivrea che diviene un modello di gestione da fare invidia a tutti gli ospedale del Nord.
     Nel 1975 si ritira al suo paese e viene eletto Sindaco dai suoi concittadini  restando in carica per ben 22 anni.
Chi ha avuto modo di conoscere il  Cavaliere Salvatore Perdichizzi  sa con quanta dedizione, sacrificio, amore e competenza ha svolto questo delicato incarico istituzionale.
     La legge che istituiva le Unità Sanitarie Locale stabiliva che Santa Domenica Vittoria facesse parte del territorio di Patti, Lui riusci a far cambiare la legge facendo sì che il suo paese facesse parte della nostra USL
    Eletto membro dell’assemblea della U.S.L. n.39 viene nominato  Vice Presidente . In questo ruolo, grazie alla sua competenza, ha contribuito molto al miglioramento della sanità nel nostro territorio.
    Perdichizzi  è stato uomo di grande intelligenza, umanità, generosità e cultura.
La città di Randazzo, che considerava la sua Città, in tutte le manifestazioni ( Ospedale, ammodernamento SS 584 ecc…..) lo ha avuto sempre al suo fianco.

Amorevolmente assistita dalla figlia muore a Randazzo (dove abitava) il 30 giugno 2009.

GIOVANNI PETRULLO

Giovanni Petrullo nato il 15/12/1934

Consegue il diploma di Abilitazione Magistrale ed e vincitore del primo concorso per Ufficiale postale bandito dalle Poste ed assunto 11 agosto 1957. 

Collocato in pensione il 15 Luglio 1998 per raggiungimento della Massima anzianità contributiva con la qualifica di Dirigente Superiore di Esercizio.

Nominato per meriti di lavoro Cavaliere della Repubblica il  2 Giugno 1978 dal Presidente Giovanni Leone.

Luglio 1991 squadra allievi Associazione Sportiva Randazzo: Torneo Italy Cup Verona. Il sindaco Francesco Rubbino,, ass, Gianni Petrullo, ass. Francesco Lanza, Nino Germanà, Salvatore Corso, Nino caggegi, Salvatore Manitta, Pietro Trazzera.

Eletto consigliere Comunale nel 1970, Assessore per parecchi anni, quasi sempre allo Sport e turismo, ha avuto l’onore di essere stato nominato Sindaco nel Gennaio del 1988, restando in carica per quasi tutto l’anno.

Amante dello sport„ ha dedicato ad esso, molto tempo della sua vita politica, riuscendo, con la collaborazione di altri colleghi, a dotare Randazzo di tutti gli impianti sportivi tutt’ora esistenti, incluso il campo di Baseball.

Campo completato poi, come avvenuto peraltro anche per altri impianti sportivi, per interessamento delle successive Amministrazioni.

Altro risultato, di cui va fiero, è stato, la creazione nel 1975, dell‘AIAS ( assistenza Italiana agli spastici) a Randazzo, sia per il suo impatto occupazionale per i Randazzesi, sia, e soprattutto, per l’aiuto che si poteva dare ai diversamente abili di Randazzo e dintorni, avviandoli anche all’apprendimento di un lavoro per la loro vita futura. Interpellato dall’allora presidente dell’AIAS di Acireale, collaborato dal Maestro Giuseppe Santangelo, a cui era stata affidata la classe dei bambini disabili, e dall‘assessore Alfio Cartillone, si è riusciti ad ottenere l’autorizzazione, da parte della Regione Siciliana, dell’uso dei locali dell’attuale sede dell’AIAS, che proprio l’anno scorso ha festeggiato il 40^ anniversario della sua fondazione, dando atto al Petrullo di quanto fatto per la sua istituzione.

MICHELE MANGIONE

Sindaco dal 2013 al 2018

ANGELA VECCHIO

Sindaco dal 1994 al 1998 
Angela Vecchio è stata la prima Sindaco donna di Randazzo ed è stata il primo sindaco votata direttamente dai Cittadini.

Enzo Grasso

Enzo Grasso nato il 30 gennaio 1972 a Piedimonte Etneo . Vivo a Randazzo

Sono un pittore autodidatta, dipingo dal 2001 circa…. e prediligo la pittura surreale, metafisica ed astratta, con un occhio particolare al sacro.
La mia specialità e l’olio ma ho sperimentato svariate tecniche (acrilico, pittura su stoffa, murales, smalto, collage ecc…).

Enzo Grasso – Randazzo

Ho partecipato a diversi concorsi, mostre, personali.
Il messaggio che la mia pittura vuole trasmettere è la visione dell’inconscio umano, la psiche, rappresentata con colori vivaci e sgargianti.
Durante questi anni mentre perfezionavo la mia tecnica di base, assolutamente priva di alcun insegnamento accademico.
Ho cominciato dapprima a copiare grandi artisti del passato (De Chirico, Dalì, Pollok ) e del presente (Kostabi) e poi, mentre acquistavo maggiore sicurezza con gli attrezzi del mestiere ho cercato di delineare uno stile più personale, che mi contraddistinguesse, affinché il messaggio delle opere si facesse più consono alla mia espressività interiore, assolutamente inconscio e inspiegabile al sottoscritto.

Enzo Grasso – Randazzo

Comunque tutto il mio lavoro è svolto con passione, ed è un modo come un altro per trascorrere il tempo…… che inesorabile passa, e porta con sé pensieri, parole, istanti…… che io cerco goffamente di imprimere su una tela…….
Ho partecipato:
 –  2° concorso regionale città di Maniace.
 –  Collettiva : genialità locali per Randazzo.
 –  Personale: via dei Caggegi estate Randazzese 2005.
 –  Premio Tindari terzo millennio.
 –  3° Concorso regionale città di Maniace.
 –  Arte immagine 2006 galleria Lombardia Giarre con relativa pubblicazionenella rivista nazionale  “Artemisia”.
 –  1° premio Garver concorso di pittura estemporanea Randazzo Medievale.
 –  Personale via dei Caggegi estate Randazzese 2006.
 –  Personale amore e psiche galleria Lombardia Giarre.
 –  Partecipazione Randazzo Arte 2007.
 –  Personale città di Sinagra visioni d’estate 2007.
 –  Collettiva natale alle Ciminiere 2007 Catania.
 –  Partecipazione Randazzo Arte 2008.
 –  Personale via dei Caggegi estate Randazzese 2008.

 

 

 

Galleria fotografica di alcune opere di Enzo Grasso

   

Enzo Grasso

 
 
     
     
     
     
   
     
     
     
     

 

SALVATORE AGATI

 

Nato a Randazzo nel 1939, laureato in Scienze Agrarie, ha insegnato per molti anni materie scientifiche nelle Scuole Medie di Randazzo e Maletto e poi all’Istituto Tecnico Commerciale Enrico Medi di Randazzo.
Ha sempre svolto, fra l’altro, un’attività politica costante come Amministratore della sua città, di cui è stato:
  –  Consigliere Comunale dal 1970 al 1990
  –  Sindaco dal 1975 al 1979
  –  Sindaco dal 1982 al 1990
  –  Consigliere Provinciale dal 190 al 1994
  –  Assessore Provinciale dal 1992 al 1994

Scrittore, critico, poeta, giornalista, ricordiamo la sua costante collaborazione alla terza pagina del quotidiano La Sicilia.
Ha pubblicato, tra l’altro, le raccolte di versi:  Eccomi (1972), La mia terra (1982), Gioia dentro (1983), Itaca è ancora lontana (1985), Alla ricerca dell’11 (1988).
“Una vita dedicata a Randazzo” (1979), biografia dello storico Don Salvatore Calogero Virzì,
la monografìa L’Oinochoe col mito dei Boreadi (Tringale, 1982),
il romanzo “Per continuare a vivere “(Prova d’Autore, 1990),
Randazzo una città medievale” (Mai­mone,1988).
Una summa della storia del suo paese, ha collaborato inoltre a prestigiose opere collettive, nel 1997 con un saggio su Randazzo nella pubblicazione (annuale del 21° Distretto scolastico, con L’Etna e l’uomo, al volume Etna un vulcano una civiltà (Maimone, 1988), ed Etna, il vulcano e l’uomo (Maimone, 1993), suo è il profilo di Serafino Amabile Guastella nell’opera monumentale Grandi Siciliani (Maimone, 1992), fino alle recenti collaborazioni a grandi opere sulla Sicilia e sull’Etna dell’editore Dafni.

 

 

Ricordi / Randazzo piange il prof. Salvatore Agati, uno dei suoi figli migliori

                                                                     GAZZETTINO ONLINE 

Salvatore Agati… il direttore ci ha lasciati

Salvatore Agati… il direttore ci ha lasciati

 

“Professore, le bozze sono pronte!”. E lui era lì… attento a cogliere ogni particolare, ogni parola… un titolo o una rubrica… Sulla carta era il direttore… ma nella realtà… era uno della famiglia… Salvatore “Turi” Agati… Direttore… professore… lo chiamavamo in tanti modi… ma era uno di noi… uno della famiglia del Gazzettino…
Una famiglia, che in questo maledetto 2020, piange ancora una volta uno dei suoi figli… Turi Agati non è più tra noi…
Il Direttore Agati… quasi suonava strano sentire questa frase… perché un direttore lo immagini severo, burbero, quasi distante… Invece lui era lì, accanto a noi, uno di noi… non mancava un consiglio, una indicazione precisa… anche quando doveva rimarcare qualcosa che non andava lo faceva con garbo… quel garbo che era il suo essere… quasi un “marchio di fabbrica”… Memoria storica di tanti anni di politica… non mancava mai di fare un paragone tra passato e presente… ed i giudizi erano impietosi… la Politica, quella con la “P” maiuscola era ormai del passato… adesso si vivacchiava… e lui era lì, con corsivi mai banali e sempre puntuali… non erano punture di spille ma stoccate… e andavano sempre a segno…
Una famiglia, quella del Gazzettino, che accoglieva sempre nuovi “figli”… ed Agati era il primo ad essere felice di questo allargamento… per lui il giornalismo era una missione… una esplorazione sempre nuova del mondo in cui viviamo… ed ogni penna giovane era nuova linfa… un giornale che cresceva, giorno dopo giorno, era il suo orgoglio… il Gazzettino era autorevolezze e completezza di informazione… il “suo” Gazzettino era un figlio di cui andare fiero…
Una fierezza che si esprimeva, oltre che ogni settimana, in un momento particolare della vita del Gazzettino… al suo culmine… la sera della cena di fine anno…

Non era una cena aziendale… o una occasione di semplice convivialità… non poteva esserlo… non con il professore Agati a fare da istrionico cicerone… accogliendo i nuovi collaboratori… salutando con affetto i “vecchi”.. regalando attestati di stima sincera a tutti… sia che fosse l’amministratore di un Comune o i componenti della tipografia… un giovane pubblicista o una penna di lungo corso… parole per tutti… senza però dimenticare la “stoccata”, quando “necessaria” senza timori reverenziali…
Il fiume dei ricordi ha tante gocce… la memoria fatica contenere tutto.. eppure… chi non ricorda Natale e Pasqua… quando arrivava, garbata e gradita, la telefonata di auguri… “Sono Agati… buon giorno… come va? In famiglia tutto bene?”… Poche parole ma che, nella loro semplice signorilità, esprimevano al meglio l’affetto e la vicinanza che il professore Agati aveva con tutti i membri della famiglia del Gazzettino…
Sindaco, assessore, politico, giornalista, professore… chissà quale sarà, per ognuno di noi, l’immagine di “Turi” Agati che ci porteremo nel cuore… nella memoria… in questo triste giorni di Novembre. In molti, soprattutto la “vecchia guardia” del Gazzettino, ricorderanno il direttore Agati per un suo progetto… a lungo cullato e sul quale puntava molto… fare dell’autorevolezza del Gazzettino un appuntamento quotidiano… Immaginava un Gazzettino quotidiano… una voce libera ed autorevole… che fosse di guida ed esempio… Un progetto che vide realizzato nel Gazzettino online…

Ecco, questa è l’immagine di Turi Agati che guida… e guiderà sempre i passi della famiglia del Gazzettino… Una famiglia che, oggi, piangendo il Direttore Turi Agati, rinnova il suo impegno per un giornalismo serio, impegnato e libero…

Arrivederci professore Agati, il suo pensiero ed i suoi insegnamenti cammineranno con noi… Grazie e… Ad Maiora!

 

 

RANDAZZO: È SCOMPARSO IL PROF. SALVATORE AGATI EX SINDACO E PERSONAGGIO DI CULTURA

 

Non è stato soltanto un lutto nei mondi della politica, della cultura e del giornalismo.
Ieri l’intero territorio si è rattristato alla notizia della scomparsa del prof. Salvatore Agati. È morto all’età di 81 anni all’ospedale di Biancavilla dove da qualche giorno era ricoverato.
Con lui va via un pezzo di storia di Randazzo e uno stile di vita garbata ed elegante, dedita allo studio e rivolta alla sua città.
Una persona d’altri tempi, con una grande cultura che metteva, in maniera semplice, a disposizione di chiunque.
Nel mondo della politica locale era considerato un “gigante” per tutto quello che era riuscito a fare con grande capacità e limpida onestà. Uno dei leader locali della Democrazia Cristiana è stato, infatti, sindaco di Randazzo dal 1975 al 78, dall’1982 al 90 e dal 2003 al 2008, dopo essere stato consigliere ed assessore comunale dal 1970 al 75.
Poi la candidatura alla Provincia di Catania che lo ha visto consigliere e subito assessore provinciale dal 1990 al 93. È certamente grazie anche alle sue battaglie se è stato costruito lo svincolo di Fiumefreddo dell’Autostrada A 18.
Ma il professore Salvatore  Agati non è stato solo un importante uomo politico.
È stato uno scrittore di sicuro spessore. 
Imponente e di grande valore la sua produzione letteraria fin dagli anni 70.
Dal 1972 al 1990 ha scritto 5 bellissime sillogi poetiche, per poi distinguersi in ampie monografie, fra queste:
  –   “Randazzo, una città medievale” del 1988
  –  “Horatio Nelson. Un eroe senza paura ma non senza macchia” del 2005,
  –  “Agamennone, le ambiguità del potere” del 2007,
  –  “Carlo V e la Sicilia, tra guerre, rivolte, fede e ragion di Stato” del 2009 
  –  “Finalmente ad Itaca” del 2016.
È stato autore anche di diversi saggi, ma anche un grande giornalista.
Direttore del Gazzettino di Giarre, è stato anche nostro apprezzato collaboratore per la Terza pagina, firmando articoli e approfondimenti su storia ed arte.
Adesso a tramandarci la sua cortese gentilezza e la sua cultura saranno il suo ricordo e i suoi scritti che danno un’idea della statura dell’uomo e del suo essere.
Gaetano Guidotto Fonte “La Sicilia” del 04-11-2020

 

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EMANUELE MOLLICA

Emanuele Mollica, nasce a Bronte il 16 giugno del 1990.
Ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Catania, conseguendo il titolo di Diploma Accademico di I livello in Pittura dedicando la tesi dal titolo “Librettum unum di avoliu” alla miniatura, facendo esplicito riferimento al libretto attribuito alla baronessa De Quatris di Randazzo.
Nel 2014 presso la stessa Istituzione consegue il Diploma Accademico di II livello in Fotografia, con voto 110 e lode, dopo aver discusso la tesi specialistica sperimentale “The International Observatory in the meantime” in cui confrontò l’arte di 169 Nazioni partecipanti dai 5 continenti su diverse tematiche proposte.
Nello stesso anno viene invitato a presentare la sua tesi ad un Convegno presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Catania.

Viene successivamente nominato “Cultore della Materia” in “Storia del Disegno e della Grafica” presso la Cattedra di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Catania.
Il 10 agosto 2015, pubblica il suo primo libro dal titolo “De Quadro – Una storia prende vita”, in cui risolve e chiarisce alcune dinamiche storiche legate a personaggi importanti della sua città. In questa circostanza scriverà di lui “La voce dell’Isola”.
Successivamente intraprende altri studi presso l’Università degli Studi di Catania all’interno del Dipartimento di Scienze Umanistiche, di cui ottiene diversi Certificati di corsi singoli universitari in materie umanistiche, alcune delle quali presso il Corso di Laurea Magistrale in Storia dell’Arte e Beni Culturali.
Ha scritto per il libro di Giuseppina Radice “Alchimisti di oggi per un futuro fatto a mano” editore Lupetti, la prefazione insieme alla pubblicazione di alcune sue opere fotografiche.
Ha curato diverse mostre tra cui “AccademiaxAccademia” nel 2012 e “Arte Unita” nel 2017, presso il Museo Emilio Greco di Catania.
Ha inoltre collaborato con diversi Enti e Istituzioni, tra cui in qualità di Esperto esterno presso il Circolo Didattico “Don Lorenzo Milani” di Randazzo.
Attualmente dedica i suoi interessi alla scrittura di vari elaborati e all’approffondimento di diverse tematiche culturali e formative.

 

Emanuele Mollica

De Quadro – Una storia prende vita, è un testo pubblicato nel 2015 dall’autore Emanuele Mollica.
Il titolo centra a pieno una delle tante questioni affrontate al suo interno e cioè, il cognome della famiglia conosciuta dai più come De Quatris.
L’autore riesce a documentare e dimostrare quali siano le antiche origini di questa famiglia e alcuni avvenimenti importanti che la riguardano, soprattutto in riferimento alla baronessa Giovannella De Quatris, rifacendosi sia alle diverse interpretazioni storiche e sia alle nuove fonti scoperte.
Questo saggio storico nasce da una ricerca svolta dall’autore inizialmente per la sua tesi di laurea, che lo ha poi coinvolto in continui approfondimenti su nuove questioni che man mano emergevano.
Il libro è dedicato alla città di Randazzo, a cui fanno riferimento fatti e persone che qui hanno lasciato un’impronta, in vicende connesse alla famiglia De Quadro.
Tuttavia sebbene il testo aiuta a comprendere meglio fatti e vicende, rimettendo tutto in discussione, permangano ancora alcuni misteri, che forse rendono questa incredibile storia così affascinante.

 

 

RANDAZZO – LA BARONESSA GIOVANNELLA DE QUATRIS

Un giovane scrittore di Randazzo, Emanuele Mollica, appassionato studioso di storia, ha voluto pubblicare un suo importante e documentato saggio sulla vita della baronessa Giovannella De Quatris, nobildonna e generosa filantropa di Randazzo vissuta tra il 1440 ed il 1529: la nobile Giovannella lasciò tutti i suoi beni alla Chiesa di Santa Maria (a fin di bene), e nella stessa chiesa (basilica) è stata sepolta ed è custodito il libretto, conosciuto con il suo nome e composto di 4 tavolette di avorio e copertina.
Sulla copertina sono intagliate la Crocifissione, la Resurrezione, l’Incoronazione della Vergine e la sua morte; nelle tavolette (interne) sono 6 splendide miniature su pergamena, sei inni ai temi sacri di Annunciazione , Visitazione, Adorazione di Gesù Bambino , martirio di San Sebastiano, Presentazione al Tempio e Crocifissione.

Lo scrittore ha avuto l’occasione di osservare attentamente il libretto eburneo della Baronessa, da lei utilizzato per le quotidiane preghiere.
Il libretto, che è una rara e pregiata opera impreziosita da intarsi e miniature di squisita fattura e di rara bellezza , catturò l’attenzione dello scrittore, il quale dopo lunghe ed accurate ricerche storiche ne ha maturato la sua tesi di laurea e ha presentato il volume dal titolo “De Quadro ,una storia prende vita”.

Il volume di 146 pagine è stato presentato al pubblico in data 10 Agosto 2015 alle ore 19:00 nell’Aula del Consiglio Comunale di Randazzo ove oltre all’Autore erano presenti autorità, tra le quali il Sindaco della Città di Randazzo Prof. Michele Mangione e il Presidente del Consiglio Comunale di Randazzo Nino Grillo , numerosi studiosi e molti cittadini.
Al tavolo della Presidenza era, in primis, la Prof.ssa Giuseppina Radice, Docente di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle arti di Catania, che ha seguito con molta passione e attenzione le importanti ricerche e il lavoro del giovane scrittore, apportatore così di un contributo significativo alla conoscenza della storia e dei grandi personaggi della città di Randazzo.
Il libro è composto da 7 capitoli dove vengono approfonditi: il cognome della De Quatris, i mariti , la sepoltura , il testamento , l’Opera De Quatris, il libretto eburneo e lo stemma.
L’autore scopre molti particolari finora sconosciuti e mette in evidenza , soprattutto , una importante scoperta: infatti dimostra che il vero cognome della baronessa è De Quadro e non De Quatris e ciò ha incuriosito il pubblico presente alla manifestazione e certamente nei giorni che seguiranno sarà argomento di conversazione negli ambienti culturali di Randazzo.
Emanuele Mollica è nato il 16 Giugno 1990 ed ha conseguito la Laurea Magistrale presso l’Accademia delle Belle Arti di Catania.
Ovviamente da ora in poi lo scrittore sarà inserito a pieno titolo nell’elenco degli studiosi della città di Randazzo.
Tutta la manifestazione è stata ripresa e trasmessa dall’emittente televisiva TGR che segue sempre tutte le manifestazioni organizzate dalle due Associazioni culturali: l’Istituto per la Cultura Siciliana e l’Associazione Artemide con sede in Randazzo.

 – Gabriella Magro  ” La voce dell’Isola ”    -18-08-2015 –

SANTINO CAMARATA

Santino Camarata

         Camarata Santo (chiamato da tutti Santino) nasce a Randazzo il 16 novembre 1936 da Antonino e Ruffino Maria Catena è il secondo di tre fratelli. Giovanni il più grande e Giuseppe.  Parruchiere (artigiano di qualità) lavora da giovane prima a Messina poi a Milano.
Negli anni sessanta si stabilisce definitivamente a Randazzo.
La sua Grande passione è senza dubbio la Politica, quella con la P maiuscola.

Nelle elezioni del 22 novembre 1964  viene eletto Consigliere Comunale nella lista del PCI come Indipendente di Sinistra.
Viene eletto Sindaco il 22 gennaio 1969 a causa di forti contrasti all’interno della DC e nonostante non avesse la maggioranza in Consiglio con grande coraggio assume la guida della Città e cerca in tutti i modi di evitare la nomina di un Commissario, cosa

Santino Camarata e Angelo Varsallona

che avverrà di lì a poco con le dimissioni di 18 Consiglieri della DC e con la nomina  del Commissario dr. Vincenzo Viviano il 21 giugno 1969.
Viene eletto Consigliere Comunale nella lista del PRI nelle elezioni del 7 giugno 1970 e con la elezione a Sindaco (5 ottobre 1971) di Francesco Rubbino entra in giunta con la delega di Vice Sindaco ed è riconfermato nella carica anche nella seconda sindacatura del Rubbino (31 luglio 1972).
Con la ricomposizione del gruppo DC e con la elezione a Sindaco di Giuseppe Gulino,  passa all’opposizione e con Lui il PRI. 

Alle elezioni del 1975 non si presenta e non si presenterà più ritenendo chiusa la sua esperienza politico-istituzionale.
Oltre alla sua attività professionale che ha sempre amata, si dedica anche alla agricoltura. Le sue osservazioni politiche sono sempre acute ed ascoltate.
Una banale caduta mentre si trovava a Brescia lo costringe al ricovero ospedaliero, e rientrando in Sicilia viene operato all’ospedale Cannizzaro di Catania.
La caduta gli è fatale. Dopo altre traversie ospedaliere muore serenamente il 1 luglio del 2020.

 

Via Degli Archi, la colonnina donata da Santino Camarata – Randazzo

In fondo si vede la casa paterna di Santino Camarata con la colonnina donata al Comune. Foto di Salvo Manitta.

 

La colonnina di marmo bianco che si trova nel primo Arco (provenienti da piazza Municipio) della via Degli Uffizzi o via Degli Archi è stata regalata da Santino. 
Questa colonnina adornava prima la casa paterna (vedi foto) accanto il castello Svevo attualmente sede del museo Vagliasindi, dopo il negozio di  parrucchiere nel corso Umberto. Il professore Enzo Maganuco, tutte le volte che lo andava a trovare, restava incantato dalla bellezza di questa colonnina.
Il Santino allora gli fece promettere che se si interessava presso la Soprintendenza delle Belle Arti di Catania a far finanziare la ristrutturazione della Via degli Archi l’avrebbe donata al Comune.  E così fu.

 

                Via Degli Archi com’era negli anni trenta del novecento.

Via Degli Archi ristrutturata negli anni ottanta del novecento. Foto 2018

 

 Foto di Santino Camarata che rispecchiano un pò la sua vita.

     
     
     

 

                                    La vetrina della prima parruccheria in corso Umberto. Si nota la colonnina di marmo.

Francesco Rubbino

NAUFRAGIO PIROSCAFO ORIA (12.02.1944)

 
https://www.vdj.it/randazzo-ricordata-a-scuola-la-tragedia-del-piroscafo-oria-affondato-con-oltre-4000-soldati-italiani/

 

                                                                 Il naufragio del piroscafo Oria

La tomba dimenticata di oltre 4000 soldati italiani, un monumento alla memoria a 70 anni di distanza, anche due randazzesi tra le vittime del naufragio.
Il 12 febbraio è stato il 70° anniversario dell’affondamento del piroscafo Oria, il più grande naufragio del mediterraneo e una delle maggiori tragedie della seconda guerra mondiale, nella quale persero la vita oltre 4000 soldati italiani.
Nei mesi convulsi successivi all’armistizio e precisamente l’11 febbraio 1944, i tedeschi imbarcarono migliaia di internati militari italiani sul piroscafo Oria (una vecchia nave del 1920 requisita ai norvegesi) per trasferirli da Rodi al Pireo e successivamente ai campi di lavoro in Germania.

Piroscafo Oria


Il piroscafo Oria salpato l’11 febbraio 1944 da Rodi alle ore17.40 per il Pireo con a bordo più di 4000 soldati italiani, che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, si erano rifiutati di aderire al nazifascismo, colto da una tempesta affondava il giorno successivo 12 febbraio presso Capo Sounion 25 miglia a sud di Atene dopo essersi incagliato nei bassi fondali vicino l’isola di Patroklos, soltanto 37 italiani si salvarono.
A bordo del piroscafo vi erano anche i prigionieri del 331° reggimento fanteria Bressanone facente capo alla divisione Brennero.
Questo eroico reggimento di presidio al settore strategico Calithea, nell’Egeo, al comando del capitano Venturini, dopo l’armistizio di Cassibile, si oppose strenuamente alle truppe tedesche della sturmdivision rhodos, ma dopo 3 giorni di aspri combattimenti i nostri soldati furono costretti alla resa. 

Salvatore Fornito

Tra quei valorosi uomini vi erano due ragazzi randazzesi poco più che ventenni, il soldato Fornito Salvatore, zio di chi scrive, e il tenente Renato Vagliasindi.
Si saprà del loro tragico destino solo alla fine del decennio, allor
ché si occuperà del caso un’apposita Commissione interministeriale che utilizzerà ogni forma di approfondimento pur di mettere a punto la formazione o la ricostituzione di atti di morte e di nascita non redatti, andati perduti o distrutti per eventi bellici.

Renato Vagliasindi

Da uno dei tanti verbali di ‘scomparizione’ e di dichiarazione di morte presunta stilati dalla predetta Commissione e previa nulla osta del Tribunale civile di Catania e successivamente trasmessi e registrati presso l’anagrafe del Comune di Randazzo nel maggio del 1951, nell’apposito registro, si legge, infatti, che egli era presente a bordo del piroscafo di cui non si conosce il nome, ma oggi lo si sa , grazie al racconto dei sopravvissuti e al fortuito ritrovamento del registro degli imbarcati.
Il piroscafo della tragedia è l’ Oria una nave norvegese del 1920 (2127 tonnellate),che dopo una permanenza di qualche anno nella flotta francese nel 1942 ripassa nelle mani del proprietario originario che la ribattezza col nome di Oria e affidata ad una compagnia tedesca di Amburgo, essa è tra le cosiddette ‘carrette del mare’ utilizzate dai tedeschi per il trasporto dei prigionieri italiani dalle isole egee al continente.
  Le ricerche, avviate da alcuni discendenti dei caduti, hanno reso possibile il recupero della lista degli imbarcati e la precisa localizzazione del relitto.
La tragedia «dimenticata» di oltre 4.000 italiani in Grecia ha avuto, a settant’anni di distanza, un degno monumento.
E’ stata inaugurata domenica mattina 9 febbraio alle 11, al chilometro 60 della statale Atene-Sunion, la stele voluta dal piccolo comune ellenico di Saronikos a ricordo delle oltre 4.000 vittime di una delle più tremende tragedie della Seconda guerra mondiale.
Una commovente cerimonia di commemorazione  a cui hanno partecipato autorità civili e militari, greche ed italiane e la “rete” dei familiari dei dispersi provenienti dall’Italia.
 Alla fine della cerimonia, sono stati piantati 4 piccoli alberi di ulivo, ai lati del monumento e la delegazione italiana, insieme al sindaco di Saronicos, mr Filippou, ha “liberato” due colombe bianche.   

                                                                                                                 Intitolazione di strade, ricerche storiche, tutela del relitto sono alcune delle molte altre iniziative che la rete spontanea delle famiglie sta tentando.
 Il gruppo di ricerca sul naufragio dell’Oria ha suggerito ai Comuni Italiani l’intitolazione di una strada o di un altro spazio pubblico urbano ai dispersi del naufragio del piroscafo Oria.
 L’intitolazione di una strada contribuirebbe sia al riconoscimento del valore del sacrificio, sia alla diffusione della conoscenza della vicenda, e quindi alla ricerca delle migliaia di famiglie ancora ignare, di quella che è stata per troppo tempo una strage sconosciuta, senza memoria e con poche e frammentarie informazioni sulla esatta dinamica del naufragio delle migliaia di dispersi nel mare Egeo,dato che la drammatica storia è uscita solo da pochi anni dall’ oblio grazie alle ostinate ricerche di alcuni famigliari dei dispersi.
Non potrà mai essere cancellato il ricordo di questi eroi d’altri tempi, esempio di valori autentici che anziché piegarsi al volere nazista, compirono il loro dovere, senza mai tradire la patria al quale avevano giurato fedeltà.  
   VITO GULLOTTO 

                     

                                                          

Panagiotis Grigoriou ricorda, rivolgendosi in particolare a noi italiani, un episodio dell’ultimo conflitto mondiale, di cui ricorre l’anniversario in questi giorni, ovvero il naufragio della nave ORIA, al comando dell’esercito tedesco e carica di prigionieri italiani, soldati che avevano rifiutato di passare dalla loro parte dopo l’8 settembre. Erano diretti ai campi di lavoro in Germania, era gente che stava pagando con la prigionìa la scelta di non servire il nemico, invasore. Quanto ci sarebbe bisogno di gente così, oggi, circondati come siamo di personaggi che non vedono l’ora di potersi vendere, senza neanche accorgersi che il compratore e sempre lo stesso.

 

Mercoledì, Agosto 21, 2019

Mare e risate. Soldati italiani nel Dodecaneso, estate 1943

 

Il tempo apparentemente fermo. Mare e relax. Parte dei greci e i visitatori stranieri del paese se li stanno godendo, tranne i lavoratori stagionali, quelli del cosiddetto settore “turismo” in particolare. A Capo Sounion, il Tempio di Poseidone viene fotografato ogni secondo che passa, mentre i conducenti degli autobus si organizzano come possono per infilare i loro veicoli sui due parcheggi dei locali, in gran parte insufficienti. Il grande blu è importante quanto il tempio, la vista è notevole. Ombre delle prime Cicladi e poi non lontano ad ovest, l’isola di Pertroklos che nessuno mai nota veramente.
Tempo storico fermo da qualche parte, in questi luoghi.
Data storica, va detto, e tragicamente nota. Risate e bagni di un altro tempo, così bruscamente interrotti in questi luoghi il 12 febbraio 1944. Foto ingiallite. Giovani italiani, soldati, sottufficiali imbarcati a Rodi e Leros. Pochi conoscono la storia dell’affondamento del piroscafo norvegese “ORIA” vicino all’isola di Pertroklos, e dei 4.200 soldati italiani che vi persero la vita, la speranza e la giovinezza.
Le loro risate nelle spiagge di Rodi, l’estate precedente, si sono fermate per sempre.

La nave da 2.000 tonnellate, varata nel 1920 e comandata dai tedeschi, partì l’11 febbraio 1944 da Rodi diretta verso il Pireo. A bordo, i 4200 prigionieri italiani che si rifiutarono di unirsi ai tedeschi dopo l’armistizio, ed il Proclama Badoglio dell’8 settembre 1943, le 90 guardie tedesche e l’equipaggio norvegese della nave.
Il giorno successivo, il 12 febbraio, intrappolato in una terribile tempesta, il vecchio battello a vapore affondò vicino a Capo Sounion, a 25 miglia dalla sua destinazione finale, dopo essere rimasto bloccato nelle acque poco profonde vicino all’isola di Pertroklos. I soccorritori che vivevano sulla costa di fronte all’Attica, ostacolati dal maltempo, sono stati in grado di salvare solo 37 italiani, 6 tedeschi, un greco e 5 membri dell’equipaggio, tra cui il comandante Bearne Rasmussen e il primo ufficiale meccanico.

Il piroscafo ORIA –  monumento inaugurato l’11 febbraio 2014 in Attica di fronte alla città di Periklos. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella gli rende omaggio. Attica, 6 settembre 2017

“ORIA” era sovraccarico, la nave trasportava anche un carico di lattine di olio minerale e pneumatici per camion, insieme ai soldati italiani, che dovevano essere trasferiti come forza lavoro… forzato nel terzo Reich. C’era incertezza, in quanto al loro esatto status, tenuto conto della Convenzione di Ginevra e dell’assistenza della Croce Rossa, ma venne abilmente mantenuto sotto le autorità militari tedesche, e ora il loro sacrificio è stato ignorato per decenni, anche in Italia.
Nel 1955, i sub greci smembrarono il relitto per recuperare il metallo. I corpi di circa 250 naufraghi, trascinati lungo la costa dalla tempesta, furono sepolti nelle vicinanze. Furono poi trasferiti nei piccoli cimiteri sulla costa e poi al Memoriale Militare dei Morti d’Oltremare a Bari. I… resti di tutti gli altri si trovano ancora lì, nella zona del naufragio.
Qualche anno fa, ho incontrato Nikos L. al Pireo, subacqueo, figlio e nipote di un subacqueo. “Erano mio nonno e i suoi dipendenti che avevano tagliato e ricomposto i resti della barca affondata vicino a The Patroklos. Tra gli anni ’50 e ’60 i subacquei si misero al lavoro e vendettero dozzine di barche affondate durante la guerra per rottamare i metalli. Era l’unico sostentamento della famiglia. Ma a proposito di questo naufragio, mio nonno era meno loquace del solito. Tutti questi resti umani lo avevano profondamente colpito.
Inoltre, gli archivisti della memoria si accontenteranno poi di foto, molto rare, va detto. Scopriamo, per esempio, questi uomini sulle isole del Dodecanneso pochi mesi prima, o altrimenti i loro ritratti, al fine di riempire con cura il muro della memoria, loro. Ricordiamo dunque Antonino Nolfo, nato a Cinisi, non lontano da Palermo in Sicilia il 26 aprile 1920, il cui nome è stato appena dato ad una strada della sua città nel 2019. O Giuseppe Martella anche lui … passeggero obbligato a bordo del piroscafo ORIA perché non voleva unirsi ai tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.

 

Sappiamo che questa tragedia si è verificata in pochi minuti, e che è stata ignorata per decenni. Eppure ci sono le testimonianze dei pochi sopravvissuti, come quella del sergente di artiglieria Giuseppe Guarisco, che il 27 ottobre 1946 scrisse un lucido resoconto dell’affondamento.
“Dopo l’impatto della nave contro la roccia – scrive Guarisco – sono stato buttato giù e quando sono riuscito ad alzarmi, un’onda molto forte mi ha spinto in un piccolo posto nella parte anteriore della nave allo stesso livello del ponte, e la porta si è chiusa. La luce era ancora accesa in questa stanza e ho visto che c’erano altri sei soldati. Dopo un po’, la luce si spense e l’acqua cominciò ad entrare con più violenza. Siamo saliti in una sorta di armadio per rimanere asciutti, di tanto in tanto sono stato misuravo con il piede il livello dell’acqua. Passammo la notte a pregare avendo il timore che tutto finisse in fondo al mare. Il giorno dopo, nel cupo silenzio della tragedia, i sette uomini riuscirono a smontare il vetro dalla finestra, ma senza riuscire a uscire da questa crepa, perché il buco era troppo stretto.”
“Le ore passavano, ma nessuno venne in nostro soccorso. Uno di noi, approfittando del momento in cui la porta era rimasta aperta, si gettò su di essa per trovare una via d’uscita e, dopo un’attesa che ci sembrò eterna, lo vedemmo chiamarci sopra la finestra. Poi ci ha detto che aveva attraversato un abbeveratoio appena sott’acqua. Un altro compagno, anche se sconsigliato da me, ha voluto provare a raggiungere l’uscita, ma non lo abbiamo più visto. I naufraghi sono stati rinchiusi per due giorni e mezzo prima dell’arrivo degli aiuti dal Pireo.”
Poi molti inverni passarono e le estati tornarono, lasciando tracce a lungo visibili, anche se solo attraverso i nostri ricordi approssimativi. Periodi di tempeste, Poseidone che si arrabbia, ma ancora tempo di fichi e tuffi. Ricorderemo questo caffè ancora in Dodecanneso, le cui pareti erano ancora decorate nel 2010 con brandelli di storia illustrata. Era l’epoca italiana delle isole, tra il 1912 e il 1943, abitanti dei luoghi di quasi un secolo fa, poi Mussolini, Karamanlis o anche Che Guevara.

 

Immagini poi furtive di una storia apparentemente congelata. Come durante il passaggio del soldato italiano Oliva Pasquale attraverso il carcere di transito della Gestapo ad Atene, vale a dire gli scantinati dell’edificio situato in via Korai. “Atene 19.6.44”, un muro inciso e luogo di memoria che abbiamo visitato dalla sua… riapertura nel 1991.
Immagini sempre furtive, i nostri gatti delle meteore, le navi ora che entrano pacificamente al grande porto del Pireo, o altrimenti le loro ancore, oggetti come sappiamo a bordo e pesanti, trasportati secondo necessità da camion speciali.
Il tempo sembra fermo. Mare e relax, a volte da un altro tempo. Ombra fuggente delle prime Cicladi e poi non lontano a ovest, l’isola di Pertroklos che i nostri turisti difficilmente noteranno, ancora una volta. Bella estate greca, posti in gran parte occupati, anche se secondo le statistiche e la sensazione diffusa, ci sarebbe un calo del turismo di circa il 10% quest’anno.
I futuri archivisti saranno senza dubbio viziati, data la scelta delle foto, quelle che il nostro secolo oggi produce a milioni, come a Capo Sounio, dove fotografano il Tempio di Poseidone quasi ogni secondo.
L’estate greca non è finita, quindi salutiamo gli elementi, quelli della nostra memoria comune, così come i nostri amici italiani, tanto preoccupati da questi luoghi.
Tempo storico ancora fermo, tranne forse per i nostri animali senza un padrone, e così orgogliosi di esserlo!

Animale senza padrone. Atene, agosto 2019

 

 

Domenica 12 febbraio 2023 è stata celebrata, da Padre Roberto Maio, una Messa commemorativa nella chiesa parrocchiale di San Martino in Randazzo, per l’occasione del 79° anniversario dell’affondamento nel mare Egeo del piroscafo norvegese “ORIA”, avvenuto il 12 febbraio 1944, nel quale perirono 4095 soldati italiani prigionieri dei tedeschi, che si trovavano a bordo per essere trasferiti come forza lavoro da Rodi nei lager nazisti di Germania e Polonia.
Uno squillo di tromba, ha dato inizio della funzione religiosa, durante l’omelia il parroco ha ricordato il valore della vita e il sacrificio delle migliaia di giovani militari italiani caduti in Egeo, tra i quali i soldati: Giovanni Busà, Salvatore Catania, Salvatore Fornito, Matteo Longo; il caporale Vincenzo Longhitano e il sottotenente Renato Vagliasindi.
Una cerimonia commossa e commovente, scandita da altri squilli di tromba all’atto dell’elevazione eucaristica e  dopo la ”Preghiera del marinaio” dello scrittore Antonio Fogazzaro, quando nell’aria si sono innalzate, meste e solenni, le note del Silenzio militare italiano d’Ordinanza.
Alla Cerimonia di commemorazione del 79° anniversario della tragedia, hanno partecipato alcuni familiari dei caduti e tra le autorità civili del Comune di Randazzo, il Sindaco Francesco Sgroi, l’assessore alla cultura Gianluca Anzalone e il presidente del consiglio Carmelo Tindaro Scalisi.
In rappresentanza delle forze dell’ordine, era presente il comandante della compagnia carabinieri di Randazzo, capitano Luca D’Ambrosio.
Ad onorare la memoria dei caduti erano inoltre presenti con i loro Labari, l’ A.N.M.I. (Associazione Nazionale Marinai d’Italia) gruppo di Catania con il presidente Cav. Michele Russo e l’A.N.B. (Associazione Nazionale Bersaglieri) sezione di Zafferana Etnea con il presidente Cirino Tomarchio e il presidente provinciale Nunzio Arcidiacono.
 Il fatto, per quanto documentato negli archivi civili e militari, e pur essendo forse il più grande disastro della marina nel Mediterraneo, non ebbe mai pubblica evidenza.
Le famiglie non furono mai informate con precisione, restando all’oscuro di luoghi e circostanze, lo Stato italiano aveva dato solo una lapidaria risposta sulla sorte dei loro cari “dispersi”. La svolta arriva con la scoperta del relitto, risultato di laboriose ricerche sub acque condotte per anni da Aristotelis Zervoudis, che ha riportato alla luce anche diverse gavette di soldati e dal ritrovamento della lista degli imbarcati, per la tenacia della signora Barbara Antonini, il cui zio era scomparso nel naufragio.
Determinante per la costituzione della rete dei familiari e per la diffusione della vicenda, il pregevole contributo di Michele Ghirardelli, anche lui nipote di un disperso.
Nel febbraio 1944, nei giorni successivi al naufragio del piroscafo, centinaia di corpi di soldati italiani furono spiaggiati a Capo Sounion, in quel tratto di costa prospiciente l’isolotto di Patroclo.
Mentre si raccoglievano i cadaveri dei soldati, una bambina del luogo di nome Kalomira rinvenne una piccola statuetta in legno raffigurante la Madonna. Tale fatto venne interpretato come un segno divino, pertanto la famiglia della bambina la conservò gelosamente. La preziosa reliquia della Madonnina è conservata ancor oggi in una piccola cappella votiva a casa della signora Kalomira Georgakopoulous.
La rete dei familiari, dopo decenni di oblio, ricostruito finalmente l’avvenimento è impegnata per restituire la memoria storica e umana della vicenda. Non potrà mai essere cancellato il ricordo di questi eroi d’altri tempi, esempio di valori autentici che, anziché piegarsi al volere nazista, compirono il loro dovere, senza mai tradire la Patria al quale avevano giurato fedeltà.
Cerchiamo di custodirli questi ricordi e fare in modo di avere per il futuro delle prospettive, non di morte ma di vita,  per l’edificazione e  per il bene di tutti”. E’ stato  il messaggio finale di Padre Roberto per questa celebrazione  nella prospettiva della fede cristiana.
 A conclusione della funzione, il Sindaco Francesco Sgroi si è complimento con Vito Gullotto e Marco Vagliasindi, che in rappresentanza della Rete dei familiari dei caduti, hanno voluto organizzare una commemorazione a Randazzo in ricordo del tragico naufragio, che viene annoverato  tra i più gravi mai accaduti, dove persero la vita anche giovani randazzesi.

 


a cura di Vito Gullotto e Marco Vagliasindi

 

 

 

 

I DESPERADOS

Negli anni 60/70 si costituì nella nostra città un complesso musicale I Desperados.

Principalmente costituito da: Santo Anzalone, Angelino Gullotto, Nino Vecchio, Pippo Ruffino e Luigi Papotto.
Memorabili le serate musicali nei saloni :  Arlecchino La Trottola e  in altri locali dell’epoca.

27 gennaio 1973 I DESPERADOS – Salvatore Furnari, Nino Vecchio, Angelino Gullotto, Antonietto Ragaglia Turi Ruffino, Antonietto Neri – dirige il giovane Claudio Ragaglia (prop.della foto)

Angelo Gullotto, Santo Anzalone, Salvatore Ruffino, Nino Vecchio, Luigi Papotto

 

Angelo Gullotto, Santo Anzalone, Salvatore Ruffino, Luigi Papotto, Aldo Di Stefano

 

Angelo Gullotto, Salvatore Ruffino, Santo Anzalone, Nino Vecchio.

 

Salvatore Ruffino, Angelo Gullotto, Santo Anzalone, ……………..

Santo Anzalone, Salvatore Ruffino, Angelo Gullotto, Nino Vecchio, Luigi Papotto.

 

Nino Vecchio, Angelo Gullotto, Santo Anzalone, Salvatore Ruffino, Egidio Cavallaro,………….

 

Aldo Di Stefano, Santo Anzalone, Salvatore Ruffino, Luigi Papotto, Angelo Gullotto.

 

Santo Anzalone, Salvatore Ruffino, Aldo Di Stefano, Erminia Spartà (provvisoriamente), Luigi Papotto, Angelo Gullotto.

 

Le foto sono di Santo Anzalone

GUSTAVO VAGLIASINDI

Gustavo Vagliasindi (1884 – 1957)

Il famoso Agronomo nacque a Randazzo nel 1884. Dopo avere completato gli studi superiori al Collegio S. Basilio, conseguì la laurea a Pisa.
Fino al 1921 risiedette in Liguria, in qualità di Direttore delle cattedre ambulanti dell’agricoltura di Imperia.
A Reggio Calabria si occupò dell’Istituto di essenze e derivati.
Nel 1923 rientrò a Catania, dove, su esecuzione di un lascito, la fondazione Valdisavoia voluto da Giuseppe Gravina Cruyllas principe di Valdisavoia, gli fu affidata la direzione dell’Istituto Agrario Valdisavoia, al quale diede un tocco di modernità, convinto fermamente del ruolo che istituzione agraria poteva svolgere, nell’ambito della valorizzazione della sua terra.
Nel 1947 fondò la Facoltà di Agraria presso L’Università di Catania, che nel 1961 gli conferì, in memoria, la medaglia d’oro al merito della scuola, della cultura e dell’arte.
Fu anche Direttore dell’Orto Botanico di Catania, ed ebbe molte altre cariche in accademie ed associazioni scientifiche.
Nutrita la sua bibliografia. Cominciò nel 1917, inviando corrispondenze dal fronte, e proseguì con numerosi testi di agraria, trattando in modo particolare l’orticoltura e la floricoltura.
Fra i tanti titoli, che non è possibile elencare tutti, ricordiamo: Calendario dell’Ortolano (1911), La coltivazione industriale delle rose rifiorenti (1911), Acacie da fiore e da ornamento (1911), I concimi chimici ai fiori (1912), Il gelsomino da profumeria (1912), L’arancio da fiore (1912), La violetta da profumeria (1912), Lavanda e timo (1912), Piante da fiore e da ornamento (1924), Orticoltura (1934), Orticoltura e giardinaggio (1939), Sui criteri di scelta delle specie e varietà dei fruttiferi. Morì nel 1957.

 

a cura di Francesco Rubbino 

Carmela La Piana

C’era una volta, tutte le favole iniziano cosi, sì perchè la storia della mia famiglia ,dei miei genitori è stata una meravigliosa favola.

Carmela e Floriana La Piana

Mio padre Giuseppe La Piana nasce a Randazzo si diploma al Liceo Classico Capizzi e successivamente decide di iscriversi alla Facoltà di Chimica di Messina, scelta coraggiosa e non comune per quei tempi. Nel frattempo nasce l’amore con mia mamma Maria Salanitri anche lei randazzese che, oltre agli studi coltiva passioni in voga tra le giovani dell’epoca, lei, segue con amore i progetti del suo giovane fidanzato.

Appena laureato, Pippo (così viene chiamato dai suoi cari) viene subito contattato dal Preside di quel Liceo, che lo aveva visto allievo brillante ed irrequieto, per entrare a far parte del corpo docenti ed insegnerà per alcuni anni chimica e materie scientifiche .

Il 29 dicembre del 1962 i due giovani convolano a nozze, e la voglia di emergere e di ambire a posizioni migliori porta i due ragazzi a guardare oltre , manifestando quella lungimiranza che oggi mi consente di dire : “i miei genitori erano avanti” e decidono di trasferirsi in Campania dove mio padre inizia una collaborazione con una industria farmaceutica multinazionale che lo vedrà raggiungere traguardi importanti.

Nel 1963 nasco io Carmela e nel 1969 nasce mia sorella Floriana.

Gli anni successivi vedono mio padre conseguire una seconda Laurea in Farmacia e ricoprire ruoli sempre più importanti che lo vedranno insignito dell’onorificenza di Maestro del Lavoro.

Ma la favola che voglio raccontare non è solo la storia di due giovani di successo che emigrano lasciando la loro amata Randazzo, ma è il messaggio racchiuso nell’ amore, nel calore, nell’ educazione, nel rispetto che loro hanno saputo infondere.
Di fatto I miei genitori pur lasciando la loro terra di origine hanno mantenuto vivi i valori della loro cultura, custodito e divulgato memorie familiari e noi figlie siamo quel che siamo grazie alla loro serenità alla loro identità che hanno con orgoglio mantenuto insieme a quell’inflessione a quella musicalità della loro lingua che li ha resi unici e speciali.

La mia storia ………..,

mi sono diplomata al Liceo classico Vittorio Emanuele di Napoli, ho conseguito la Laurea in Scienze Biologiche all’ età di 23 anni alla Federico II ed ho iniziato, come biologa, l’anno successivo a lavorare presso l’ Ente Gestore del Servizio Idrico Integrato Campania Avellino , dove attualmente svolgo il ruolo di Direttore di Laboratorio nonché Funzionaro Quadro con deleghe alla Regione, all’Istituto superiore di Sanità e presso gli organi istituzionali.

Nel 2008 ho ricevuto la Nomina di assistente in ricerca associata presso l’Università Federico II e dal 2011 sono Docente di Corsi di perfezionamento presso il Dipartimento di Igiene Polo delle Scienze e Tecnologie Università Federico II , sono stata relatrice e correlatrice di tesi sperimentali , ivi compresa quella di mia figlia Federica che con grande soddisfazione ha seguito le mie orme.

Sono sposata con un Chirurgo Vascolare, ho due figli Federica Biologa e Giuseppe laureando in Architettura.

Mia sorella Floriana, Diplomata presso il Liceo Collegio Maria Ausiliatrice di Napoli, successivamente ha conseguito la Laurea in Scienze Sociali , dopo diverse esperienze formative e lavorative, oggi lavora come responsabile di area in un centro polidiagnostico.

Entrambe anche se lontane dalla amata Sicilia ci sentiamo figlie onorate di rappresentarla quale è , terra ricca di amore di rispetto, ambasciatrici di tradizioni e di cultura fonte ed esempio per la comunità in cui viviamo così come lo sono stati i nostri genitori.

Dott.ssa Carmela La Piana

 

SALVATORE GRASSO

salvatore Grasso

Salvatore Grasso nasce il 28 agosto 1979. 
Si è diplomato presso l’Istituto Agrario di Randazzo.
La passione per l’arte si manifesta già nelle scuole medie realizzando dei disegni sulla pietra lavica. Uno di questi disegni, molto bello, raffigura la via degli Archi .
Volendo realizzare un presepe per la sua famiglia scopre “la tecnica catalana” per la lavorazione del polistirolo e del gesso.
Prima fa la stuccatura o gessatura e dopo aver lavorato il polistirolo lo dipinge attraverso vari passaggi di colore, fino a quando prende l’aspetto voluto.
In questo modo riesce a realizzare diversi presepi. Uno di questi, molto grande,  si poteva ammirare nei locali del vecchio museo della “Civiltà Contadina”. Diventato “Museo dei Pupi Siciliani” gli è stato imposto di smontarlo.  (Peccato !)

La chiesa di Santa Maria realizzata in polistirolo.

Utilizza questa tecnica affinandola per realizzare della vere e proprie costruzioni in miniatura delle nostre più belle Opere Architettoniche.
 Difatti si fa conoscere realizzando ed esponendo la Chiesa di Santa Maria nel concorso, sezione scultura, di  “Randazzo Arte” dove gli viene assegnato il primo premio

Fino a poco tempo fa la  si poteva ammirare all’interno della stessa chiesa.  La Soprintendenza della Belle Arti di Catania dovendo realizzare un progetto per la ristrutturazione della basilica l’ha fatto togliere. (sic !)

Altre Opere realizzate da Salvatore Grasso sono:
La facciata del Municipio ( esposta nella stanza del Sindaco )
 – La via degli Archi
 – Diversi Presepi

Da oltre due anni lavora alla “costruzione ” della chiesa di San Nicola che spera di poter  esporre nella prossima estate.

Salvatore  Grasso è un giovane di talento, dotato di grande passione per l’Arte e soprattutto per le Opere Architettoniche di Randazzo e per la  sua Storia.

 

Alcune Opere di Salvatore Grasso.

 

La facciata del Municipio – Randazzo

Presepio

 


Chiesa di Santa Maria – Randazzo

Chiesa di Santa Maria – Randazzo

Chiesa di Santa Maria – Randazzo

Chiesa di San Nicola in “costruzione” – Randazzo

Chiesa di San Nicola in “costruzione” – Randazzo

 

Chiesa di San Nicola in “costruzione” – Randazzo

Dipinto su mattone di pietra lavica di Salvatore Grasso.

 

Riproduzione chiesa di Santa Maria con l’originale – Salvatore Grasso

 

 

La via degli Archi – Randazzo

ERNESTO DEL CAMPO

Consigliere Comunale dal 1990 al 1993
Sindaco dal 1998 al 2003 e dal 2008 al 2013.

CONVENTO FRATI MINORI CAPPUCCINI

                                                                     DENOMINAZIONE: RandatiumRandazzo

   ANNO DI FONDAZIONE:

Fondato nel 1544 dal M.R.P.Arcangelo da Catania essendo Generale P.Francesco da Jesi.

Il secondo convento,secondo il Bollario,fu fabbricato nel 1600.
Il convento e l’orto,incamerati dal Governo nel 1866,furono riacquistati dai Frati che vi eressero il Seminario Serafico.

ETTORE DI STEFANO

Antonino Ettore Di Stefano nasce a Randazzo il 13 agosto del 1940.

Ettore Di Stefano

Nella città devastata dai bombardamenti del 1943 in un difficile dopoguerra, tra le miserie seminate dal conflitto mondiale e dall’ingiustizia sociale, Ettore riesce a custodire nell’anima la nudità dello stupore commovente dell’infanzia.
Ama sperimentare. Con gioia, curiosità e creatività. Il legno, l’argilla sono i materiali privilegiati per il suo percorso artistico di autodidatta.
I carretti siciliani con le loro fantasmagoriche narrazioni, e i presepi con il loro brulicare di vita popolare lo affascinano, lo conquistano.

Paolo Grasso

La famiglia asseconda le sue passioni, i suoi interessi. L’arte è di casa. Il nonno materno Paolo Grasso, della scuola di Caltagirone, è un abile modellatore, un creatore di figure popolari in terracotta; il padre Salvatore lavora il legno, possiede un laboratorio di falegnameria dove Ettore impara i rudimenti del mestiere.
Con gli anni la sua produzione artigianale ed artistica si diversifica, ma costantemente resta nel tempo la duplice scelta iniziale: il presepee il carretto siciliano.
I presepi animati di Ettore Di Stefano cristallizzano il mondo contadino e lo raccontano attraverso i lenti e atavici gesti degli artigiani, i volti intrisi di fatica, il dolore dei poveri braccianti etnei.
Impara l’arte dei carradori, scolpisce e assembla carretti siciliani. Si muove nel solco di una tradizione rimasta in mano a pochi abili artigiani-artisti.
Un suo carretto, di proporzioni ridotte, fa bella mostra di sè nel museo dei pupi siciliani di Randazzo, altri riposano nella sua bottega.

E a proposito dei pupi, Ettore Di Stefano non li crea: li colleziona. Nel suo negozio antro, fucina, stazzone, falegnameria, in un angolo suggestivo, Orlando e gli altri paladini sono parati in attesa dello scontro finale con i terribili nemici che, invece, preferiscono sonnecchiare.

L’artista, l’artigiano, il collezionista. Tre facce di un uomo che è cresciuto nel modo migliore: rimanendo adolescente di fronte al mistero della creazione e della vita.

Collocazione di alcune della sue opere artistiche:

  –  Statua di Padre Pio  nella chiesa di San Francesco d’Assisi – Randazzo
  –  Presepe in terracotta nell’Ambasciata Italiana in Svizzera.
  –  Presepe in movimento presso il proprio negozio “il Momento ” nella via Regina Margherita.
  –  Carretto Siciliano nel Museo dei Pupi Siciliani.

 

Ettore Di Stefano con modellino della “Vara”


    OPERE di PAOLO GRASSO

A cura di Francesco Rubbino.

BEATO LUIGI RABATA’

       Beato Luigi Rabatà Sacerdote Carmelitano

 

Erice, Trapani, 1443 circa – Randazzo, Catania, 8 maggio 1490

Beato Luigi Rabatà – Randazzo

Della sua vita non si hanno molte notizie. Di certo si sa che Luigi Rabatà era nato ad Erice, nel Trapanese, probabilmente nel 1443 e che entrò presto nel Carmelo di Trapani, dedicato all’Annunziata.
Fu poi priore del convento carmelitano riformato di Randazzo  dove morì nel 1490.

. Secondo la tradizione la sua morte fu causata da una ferita alla testa procuratagli da una freccia scagliata da un prepotente signorotto locale, tal Antonio Cataluccio, di cui padre Luigi aveva condannato fermamente e ripetutamente i costumi.
Padre Luigi agonizzò per diversi mesi, ma nonostante ciò perdonò il suo feritore.

Il suo corpo fu dapprima sepolto nel convento della cittadina siciliana e fu poi traslato ” nel 1913 ” sotto l’altare dell’Assunzione nella basilica di Santa Maria.

         È beato dal 1841

 

 

    Luigi Rabatà nacque a Monte San Giuliano, l’odierna Erice, intorno all’anno 1443. Sentì la vocazione religiosa quando era ancora giovane e vestì l’abito carmelitano nel convento dell’Annunziata di Trapani.
    Si distinse per la grande umiltà e l’attenzione verso il prossimo e il poco tempo che aveva libero dallo studio lo spendeva per aiutare i poveri della città.
    Era un uomo di grande preghiera che accompagnava alle penitenze. Aveva una grande predisposizione per lo studio e, dopo essere stato ordinato sacerdote, fu destinato al convento riformato di S. Michele di Randazzo (Catania).
    Vi rimase per il resto della vita.
    Fu eletto priore contro il suo volere. Non trascurò nulla per i bene del convento e dell’Ordine e la sua parola, unita alla vita esemplare, fecero breccia nel cuore dei fedeli.

    Numerosi accorrevano al convento dove padre Luigi era, a volte, protagonista di prodigi. Era amato da tutti e nelle prediche il beato non ebbe timore di condannare i costumi di un signorotto locale.
    Il prepotente, attraverso la mano del fratello, si vendicò ordinandone l’uccisione.
    Il beato Luigi fu ferito alla testa e, tra le lacrime di chi lo soccorse, perdonò il suo assassino. Dopo alcuni mesi di sofferenze, spirò l’8 maggio 1490.

    Fu sepolto sotto l’altare maggiore della chiesa e il suo sepolcro divenne meta di ammalati, specialmente di ossessi, che beneficiarono della sua intercessione.
    I processi canonici furono celebrati nel 1533 e nel 1573. Il 10 Dicembre 1841 Papa Gregorio XVI ne approvò ufficialmente il culto.
    L’anno successivo furono approvati ufficio e orazione.
    Il 13 agosto 1913 le reliquie furono traslate, in forma solenne, nella Basilica di Santa Maria e posti in un’urna, sotto l’Altare dell’Assunzione.
    Nel suo paese natale dal 1617 è venerata la reliquia dell’osso di una gamba, a Trapani dal 1640 è venerata una parte del suo capo.
    Il beato Luigi è rappresentato con la palma del martirio e la freccia che lo colpì alla testa. Non fece mai il nome del suo assassino, né il motivo dell’aggressione.
    È venerato come confessore e non come martire.

Autore: Daniele Bolognini

 

 

EMANUELE DILETTOSO

Emanuele Dilettoso nasce ha Randazzo il 7 aprile 1916.

Viene eletto Consigliere Comunale :  
 – 22 novembre 1964
 – 07 giugno 1970 
 – 15 giugno 1975
Viene eletto Sindaco il 30 novembre 1979  carica che detiene fino al 30 giugno 1980. 

NEWS

GULINO GIUSEPPE

Gulino geom. Giuseppe nasce a Randazzo il 23 – 4 – 1936 

Consigliere Comunale dal 1970 al 1975 

Sindaco dal 30.10.1972 al 11.07.1973

MASSIMO GRECO

Dopo aver conseguito nel 1983 la Maturità Classica presso il Liceo Classico Spedalieri di Catania, nel 1984 si diploma in Tromba con “10 e lode” presso il Liceo Musicale V. Bellini di Catania.

Dopo alcune esperienze come “aggiunto” (seconda tromba) presso l’Orchestra del Teatro Massimo V. Bellini di Catania, si introduce nel mondo del jazz.

Massimo Greco

Con la City Brass Big Band di Catania, nel 1987 suona, come tromba solista, insieme ad Enrico Rava, Lee Konitz, Hannibal Marvin Peterson.

Nel 1988, come tromba solista dell’Orchestra Jazz Siciliana di Palermo, registra il suo primo disco sotto la direzione di Carla Bley e Steve Swallow (XtraWATT/ECM). 
Lasciata la sua terra, si trasferisce a Piacenza dove inizia una serie di esperienze musicali anche nel campo della musica leggera e dintorni.
Queste esperienze culminano nel 1995 quando diventa “la tromba” di Zucchero, con il quale collabora tuttora.

Nel Marzo del 1995 rincontra Carla Bley e Steve Swallow suonando insieme a loro come tromba solista dell’OFP Orchestra un importante concerto il 7 Marzo presso l’Aula Absidale di Santa Lucia a Bologna, concerto decantato dalla critica sulla rivista Musica Jazz n.9 del Maggio 1995 (articolo firmato da Helmut Failoni).

Il suo primo progetto jazz come “leader”, compositore ed arrangiatore è il Massimo Greco Quartet con il quale alla fine del 1995 registra il suo primo album intitolato : “Cattivik” (Modern Time). Nel 1996 registra in qualità di tromba solista per la Splash Records l’album intitolato “melodia popolare”. Leader del gruppo il clarinettista Claudio Zappi.

Nel 1997 forma il Clan Greco. Il primo album del Clan Greco, sempre con composizioni ed arrangiamenti originali di M.Greco, é uscito nel Maggio del 1998, si intitola “Musical Fitness” ed è stato prodotto e distribuito dalla Irma Records.
Il Clan Greco è inoltre presente in molte Compilations prodotte sempre dalla Irma Records tra le quali “Live in Montreaux vol. 1“. Degna di nota è infatti la partecipazione del Clan Greco al Montreaux Jazz Festival nel Luglio 1997 e nel Luglio 1998.

Nel 1997 incide ed esce l’album di Giuseppe Arezzo in titolato “Le dodici terre” edito dalla DanzadelleDita Records, album in cui M.Greco è la tromba solista accompagnato da una band di 23 elementi con archi e fiati.

Nel 2000 esce il secondo album del Clan Greco intitolato “Raptus” per la VideoRadioJazz, distribuito dalla Fonola Dischi.

Sempre nel 2000 incontra il pianista Franco D’andrea, con il quale ha registrato, in qualità di tromba solista, 2 albums per la Philology. Il primo si intitola “Eleven” ed il secondo “Combinazione 1“.

Intorno alla fine del 2000 inizia a collaborare, sempre come tromba solista, con uno dei jazzisti italiani più quotati sia in Italia che all’Estero, Gianluigi Trovesi.
Dal 1999 infatti suona con il “Gianluigi Trovesi Ottetto“.
Con il Gianluigi Trovesi Quintet invece, M.Greco registra l’album “live” Freedom in Jazz per la RAI nel Dicembre 2000 con il gruppo di Elton Dean, disco che è uscito con la rivista Musica jazz nel Giugno 2001.

Massimo Greco alla tromba

Nel 2001 M.Greco viene intervistato dal giornalista e critico Riccardo Schwamenthal, intervista che esce su un articolo interamente dedicato a Greco sulla rivista Musica Jazz n.2 del mese di Febbraio.

Nel 2001 suona, come tromba solista, con il sassofonista americano David Liebman in vari Festivals fra cui il “Termoli Jazz Podium“.

Nel Gennaio 2002 esce il terzo album del Clan Greco intitolato “Brassisity” sempre per l’Irma Records.

Tanti i concerti fatti nei Jazz Club, Rassegne e nei Festival Jazz non solo in Italia ma anche all’Estero.

Nel maggio 2003 è uscito il nuovo album del Gianluigi Trovesi Ottetto intitolato “Fugace“, per la prestigiosa etichetta discografica tedesca ECM, uscita seguita da innumerevoli concerti nei più prestigiosi Festival Jazz europei e non solo.

Con l’album “Fugace” il gruppo vince il premio come miglior disco dell’anno 2003 sia in Italia che in Germania.
 
Nel 2004 M.Greco registra come tromba solista, insieme al trombonista Gianluca Petrella, l’album “Basic” di Gaetano Partipilo, album uscito nel mese di Settembre per la Soul Note.

Intorno alla fine del 2004 M.Greco inizia a comporre ed arrangiare per grandi formazioni.

Il suo primo lavoro degno di nota è il concerto che ha eseguito il 16 dicembre 2005 con le bande di Fornovo e di Borgotaro unite insieme più un trio jazz, nell’ambito del “Parma Jazz Festival“.

In questa occasione Greco è stato oltre che il solista anche compositore ed arrangiatore per un organico di ben 60 elementi.

Dal 2005, M.Greco si cimenta, di tanto in tanto, nei panni del produttore artisticodiscografico, grazie anche alla sua buona conoscenza tecnica nell’uso del computer e di diversi programmi musicali professionali (Protools, Logic Audio, Digital Performer, Reason, Ableton Live ed altri).

Fra alcuni interessanti gruppi da lui prodotti, troviamo: Rodriguez, Ohm Guru, Ninfa, Black Migth Wax, LTJxperience, gruppi con i quali, oltre a collaborare come produttore artistico e compositore, veste sempre il ruolo di tromba solista.

Sempre nel 2005 registra, come di tromba solista, l’album “Biba Band Live”, un omaggio alla musica dei Wether Report, album registrato con la Biba Band di Milano insieme ad altri solisti di eccezione quali Stefano Bollani, Mauro Negri, Roberto Cecchetto, Paolo Costa e tanti altri. Il disco, uscito lo stesso anno, è edito dalla Hucapan.

Dal 2006 presso il Centro Studi Musicali di Verona, nei corsi BTEC Natiolnal Diploma Higher National Diploma, insegna le seguenti materie: tromba, teoria ed armonia funzionale, composizione ed arrangiamento jazz, musica d’insieme.

Dal 2007 al 2009 ha lavorato, sia come arrangiatore per la sezione fiati che come tromba solista, con il cantante Neffa.

Nel settembre 2007, M.Greco continuando la collaborazione con Zucchero, in occasione dei concerti all’Arena di Verona, sia come trombettista che come arrangiatore per la sezione fiati, ha registrato un doppio Cd-Dvd dal vivo.

Nel mese di dicembre 2008 è appunto uscito il doppio cd e doppio dvd di intitolato “Live in Italy“, lavoro che contiene le registrazioni audio-video oltre che dei concerti all’Arena di Verona anche quelle dello stadio S.Siro di Milano.

Dal 2008 M.Greco è entrato a far parte del nuovo quintetto di Gianluigi Trovesi, sostituendo Enrico Rava nel progetto “Espressamente”.

Dal 2008 fino al 2013 ha insegnato tromba classica e tromba jazz presso l’Associazione Musicale Acquarelli Musicali di Bologna.

Sempre nel 2008 registra come ospite tromba solista l’album “Massical”, album del grande poli-percussionista Trilok Gurtu insieme a Jan Garbarek, album che è uscito nel 2009 edito dalla BHM Production.

Dal 2009 al 2012 ha insegnato tromba classica, tromba jazz, teoria ed armonia funzionale presso Liv Centro di Ricerca e Formazione nelle Arti Performative – Comune di Bologna e Regione Emilia Romagna.

 

Nel 2009 è uscito l’album “Restless Spirits”, album registrato in qualità di tromba solista insieme al pianista Roberto Magris con l’Orchestra Ritmico Sinfonica di Verona.

Da febbraio 2009 M.Greco insegna “Tromba jazz” presso il Conservatorio G.B.Martini di Bologna.

Nel 2010 esce invece l’album “Motion” del gruppo “Faze Liquid”, album in cui partecipa come tromba solista insieme al sassofonista Carlo Atti ed al pianista Nico Menci, prodotto e distribuito dalla Irma Records.

Sempre nel 2010 registra l’album “Britannia shing-a-ling” a Londra presso il famoso Miloco Studio, sempre come tromba solista, insieme ad una band di jazzisti londinesi tra cui i sassofonisti Brandon Allen e Tony Kofl.

L’album è uscito nel 2011 per la Sunlightsquare Records.

Nel 2011 ha suonato nel “Chocabeck World Tour 2011” con Zucchero.  In questo Tour mondiale oltre alla tromba ed al flicorno ha suonato anche il corno francese.

Il 31 di Ottobre 2011, durante una pausa del tour, M.Greco consegue il Diploma di II Livello in Tromba Jazz con voto 110 e lode presso il Conservatorio F.Venezze di Rovigo.

Nel 2012 ha insegnato Tecniche di Composizione ed Arrangiamento Jazz e Tecniche di Orchestrazione e Concertazione Jazz sempre presso il Conservatorio “G.B.Martini” di Bologna.

Sempre nel 2012 fonda gli Afronauti, un quintetto con jazzisti di spicco quali Roberto Rossi e Nico Menci.

Anche in questo gruppo M.Greco ricopre il ruolo di tromba solista, compositore ed arrangiatore.

L’album di questo quintetto dal titolo “A Jazz Odyssey” per l’Irma Records è uscito nel Febbraio 2013, edizioni Music Market.

Nel 2013 ha insegnato Tromba jazz anche presso il Conservatorio “Luisa D’Annunzio” di Pescara, Tecniche di improvvisazione presso il Conservatorio F.A.Bonperti di Trento e Composizione jazz presso il Conservatorio G.Martucci di Salerno.

Sempre da Gennaio 2013 collabora con la Reno Galliera Wind Orchestra, un’ orchestra composta da ben 45 strumenti a fiato.

Il primo concerto nato da questa collaborazione è del 10 Giugno 2013 intitolato “Note da Cinema” svoltosi al Teatro Arena del Sole di Bologna.

In quell’occasione M.Greco, oltre che ad essere la tromba solista, ha eseguito alcuni suoi brani originali, scrivendo ed arrangiando ad hoc per la numerosa formazione anche alcune Suite contenenti brani tratti dalle colonne sonore di films italiani.

Nel mese di Maggio 2013 è stato docente di “musica d’insieme jazz” e di “improvvisazione jazz” nel Seminario Jazz al Borgo organizzato dal Comune di Bologna presso la Villa Bernaroli di Borgo Panigale insieme a John Taylor e Diana Torto.

Da Maggio 2013 ha intrapreso una collaborazione con alcuni comici del programma televisivo Zelig off (M.Dondarini, M.Grano, R.Dal Fiume) con i quali ha creato uno spettacolo di teatro e musica in veste non solo di tromba solista, ma anche come compositore, arrangiatore e direttore musicale.
Lo spettacolo si chiama “x man at work” e la “prima” si è svolta il 24 Maggio presso il Rockafè di Bologna.

Sempre da Maggio 2013, M.Greco dirige la University Big Band di Verona con la quale sta preparando il loro nuovo secondo album.

Nel mese di Settembre 2013 è uscito l’album intitolato “Pa’lante” di Hamlet Fiorilli & His Latin Jazz Experience registrato in Austria ed edito dalla Freiaudio Records, album dove M.Greco ha suonato come tromba solista “special guest” insieme al sassofonista Lukas Gabric.

Il 17 Maggio 2014 ha suonato per il Bergamo Jazz Club presso la prestigiosa Sala di Porta S.Agostino con il pianista Fabrizio Puglisi in un concerto interamente dedicato a Miles Davis riscuotendo un enorme consenso da parte del pubblico e della critica come dimostra l’articolo sull’Eco di Bergamo uscito l’11 Maggio scritto da Renato Magni.

Alla fine di Maggio 2014 è uscito l’album intitolato degli Estrela Guia “Equilibrio acustico” nel quale M.Greco è oltre che tromba solista anche compositore ed

Massimo Greco

arrangiatore.
Il disco è uscito per l’Irma Records ed è edito dalla Music Market.

Nei giorni 6,7 ed 8 di Giugno 2014 M.Greco ha svolto tre giorni di Seminari in qualità di   docente di Musica d’insieme jazz e Tecniche di improvvisazione.
I Seminari si sono svolti all’interno di Imola in Musica e sono stati organizzati dal Comune di Imola e dalla Scuola Civica V.Baroncini.

Oltre a svolgere l’attività di docente, ha tenuto tre concerti serali, rispettivamente il 6, il 7 e l’8, in qualità di compositore, arrangiatore e tromba solista: il primo con il M.Greco Trio, formazione alla quale fanno parte Marco Micheli al contrabbasso e Roberto Cecchetto alla chitarra; il secondo in Duo con il pianista

svedese Jan Lundgren ed il terzo con il gruppo Estrela Guia con il quale ha presentato il nuovo disco.

Il 9 Novembre 2014 ha suonato, come tromba solista, con la Big Band del Conservatorio G.B.Martini di Bologna, all’interno della rassegna “Bologna Jazz Festival”, insieme a John Taylor, Giulian Siegel e Diana Torto.

A Maggio 2015 è uscito l’album intitolato “Two suites for jazz orchestra” di Oscar Del Barba “featuring” il sassofonista Dave Liebman, album in cui M.Greco ha partecipato in qualità di tromba solista.

Nell’A.A 2014/2015 ha insegnato Musica d’Insieme Jazz e Composizione Jazz presso il Conservatorio Tito Schipa” di Lecce, Tecniche di Improvvisazione presso il Conservatorio G.B.Martini di Bologna e Tromba Jazz presso il Conservatorio L.Campiani” di Mantova.

Nel 2015, nei giorni 6,7 ed 8 di Giugno 2015  M.Greco ha svolto tre giorni di Seminari in qualità di docente di Musica d’insieme jazz e Tecniche di improvvisazione.
I Seminari si sono svolti all’interno di Imola in Musica e sono stati organizzati dal Comune di Imola e dalla Scuola Civica V.Baroncini. Oltre a svolgere l’attività di docente, ha tenuto un concerto, il venerdì 5, insieme al chitarrista Bebo Ferra, concerto durante il quale i due musicisti hanno presentato le loro nuove composizioni.

Sempre nel 2015 incide per l’Irma Records di Bologna due albums con due progetti trasversali al proprio, progetti di cui M.Greco è direttore, compositore, arrangiatore e tromba solista. Il primo è “Smoothy Jazz” del gruppo JBX Experience ed il secondo è “Looking for stardust” del gruppo Gals & Bra.

Il 15 e 17 Luglio 2015 M.Greco, con il suo quintetto, il Clan Greco, è stato protagonista di due concerti all’ EXPO MILANO 2015 all’interno del Padiglione Bio-Mediterraneo,nella rassegna Etna e le sue eccellenze, in qualità di “testimonial musicale” della sua Terra (la Sicilia) e dei Suoi prodotti autoctoni.

Il 13 Ottobre 2015 ha partecipato come compositore, arrangiatore e tromba solista al Salento Guitar Festival all’interno della rassegna “I musicisti del Terzo Millennio”.

Nel 2016 ha insegnato Composizione e Arrangiamento Jazz, Armonia Jazz, Analisi delle forme sia classiche che jazz, Videoscrittura musicale e Tromba Jazz presso il Conservatorio A.Buzzola di Adria, Tromba Jazz presso il Conservatorio L.Campiani di Mantova, Composizione Jazz, Tromba Jazz, Forme,sistemi e linguaggi musicali presso il Conservatorio G.Verdi di Como, Tromba Jazz presso il Conservatorio G.B.Martini di Bologna.

Tuttora dirige la University Big Band di Verona con all’attivo, già nei primi mesi di quest’anno, alcuni importanti concerti come quelli eseguiti presso il Teatro Camploy di Verona, presso la Sala Rossa di Villa S.Fermo a Lonigo (Vi) e presso il Teatro Centrale di S.Bonifacio (Vr).

Nel mese di Giugno 2016 M.Greco ha registrato il suo nuovo album intitolato “Misticanze” con il Massimo Greco Quartet (composizioni ed arrangiamenti originali di M.Greco), album che è uscito il 2 Dicembre 2016 per la prestigiosa etichetta jazz italiana “To be jazz”.

Il 19 Luglio 2016 ha suonato in qualità di prima tromba e tromba solista della Colours Jazz Orchestra con il chitarrista brasiliano Toninho Horta e con il baritonista statunitense Ronnie Cuber all’interno dell’Ancona Jazz Festival.

Sempre a Luglio 2016 ha registrato un album con la Colours Jazz Orchestra insieme ai musicisti statunitensi Scott Robinson e Joe La Barbera, album in uscita per la fine dell’anno.

Nel mese di Settembre 2016 ha registrato, come tromba e flicorno solista, nel nuovo album di Luciano Ligabue, album che si intitola “Made in Italy” in uscita alla fine dell’anno, mentre il 24 e 25 Settembre ha suonato insieme a Luciano Ligabue nei due grandi concerti-evento all’Autodromo di Monza davanti ad un pubblico che ha raggiunto le 80.000 presenze a concerto.

Il 18 Novembre 2016 è uscito l’album “Made in Italy” del cantante Luciano Ligabue per la prestigiosissima etichetta “Warner Music”.

In questo album M.Greco ha suonato in qualità di tromba e flicorno solista.

A Gennaio 2017 è uscito l’album intitolato “ArrangiMenti” di Massimo Morganti, per l’etichetta discografica “Notami Jazz”, album in cui M.Greco ha suonato come prima tromba. In questo album ha suonato insieme agli statunitensi Joe La Barbera, Bill Cunliffe, Martin Wind e Scott Robinson.

In questo Anno Accademico 2016/2017 a M.Greco è stata assegnata la cattedra di Composizione Jazz presso il Conservatorio G.Frescobaldi di Ferrara.

Dal 1 Febbraio 2017 M.Greco è in tournè come tromba e flicorno solista con il cantante Luciano Ligabue nel “Made in Italy tour”, tour proseguito fino al mese di Novembre 2017 con più di 70 concerti in Italia e all’Estero.

Anche in quest’Anno Accademico 2017/2018, M.Greco svolge la docenza di Composizione ed Arrangiamento Jazz, Tromba Jazz e Musica d’insieme Jazz presso vari Conservatori italiani.

 

              Intervista a Massimo Greco

        Ieri sera, prima del concerto di Ligabue, ho avuto l’onore di conoscere ed intervistare il grande Massimo Greco, per 20 anni “la tromba” di Zucchero e da quest’anno trombettista di Ligabue.
Per le domande ho preso spunto dal mastro intervistatore Zosimo. Scusate per la poca inventiva, spero vi piaccia comunque.

Massimo Greco

Ciao Massimo! Iniziamo subito con la domanda di rito: perché la tromba?
Non lo so…quando avevo 10 anni mi regalarono una fisarmonica giocattolo e io ci giocavo dalla mattina alla sera. Mio papà allora mi disse che se mi piaceva mi avrebbe mandato alla banda. Ci sono andato, mi sono iscritto ed ho iniziato con il flicornino in Mib…poi la tromba…poi sono andato al conservatorio, ecc.

Al mondo del jazz, ti sei avvicinato da autodidatta o sei andato da qualche maestro?
Assolutamente da autodidatta.

Cosa c’è ora nel tuo ipod? Non ce l’ho…
Non ascolti musica? Poca, e ti spiego anche il perché. Fortunatamente sono impegnato un sacco in molti progetti e passo molto tempo ad ascoltare e studiare i pezzi che poi devo suonare.

Oltre che di tromba e trombone, sei insegnante di informatica musicale applicata: di cosa si tratta?
Nello specifico, in conservatorio, si tratta di studiare e approfondire il programma Finale come programma musicale per scrivere partiture, ecc.

Hai mai pensato di fare musica classica?
Io in realtà sono diplomato in tromba classica. Per quasi due anni sono stato seconda tromba al Bellini di Catania, in orchestra, però poi ho incontrato il jazz e ho girato l’angolo…

Se non avessi suonato la tromba, quale strumento avresti scelto o se non avessi suonato la tromba che lavoro avresti voluto fare?
Non ne ho la più pallida idea…so fare solo questo!

Visto che il nostro è un forum di trombettisti, oltre alla musica ci interrano anche cose prettamente tecniche tipo la spasmodica ricerca dell’acuto. Tu che ne pensi?
Non me ne frega assolutamente niente! Io arrivo fino al fa parlando per il piano, quindi al nostro Sol sopra il pentagramma in maniera pulita ed intonata e sono apposto così.

Riguardo all’impostazione, ne hai una normale o hai cercato qualcosa di particolare?
Assolutamente niente, normalissima, vengo dal classico quindi un’impostazione molto pulita e semplice.

Massimo Greco

Qual è la tua tipica giornata di studio?
Suono soprattutto le parti che devo suonare in giro.

Altra domanda da trombettisti: tu sei famoso per la tua Martin rossa, hai altre trombe?
Adesso si, prima di oggi ho avuto solo la mia Martin rossa, ora ho anche la Martin blue. Comunque sia sempre e solo Martin, sono abituato all’emissione e per me è molto importante.

E invece come flicorno?
Attualmente ho solo un Leblanc. Ora mi sto muovendo per cercarne uno di scorta e credo che prenderò un Courtois, secondo me uno strumento molto interessante.

Per i bocchini cosa usi?
Yamaha GP ma non ricordo il numero…l’ho provato, mi trovavo benissimo e l’ho tenuto.

Hai mai fatto una ricerca per il suono con i bocchini? Ne hai provati molti?
Ni….ho iniziato con il classico Bach, poi sono passato allo Schilke e poi il Yamaha GP che ho da 20 anni

Se avessi a disposizione una macchina del tempo con chi vorresti suonare?
Andando nel passato vorrei trovarmi al posto di Miles Davis con Charlie Parker!

Oltre che un grande musicista sei un grande compositore e direttore artistico: come si conciliano le tre cose?


Le 3 cose sono perfettamente parallele: come musicista ti fai le ossa con i tuoi progetti, col trio o col quartetto ecc., poi passi a dirigere la big band, direi che è tutto collegato. Man mano che cresci negli anni diventa tutto naturale.

Come vedi la situazione del jazz in Italia?
Direi buona soprattutto perché insegnando in conservatorio incontro tanti giovani che amano il jazz e secondo me ci sono tanti talenti e tante proposte nuove molto interessanti.

Dopo tanti anni con Zucchero ora sei in tournee con Ligabue. Com’è quest’esperienza?
Ottima, mi sento in famiglia.

Grazie Massimo, sei stato gentilissimo. Un saluto agli amici del forum.

          Ragazzotti mi raccomando:  STU-DIA-RE!  Ciao! 

 

       LA “FAVOLA” DI MASSIMO DA RANDAZZO A LIGABUE    18 febbraio 2017

Massimo Greco con la Banda Musicale” Erasmo Marotta” – Randazzo

Dalle falde dell’Etna, a prestigiosi palchi, dalla banda “E. Marotta” all’Arena di Verona, e non solo. E’ la favola di Massimo Greco, Randazzese, trombettista, strumento che ha iniziato a suonare con la banda di Randazzo, e che lo ha portato ad affiancare artisti del calibro di Zucchero, Neffa ed ora Ligabue.
Abbiamo incontrato Massimo, tra le 3 date del tour di Ligabue ad Acireale. “Mi trovo qui per caso – ci dice – ho suonato il  Filicorno in una canzone del suo ultimo album; e poco prima dell’inizio della tournée, Liga , mi ha chiesto di fare parte della sua band.
Una grande soddisfazione, che si unisce alle tante avute in carriera”. Massimo è nato in Francia, ma a sei mesi si trovò a Randazzo: “Sono randazzese, ho vissuto lì per anni, e la mia famiglia risiede ancora a Randazzo, mio padre lavorava nell’edilizia

 

 

Massimo Greco con la Banda Musicale” Erasmo Marotta” – Randazzo

A 11 anni sono entrato nella banda, dove ho suonato fino a 16 anni quando mi trasferii al conservatorio.
Laurea in tromba con 10 e lode.
Poi la gavetta, con tante band in Sicilia, ma l’insoddisfazione di essere pagati poco o niente.
A 26 anni – continua – ho lasciato la Sicilia per andare a Piacenza, quella è stata la svolta della mia carriera musicale”.
A Piacenza e nei dintorni Massimo riesce a vivere di Musica, specie jazz, la sua passione, e inizia anche la carriera di compositore, che continua tutt’ora con molti dischi all’attivo.
“Nel 1994 ho effettuato un provino per Zucchero, che mi volle nella sua band, con la quale ho suonato fino al 2011.
Poi la collaborazione con Neffa, e l’attuale collaborazione con Ligabue, che seguirò per il tour nei palazzetti partito da Acireale, che mi terrà impegnato fino a fine maggio”.
Un musicista che è noto in Italia e nel mondo per la musica jazz, anche se arriva alla notorietà collaborando con artisti pop di grande livello.
“Ricordo ancora le mie prime esperienze con la Banda Musicale di Randazzo “Erasmo Marotta” alla quale mi sento molto legato, tra l’altro mio fratello è l’attuale Presidente, e sono felice di sapere che molti giovani partiti come me dalla banda, attualmente sono in Conservatorio”.
Qualche anno fa, Massimo è tornato a suonare a Randazzo, con degli arrangiamenti particolari per la Banda Musicale suonando insieme.
“Nel mio ultimo disco la copertina è di Sergio Treglia, artista Randazzese”.
 LUIGI SAITTA Fonte “La Sicilia” del 18-02-2017

     DISCOGRAFIA

 

 

 

 

AVVENIMENTI STORICI – CRONOLOGIA

CRONOLOGIA

 

 440 a.c.  –   La Città di Trinacia (futura Randazzo) nel 440 a.C. fu  assediata e sconfitta dai Siracusani.  I Trinacesi  diedero prova di grande valore e per non ca­dere in mano al nemico, cui non vollero arrendersi, si uccisero tutti l’un l’altro, senza restarne in vita che fosse uno”.  (così scrive Emmanuele La Monaca, nella sua “Antichità di Sicilia”).

254 – Il 1° febbraio del 254 si verificò una terribile eruzione dell’Etna. Gli abitanti del luogo si rivolsero alla SS Vergine che accogliendo le suppliche salva la Città dalla lava. Grati del celeste favore i Tiraciesi costruirono una Chiesa di legno nella quale rimase nello stesso luogo dove si era trovato il pilastro con l’Immagine della Madonna  e fu chiamata  Santa Maria del Pileri.  (Padre L.Magro) 

891 –   Secondo il Codice Arabo Tomo II° fogl. 285, nel 891  Randazzo aveva la popolazione di ventitremila anime.

1074  –  Il monastero di San Giorgio, che prima si chiamava Monastero di S. Maria Maddalena delle Moniale Benedettine,  prese questo nome per volere del Conte Ruggero che aveva lasciato lì il Quadro con l’Immagine di San Giorgio Martire e  cin­que pezzetti di ossa fra cui un’intera costola preziose Reliquie del  Santo ed un dente mascellare dell’Apostolo Paolo.

1088 Il Pontefice Urbano II (ispiratore della Prima Crociata per la liberazione di Costantinopoli e realizzatore del programma di portare e tenere   la  Campania e la  Sicilia saldamente nella sfera d’influenza cattolica,) diretto a Troina si fermò a Randazzo e celebrò messa nella chiesa di S. Maria (unica di rito latino).

1198  – La Chiesa Abbaziale di Randazzo era “Suffraganea” di Messina, ol­tre che per tradizione, anche perché una Bolla Pontificia di Innocenzo III°, emanata nell’anno 1198, trascritta da Carlo Domenico Gallo negli Annali della Città di Messina,  accordava a Bernardo Arcivescovo di Messina l’uso del Pallio, autorizzandolo a poterlo usare non solo nella propria Diocesi, ma pure nelle Chiese suffraganee di Troina, Lipari, Cefalù, Taormina e Randazzo.

1150 – …… nel veridico sito detto Triocla, oggi su fortissima rupe,  è giacente quella Nobile Città che fu denominata Randatium.
(Nota bene: = RANDATIUM : nome originario da Trinacium, che senza la T fu detta dai Saraceni Rinacium e Ranacium. Il primo che poi la denominò Randatium fu il conte Ruggiero, allora quanto concesse all’Abate di Sant’Angelo di Brolo l’ex feudo di Santa Maria del Bosco).

1154  Il geografo arabo del re Ruggero II  El-Edrisi descrive Randazzo come un villaggio “del tutto simile ad una cittadina con un mercato che pullula di mercanti e artigiani”, testimoniandone il particolare periodo di prosperità economica.

1195  –  L’Imperatore Arrigo VI, nel suo viaggio (1195 ?) da Castrogiovanni a Messina dove si recava per causa di malattia, a settembre fu a Maniace ; in tale occasione dovette necessariamente passare da Randazzo.

1197  – La Regina Costanza – moglie dell’Imperatore Arrigo VI  – fu di passaggio da Randazzo in luglio 1197, nel suo viaggio da Messina a Palermo.

1210  –  L’Imperatore Federico II e sua moglie la Regina Costanza, per consiglio dei medici in quanto a Palermo vi era la peste, soggiornarono per la salubrità del clima prima a Montalbano e poi a Randazzo ove si fermarono tutto il mese di ottobre.

1217  –  La chiesa di Santa Maria. La data della costruzione della Chiesa si trova scolpita nell’ Epigrafe  sul pilastro di tramontana della Chiesa che recita  (la traduzione è di don Calogero Virzì) 🙁 una nuova versione di Angela Militi la data 12 marzo del 1214. vedere: randazzo segreta)     “ Nel lasso di tempo del 1217 dopo la nascita della Vergine Maria del Verbo, fu costruito questo edificio coperto da volte in pietra sopra archi sostenuti da dodici colonne lavorate con arte eccellente.  Un leone collocato sopra la parte terminale orna con arte questa opera egregia, tempio venerato di Cristo.  Nell’anno del Signore 1239 questa opera fu portata a termine “.
 Con Lettere Apostoliche  del 20 settembre 1957 fu elevata a Basilica Minore Pontificia.  

1239 – Nella cornice del  muro di destra della Basilica di Santa Maria (dalla parte del corso Umberto I) si legge la scritta  “IMPERANTE”.  Doveva esserci scritto: ” IMPERANTE FEDERICO II “. La domenica di Palma del 1239, però, il Papa Gregorio IX  scomunica per la seconda volta l’Imperatore e quindi  la frase resta incompleta.

1256    “L’imperatore Manfredi, figlio naturale del Re Federico II e della Regina Bianca, presa d’assalto Randazzo nel 1256, e si fece quì acclamare Re, due anni prima che fosse coronato in Palermo, lasciando quì Governatore suo zio Federico Lanza Principe di Antiochia e Conte di Capizzi, dal quale ebbe origine in Randazzo questa Fami­glia della quale Nicolò De Antiochia fu uno dei Senatori nel 1282,  e Benedetto De Antiochia che sposò in Ran­dazzo Margarita Omodei, Baronessa di Maletto”.

1282  –  Pietro I d’Aragona il 10 agosto 1282 sbarcava a Trapani e dopo essere stato incoronato a Palermo si diresse (8 settembre) a Randazzo  – unica città murata dell’entroterra del Valdemone posta sull’alto Alcantara che presentava per l’esercito siciliano tutte le garanzie di una città fortificata – e qui fece attendere il suo esercito, in una località che ancora, a ricordo, porta il nome di “Campu re“, per soccorrere Messina assediata dagli Angioini.  

1282 –  Randazzo prese parte ai Vespri Siciliani (ribellione scoppiata a Palermo all’ora dei vespri di Lunedì dell’Angelo contro i francesi). La città insorse contro gli Angioini e nel piano che circonda il lago Gurrita i randazzesi sterminarono le truppe francesi che presidiavano la città.

1282 Pietro I d’Aragona fa restaurare le porte di San Giorgio e la porta aragonese, detta anche Porta di San Giuliano, che deve il suo nome al fatto che Re Pietro d’Aragona restaurandola, fece apporre accanto allo stemma del paese anche il proprio e quello della moglie Costanza. 

1286  –  Il re Giacomo D’Aragona, secondogenito di Pietro e della regina Costanza, visitò Randazzo e la definì Terra Prelibata.

1292  – 
Nella battaglia navale, il mese di luglio, che vide contrapporsi il re di Sicilia Federico II contro Carlo D’Angiò perse la vita il randazzese Corrado Lanza che nel 1282 era stato nominato  dal Re  Pietro I° Senatore di Randazzo occupando pure la Carica di Gran Cancelliere della Corona di Sicilia.

1296  –  Lo storico Giuseppe Bonfiglio (1547-1622) cosi descrive Randazzo parlando della guerra tra il Re Federico II e Carlo D’Angiò    “Vicino Castiglione principale fortezza del Laoria, è situata la Città di Randazzo la quale, per le sue ricchezze, nobiltà di  Cittadini, numerosità di popolo e grandezza di territorio, a nessuna del Regno è seconda”.

1299  –  Michele Amari (Palermo 1806 – Firenze 1899 storico, politico ed arabista) nella sua opera “La guerra del Vespro Siciliano” definisce: “Randazzo, principal città in Val Demone dopo Messina” . Commentando un testo arabo  trova che Randazzo veniva definita: “città  tetra e sinistra , nonostante i suoi balconi , le sue porte di pietra scolpita”.

1300 – Agli inizi del 1300, il duca Roberto d’Angiò, sferrò un attacco armato contro Randazzo, città fedelissima a re Federico III d’Aragona. I Randazzesi serrarono le porte, le munirono di armati e presidiarono le otto torri di guardie scelte. Per evitare un lungo, probabile assedio, i cittadini passarono al contrattacco: in una notte di buio fittissimo, l’esercito randazzese uscì da Porta Pugliese ed attaccò gli armati angioini. Seguì un furioso combattimento: l’esercito angioino fu costretto a battere in ritirata dall’impeto dei Randazzesi. L’avvenimento va sotto il nome di “assalto della Fonte del Roccaro”, una  fontana che ancora esiste sulle sponde del fiume Alcantara.

1303  –  Federico d’Aragona o Federico II (Barcellona 1273-Paternò 1337),  incoronato re di Sicilia (o di Trinacria) a Palermo il 25 marzo del 1296, per una particolare distinzione di onore e per lo sviluppo  urbanistico della Città, il 10 febbraio 1303 emanò un decreto con cui fece obbligo a tutti i baroni del regno di trasferirsi a Randazzo assieme alla sua Corte per villeggiare nei quattro mesi estivi.

1312 La Regina Eleonora, moglie del Re Federico II, diede alla luce a Randazzo il Reale Infante cui, nella fonte battesimale della Chiesa  di S. Nicolò, fu imposto il nome di Guglielmo e  gli fu dato dal Padre il titolo di primo Duca di Randazzo. 

1337  –  Il Re Federico II,  nell’ultimo giro che fece in Sicilia, giunto a Castrogiovanni   elesse il suo quartogenito Principe Giovanni quale secondo Duca di Randazzo in sostitu­zione del fratello Guglielmo deceduto nel 1320, all’età di otto anni. A questo Duca, oltre ai Casali soggetti al Distretto di Randazzo, furono addette le Città di Troina, Castiglione e Francavilla. 

1337  Giovanni d’Aragona,  Quarto figlio di re Federico III di Trinacria e di Eleonora d’Angiò, nacque nella primavera del 1317. Dotato di ricchi feudi (Mineo, Alcamo, Francavilla, Torino, Malta, Pantelleria), alla morte di Federico nel 1337, in virtù appunto del testamento paterno vide elevato al rango di Marchesato, fino allora mai conferito in Sicilia, la sua signoria di Randazzo, ottenendo un posto di grande rilievo nella feudalità siciliana

1338  –  Il Re Pietro II° , figlio primogenito di Federico II,  e la moglie Elisabetta di Baviera che sposò nel 1321,  tenne Residenza in Randazzo con tutta la Reale Famiglia, nei quattro mesi di estate. 

1342  –  Divenuta  vedova la Regina Elisabetta l’ 8 agosto 1342, insieme ai figli Ludovico e Federico, dovette rimanere a Randazzo   sino al 1347, per disposizione del Duca Giovanni, Tutore di Ludovico ed Amministratore del Regno.

1348  – Si può leggere  da un diploma del 1348, emanato in Catania il 14 agosto  da Federico il Giovane,  Duca di Atene, Marchese di Randazzo, Conte di Mi­neo e Calatafimi, che Randazzo ottenne la Reale ap­provazione di due Capi­toli dove era dichiarato che il Distretto della Città di Randazzo era costituito da dodici Casali e precisamente : Spanò, Carcaci, Floresta, Pulichello, Cattaino, Bolo, S. Teodoro, Chisarò, Cuttò, Santa Lucia, Maniace e Bronte, e nelle Cause Criminali, soggetti al Capitano Giustiziere di Randazzo.

1358  –  Il Re Federico III°  tenne  Randazzo un Parlamento Generale di tutti i Baroni fedeli, per trovare i mezzi per poter vincere ed umi­liare tutti i nemici.

1380  – Nel 1380, come riferisce il Padre Lazana Carmelitano e con lui anche il Padre Giu­seppe Fornari, essendo venuti a Randazzo i Padri Carmelitani per fondarvi un Convento, fu loro concessa la  Chiesa che i Trinaciesi, Triocolini ed Alesini, quando si accamparono in un sito ad oriente della Città,  fabbricarono un Suburbio (sobborgo)  e vi edificarono una Chiesa per loro Parrocchia che dedicarono a San Michele Arcangelo,  accanto alla quale edificarono il loro Cenobio (monastero).  Questo Convento con la relativa Chiesa si rese glorioso sotto il governo di Padre Luigi Ra­batà Religioso Carmelitano, nato in Monte San Giuliano in quel di Trapani, circa il 1420 e morto in fama di santità in Randazzo, in un sabato di maggio, con molta probabilità il giorno 11 del 1490.

1366  – Il Principe di Torremuzza Vincenzo Castelli scrive  nei Fasti di Sicilia, vol. I°, pag. 75 ,  che quando ancora l’Infante Maria aveva tre anni ed era sotto la tutela di Artale d’Aragona suo Balio, fu riunito in Randazzo il Parlamento Generale del Regno rap­portato,  per stabilire la successione di Maria, nel caso che fosse deceduto il Re Federico III°, allora molto grave e senza eredi maschi. 

1398  –  Il  Re Martino e la Regina Maria furono in Randazzo, accompagnati dal Car­dinale Gilforte, Arcivescovo di Palermo e da fra’ Paolo Romano Arcivescovo di Monreale, a preghiera dei quali, furono perdonati i Baroni ribelli.

1411  –  La regina Biancadopo aver visitato in lungo e in largo la Sicilia con la sua corte itinerante, venne anche a Randazzo  il 3 giugno 1411 e venne accolta con tutti gli onori. Fu così contenta che fece scrivere una missiva dal suo segretario a Palermo: “…….. hodie intrammu feliciter in quista terra di randazu, undi fommu richiputiet ascuntrati cum solemni festa et alligrizia da tucti universaliter....”.

1414  –  L’Arciprete di Randazzo R.mo Matteo D’Elefante nel 1400 fece un’istanza al Metropolitano Arcivescovo di Messina, perché fosse dichiarata la Chiesa di S. Maria la maggiore sopra delle altre due Chiese di S. Martino e S. Nicolò. Dopo 14 anni di litigio,
il 15 febraio 1414 l’Arcivescovo di Messina e Metropolitano di Ran­dazzo, Mons. D. Tommaso Crisafi proferì la sua sentenza definitiva con la quale di­chiarò Maggiore sulle altre Chiese quella di S. Maria, col Titolo di Madre Chiesa duratura in perpe­tuum usque ad finem mundi.

1419  –  Il Beato Matteo Gallo di Agrigento (1377-1450) fu il fondatore del nostro Convento dei Frati Osservanti cioè di Santa Maria di Gesù. Il culto della sua beatificazione  venne riconosciuto dalla Chiesa con decreto del 21 febbraio 1767, approvato da papa Clemente XIII.
La memoria si celebra l’8 febbraio.

1420  –  Luigi Rabatà dell’Ordine dei Carmelitani nasce a Monte San Giuliano. Muore 11 maggio 1490 in odore di santità. Si distinse per carità ed umiltà. Le sue ossa riposano nella Basilica Minore di Santa Maria. La Congregazione dei Riti ha permesso nel 1841 con un Decreto il culto del Beato

1420  –  Mons. Francesco Conzaga (1546-1620)  Gene­rale dell’Ordine Francescano  scri­vendo della fondazione del Convento dei Minori Osservanti di Randazzo dedicato a S. Ma­ria di Gesù, afferma che è stato fabbricato, a spese pubbliche, dai Cittadini di Triocla, vulgo Randazzo, nel 1420. La donazione venne  confermata dal Re Alfonso, con Diploma che si trova copiato in margine nell’atto  della Donazione stipulato in Randazzo presso le Tavole del Notaro Guglielmo Milìa, il 3 gennaio 1420.

1420  – Per poter edificare il Convento di Santa Maria di Gesù i Giurati di Randazzo donarono come locale alcune fabbriche appartenenti al Comune, che erano reliquie dell’antico teatro di Triocla che i Saraceni avevano distrutto e convertito in Quartiere militare e  poi diventato magazzino del Comune. Tale donazione venne confermata da Re Alfonso con Diploma che fu in­serito a margine dell’Atto  presso il Notaro Guglielmo Milia, il 23 gennaio 1420, in Randazzo.

1426  –  Il 24 dicembre del 1426 il R.mo Capitolo della Cattedrale di Messina, funzionante da Metro­politano,  confermò la superiorità della Chiesa Abbaziale di S. Maria, perché le due ex Cattedrali di S. Nicolò e S. Martino non avevano voluto cedere a detta Chiesa l’esercizio e le funzioni di Madre Chiesa di Randazzo. Nel 1435 anche il Sommo Pontefice Eugenio IV riconfermò questa supremazia.

1435  –  Sotto il Sommo Pontefice Eugenio IV, a richiesta dei Randazzesi, la Città Abbaziale ( cioè le tre chiese: Santa Maria, San Nicola e San Martino) di Randazzo viene incorporata  nella Diocesi di Messina di cui era Suffraganea già dal 1198.  Nel 1872 passa nella Diocesi di Acireale.

1438  –  Il Re Alfonso sollecitato   dall’’Arciprete di Santa Maria  Santoro Palermo confermava la supremazia della Madre Chiesa di S. Maria e il  2 febbraio 1439 lo stesso Re Alfonso mandò Lettera Oratoria all’Arcivescovo di Messina per dar esecutoria alla citata Bolla già spedita nel 1434 per detta supremazia.

  1450 –  Alfonso V  d’Aragona detto il Magnanimo visitò Randazzo il 1 maggio e riaffermò il previlegio giuridico che i Randazzesi potevano essere giudicati solo da Magistrati della Città e ribadisce il diritto di tagliare il legname nei boschi della Foresta della porta di Randazzo.  

1466  –  San  Francesco di Paola venne a Randazzo per incontrare , Simone Pollichino, uno dei Giurati di Randazzo, per avere l’autorizzazione a potere estrarre dal suo fondo il legname e trasportarlo da Tortorici fino a Torrenova e di là, via mare, a Milazzo per la costruzione di un Convento.

1466 – “ Era il 26 ottobre del 1466, quando il viceré Lupum Ximenez d’Urrea approvava, per la prima volta,  le Consuetudini di Randazzo, un sistema di norme civili – composte da 58 articoli – che regolavano la vita comunitaria della città. Le stesse furono redatte durante «un Consiglio generale in locu» e sottoposte allo stesso viceré per la conferma, il 6 giugno dello stesso anno, dal reverendo Jaymum de Citellis, arcipresbitero della terra di Randazzo e dal nobile Michaelem la Provina «sindicos et ambaxiatores universitatis terre Randacii» (Vito La Mantia.Consuetudini di Randazzo, Palermo, 1903.  (dal blog.: www. randazzo segreta.it di Angela Militi). 

1470Gualtiero Spadafora, barone di Maletto, ma residente a Randazzo in piazza San Nicola nel “Palazzo del Duca “, fondò  l’Ospedale Civile per gli Infermi Poveri e miserabili, a beneficio del quale donò in per­petuo i salti d’acqua di tutti i mulini, serre d’acqua e battinderi ossia paratori esistenti nel Fiume Grande di Randazzo ch’egli possedeva per investitura feudale. Questa donazione, con testamento del 3 ottobre 1470 presso il Notaro Pino Camarda di Randazzo, ebbe la conferma Reale il 9 ottobre dello stesso anno 1470, come si leg­geva nella Giuliana dell’Ospedale Cittadino redatta dal nostro storico locale Sac. D. Anto­nino Pollicino circa il 1706  con atto pubblico del 31-10-1470, in Notaio Pino Camarda.

1476 – Il 3 agosto venne istituita la Fiera Franca nell’ambito del territorio della chiesa di Santa Maria. Questo privilegio fu concesso dal Re Giovanni (Giovanni II D’Aragona – 1398/1479 -)  La Fiera Franca fa da volàno alla manifestazione della “a Vara” che si svolgeva e si svolge il 15 di agosto. 

1477  – Il Supremo Gerarca della Chiesa Universale, dopo furibonde liti tra le tre Chiese per la supremazia,  nel 1470 incaricò per la  Revi­sione della  Causa il  Delegato Apostolico Mons. D. Leonzio Crisafi Archimandrita di Messina, con l’espresso incarico di  ponderare bene tutte le ragioni dei Ricorrenti e  pro­nunziare una  Sentenza finale la quale avesse forza di perpetuo silenzio sopra tutto.  Dopo una lunga discussione della Causa che durò circa sette anni , Mons. Crisafi spedì la  sentenza definitiva il 16 gennaio 1477, dove si riaffermava la parità di tutti i diritti e privilegi delle tre Chiese.

1487  –  Il Monastero di S. Filippo di Demena, detto anche di S. Filippo di Fragalà viene annesso al territorio di Randazzo così detto Nuovo, con Diploma 4 febbraio 1487 del Re Ferdinando II° di Castiglia. In esso Diploma fu ordinato che , non si potesse portare vino da altra parte se non dalla sola Città di Randazzo. 

1492 Gli ebrei di Randazzo sono costretti a lasciare la Città a seguito del provvedimento di  Ferdinando II  d’Aragona re della Sicilia (1468/1516) che prevedeva l’espulsione di tutti gli ebrei dai suoi territori. A seguito di ciò vendettero alle Monache di S. Giorgio la sopraddetta casa con l’attigua Moschea e due altri casaleni con degli annessi e il Cimitero confinanti con il Monastero, con il patto di ritorno nel caso che fossero richiamati dall’esilio. L’atto fu redatto presso il Notaro Staiti il 26 novembre IIª Indiz. 1492,

1506  –  La baronessa Giovannella De Quatris, con atto notarile redatto  il 5 marzo dal Notaro Geronimo Crupi di Palermo e l’assenso di Ferdinando II, lasciò il suo vistoso patrimonio (i feudi di Flascio e Brieni) alla Chiesa di Santa Maria creando la sua “maramma” o fabbriceria per cui si fu in grado di terminare i lavori di ricostruzione e la si potè arricchire di quegli arredi sacri preziosissimi che formano il suo pregevolissimo tesoro. Tale decisione venne confermata e ratificata dal Re Ferdinando il Cattolico il 25 aprile dello stesso anno e il 22 dicembre del 1545, con Bolla Pontificia, venne ratificata dal Sommo Pontefice Paolo III

1519  –  I giurati di Randazzo volendo costruire un convento dei Frati di San Domenico di Gusman, si riunirono  nella Chiesa Parrocchiale di San Nicolò il 4 aprile 1519 e ad unanimità di voti decisero di chiedere al Padre Provinciale dei Domenicani l’autorizzazione a costruirlo. Avuto il benestare scelsero come luogo il locale della cosidetta Torrazza, che era l’antico Palazzo con Torre della nobile famiglia Russo, di origine Lombarda, ma che poi era diventata proprietà dei nobili Si­gnori D. Antonino e Figli Floritta. Pertanto il 20 aprile 1519 presso il Notaro Vincenzo Di Luna fu stipulato l’atto non solo della Torrazza ma anche  delle due chie­sette attigue di Santa Maria delle Grazie e dell’Apostolo San Barnaba. 

1523 –  Nella cappella del SS. Sacramento della Chiesa di S. Nicolò si ammirano, di Antonello Gagini, un tabernacolo posto dietro l’altare ed altri bassorilievi eucaristici e qualche scena della Passione. I lavori furono commissionati il 7 dicembre 1523 per onze 37 pari a lire 471,75, ma incominciati nel 1535 e rimasti incompleti per la morte dell’artista avvenuta nell’aprile dello stesso anno e poi rifiniti dal figlio  Giacomo.

1535 – Il sindaco (Magistrato Civico per quei tempi)  è  Francesco Lanza.

1535  –  Ai piedi di questo campanile ( di S.Martino ) si affacciò la cavalcata del biondo e triste  Imperatore Carlo V  il 16 ottobre e si fermò per  tre giorni nel Palazzo Reale prima di ripartire per Messina. A Lui si attribuiscono le fatidiche parole. ” Estoes  todos  Caballeros ” ( Siate tutti Cavalieri ).   Dal che il sottotitolo di questo sito: ” tutticavalieritutti “.

1535 L’imperatore Carlo V giunse a Randazzo il 18 ottobre del 1535. Dicono pure i nostri storici concittadini, nei loro manoscritti che, quando l’Imperatore, dal punto della diruta Chiesa di S. Elia scoprì il nostro Paese, volgendosi ai circostanti, abbia detto queste parole: “Come si appella questa Città con tre Torri?” indicando i Campanili delle tre Chiese Parrocchiali; alla quale domanda il Magistrato rispose: “Semprecché la Parola Reale di Vostra Cesarea Maestà non deve andare indietro, è questa la Città di Randazzo dalla Vostra Maestà or ora onorata col Titolo di Città”.  Al ché l’Imperatore soggiunse: resta accordato. (Padre Luigi Magro). A ricevere l’Imperatore è stato il Magistrato Civico (Sindaco di quei tempi) che si chiamava Francesco Lanza così come riportato nel libro rosso della chiesa di San Martino.

1535L’Imperatore Carlo V  ordinò che venisse rifatto il Campanile di San Nicola che le autorità cittadine volevano abbatterlo perché pericolante, e che venisse fortificato con grosse catene di ferro, a spese del Regio Imperiale Erario. Il campanile fu poi demolito nel secolo XVIII a causa del terremoto dell’11 gennaio 1693 che demolì Catania. 

1535Tra il 1535 e il 1540, secondo un pregevole ragionamento di Don Virzì,  deve essere il periodo nel quale i Randazzesi costruirono “a Vara”.  Carro trionfante alto 18 metri con 25 figure viventi che rappresentano i Misteri Mariani:
  Dormizione o Morte,  Assunzione  e  Incoronazione di Maria Santissima. Costruito  dai nostri bravi artigiani dietro la direzione – pare – dell’architetto messinese Andrea Calamech.

1536 Nel marzo 1536 vi verificò una violenta eruzione dell’Etna. Lo storico Tommaso Fazello (1498-1570), testimone oculare della spaventosa eruzione, così descrisse l’inizio dell’evento eruttivo: «il 23 di marzo del 1536, verso il tramontare del Sole, una nube di fumo nero al di dentro rosseggiante coprì la cima dell’Etna, e poco dopo dal cratere, e da nuove aperture fattesi nel contorno, uscì un gran fiume di lava che verso oriente andò a coprire un lago, dove liquefacendosi le nevi che vi erano si formò un grosso torrente che furioso scese con corso arcuto verso Randazzo sommergendo greggi di pecore, animali e tutto ciò che incontrò».

1536  –  A seguito di questa violenta eruzione dell’Etna, il  23 marzo 1536, la colata lavica, emessa dal cratere di monte Pomiciaro, ostruì nuovamente l’alveo del fiume Flascio determinando la formazione del lago Gurrida.78

1536  –  Il Papa Paolo III nel suo secondo anno di Pontificato, ordina, tramite l’arcivescovo di Messina mons. Andrea  Mastrilli, ai preti delle tre parrocchie, di non vantare più diritti di “proeminentia” nelle processioni, né diritti di vessilli. 

1537  –  Per volere di re Carlo V, che sottrae a Randazzo popolazione e introiti, viene fondata la cittadina di Bronte. (Arch. Francesca Paolino). 

1540 – In una notte di tempesta del settembre del 1540 alcuni viandanti, che portavano un crocifisso, chiesero ospitalità al parroco della chiesa di San Martino. L’indomani e per tre giorni successivi, non poterono ripartire in quanto il temporale era sempre più violento. Questo fu interpretato dalla Comunità Ecclesiale come un segno del Signore che voleva che il Crocifisso rimanesse nella chiesa. Fu acquistato e ” Il Crocifisso della Pioggia”  o “‘u Signuri ‘i l’acqua “ da allora è fatto segno di grande devozione soprattutto nei periodi di siccità e carestia.
Il Crocifisso è opera di Giovanni Antonio Mattinati scultore di Messina.
 
1544 – Fondazione del Convento de’ Frati Minori Cappuccini. Un secondo Convento fu costruito nel 1600. Il Convento e l’orto nel 1866 furono incamerati dal Governo e riacquistati dai Frati che vi eressero il Seminario Serafico. Distrutto dalla guerra nel 1943 fu ricostruito e ingrandito e il Seminario rimase funzionale sino alla chiusura definitiva dopo il Concilio.

1551 – Il primo aprile G. Antonio Fasside, nato a Randazzo, vescovo di Cristopoli e ausiliare dell’Arcivescovo di Monreale, consacrò la nostra monumentale Basilica. (Padre Vincenzo Mancini).  Nel  2001450° dalla Dedicazione – viene ricordata questa data con una solenne celebrazione nella Basilica e con la pubblicazione ” La Basilica Santa Maria di Randazzo”.

1522 – Il 1 di ottobre fu commissionato allo scultore di Palermo Antonello Gagini (1478/1536) la statua di San Nicola – che ancora ora si trova nella omonima chiesa – per intervento (come fideiussore) di Gian Michele Spadafora nipote del Beato Domenico Spadafora.(P.Raimondo ) . Federico De Roberto ci racconta che se la statua non fosse riuscita bene il Gagini avrebbe dovuta rifarla.

1536 l’Etna eruttò due larghi torrenti di fuoco che vennero a formare le  Sciare dell’Annunziata, così titolate dalla vicina Chiesa. La  lava ostruì il corso del fiume, estendendosi in larghezza fino al lago Gur­rida, per cui le acque non potendo più scorrere dal lato meridionale della Città, vanno ad inabissarsi in certi sotterranei acquedotti naturali dello stesso lago che dal volgo, in lingua Siciliana, vengono chiamati pirituri.

1553  – Padre Agostino da Randazzo fu Provinciale dei Cappuccini di tutta la Sicilia. 

1555  –  L’Imperatore Carlo V convocò un’ Assemblea nel mese di marzo a Messina per poter ottenere dei soldi essendosi indebitato per le molte guerre che aveva sostenuto. In questa occasione chiese pure di poter vendere  e di alienare dal Regio Demanio la Città di Randazzo. I Randazzesi per impedire questa ingiuriosa vendita si recarono a Messina e riuscirono ad impedire la vendita e la alienazione sborsando al Regio Erario la somma di quattromila scudi. Questa Transazione fu stipulata il 4 novembre 1555, come sta registrata nel Libro Magno dei Privilegi di Randazzo.

1567 Camerata Girolamo pubblica il libro ” Trattato dell’honor vero, et del vero dishonore. Con tre questioni qual meriti più honore, ò la donna, ò l’huomo. O’ il soldato, ò il letterato. O’ l’artista, ò il leggista ”  presso l’editore Alessandro Benacci.

1569 – La nostra Città così veniva definita: Randazzo Città di Sicilia: TRIOCLA – TRIOCLAE.  Bevilacqua Vocabolario – Venezia 1569.

1575  – Gli abitanti di Randazzo erano ottantaquattro mila (84.000) per cui si meritò l’epiteto di URBIS PLENA.

1575 – La nostra Città fu funestata dalla peste fino al 1580. Dopo inutili tentativi di domare “la bestia” furono costretti ad incendiare quasi tutto il quartiere di Santa Maria.  Molte famiglie nobili abbandonarono per sempre Randazzo. I deceduti si calcola che furono all’incirca trentaduemila persone.

1576  Erasmo Marotta nasce a Randazzo. Compose madrigali, mottetti, litanie, salmi e musicò l’Aminta di Torquato Tasso. Fu l’inventore del dramma pastorale in Italia.  “sul cader degli anni” si fece gesuita. Muore il 6 ottobre 1641.  

1578  – Con il perversare della  peste, che infierì a lungo per ben 5 anni nella nostra Città, il Convento del Carmine fu trasformato in Lazzaretto per gli appestati non poveri, mentre per i poveri si è provveduto con una baracca costruita nella piazza antistante simile ad altre due costruite fuori le mura della Città.

1578  –  Antonino Randazzese l’anno di nascita di questo umile frate minore. Divenne responsabile provinciale del suo Ordine che guidò con molta saggezza. Fu un acuto agiografo. Rimangono alcune sue opere manoscritte sulla vita dei santi. Morì il 13 giugno 1632. 

1579  – Padre Vincenzo da Randazzo   prima Vicario Provinciale e poi, per la morte del Provinciale Padre Antonio da Torto­rici, nel seguente Capitolo fu nominato Provinciale.

1582 – La chiesa di San Nicola venne rifatta ed ingrandita per la terza volta, lo dimostra la scritta all’esterno dell’abside dal lato di mezzogiorno: 
              ”  L’antichità fece – il tempo disfece – la posterità con mezzi – pubblici e privati – più bellamente rifece –   (Padre Luigi Magro).

1584  – Nel Convento di Randazzo fu tenuto un Capitolo (Assemblea elettiva e legislativa dell’Ordine Francescano)  in cui fu eletto Provinciale Padre Ludovico da Catania. Altri Capitoli furono tenuti nel 1701 e nel 1739.

 1590  –  Muore a Palermo – Randazzese di nascita – Giovanni Domenico De Cavallaris, famoso giureconsulto fu tra gli esperti che presero parte alla elaborazione della legislazione della Sicilia.

1600  – Si apprende da un Documento del secolo XVII che sotto il Regno di Filippo IV° Re di Spagna (1605-1665) era stata proposta la vendita della Città di Randazzo, ma non vi si riuscì perché Pietro Oliveri, morto a Madrid il 1680, Reggente del Su­premo Consiglio d’Italia, quale cittadino di Randazzo,  ne prese la difesa e  furono così tanti gli argomenti che seppe portare che non fu posta in vendita. ( La data precisa non ci é nota).

1610 I Padri Cappuccini con Atto del 20 maggio 1600 presso il Notaro Pietro Dominedò, volendo costruire un Convento acquistarono il terreno da un  un certo Giuseppe Margaglio che, ben volentieri lo vendette e l’ 8 settembre1600, con gran concorso di popolo, fu ivi eretta la Croce . L’anno se­guente il 14 aprile 1601 , fu tenuto un Civico Consesso  per trattare sulla contri­buzione della spesa per la erezione di questo secondo Convento, e questa fu così generosa da accelerare i tempi e nel 1610 il lavoro della Chiesa e del Convento, che furono dedicati al SS. Salvatore, era terminato.                   

1604 – In base alla documentazione raccolta da Francesco Fisauli, – “Le Confraternite di Randazzo nella Storia e nel diritto ecclesiastico” – a partire dal 1604 le Confraternite e le loro Chiese, da laiche o indipendenti diventarono prima Chiese venerabili e poi Chiese filiali delle tre Parrocchie: S. Maria, S. Nicola, S. Martino.

1615 – Il Vicerè di Sicilia Duca d’Ossuna convocò a Palermo il Parlamento Generale del Regno.  Randazzo mandò come suo Procuratore il Dott. D. Pietro Fisauli che, grazie alla sua amicizia con il Vicerè, ottenne molte Grazie e Privilegi che si leggono  in un Diploma datato
Palermo il 7 agosto 1615,  e registrato a Randazzo nel Libro Grande dei Privilegi, il 12 novembre 1615. 

1616 –  Una lapide in arenaria posta sulla porta di levante ci fa sapere che essa fu ricostruita ed ampliata nel 1616
su progetto dell’Arch. Francesco Rubino: “ Ars et labor – Francisci Rubini – 1616 “.

1618  –  Il gesuita Giuseppe Marzio nasce a Randazzo nel 1618 . Nel 1654 pubblicò: Primo saggio di Panegirici. Fu molto apprezzato come “sacro oratore”. Morì nel 1676.

1619  –  l’Arcivescovo di Messina Andrea Mastrilli propose la soppressione della Parrocchia di S. Nicolò, dietro  il pretesto di cederla ai Padri Gesuiti che volevano fon­dare un Collegio in Randazzo ed anche perché i Sacerdoti di questa Chiesa non potevano vivere, essendo la Chiesa povera di rendite. Il 3 dicembre  1619,  Notaro Pietro Dominedò redige l’atto della fusione della Chiesa di S.Nicolò con la chiesa di Santa Maria avendo sottoscritto l’atto tutti i Sacerdoti dell’una e dell’altra Chiesa.

1621  –  Il Notaio (Notar) Pietro Dominedò il 18 settembre certifica che nella chiesa di Santa Maria vi sono 28 Preti.
Ironicamente annotato: «Or se ciò si fu da Pastori ; che è; e che sarà dai Secolari ? Auri sacra fames.

1624  –  Non essendo stata eretta la chiesa di Santa Maria con la chiesa di S. Nicola a Collegiata in quanto  avrebbero con ciò acquistata la tanto desiderata Maggioranza anche sopra l’altra Parrocchia di S. Martino, cosa contraria alla egualità stabilita dalle Sentenze Apostoliche precedenti, l’Atto di fusione non ebbe effetto e le due chiese ritornarono ad essere due Parrocchie.

1624 Nel mese di giugno scoppio la peste a Palermo. I Palermitani si votarono a Santa Rosalia e venne a cessare la peste nella Città. Pure Randazzo fu colpita e il Magistrato Municipale con tutti i cittadini come riconoscenza per la cessazione della peste, si votarono a Santa Rosalia facendo fare  un quadro con la Sua Immagine che fu posto dentro la Chiesa dei Conventuali di San Francesco. Quadro andato perduto con i bombardamenti del 1943 sotto le macerie della Chiesa.         

1628  –  IL Concittadino Dott. in Teologia D. Antonino De Aiuto che ritornava da Roma volendo che i Padri Gesuiti fondassero un Collegio di Studi a Randazzo, Gli lasciò tutti i suoi beni a condizione che non dovessero pretendere la chiesa di San Nicola. Venuti in Randazzo i Gesuiti, dopo la morte del Testatore, presero possesso dell’eredità che ammontò a 350 Onze annue di rendita,  fondarono il loro Collegio nella casa ereditata e aprirono la Chiesa della Madonna delle Grazie, sotto il nuovo Titolo di S. Igna­zio. Ma reputando insufficiente la rendita De Aiuto per il mantenimento del Collegio, pretesero di avere dai Procuratori della Fabbrica di S. Maria, il denaro cumulato in Cassa. Da qui nacque un lungo contenzioso di cui fu coinvolto anche il il Vicerè Duca di Alcalà, ma i Padri Gesuiti non riuscirono a spuntarla. Nel 1638 poi i Padri Gesuiti, adducendo che la loro abitazione era angusta, che essi non avevano potuto ottenere la Chiesa di S. Nicolò e che era insufficiente l’annua rendita di Onze 350 proveniente dalla eredità De Aiuto, pur aumentate di Onze 50 date dall’Università di Randazzo per mantenere il Collegio, erano costretti a lasciare la Città, cedendo la eredità De Aiuto ai Padri Minimi del Convento di S. Francesco di Paola.

1632 –  Nella Parrocchiale chiesa di S. Nicolò esiste l’Arciconfraternita dell’Opera della Mise­ricordia fondata sotto il Titolo del “SS. Crocifisso in suffragio delle Anime del Purgatorio” il 1° luglio 1632 dall’Arciprete di Randazzo Dott. D. Ettore Prescimone approvata dalla Curia Arcivescovile di Messina per mezzo del Vicario Generale D. Mario Guzzaniti ed esecutoriatà nella Curia di Randazzo il 10 luglio 1632.

1636
–  Il 27 agosto del 1636, Filippo IV re di Spagna, bisognoso di denaro  inviò alla città di Randazzo una pergamena reale con la quale chiedeva ai cittadini una notevole somma per la Corona, minacciando di annullare la demanialità della Città, con la conseguente vendita in qualità di Feudo.  I Randazzesi raccolsero il donativo dal feudo Torrazzo e dalla vendita del Castello.

1640 – L’11 gennaio 1640, don Carlo Romeo  comprò dal Regio Fisco per 404 onze il Castello di Randazzo (dove ora è ubicato il Museo Archeologico Vagliasindi)  e il titolo di barone del Castello di Randazzo.

1647 – Il sindaco di Randazzo è  Don  Giovanni Romeo. 

1647 – Nella chiesa di San Martino, dietro la porta maggiore, si conserva un antico Battistero di marmo rosso con pilastrini ottagonali ed archetti ogivali con capitelli frondosi, nel quale, benché a stento, si legge la seguente iscrizione:
               “Qui crediderit et Baptizatus fuerit Salvus erit. Hoc opus Expeditum fuit per me Magistrum Angelum De Riccio de Messana. Sub Anno Incarnationis Domini + MCCCCXXXXVII “.  “Chi avrà creduto e sarà Battezzato sarà salvo. Questo lavoro fu concepito da me Maestro Angelo De Riccio da Messina. Sotto l’anno del Signore 1447.”

1647 – Dal 16 luglio al 9 agosto scoppiò a Randazzo una rivolta a causa dell’aumento delle tasse e per l’estrema miseria nella quale era ridotta la Città. Don Muzio Spatafora, Vicario Generale, alla testa di sei compagnie entrò il 27 luglio nella nostra Città e dopo aver eseguito arresti e alcune condanne a morte ristabilisce la pace. Il cardinale Trivulzio dichiara che il motivo scatenante della rivolta palermitana dell’agosto 1647 è stata proprio la dura repressione militare avvenuta a Randazzo.  ( Daniele Palermo).

 1650  – Nasce a Randazzo, probabilmente in questa data Francesco La Guzza . Uomo di molta cultura ed un  grande predicatore. Scrisse molte opere religiose. 

1674  –  La regina Marianna d’Austria il 21 novembre concede a Randazzo il titolo di Graziosissima per essere stata aiutata a sottomettere la città di Messina , ribelle alla Spagna. 

1676  –  Nasce a Randazzo Nunzio Perciabosco poeta comico ed autore di varie commedie e drammi di cui alcuni titoli:
 – Donna Margherita o vero l’incognita conosciuta negl’accidenti del carnovale, 
 – L’Altamura o vero l’amorosa simpatia
 – Fidauro o vero le bellicose vendette favorita dalla fortuna
 – L’Olivara o vero l’Amante crudele
 – Il Polifemo o vero la Tirannide soggiogata.
Gli è stata dedicata una via (graziosissima) dietro la chiesa di San Martino che va verso piazza San Pietro.

1678 –  Il Re Carlo II° figlio del Re Filippo IV dopo la reggenza della Madre Marianna  salito al trono di Spagna spedì una lettera il 26 aprile dove manifestava la riconoscenza per la fedeltà ed il valore mostrato dai Cittadini Randazzesi. 

1679  –  Dopo la dichiarazione del Re Carlo II° anche Randazzo il 19 marzo 1679 dichiarò Patrono della Città San Giuseppe, Sposo di Maria, sottoscrivendo l’Atto ben 300 Famiglie, l’Arciprete D. Giuseppe Emmanuele Oliveri, n. 51 sacerdoti e n. 32 Chierici addetti al Servizio delle Tre Parrocchie.

1680  –  Pietro Oliviero il 15 luglio muore a Madrid. Nato a Randazzo, ma non si conosce la data di nascita. Fu autore di pregiate opere giuridiche. Nel 1678 fu Reggente del Supremo Consiglio d’Italia e con questa carica si recò a Madrid. 

1686  La confraternita di Maria SS Annunziata della Chiesa dell’Annunziata è stata fondata il 25 maggio 1686 ed  un tempo riuniva massari ( Contadini a cui era affidata la gestione di un appezzamento di terreno  in base a un contratto di locazione – detto contratto di masseria).

1689  –  Vi fu una grande inondazione e il  Fiume straripando inondarono il Borgo denominato dei Conciariotti ove erano le Concierie che rimasero di­strutte con tutte le case ivi esistenti. Anche  la Chiesa di S. Maria dell’Itria fu inondata e per  tale di­sastro cessò di funzionare. Rimase pure demolito il Ponte grande a cinque archi che congiungeva Randazzo con Santa Domenica, ed altri due piccoli uno chiamato della Misericor­dia che dava accesso alla Chiesa omonima e l’altro della Fontana del Roccaro.

1693 –  Il  più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale si verificò in tutta la SiciliaIl primo terremoto fu il 9 gennaio 1693 attorno alle ore 21:00. Il  secondo terremoto – preceduto circa 4 ore prima da un’altra forte scossa che però non aggravò sensibilmente i danni della prima – avvenne il giorno 11 gennaio 1693 alle ore 13:30 ed ebbe effetti veramente catastrofici. Tutto il periodo sismico fu, inoltre, accompagnato da un’intensa attività dell’Etna. La statistica ufficiale, redatta nel maggio 1693, riporta circa 54.000 mortiCatania, Acireale e i piccoli centri del versante sud-orientale dell’Etna furono quasi interamente distrutti.  Anche  Randazzo ebbe diversi morti e notevoli  danni alle abitazioni e  fu sconquassato il Campanile di S. Nicola che era stato incatenato a spese dell’Imperatore Carlo V°, quando onorò la no­stra Città di sua presenza, e dopo pochi anni si è dovuto abbattere.  Le repliche, anche di forte intensità, furono avvertite per oltre 3 anni .La nostra Città di Randazzo ebbe dei danni e

1718 Ebbe luogo la sanguinosa battaglia di Francavilla fra tedeschi e spagnoli, passarono da Randazzo tante truppe spagnole da non poter essere ospitate nei vari conventi locali, per cui si dovette ricorrere alle Chiese per alloggiare i soldati. La prima che fu adibita a Caserma, come la più grande, fu quella di S. Nicola.

1718 – Il Capitano d’Arme D. GIORGIO LICARI è  Patrizio della Città e occupò Cinque volte la Carica di Capitano Giustiziere,

1720 – Vi fu una notevole siccità. Infatti non piovve per ben 18 mesi. Delle sette fontane da cui attingevano acqua i nostri concittadini cinque erano prosciugate ( Roccaro, Gallo, Erba Spina, Sanamalati e Sela dei PP.Cappuccini) solo due (Flascio e Faucera) erano attive.

1724  –  Francesco Onorato Colonna  (1683/1731) dei Duchi di Cesarò e dei Marchesi di Fiumedinisi storico e letterato scrive il libro:  Idea dell’antichità della Città di Randazzo. Il libro è custodito nella biblioteca comunale di Catania. 

1730  L’attuale statua di Rannazzu Vecchiu è, in realtà, una copia, realizzata negli anni ’30 del 700, commissionata dall’abate Pietro Rotelli (†1765 agosto)  a sostituzione della statua originaria, in arenaria, risalente al XII secolo, i cui resti – un leone, un’aquila e un berretto frigio –, attualmente, si trovano murati sulla parete settentrionale della chiesa di San Nicola. 

1741  – Sulla porta dell’Ospedale vi è un Medaglione in pietra su cui è scolpita in rilievo la Ma­donna della Pietà che è stata qui trasportata dal vecchio Ospedale: porta inciso l’anno 1741.

1741 –  Carlo III , Re delle due Sicilie, istituì a Randazzo un Tribunale Commerciale con ampia Giurisdizione sopra 27 Città e Terre.
 
1741 – L’Infante Filippo. primo figlio maschio di Carlo III, Re delle Due Sicilie, nato il 13 giugno 1741,  ebbe il titolo di Conte di Calabria e  Duca di Randazzo.

1746 – 29 novembre, fu innalzata, nella piazza antistante la chiesa di San Nicola, la nuova statua, in marmo, di Randazzo Vecchio, emblema e memoria della storia della città. Essa venne commissionata dall’abate Pietro Rotelli (†1765 agosto), a sostituzione della statua originaria, in arenaria, risalente al XII secolo. Diverse sono le ipotesi avanzate sul personaggio che rappresenta: ciclope Piracmone, Ducezio, re dei Siculi, o l’unione delle tre etnie della città (Lombardi, Greci e Latini). Differenti sono anche le interpretazioni avanzate, sin’ora, intorno al significato allegorico dei tre animali – leone, serpenti e aquila – che accompagnano Randazzo Vecchio.
(Angela Militi
)

1746Visita del monsignore Tommaso Moncada, Arcivescovo di Messina, il quale stette a Randazzo dal 13 al 29 dicembre nel corso della quale celebrò il rito della consacrazione della chiesa di San Martino (21 dicembre).

1746 –  Il 27 dicembre 1746 Mons. Francesco Tommaso Moncada, Arcivescovo di Messina. essendo in Randazzo in occasione della Sacra Visita, consacrò la Chiesa di San Nicola e nel 1751, in qualità di Delegato Apostolico, la eresse, insieme alle altre due S. Martino e S. Maria, alla dignità di Collegiata, con le relative Dignità ed Insegne Canonicali di cui la Cappa corale e l’Ermellino che vennero confermati dalla S. Sede nel 1785.

1753  Il Viceré D. Eustachio Duca di Viefuille venne a Randazzo verso le ore 17 del 14 novembre 1753 e si fermò sino al 28 dello stesso mese alloggiando nel Convento dei Minori Conventuali della Chiesa di S. Francesco. In questa occasione Gli fu fatto presente che a causa della peste (1575-1580) la popolazione si era di molto ridotta, impoverita ed abbandonata per sempre dai Nobili che si erano trasferiti a Messina. Il Viceré ordinò di regolare le tasse secondo la popolazione del 1753.     

1756  –   Il Marchese Fogliani, nuovo Viceré di Sicilia il 12 maggio, dispose che, a causa della diminuzione della popolazione per la elezione dei Giurati, vi fossero due scrutini, uno per eleggere due del Ceto Nobile ed uno per eleggere due del Ceto Civile.

1760 Il Collegio San Basilio nasce come Monastero Basiliano tra il 1760 e il 1768. Divenuto di proprietà del Comune, grazie alle leggi eversive del 1866/67, fu concesso ai Salesiani nel 1879 che per volontà di don Bosco divenne il primo centro studi salesiano della Sicilia.

1761  –  Arcangiolo Leanti  nel suo ” Lo stato presente della Sicilia del 1761″ così descrive Randazzo:
Città piccola reale, pur mediterranea, posta alle falde dell’Etna: è animata in quattro parrocchie da 4.169 abitatori; ha quattro conventi di religiosi e tre di monache dell’Ordine di S. Benedetto. Presso questa città trovasi il lago Gorrida, di cui molto favoleggiarono gli antichi poeti greci e latini. 

1767  –  Il Re Carlo III° dispone, con un decreto datato 25 aprile, che a tutti quelli che avessero avuto il Padre o l’Avo iscritti nella Mastra Civile (la Mastra era l’elenco dei nobili per la partecipazione alla elezione dei 4 Magistrati che avrebbero governato la Città) gli era concesso di passare nella Mastra Nobile.

1770  –  L’Arciprete Don Giuseppe Plumari ed Emmanuele, nacque il 17 agosto dal notaio D. Candeloro  e da Paola Emmanuele. Gloria primaria ed unica della Storiografia Randazzese, ci ha lasciato una grande opera , che ci parla di tutte le glorie della nostra Città. Muore il 1 ottobre del 1851 e probabilmente fu seppellito nella Chiesa di Santa Maria, ma della sua tomba si è perduto ogni ricordo.  

1785  – Finalmente, dopo tre secoli di discordie fra le Tre Chiese , come si rileva dagli Atti del Regio Notaro  D. Carmelo Ribizzi, in data  6 marzo  1785, troviamo che le tre Collegiate otten­nero dalla S. Sede il Privilegio della Cappa di Coro ossia l’Ermellino.

1789 – Al fine di equilibrare su tutti i cittadini del Regno le entrate dello Stato  Ferdinando III re di Sicilia (Ferdinando IV re di Napoli) fece eseguire un censimento generale. A Randazzo si ebbe  il seguente risultato: 
             Quartiere di Santa Maria:  Maschi 607     Femmine 467   totale 1074
              Quartiere di san Nicolò:    Maschi 1415    Femmine 1183  totale 2598
              Quartiere di San Martino: Maschi 1476   Femmine 1129 totale 2605
              Totale : 6.277 anime.
Il censimento è stato fatto da Don Girolamo Saletti deputato della locale Deputazione.

1808  –  Il Sindaco di Randazzo é  il Dott. Filippo Scala”

1818  Il 20 febbraio vi fu un tremendo terremoto. Non si hanno notizie per  danni agli uomini o alle cose si sa di questo terremoto in quanto il Quadro raffigurante San Giorgio donato dal Conte Ruggero I di Sicilia (1031-1101) al Monastero si stacco dal muro e cadendo si ridusse in minutissimi pezzi, essendo corroso dalla tignuola, come ebbe a constatare il Duca di San Mar­tino, allora Intendente di Catania, venuto a visitare per ordine del Sovrano la nostra Città. Federico II°, insieme alla Regina Eleonora, (circa il 1312) donarono alle Monache di San Giorgio un Quadro dipinto su Tavola, rappresentante il Transito del loro Patriarca San Be­nedetto,  anche questo cadde e andò in frantumi .   

1824 –  Alla morte del re Ferdinando I , la Chiesa di San Nicola – che funzionava da Cattedrale del triennio – celebrò solenne funerale; ma, dato il caso specialissimo, anche le altre due chiese vollero celebrare il suo: e i funerali furono tre.
(Pietro Silvio Rivetta in arte Toddi).

1825 – L’Arciprete Giuseppe Plumari  il 30 agosto rivolse una petizione al Re Francesco I°  perché fosse demandata l’Amministrazione dei Beni della Baronessa Joannella De Quatris lasciati alla Maramma di S. Maria, ad una Commissione locale, sotto il controllo del Consiglio degli Ospizi di Catania, togliendo dalle mani dell’Amministratore residente a Palermo, perché la Chiesa, in poco più di un secolo di tale Amministrazione aveva avuto la perdita di almeno Onze sessantatre­mila (63.000).  Il Re  accoglie la petizione e dà disposizioni affinché sia eseguita. 

1834  – Nel 1834 si accese una forte polemica provocata da uno scritto sulle “glorie di Randazzo di Leonardo Vigo”, pubblicato nelle Effemeridi Scientifiche e Letterarie di Palermo, dopo ch’egli aveva consultato il manoscritto: Idea dell’Antichità di Randazzo di Don Francesco Colonna dei Duchi di Cesarò e dei Marchesi di Fiumedinisi, ed il Sunto della Storia di Randazzo, scritto ed inviato dall’Arciprete Don Giuseppe Plumari Emanuele all’Accademia dei Zelanti della Città di Acireale.

1835  –  Paolo Vagliasindi Basiliano pubblica per la tipografia del Giornale di Scienze Lettere ed Arte di Palermo “Discussione storica e topografica di Paolo VAGLIASINDI basiliano di Randazzo” . L’Opera polemicamente cerca di confutare alcune teorie dello storico Giuseppe Plumari sulle origini della nostra Città.

1836 – La presunta data dell’apertura del Cimitero. Questa data infatti è riportata in una lapide ancora esistente nella zona pericolante.

1836 La confraternita dell’Addolorata, che precedentemente si chiamava Confraternita di Maria SS.ma degli Agonizzanti, non possiede alcun documento manoscritto che ne attesti la data di fondazione. Ha solo un recente dattiloscritto in cui tra l’altro si legge: data di fondazione 20 luglio 1834; data di autorizzazione da parte di Ferdinando II, re delle due Sicilie, 13 febbraio 1836.

1838  –  Paolo Vagliasindi Polizzi, nasce nel 1838 e si deve a Lui l’esistenza del Museo Archeologico Vagliasindi.  Infatti nel 1889 in un suo fondo in contrada Sant’Anastasia-Mischi  furono trovati casualmente dei reperti archeologici oggi esposti nel museo archeologico di Randazzo e nel museo Paolo Orsi di Siracusa.

1847 l’Arciprete Giuseppe Plumari scrive: ” Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale di Sicilia esposta dall’Arciprete di essa Città Giuseppe Plumari ed Emmanuele dottore in Sacra Teologia e socio dell’Accademia dè Zelanti di Scienze, Lettere, ed Arti della Città di Aci-Reale. Divisa in tre volumi. – Volume I  anno 1847 “.

1847 – Il  22 settembre 1847, il sindaco di Randazzo con l’aiuto del Canonico Giuseppe Cavallaro amministratore dell’Opera De Quatris, , crearono  il Corpo Bandistico  Città di Randazzo. La spesa in quell’epoca, è stata circa di trenta Onze.

1849 –  l’Arciprete Giuseppe Plumari scrive: ” Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale di Sicilia esposta dall’Arciprete di essa Città Giuseppe Plumari ed Emmanuele dottore in Sacra Teologia e socio dell’Accademia dè Zelanti di Scienze, Lettere, ed Arti della Città di Aci-Reale. Divisa in tre volumi. – Volume II   anno 1849″.

1855 –  Muore nel Monastero di Randazzo l’Abate D. Paolo Vagliasindi. Fu Segretario della Camera dei Pari nel 1848, profondo conoscitore delle scienze storiche, archeologiche, economiche siciliane. Scrisse sull’eruzione dell’Etna del 1832, La Riflessione Sull’Appendice (1835) e confutando le tesi del Plumari sulle origini di Randazzo “DISCUSSIONE STORICA E TOPOGRAFICA DI PAOLO VAGLIASINDI BASILIANO DI RANDAZZO”.  Sostituì le lettere ad uno Obelisco egiziano. Seppellito nella chiesa di S.Maria di Gesù sulla tomba fu inciso: “Voce mortale non potrà accrescere meriti alla fama di Lui “.

1859 Padre Gesualdo De Luca, ex Provinciale Cappuccino da Bronte,  “ In S. Martino di Randazzo chiesa collegiata Parrochiale a turno matrice “, fece l’elogio funebre per Sua Maestà Ferdinando II re delle Due Sicilie. Il testo integrale lo trovi nella sezione “LIBRERIA”. 

1860Giuseppe Garibaldi da Messina ordina a Nino Bixio di recarsi a Randazzo – dove giunge il 6 agosto insediandosi nella casa di Giuseppe Fisauli –  per sedare la rivolta scoppiata a Bronte, Linguaglossa, Adrano.

1861   –  Nicola Petrina, politico, sindacalista e uno dei fondatori dei  Fasci Siciliani o Fasci Siciliani dei lavoratori  ( con Giuseppe De Felice,  Giacomo Montalto, Francesco Paolo Ciralli, Rosario Garibaldi Bosco, Nicola Barbato, Bernardino Verro ),  nasce a Randazzo il 13 novembre 1861 e muore il 28 dicembre del 1908 a Messina a causa del tremendo terremoto che ha colpito questa città.

1861  –   Gli abitanti di Randazzo sono : 7005 

1864  –  Gaetano Basile fu Ferdinando nasce a Randazzo il 6 luglio. E’ stato un medico e igienista italiano, Direttore della Sanità Pubblica dal 01/02/1934 al 28/02/1935. Nel dicembre 1912 fu prescelto come Direttore capo della divisione per il servizio igienico generale al Ministero dell’Interno e nel 1916 ricevette la medaglia d’oro ai benemeriti della salute pubblica. Nel dicembre 1930 fu promosso Direttore Generale della Sanità Pubblica. Nel 1943 avendo avuto distrutta la casa di Catania dai bombardamenti del 1943 si ritirò a Crocitta dove morì il febbraio 1951. Una immensa folla partecipò al suo funerale. Il Comune gli ha intitolato una tra le più belle strade della città.

1866 – Nel 1866 lo Stato incamerò i beni di tutte le Confraternite, senza eccezione alcuna. (Con il regio decreto n. 3036 del 7 luglio 1866, detta legge eversiva, fu negato il riconoscimento (e di conseguenza la capacità patrimoniale) a tutti gli ordini, le corporazioni, e le congregazioni religiose regolari, ai conservatori ed i ritiri che comportassero vita in comune ed avessero carattere ecclesiastico). 

1866  –  A seguito della legge eversiva (il regio decreto n. 3036 del 7 luglio 1866) fu soppresso il convento dei Carmelitani. I fedeli allora chiesero che le Sante Reliquie del Beato Luigi Rabatà fossero tolte dalla chiesa del Carmine e fossero trasfe­rite nella Chiesa Collegiata di Santa  Maria. La  Sacra Congregazione dei Riti, con l’approvazione di Pio X°,  in data 10 giu­gno 1910 accordava la richiesta di traslazione dalla Chiesa del Carmine ove erano state conservate per più di quattro secoli, alla Chiesa di S. Maria. 

1868  –  Sindaco della Città e don Giuseppe Fisauli. 

1872 La città di Randazzo che fino al 1435  faceva parte della diocesi di Messina, passa con la diocesi di Acireale.

1875  –  Secondo il Vocabolario Geografico – Storico – Statistico e il Dizionario Geografico Postale del regno d’Italia il comune di Randazzo era dotato di un ufficio postale, di scuole e d’istituti di pubblica beneficenza.  

1878 – Le nostre Autorità Municipali (Sindaco Giuseppe Fisauli), preoccupati di dare una buona educazione ai nostri giovani, in accordo con le Autorità Ecclesiastiche, fecero venire le Suore di Carità che presero la Direzione dell’Asilo, della Scuole Elementari ed in seguito dell’Ospedale.  L’Asilo fu inaugurato il 13 settembre 1878 ed eretto in Ente Morale l’8 dicembre dello stesso anno. Lo scopo è l’ammissione dei bambini di ambo i sessi, dai tre ai sei anni per ricevere la prima educazione religiosa e civile.  La prima Deputazione ebbe a Componenti i Signori: Giuseppe Vagliasindi Romeo Presidente, Dottor Antonino Birelli e Giuseppe Fisauli Piccione Deputati.

1879 – Sindaco della Città è il barone Giuseppe Fisauli.

1879 – Su indicazione del prefetto di Catania Conte Ottavio Lovel de Maria e il comm. Achille Basile. che caso stranissimo, rappresentavano uno Stato massonico e anticlericale, ed il vescovo di Acireale Mons. Gerlando Genuardi,  le autorità della Città –  l’Arciprete Francesco Fisauli, il Sindaco B.ne Giuseppe Fisauli, il Consigliere Provinciale Giuseppe Vagliasindi –  si incontrano con i delegati di Don Bosco –  Don Gio­vanni Cagliero (reduce dalla prima missione salesiana in Patagonia, e che poi, qualche anno dopo, diventerà cardinale di Sancta Romana Ecclesia.” Pino Portale”) e Don Celestino Durando – per firmare la “Convenzione” dove si stabiliscono i lavori di ristrutturazione e ammodernamento del vecchio monastero basiliano che avrebbe dovuto ospitare il Collegio Salesiano e si fissò la data dell’inizio dell’opera con scuole elementari e ginnasiali per l’ottobre del medesimo anno 1879.

1884  –  Gustavo Vagliasindi nasce a Randazzo. Professore universitario di argomenti agricoli nel 1947 promosse la fondazione della Facoltà di Agraria di Catania. L’Università nel 1961 gli conferì alla memoria la medaglia d’oro al merito della scuola. Il comune di Sanremo il “Garofano Rosso”.  Morì a Catania nel 1957.

1885 – Viene eletto sindaco Paolo Vagliasindi (1858/1905) a soli 27 anni.

1886 – Il pittore viterbese Pietro Vanni dipinge “La Madonna in trono col Bambino” che si trova sull’altare Maggiore (1663 in marmo policromo intarsiato) nella Basilica di Santa Maria.

1887 – Viene rieletto sindaco Paolo Vagliasindi (1858/1905).

1887 – Si diffonde una epidemia di colera. Il sindaco Paolo Vagliasindi, per la sua opera meritoria gli viene attribuita la medaglia d’argento al valore civile da parte del Governo.

1887 – Viene costruito il ponte sul fiume Alcantara tutto in pietra lavica e con una serie di accorgimenti per consolidare il terreno circostante. Il 13 agosto 1943 i tedeschi ritirandosi fecero crollare con delle mine le tre arcate. 

1891  –  Giuseppina Dilettoso Vagliasindi (in religione Suor Maria Addolorata) nasce a Randazzo il 21 giugno. Rimasta vedova dedicò tutta la sua vita al Signore. Fondò l’Opera Betania Ancelle di Gesù Sacerdote, con lo scopo di assistere i sacerdoti, quelli malati e più bisognosi.  Morì il 15 agosto 1981. 

1893  –  l’Orfanotrofio Femminile, affidato alle Suore di Carità, veniva fondato e dedicato al Sacro Cuore di Gesù dal Rev.mo Canonico D. Francesco Fisauli fu Dott. Vincenzo e dai Signori: Barone Avv. Benedetto Fisauli con i fratelli Ing. Vincenzo, Avv. Antonio, Colon­nello Brigadiere Diego, Avv. Gualtiero figli del Barone Giuseppe, 11 maggio 1893 e 20 settembre 1894 presso il Notaro Basile avv.Giuseppe, con lo scopo di ricovero, istru­zione e mantenimento, fino alla maggiore età, delle orfane abbandonate, nate legittime da genitori che ebbero domicilio in Randazzo.

1895Inaugurazione della Ferrovia CircumEtnea il 29 settembre.  Mario Mandalari (1851-1908), che arrivò a Randazzo comodamente seduto sul treno inaugurale, descrive, nel libro “Ricordi di Sicilia: Randazzo” ( N.Giannotta editore – 1897) con accenti trionfali “ la vittoria dell’Uomo sul Mostro”, il Gigante Mongibello, che, ormai cinto di rotaie, non riesce ad ostacolare la marcia del Progresso.

1896 – Per opera del  Canonico D. Vincenzo Panissidi  viene costituita nella Chiesa di San Nicola la Confraternita del SS. Sacramento che, sorta modestamente fra alcuni parrocchiani, andò vie più accrescendosi col titolo di Pia Società del SS. Sacramento e venne canonicamente fondata dopo un decennio di esistenza, nel 1896. Venne poi elevata al rango di Confraternita l’anno 1925 ed aggregata alla Primaria Arciconfraternita di Roma.

1896Andrea Capparelli  fu nominato Rettore dell’Università di Catania. Nato a Randazzo il 14.12.1854 .  Nel 1880 si laurea in Medicina all’Università di Catania. Fisiologo si interessò pure di Neurologia, Istologia e Terapia. Importanti i suoi studi sul diabete. Morì a Catania nel giugno 1921 . 

1897Scoppia nella nostra Città una epidemia di colera.

1899 – l’onorevole Paolo Vagliasindi  (1858/1905), deputato per 4 legislature, il  14 maggio del 1899 viene nominato Sottosegretario all’Agricoltura, Industria e Commercio durante il governo di Luigi Pelloux.  Carica che mantiene fino al 21 giugno 1900.

1903 Cesare Finocchiaro pubblica il libro. “L’acqua potabile in Randazzo “. Editore: lo Stabilimento Tipografico di Catania. 

1903  –  il 4 ottobre fu inaugurato nella Sala del Palazzo Comunale un Circolo di Cultura e una sezione dell’Archivio Storico per la Sicilia Orientale. Il Vice Presidente, prof. V. Casagrande, tenne il discorso inaugurale, mentre F. Basile ricordò quella cerimonia con un opuscolo intitolato “Circolo di cultura a favore della gioventù”.  

1903 Vito La Mantia Commendatore, Grande Ufficiale e Primo Presidente Onorario di Corte d’Appello –  pubblica il libro: “Consuetudini di Randazzo.  Editore : Tip. Stab. A. Giannitrapani via Monteleone n. 23 – Palermo

1905 – Sindaco è l’avvocato  Gualtiero Fisauli 

1905 – il 23 dicembre 1905 a soli 47 anni muore di pleurite a Catania l’onorevole Paolo Vagliasindi (1858/1905).

1906/1907  –   il 1° acquedotto costruito a Randazzo (1906/1907). sindaco pro- tempore  Gualtiero Fisauli.  L’acqua detta di “Pietre Bianche” proviene dalle sorgenti di Portale o Pietre Bianche, Tortorici (ME) a circa 1350mt. sul livello del mare, portata acqua circa 7 litri al secondo. Sorgente di Montone-territorio di Randazzo circa 1275 mt. sul livello del mare, (portata:  1 litro/sec). La condotta che raccoglie l’acqua  delle due sorgenti arriva al Serbatoio dei  Cappuccini, dopo avere attraversato alcune  zone, tra cui  Roccabellia e Murazorotto.  Acque eccellenti e saluberrime sono definite dalla ” Relazione a cura del Prof. Eugenio Di Mattei-Università di Catania”.

1907 –  Randazzo ebbe la luce elettrica per la prima volta dall’Officina del Sig. D. Ciccione Vagliasindi.

1907 Douglas Sladen pubblica a New York : “Sicily The New Resort an Encyclopedia of Sicily by Douglas Sladen”  una guida turistica della Sicilia.  Nella II parte del libro da pag. 462 a pag. 468 si parla di Randazzo impreziosito da belle foto.

1908 – Sindaco della Città è Sebastiano Polizzi.  Il 30 giugno 1908 firma la transazione dove vengono sanciti i criteri e stabilite le norme e segnate le quote che spettano a ciascun Ente dell’eredità della Baronessa Dè Quatris.  Così si pose fine a quasi 300 anni di lotte fra le Tre Chiese (San Martino, San Nicola, Santa Maria).

1909 – Lo storico di Acireale  Vincenzo Raciti Romeo (1849-1937)  Fu un Canonico e archivista della cattedrale di Acireale e bibliotecario della locale Accademia Zelantea. Studioso di storia patria si dedicò con particolare cura alla storia della città di Acireale e dintorni. Nel 1909 pubblicò due suoi scritti: “Da Acireale a Randazzo” e “Randazzo Origini e monumenti”. Si trovano in originale presso la Biblioteca Zelantea di Acireale.

1909 – Federico De Roberto pubblica il libro “Randazzo e la Valle dell’Alcantara”.  Editore: Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo. Il libro contiene n.147  illustrazioni e I tavola. 

1909Il sindaco di Randazzo è l’avvocato Sebastiano Polizzi.

1909 Vito La Mantia (1822/1904) storico e giurista siciliano il quale  fu anche Consigliere di corte di Cassazione a Roma, coadiuvato dai figli completò alcuni lavori originali in materia di diritto consuetudinario  tra cui   “Le consuetudini di Randazzo”  che venne pubblicato nel 1909.  L’intero testo lo puoi leggere nel profilo di Angela Militi.

1910 –  il Sacerdote don Salvatore Calogero Virzì nasce 11 gennaio a Cesarò (ME). Salesiano, Educatore, Storico della nostra Città, Ricercatore.  Si spegne intorno alle ore venti del 21 novembre 1986 al San Basilio di Randazzo.

1910Per iniziativa di Giovanni Puglisi ( anarchico e poi socialista)  il 18 maggio venne scoperta una lapide nella casa natale di Nicola Petrina che così diceva: 
                ” In questa casa / il 13 novembre 1861 / schiudeva gli occhi / a vita intensa di entusiasmi e di lotte NICOLA PETRINA // Le calamità pubbliche e il carcere iniquo / furono per lui campo fecondo / di azione di pensiero / La catastrofe di Messina del 28 dicembre 1908 / tragicamente lo travolse // Il Popolo di Randazzo / pose questo ricordo / il giorno 18 maggio 1910 / solennemente commemorando / il tribuno gagliardo l’apostolo fervente / di una civiltà più vera ed umana “.
              La lapide non esiste più a causa degli eventi bellici del 1943 che distrussero un gran parte della nostra Città.

1910  – La  Sacra Congregazione dei Riti, approvato da Pio X° in data 10 giu­gno 1910,  accordava la richiesta di  traslazione dei resti del Beato Luigi Rabatà dalla Chiesa del Carmine ove erano state conservate per più di quattro secoli, alla Chiesa di S. Maria. Avendo poi il popolo, in occasione del colera del 1911, ad iniziativa del Vescovo, fatto voto al Beato di procedere presto a tale traslazione se Egli avesse ottenuto da Dio la cessazione del morbo entro il 15 agosto, concessa la Grazia come la si desiderava, si procedette alla preparazione ed il 13 agosto 1912 avveniva la trasla­zione in forma solennissima.

1911  –  Si registra a Randazzo una epidemia da colera.

1911 – Dopo aver inaugurato la statua del Re Umberto  I nella Piazza Roma di Catania, il Re Vittorio Emmanuele III e la Regina Elena  il 31 maggio vennero a Randazzo con il treno reale della Circumetnea.  Alla stazione il commissario  Spasiano  a nome della Città offrì un mazzo di fiori. Proseguendo i reali si fermarono alla villa Statella del marchese Giovanni Romeo. Accompagnavano  il Re il Ministro degli Esteri Sangiuliano, il Ministro di Grazia e Giustizia Finocchiaro Aprile, il Ministro dei Lavori Pubblici Sacchi, la Presidenza del Senato e della Camera dei Deputati con parecchi Onorevoli ed il Prefetto della Provincia.

1912  –  Il 13 agosto le ossa del beato Luigi Rabatà furono trasportate in processione dalla chiesa del Carmine alla Basilica Minore di Santa Maria. Dal 1866 (ano della soppressione degli Ordini religiosi per le leggi eversive) erano state dimenticate nel convento carmelitano. Si racconta che il beato aveva salvato nel 1897  Randazzo dal colera. 

1913Walter Leopold (1882-1976) in un lavoro svolto per la sua tesi di dottorato a Dresda : ” Studio sulle architetture medievali a Castrogiovanni (odierna Enna), Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo” a proposito della nostra città scrive : 
       «la roccia nera di basalto lavico su cui Randazzo è stata costruita scende a strapiombo verso il fiume Alcantara, che scorre proprio sotto le sue mura. Sono da apprezzare le caratteristiche paesaggistiche particolari di un centro storico incastonato sui declivi dell’imponente vulcano Etna. Estremamente interessanti sono la Chiesa di Santa Maria e la torre di San Martino». 

(Antonino Portaro). 

1914  –  Il sindaco di Randazzo è  Alberti Capparelli. 

1914  – Il 19 aprile 1914, a Randazzo, nel corso di una cerimonia cui parteciparono numerosi cittadini, e le varie associazioni del tempo, dietro iniziativa del sindaco Alberto Capparelli, in onore dell’on.le Paolo Vagliasindi, veniva inaugurata una lapide, scolpita da Antonino Corallo, e posta sul cantonale del Palazzo Vagliasindi in via Umberto I, il cui testo, dettato proprio da Federico De Roberto, recita:
         “Paolo Vagliasindi / nelle lotte della vita pubblica / portò la forza e la gentilezza / di un cavaliere antico / in Parlamento e al Governo / fu propugnatore immutabile / di libertà con ordine / crudelmente troncata / prima di dare tutti i suoi frutti / l’opera nobilissima / del Cittadino esemplare / vive nella memoria dei contemporanei / rivivrà nella storia / di questa diletta sua terra.” 

 

1915 La prima Guerra Mondiale (1915-1918) causò a Randazzo la morte di ben 150 nostri Concittadini e un gran  numero di feriti e mutilati. I superstiti di questa spaventosa guerra furono insigniti del titolo di “ Cavalieri dell’Ordine di Vittorio Veneto “.  

1918 – Sindaco di Randazzo è  Andrea Capparelli ( la giunta è formata da: U.Vagliasindi, G. Caldarera, D Vagliasindi, G. Fisauli, G. Panissidi ).

1919 – A seguito di molte manifestazioni di Popolo per le condizioni misere in cui versava, vi fu una scalata al Municipio e la folla inferocita  resistette  alla forza pubblica che fu costretta ad usare le armi e sparò sui manifestanti  causando la morte di nove Cittadini.

1919 – Giuseppe Bonaventura nasce a Randazzo il 6 Ottobre. Nel 1951 assieme a Vito Scalia e Antonio D’Amico fu uno dei fondatori della CISL di Catania, e Segretario Generale dal 1961 al 1964. Fu Consigliere Provinciale e Sindaco della nostra Città dal 14 dicembre 1960 al 26 agosto 1961. Morì prematuramente a 45 anni il 17 dicembre 1964. E’ stato il personaggio politico e sindacale di maggior prestigio nella seconda metà del novecento di Randazzo.

1920 – Nel mese di aprile fanno visita a Randazzo  la novellista irlandese EDITH SOMERVILLE (1858-1949) e la musicista inglese e leader del movimento “Women’s Suffrage” delle Suffragettes ETHEL SMYTH (1858-1944), meglio nota come Dame Ethel Smyth Descrivono la nostra Città in un modo orrido con delle affermazioni francamente molto gratuite. Puoi leggere l’articolo cliccando: “Non tutti parlano bene di Noi” .

1920  –  Il 25 luglio, preceduto da una serie di proteste anche da parte di molte donne, vi fu una grande dimostrazione di Cittadini contro il Commissario Prefettizio Rocco Scriva, a causa della mancanza del pane e da una iniqua distribuzione della farina. I dimostranti assaltarono il Municipio e dopo che furono stati costretti ad uscire si accalcarono dietro le due porte d’uscita. I carabinieri , forse impauriti da tutta questa gente, incominciarono a sparare sulla folla. Il risultato fu che vi furono sette morti ( i contadini Vincenzo Calcagno, Francesco Paolo Magro, Giuseppe Sorbello, il pastore Giuseppe Giglio, il calzolaio Luigi Celona, il falegname Benedetto La Piana, e lo scalpellino Gaetano Mangione) e sedici feriti di cui quattro dell’Arma.

1921 Il 14 gennaio  Padre Domenico Spadafora fu dichiarato, dal Papa Benedetto XV (1854-1922) ufficialmente Beato. Nasce a Randazzo nel 1450 dai Conti Spadafora. Educato dai padri Domenicani consegue il titolo di  Maestro di Teologia. Viene consacrato sacerdote nel 1479 e dietro invito della locale comunità nel 1491 si reca a  Montecerignone dove fa costruire il conventino con sei celle per i frati e la Chiesa dedicata alla Madonna. Nel 1494 durante la quaresima avvenne ” il miracolo dei fiori”. Muore il 21 dicembre 1521

1921 – Il Principe Ereditario Umberto di Savoia il 28 ottobre fu ospite del marchese Giovanni Romeo nella sua casa di Statella. La data di questa visita è incisa in una delle  tre lapidi murate nella facciata del Castello sulla veranda.

1921 – Gli abitanti di Randazzo sono  17.762  il massimo storico.

1921 – Il Ministero della Pubblica Istruzione pubblica un catalogo del Patrimonio Artistico dello Stato suddiviso per Province. In quella di Catania, Randazzo fa bella mostra di sé. Puoi leggerlo “Elenco degli Edifici Monumentali” del sito  .

 1923 – Le principesse Mafalda (morì il 27 agosto 1944 nel  Campo di concentramento di Buchenwald, Weimar, Germania ) e Giovanna di Savoia il 24 aprile furono ospiti del marchese Giovanni Romeo alla Statella.  La data di questa visita è incisa in una delle  tre lapidi murate nella facciata del Castello sulla veranda.

1929 – Con Decreto del 13 luglio del Governo di S.M. il Re Vittorio Emanuele III la superiora Suor Maria Carolina Zefilippo e la direttrice Suor Antonietta Veggiotti  dell’Istituto Santa Caterina, furono decorate con Medaglie D’Oro per gli oltre quarant’anni di insegnamento con lodevolissimi risultati.

1931Guglielmo Policastro scrive, “Randazzo: La città del silenzio.” e  “Il museo Vagliasindi di Randazzo”. 

1931 – Nel dicembre del 1931 i confrati dell‘Arciconfraternita delle SS Anime del Purgatorio di S. Nicola approvarono un nuovo statuto che all ‘articolo 8 così recita:” …si proibisce in modo tassativo ed assoluto a qualsiasi rettore di portare il Cristo morto in casa propria”. Prima di questa data veniva portato nella casa del Governatore dell’Arciconfraternita, dove il “Cristu ‘ndo cataletto” veniva preparato e ornato e da lì partiva la processione.

1932 – Il prof Enzo Maganuco visita Randazzo con la speranza di rinvenire una qualche traccia della chiesetta di Sancta Maria in Nemore. Visitò pure  la chiesa di Sant’Agata che descrisse nel libro “Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre”. A seguito di questa visita nella rivista “Panorami di Provincia” pubblicò una serie di articoli sull’Architettura, Pittura, Miniatura della nostra Città e descrisse – mirabilmente –  il libro di preghiere della baronessa Giovanella Dè Quatris . 

1934
– Il parapetto della “Tribonia”
  (oggi largo Monsignore Vincenzo Mancini) è stato costruito nel 1934. Questa data risulta incisa nel secondo pilone di destra, guardando verso il fiume. (segnalato da Vincenzo Rotella).

1936  –  Mons. Don Salvatore Russo Vescovo Diocesano di Acireale, dopo la S. Visita Pastorale fatta in Ran­dazzo l’ 8 dicembre 1936, emanò una ordinanza nella quale pose fine alla diatriba fra le Tre Chiese Santa Maria,  San Nicolò e San Martino, dichiarando e decretando la loro totale autonomia e  parrocchialità, che vi deve essere un solo Parroco e che il Matriciato a turno viene abolito. La sola chiesa di Santa Maria resta per sempre la sede dell’Arcipretura con tutto quello che ne consegue.     

1936 –  Essendo Arciprete il Can. D. Giovanni Birelli, dopo la rinunzia dell’Arc. Mons. D. Francesco Paolo Germanà, col contributo di tutti i Cittadini, venne rifatto, in lastre di marmo, tutto il pavimento antico della Chiesa di San Nicola che era in mattonelle di terracotta e già malandato ed avvallato in molti punti per le sepolture sottostanti.

1937Francesco Fisauli  discute la sua tesi di laurea in diritto ecclesiastico, dal tema “Le Confraternite di Randazzo nella Storia e nel diritto ecclesiastico”  all ‘Università di Bologna , relatore il Prof. Cesare Magni.

1941  –  Il vescovo di Acireale Mons. Russo, il 2 luglio, avanzò alla Santa Sede una petizione,  accompagnata da oltre quattromila firme e con l’approvazione di tutte le Organizzazioni Randazzesi sia Civili che Religiose, con la quale chiedeva alla Sacra Congregazione dei Riti,  di poter ornare del Titolo di Santuario la Chiesa di Maria Santissima del Monte Carmelo con i privilegi consentiti dal Diritto e da concedersi dal medesimo Ordinario. Petizione che ebbe l’approvazione. 

1943 Dal 13 luglio al 13 agosto Randazzo fu oggetto di pesantissimi bombardamenti da parte degli Alleati. Le incursioni aeree furono 84 e furono utilizzati 425 bombardieri medi, 249 leggeri e 72 cacciabombardieri. Si calcola che su Messina e Randazzo volarono più di 1.100 aerei.  L’80% degli edifici furono distrutti – la chiesa di S.Martino fu la più danneggiata – e i tedeschi completarono l’opera saccheggiandola. Per saperne di più leggi la tesi di  Lucia Lo Presti
         “Randazzo la Cassino di Sicilia. Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto e danneggiato negli anni della seconda guerra mondiale”.

1943 – La Prefettura di Catania il 26 giugno calcola che gli sfollati (intere famiglie che abbandonarono le proprie case per rifugiarsi nelle caverne, grotte, masserie e case di campagne abbandonate) furono 983.

1943 – 
Randazzo venne occupata il 13 agosto dai “Falcons” del 39°reggimento di fanteria della 9^ divisione statunitense.

1943 – Dal 13 luglio al 13 agosto, secondo quanto riporta US Air Force, Randazzo subì attacchi aerei per diciannove giorni: dieci giorni nel mese di luglio e nove nel mese di agosto.

1944 Naufragio del piroscafo Oria il 12 febbraio, una delle maggiori tragedie della seconda guerra mondiale, nella quale persero la vita oltre 4000 soldati italiani che, fatti prigionieri dai tedeschi, dovevano  essere trasferiti da Rodi al Pireo e da lì deportati in Germania. Soldati che  non si erano piegati al volere nazista. Tra questi due soldati Randazzesi: Salvatore Fornito e Renato Vagliasindi.  (Vito Gullotto).

1945Salvatore Genovese – Partigiano nato a Randazzo il 19 settembre 1921 e morto a Spalato il 9 aprile 1945. Fucilato da un plotone di esecuzione nazista nel carcere di Spalato assieme ad altri 28 giovani partigiani dopo un processo “farsa”.

1945  –  Antonio Canepa, noto pure con lo pseudonimo di Mario Turri, nasce a Palermo il 25 ottobre 1908 e la mattina del 17 giugno 1945 fu ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri, in contrada Murazzu Ruttu sulla SS n. 120, in circostanze non del tutto chiare. Insieme a Lui morirono Carmelo Rosano di 22 anni e Giuseppe Lo Giudice di 18 anni. Canepa è stato un docente e politico italiano e fu comandante dell’ Esercito Volontario per la Indipendenza della Sicilia  (EVIS).  Sul luogo dove è stato ucciso sorge un cippo dedicato ai caduti dell’ E.V.I.S. Antonio Canepa è sepolto nel cimitero di Catania, nel viale dei siciliani illustri, accanto a Giovanni Verga e Angelo Musco.

1946 – Il Consiglio Comunale il 18 aprile 1946 elegge Sindaco il dottor  Giuseppe Emanuele.

1947Il Consiglio Comunale nella seduta del 9 maggio 1947 approva il  Piano di Ricostruzione redatto dal prof. Giovanni Rizzo. Definitivo il 12 febbraio 1948.

1947  –  Il 26 aprile  muore il pittore randazzese Francesco Paolo Finocchiaro a Taormina dove si era stabilito nel 1930 avendo acquistato Villa Florenzia e l’hotel Excelsior. Pittore molto rinomato, le Sue opere si trovano a Roma, Napoli ed in molte altre città. Nella Casa Bianca (USA) è esposto un suo quadro raffigurante  Theodore ed Eleanor Roosevelt, con i quali intrattenne un’intensa amicizia. I bombardamenti del 1943 distrussero il dipinto  la Trasfigurazione che si trovava nella chiesa di S. Francesco di Paola. Del Finocchiaro possiamo ammirare  la tavoletta con il Pastorelloappartenente al Comune di Randazzo che faceva bella mostra  nella stanza del Sindaco, e  il Battesimo di Gesù nelle acque del Giordano all’ingresso della Basilica di Santa Maria. Nato a Randazzo il 15 marzo 1868, studiò all’Istituto di Belle Arti di Napoli, si trasferì a Roma, dove si fece un nome eseguendo ritratti di notabili ed ecclesiastici.

1947
Il Consiglio Comunale in data 5 luglio 1947 elegge Sindaco  Pietro Vagliasindi. 

1948Antonio Pallante, giovane studente universitario di Giurisprudenza di Randazzo, (aveva allora 24 anni)  il 14 luglio davanti a Montecitorio ferisce gravemente il segretario del PCI  Palmiro Togliatti con quattro colpi di calibro 38. Subito preso fu condannato a 19 anni di reclusione. Ne sconto 5 anni. Togliatti ordinò ai suoi di non commettere azioni che potevano comportare l’inizio di una guerra civile. Così si salvò la Repubblica.

1950 – La confraternita del S. Cuore è Stata costituita il 12 novembre 1950, lasciata chiudere dagli stessi confrati nel 1966 e ricostituita nel 1999.

1951 Il padre Luigi Magro da Randazzo dei Frati Minori Cappuccini al secolo Magro Santo fu Vincenzo muore il 16 novembre. Nato il 29 giugno 1881 a Randazzo, fu ordinato sacerdote a Nicosia il 7 febbraio 1904. Oltre che apprezzato per il suo impegno pastorale, ha dedicato la sua vita alla ricerca e allo studio della Storia di Randazzo scrivendo:   Cenni storici della Città di Randazzo    dai primi abitatori della Sicilia fino al 1946. Questo documento rivisitato dal salesiano don Sergio Aidala , è fondamentale per la conoscenza della Storia della nostra Città.

1952 – Consiglio Comunale nella seduta del 10 giugno 1952  elegge Sindaco  Pietro Vagliasindi. 

195411 febbraio Francesco Vagliasindi fonda l’Opera Pro Facci Mucciati in onore dei suoi genitori Giuseppe ed Anna Vagliasindi.

1955 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 28 febbraio 1955 elegge Sindaco Nicolò Palermo. 

1956– Il Consiglio Comunale elegge nella seduta del 12 giugno 1956 Sindaco Pietro Vagliasindi. 

1959 – Alla presenza dell’on.le Angelini Ministro dei Trasporti il 4 giugno viene inaugurato il tronco ferroviario  Alcantara-Randazzo . Si conclusero così positivamente anni di lotta di tutti i Comuni della Valle avendo come alfiere l’avvocato Ferdinando Basile.

1960 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 14 dicembre 1960 elegge Sindaco Giuseppe Bonaventura .

1961 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 26 agosto 1961 elegge Sindaco  Giuseppe Montera. 

1962 – Monsignore Salvatore Russo – Vescovo di Acireale – dispone, dopo avere ottenuto dal Cardinale Prefetto della Sacra Congregazione dei Religiosi, la licenza ad erigere a “Congregazione Religiosa delle Ancelle di Gesù Sacerdote” l’Opera della N.D.  Giuseppina Dilettoso,  il 3 agosto 1962  con un Suo decreto “l’erezione canonica in persona morale dell’Opera Betania – Ancelle di Gesù Sacerdote – con sede a Randazzo via Musco, 14.  Nomina Direttrice, vita natural durante, la Signora Dilettoso Giuseppina ved. Vagliasindi, promotrice e sostenitrice dell’Opera suddetta”. 

1964Leonardo Sciascia durante un suo viaggio sull’Etna visita la nostra Città, lo accompagna Ferdinando Scianna, noto fotografo, che gli scatta alcune foto nella piazza di San Martino. In seguito scriverà un bell’articolo  sui “Paesi Etnei”. 

1965 Il Consiglio Comunale nella seduta del 20 febbraio 1965 elegge Sindaco Sebastiano Giuffrida .

1966 Nel Settimanale “ABC” del 14 agosto compare un articolo di Luigi Stancampiano dal titolo: “Brache di cemento par il Ciclope Piracmone ” dove si racconta che, con bella ironia,  “ un ignoto muratore ha ricoperto nottetempo l’addome della antica statua con uno strato di malta a presa rapida per onorare la severità dell’epoca in cui viviamo”. (R.N. n.3 del novembre 1982). Era sulla bocca di tutti che ha commettere questo atto “moralistico” pare sia stato il signor S.S. istigato dal un noto professionista S.D.

1968 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 27 marzo 1968 elegge Sindaco Sebastiano Giuffrida. 

1968 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 31 agosto 1968 delibera di acquistare la villa  “Vagliasindi”  di piazza Loreto con tutta l’area circostante per consentire la costruzione dell’attuale Scuola Media. 

1969 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 22 gennaio 1969 elegge Sindaco Santo Camarata .

1969 – Il Professore Pietro Virgilio pubblica il 24 maggio per la Scuola Salesiana del Libro – Catania Barriera  il libro Randazzo e il Museo Vagliasindi” con foto di “Dal Vecchio-Vega”.  Opera fondamentale per la conoscenza del Museo. Lo scopo di questa pubblicazione è racchiuso in questa dedica: “Ti ho vista nel crepuscolo/possa presto io vederti nello splendore/della tua rinascita”.

1970  –  Si svolsero le elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio Comunale dopo la parentesi commissariale del dr. Vincenzo Viviano. Il consigliere Vincenzo Munforte (1906) del PSIUP ebbe a dire, con grande soddisfazione, che finalmente erano stati estromessi i  nobili dal civico consesso.  Infatti tra i trenta Consiglieri eletti nella votazione del 6 giugno per la prima volta nella storia della nostra Città, non vi erano rappresentati nobili nè loro discendenti.  

1970 – Il consiglio Comunale nella seduta del 13 agosto 1970 elegge Sindaco  Paolo Felice Iovino

1971 – Il Consiglio Comunale nella seduta del ….. aprile 1971 elegge Sindaco   Giuseppe Montera 

1971 –  Il Consiglio Comunale nella seduta del 5 ottobre 1971 elegge Sindaco  Francesco Rubbino (a soli 22 anni)

1971 – Vengono consegnati dal sindaco  Francesco Rubbino,  con una commovente cerimonia svoltasi nella sala del Consiglio Comunale,  la Medaglia e l’Attestato agli insigniti di “Cavalieri dell’Ordine di Vittorio Veneto ” per avere partecipato alla guerra 15/18.  così come previsto dalla legge 18 marzo 1968 n.263 

1972 – Viene approvata dall’ARS la legge n. 44 del 22 luglio 1972 , ottenuta a furor di popolo,che autorizzava i Mercati Domenicali in Sicilia,  ove per tradizione si erano svolti. In esecuzione di questa legge, l’Assessore Regionale all’Industria e Commercio, con D.A. n. 558 del 13 settembre 1972 sanciva il diritto all’apertura del Mercato Domenicale nel Comune di Randazzo, di fatto esistente da oltre trentacinque anni.

1972 –  Il Consiglio Comunale nella seduta del 31 luglio 1972 rielegge Sindaco  Francesco Rubbino

1972  –  Il Consiglio Comunale nella seduta del 30.10.1972 eleggeva sindaco Giuseppe Gulino. 

1975   Giuseppe (Pippo) Gullotto e Alfio Scirto  danno vita a Radio Randazzo International  la prima radio libera di Randazzo. 

1976Il Consiglio Comunale il 24 aprile istituisce La Biblioteca Comunale .  Dopo una apertura saltuaria dal mese di ottobre del 1978 inizia a funzionare con regolarità. 

1979  –  Il Consiglio Comunale elegge sindaco Francesco Rubbino

1979  –  Il Consiglio Comunale (Sindaco Francesco Rubbino) nella seduta del 2 febbraio 1979 concede la “Cittadinanza Onoraria” al Salesiano Salvatore Calogero Virzì  per essersi distinto con azioni e opere a valorizzare e fare conoscere le tradizioni ed il patrimonio storico ed artistico della Città.

1980  –  Il Collegio Salesiano San Basilio il 2 giugno con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per i Beni e le Attività Culturali viene insignito dalla Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte.  

1981 – Nel mese di febbraio iniziano le trasmissioni di  TVR ( Tele Video Randazzo), la prima rete televisiva randazzese. Pippo Gullotto inizia la sua avventura televisiva presentando programmi che riscuotono sempre grande successo.

1981  –  Il 17 marzo ebbe inzio “Eruzione di Randazzo“. Dopo tutta una serie di scosse telluriche e aperture di varie fratture a quota 2625 e 2500 m, ebbe inizio la colata lavica principale con fuoruscita di lava a quota 1800 m. con direzione tra Randazzo e Montelaguardia, distruggendo boschi, vigneti, coltivazioni,  case di campagne . Inoltre tagliava il binario della CircumEtnea e della Ferrovia dello Stato, la SS.120, la strada provinciale verso Moio ed altre strade comunali e poderali e raggiungeva le sponde del fiume Alcantara. Dopo aver percorso km.7,5 la lava si fermò. L’attività  delle bocche di frattura (1250-1115) continuò fino al 23 marzo ma il braccio di lava che minacciava Randazzo rallentò fino ad arrestarsi a circa 2 km dall’abitato. 

1982 – il 19 marzo viene inaugurata la statua di San Giuseppe dello scultore Gaetano Arrigo. Messa nella piazza San Giovanni Bosco, guarda il vulcano Etna, nella speranza che la città possa essere protetta.

1983 – Dopo varie vicissitudini burocratiche, giudiziarie, amministrative e finanziarie alle ore 19,24 del 22 agosto dal pozzo 2 di Santa Caterina sgorgava in abbondanza l’acqua rinvenuta a una profondità di 160 metri. Per la nostra Città è un evento storico ha dichiarato il sindaco Salvatore Agati ai cittadini, tecnici e amministratori presenti.

1987 – il 1 febbraio del 1987 si svolge la cerimonia della riapertura dell’Ospedale Civile . Presenti alla cerimonia, oltre ad un folto pubblico di cittadini ed addetti alla sanità e  con la gioiosa partecipazione della Banda Musicale di Randazzo “Erasmo Marotta“,  il Presidente Rino Nicolosi (che ha finanziato l’opera), l’assessore alla Sanità Aldino Sardo Infirri, l’assessore agli Enti Locali Francesco Parisi, il Sottosegretario ai Trasporti Nicola Grassi Bertazzi, gli onorevoli Nino Perrone, Pino Firrarello, Salvatore Leanza, Nino Caragliano, Raffaele Lombardo, il Sindaco Salvatore Agati e molte autorità politiche, civili e religiose non solo del nostro Comune. Nel ringraziare tutti  il Presidente dell’USL n.39  Francesco Rubbino, ha ricordato le tante vicissitudini passate per poter ristrutturare ed ammodernare il Presidio Ospedaliero.

1987Sabato 23 maggio 1987 ha avuto luogo la cerimonia di intitolazione di una piazza al Maggiore paracadutista Francesco Vagliasindi. Il sindaco Salvatore Agati assieme al fratello del Maggiore Paolo Vagliasindi ha scoperto la lapide commemorativa alla presenza di numerose autorità e di cittadini.

1988 – L’Amministrazione Comunale (sindaco Salvatore Agati) acquista la collezione dei Pupi Siciliani che viene collocata nella saletta ricavata nel seminterrato all’interno del Castello ove è anche ubicato il Museo Archeologico Paolo Vagliasindi 

1988 – Il Consiglio Comunale il 13 dicembre elegge sindaco Salvatore Agati.

1989 – Il Consiglio Comunale su proposta del sindaco Salvatore Agati con delibera n. 192 del 27 novembre 1989 concede la Cittadinanza Onoraria all’on. Calogero Mannino.

1990 – Il consiglio Comunale il 29 maggio  elegge sindaco  Francesco Rubbino.

1990 – Viene inaugurata nel mese di luglio la statua di San Giovanni Bosco nella piazza di San Francesco di Paola.

1991 – La Siciliana Gas inizia i lavori di metanizzazione della Città.

1992 – il Consiglio Comunale il 23 novembre elegge sindaco Giovanni Germanà.

1993 – Il Consiglio Comunale il 21 aprile elegge sindaco Francesco Lanza.

1994 – Nelle elezioni comunali del 27 giugno i cittadini eleggono direttamente sindaco Angela Vecchio.

1996   Il Consiglio Comunale, Sindaco  Angela Vecchio, Presidente Fabio Aidala, con delibera n. 33 del 6 maggio intitola la Sala del Consiglio in: “Sala Consiliare Giovanni Falcone Paolo Borsellino “.

1996 – Tra il 20 e il 29 marzo si verificò un evento franoso che interessò il lato sinistro del fiume Alcantara. Il movimento esteso per circa 1850 metri di lunghezza e di circa 900 metri di larghezza copri 165 ettari di terreno. La frana distrusse quasi un chilometro di S.S. n° 116, che collega gli abitati di Randazzo e Santa Domenica Vittoria, trascinò a valle terreni coltivati di un certo pregio causando danni all’economia locale, infine, rovinò all’interno dell’alveo del fiume, ostruendolo e formando un invaso di sbarramento naturale di circa 375.000 m³, che impediva il normale deflusso delle acque verso valle.

1998 – Nelle elezioni comunali del  8 giugno i cittadini eleggono direttamente sindaco Ernesto Del Campo.

2002 La Link Japan, una tra le maggiori reti televisive giapponesi, annualmente produce uno special televisivo di 30 minuti, dedicato ad un personaggio nazionale o straniero che si è distinto particolarmente per la sua attività.  Il 2002 è stato celebrato dall’ONU come anno dedicato alla montagna e alla natura ed è stato questo il motivo per cui i responsabili dell’emittente nipponica hanno voluto dedicare uno dei suddetti programmi ad un personaggio che si occupa di ambiente e natura.
La scelta è caduta sul nostro concittadino Vincenzo Crimi Commissario Superiore della  Forestale
.

2003 –  Nelle elezioni comunali del  10 giugno  i cittadini eleggono direttamente sindaco Salvatore Agati.

2005  –  Medaglia D’Argento al Merito Civile. Data del Conferimento il 25 gennaio 2005 con la seguente motivazione: Comune, occupato per la posizione strategicamente favorevole dall’esercito tedesco, fu sottoposto per trentuno giorni, tanto da essere definito  ” la Cassino di Sicilia “, a violentissimi bombardamenti che provocarono numerose vittime civili e la distruzione dell’intero abitato. Ammirevole esempio di spirito di sacrificio ed amor patrio.  13 luglio – 13 agosto 1943

2006 – Il 20 settembre 2006, all’età di 83 anni, si è spento a Catania  Angelo Priolo. Ornitologo di fama mondiale. Nel 1983 viene costituito il Museo Civico di Scienze Naturali . Nel 1986 consegna al Comune la sua Collezione Ornitologica di 2250 esemplari che rappresenta una delle maggiori raccolte di uccelli che si conservino nell’Italia Meridionale. Nel 1991 viene nominato, assieme a Luigi Lino del WWF, Conservatore Onorario del Museo. Nel 2012 aderendo ad una richiesta dell’Associazione Ornitologica, ma soprattutto per riconoscenza e gratitudine della nostra Comunità,  gli viene intitolato il Museo.

2007Emanuele Manitta, già portiere della A.S.Randazzo, fa il suo esordio nel campionato di calcio della Serie A nella partita Livorno – Roma (1-1) 21 gennaio 2007. E’ il primo giocatore di calcio Randazzese che ha giocato nella massima divisione calcistica. Emanuele Manitta ha anche giocato nel Bari, Ragusa, Messina, Napoli, Catanzaro, Bologna, Siena.

2008 – il 22 febbraio muore all’età di 90 anni ad Acireale  padre Antonino Maugeri. Era nato a Randazzo il 4 settembre 1918 primo di nove fratelli di cui un altro , padre Rosario, anch’esso sacerdote.  Per più di 40 anni canonico della chiesa San Pietro e Paolo di Acireale fu stimato ed amato dagli acesi non solo per la missione sacerdotale, ma soprattutto per l’intelligenza e cultura. Appassionato di musica fu pianista, organista, compositore vincendo diversi concorsi di musica sacra. Nel 1990 nasce la Corale Polifonica ” Don Antonino Maugeri “. Il 23 maggio 2007 gli è stato intitolato l’Auditorium dell’Istituto “Galileo Galilei”  di Acireale.

2008 –  Nelle elezioni comunali del  1 luglio  i cittadini eleggono direttamente sindaco Ernesto Del Campo.

2011 – Gli abitanti di Randazzo sono:  11.108

2013 –  Nelle elezioni comunali del  12 giugno i cittadini eleggono direttamente sindaco Michele Mario Mangione.

2013 Carmelo Carmeni  (nato a Randazzo il 29 settembre 1972) ha vinto il sesto campionato del mondo di forgiatura disputatosi a Stia (Arezzo) nei giorni tra il cinque e l’otto settembre durante la XX Biennale Europea d’Arte Fabbrile La gara  ha visto la partecipazione di 200 fabbri provenienti da 20 paesi stranieri e aveva come temaPlasticità“.  Carmeni ispirandosi alla Sicilia e a Luigi Pirandello ha intitolato la sua opera “Uno, nessuno e centomila”. I lavori eseguiti sono stati giudicati da una giuria internazionale.

2013 – Il 15 di agosto, causa una pioggia torrenziale e persistente,  “a Vara”,  per ovvi motivi di sicurezza, non “esce”. La prima volta da quando è stata ripristinata l’uscita. Con una discutibile decisione delle autorità Comunali e Religiose la domenica 18  “a Vara” niesci.

2016 – Alla presenza di molte autorità e cittadini il 29 aprile si è svolta la cerimonia di  intitolazione dello spiazzo antistante il lato nord della chiesa e la sacrestia (‘a Tribonia) all’Arciprete Monsignore Vincenzo Mancini che d’ora in poi si chiamerà  “Largo mons. Vincenzo Mancini”. Il sindaco Michele Mangione ha dichiarato che la Giunta  con delibera n. 19 del 19 febbraio 2016 stabilendo di dedicargli questo “largo” ha voluto riconoscere i tanti meriti dell’Arciprete Mancini nei confronti della nostra Cittadinanza.  Il vescovo Antonino Raspanti e il parroco don Domenico Massimino hanno ricordato il suo impegno sacerdotale.

2017 – il 23 settembre nasce il sito: www.randazzo.blog . Lo scopo è dare una rappresentazione dell’arte, della storia, della cultura, dei costumi, degli avvenimenti, dei personaggi e dei luoghi della nostra Città.  Amministratori : Giulio Nido, Francesco Rubbino, Lucio Rubbino .

2018 –  Nelle elezioni comunali del  11 giugno i cittadini eleggono direttamente sindaco Francesco Sgroi.

2018 – Il 15 di agosto, causa una pioggia torrenziale e persistente,  “a Vara”,  per ovvi motivi di sicurezza, non “esce”. Le autorità Comunali e Religiose decidono di fare uscire “a Vara” domenica 25 agosto. Arrivata in piazza Municipio si blocca per un guasto tecnico e si è costretti a farla ritornare lentamente indietro. 

2019 Il Consiglio Comunale nella seduta del 30 maggio approva, su proposta dell’Amministrazione Comunale, la delibera n.17 avente per oggetto:“Dichiarazione dello stato di dissesto finanziario, dell’ente, ai sensi dell’art. 246 del D. Lgs. 267/2000”. Per la prima volta nella sua storia amministrativa avviene questa Dichiarazione di Dissesto. Le conseguenze per i Cittadini e per i fornitori saranno molto gravi.

2019 Il  Presidente della Repubblica, a seguito della Dichiarazione del Dissesto Finanziario del Comune,  in data 23 agosto 2019, su proposta del Ministero dell’Interno, che ha competenza sulla finanza locale, ha nominato tre Commissari Straordinari che faranno parte dell’Organo Straordinario di Liquidazione ( OSL ) al fine di estinguere la massa debitoria del comune. I tre Commissari del dissesto sono il dott. Giuseppe Milano, Funzionario in servizio della Prefettura di Catania, il Dott. Antonino Alberti, Segretario Generale in quiescenza ed il Dott. Andrea Dara, Dottore Commercialista dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Palermo. Detto OSL con delibera n. 1 del 18 settembre 2019 si è regolarmente insediato ed ha eletto a suo Presidente il Dott. Giuseppe Milano.

2020 – Il 9 marzo a seguito del Coronavirus (Covid-19) che ha colpito tutto il Mondo, siamo costretti a rimanere in casa . Si può uscire soltanto per lo stretto necessario. Sono state chiuse le scuole, bar, negozi, e quasi tutte le attività lavorative. 

2020 –  Al concorso di  Londra il Decanter Awards 2020 – il concorso enologico più importante al mondo – che si è svolto il 25 settembre, sono state premiate tre etichette di Al-Cantàra. La medaglia d’oro e ben 95 punti su 100 a   “O Scuru O Scuru”,   un vibrante e corposo Etna rosso Doc del 2017 ottenuto da grappoli del vitigno etneo per eccellenza, il nerello mascalese, raccolto a mano da antichissimi ceppi prefillossera sparsi a macchia di leopardo nella tenuta di Feudo Sant’Anastasia e qui vinificato in purezza, degustati alla cieca insieme a oltre 16.000 vini da un giuria internazionale di oltre cento esperti per .
Due medaglie d’argento sono invece per “Luci Luci” 2018 (Etna Bianco Doc da uve carricante, altra cultivar autoctona dell’Etna a bacca bianca) con 93 punti e per “‘A Nutturna” 2018 (IGP Terre Siciliane, bianco di nera da uve di nerello mascalese vinificate in bianco) al quale sono stati assegnati 92 punti. Anche lo scorso anno, Al-Cantàra ha ricevuto tre medaglie al Decanter.
Grande soddisfazione per Pucci Giuffrida, commerciante catanese, che grazie ai molti premi vinti, si è guadagnato in quindici anni l’affettuoso appellativo di “vigneron letterario”.

2020 – Il Presidente della Regione Nello Musumeci con l’Ordinanza n. 47 del 18 ottobre 2020 ordina particolari misure di contenimento del contagio nel territorio del Comune di Randazzo a causa del Coronavirus (COVID-19). Praticamente dichiara “Zona Rossa” la nostra Città per una settimana. Randazzo sembra una città morta. 

2020  –  Salvatore Rizzeri, noto storico Randazzese, pubblica per l’Edizione La Rocca “RANDAZZO E LA SUA STORIA  Origine ed Evoluzione nei Secoli”. Una Opera di 429 pagine ricca di illustrazioni e commenti.

2021  –  Giovedì 28 ottobre  muore, a 45 anni,  Vera Guidotto. Sabato 30 alle ore 10 sono stati celebrati i funerali nella chiesa del Sacro Cuore. Nonostante il divieto a causa del Covid la partecipazione della gente è stata assai numerosa. Vera è stata una ragazza molto segnata dal destino, ma nonostante questo è riuscita a diventare una poetessa ed una scrittrice di raro talento. Nata a Randazzo il venerdì 10 settembre 1976  Ha frequentato regolarmente le Scuole Medie e Superiori. Nel 1998 scrive un libro sull’amore e l’amicizia dal titolo “Il diverso non esiste”. Scopre di avere una propensione per la poesia e ne scrive parecchie con profonda e limpida semplicità. Le sue riflessioni sulle cose del mondo ed i suoi racconti non sono mai banali. Randazzo perde una grande donna (mai vinta) e in campo letterario la prima e la più importante. 

2022 –  Il sindaco Francesco Sgroi il 4 febbraio rassegna le dimissioni dalla carica di Sindaco. 

2022  –  Nelle elezioni comunali del  12 giugno i cittadini eleggono direttamente Sindaco Francesco Sgroi

2022  –  Il 3 novembre (II anniversario della sua morte) è stato presentato, nella sala consiliare “Falcone e Borsellino” del Palazzo Municipale il libro postumo di Salvatore Agati : La Storia di Randazzo. Lungo il corso tracciato dal Plumari. Dopo i saluti del vice sindaco Gianluca Anzalone, sono intervenuti Giuseppe Giglio, Alfonso Sciacca relatore, il sen. Pino Firrarello, padre Domenico Massimino, Maristella Dilettoso, Francesco Rubbino, dr. Patti.  Rosaria Agati a nome della famiglia ha ringraziato i presenti.

2022  –  Il maratoneta Antonino La Piana (20.01.1979) il 6  novembre partecipa alla Prestigiosa Maratona di NEW YORK  percorrendo tutto l’itinerario in 03.52.19. Nino La Piana non è nuovo a  queste imprese sportive infatti negli anni 2021/2022 ha partecipato, percorrendo tutto l’itinerario, a più di 20 maratone. Nino la Piana è il primo randazzese che riesce ad ottenere questi risultati.

2022  –  Sabato 3 dicembre è morto il Prof. Antonino Grasso. Nato a Randazzo il 16 ottobre 1943. Giornalista, scrittore, dotto conferenziere con molti titoli accademici tra cui: Magistero in Scienze Religiose conseguito nel 1999,  Bacellierato in S. Teologia conseguito nel 2000, Dottorato in S. Teologia con specializzazione in Mariologia che insegna nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Luca” di Catania aggregato alla Pontificia Facoltà Teologia di Sicilia.
 È stato Insignito il 02 giugno 1980 dal Presidente Sandro Pertini dell’onorificenza di “Cavaliere al merito della Repubblica Italiana” “per particolari benemerenze” acquisite al servizio dell’emigrazione degli italiani in Germania.
 Autore di 10 pubblicazioni mariane:  “Maria con te”  [1994] ; “E la Vergine distese le mani” [1995]  ; “Guadalupe. Le apparizioni della “Perfetta Vergine Maria” ,   “Maria, madre della speranza, Donna di legalità”  [2006] ;   “La Vergine Maria e la pace nel magistero di Paolo VI” [2008];   “Maria di Nazareth. Saggi teologici” [2011] ;  “Perchè appare la Madonna? Per capire le apparizioni mariane” [2012] ;   Maria, maestra e modello di fede vissuta [2013] ;  Apparizioni, malati e guarigioni a Lourdes. La prodigiosa guarigione di Delizia Cirolli il miracolo n. 65 di Lourdes riconosciuto dalla Chiesa [2015] ;   Maria, Madre di misericordia: “sotto il tuo manto c’è posto per tutti” Meditazioni [2016] ;  Lucia Mangano. Una vita d’unione con Maria.
Insieme a
don Santino Spartà è stato il realizzatore del “Parco Sciarone” e del sito web ” www. fatimaparcosciaronerandazzo. 
É autore e gestore del portale di Mariologia  http://www.latheotokos.it,
raccomandato dalla Congregazione per il Clero e dalla Pontificia Academia Mariana Internationalis. ha migliaia di pagine di articoli su ogni aspetto della Mariologia, filmati, audio, immagini, ecc. è il sito mariano più visitato d’Italia e uno dei più visitati del mondo in campo mariano ed è stato recensito spesso.

Un nostro illustre concittadino che ricordiamo con affetto, stima e ammirazione.

2023  – È operativa da ieri  – 20 marzo – la commissione di indagine con il compito di realizzare un accesso ispettivo presso il comune di Randazzo. La misura è stata disposta dal prefetto di Catania, Maria Carmela Librizzi, su delega del ministro dell’Interno, per verificare l’eventuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso. La commissione, secondo le previsioni del Testo unico degli enti locali, dispone di tre mesi – rinnovabili per ulteriori tre mesi – per terminare gli accertamenti e presentare al prefetto le conclusioni dell’attività ispettiva effettuata.

2023    Il 17 settembre viene pubblicato da Amazon il libro di padre Luigi Magro Cappuccino “Cenni Storici della Città di Randazzo” (1946) a cura di Francesco e Lucio Rubbino. Il libro originale viene implementato da oltre 50 fotografie molte delle quali riproducono i ritratti degli Scrittori Storici a cui fa riferimento il Magro (al secolo Santo Magro). Le note bibliografiche sono 72 e le pagine 427. 

 

Rubrica a cura di LucioFrancesco Rubbino

 

BIBLIOGRAFIA:
  –  Giuseppe Plumari ed Emmanuele  (1770/1851):  Storia di Randazzo, trattata in seno ad alcuni cenni  della Storia Generale della Sicilia – Ms. in 2 voll. 1849, presso la Biblioteca Comunale di Palermo.
 – Giuseppe Plumari ed Emmanuele: Primo Volume della Storia di Randazzo  .
  –  Padre Luigi Magro Cappuccino: Cenni storici della Città di Randazzo 1946 .
  –  Angela Militi : sito ” Randazzo Segreta.myblog,it”  .
  –  Federico De Roberto : “Randazzo e la Valle dell’Alcantara” .
  –  Don Calogero Virzì – Salesiano .
  –  Maristella Dilettoso : Randazzo città d’arte nel 1994.  Guida alla Città di Randazzo nel 2002. 
    Un beato che unisce : Randazzo e Montecerignone, nell’anno 2006.  
    Detti, sentenze, proverbi, storielle, modi di dire, usanze e anedotti  siciliane: un viaggio nell’universo      
    randazzese. 
  –  Lucia Lo Presti : Randazzo la Cassino di Sicilia. Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto danneggiato
     negli anni della seconda guerra mondiale .
  –  Antonio Agostini : Sei secoli di oreficerie. Artisti e committente internazionali e isolane nell’etnea Randazzo .
  –  Walther Leopold : Architetture del medioevo in Sicilia a Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo”. 
     Berlino 1917 . 
  –  Nino Grasso : Portale di Mariologia – latheotokos.it  .
  –  Maria Teresa Magro : Museo Archeologico Vagliasindi .
  –  Vito La Mantia : Le consuetudini di Randazzo (1903) .
  –  Enzo Crimi : Randazzo e il suo Territorio. Al Quàntara la Valle Incantata
  –  Emanuele Mollica : De Quadro (una storia prende vita) – Baronessa De Quadris
  –  Mario Alberghina : Ospedale Civile Randazzo – 1470/1864 
  –  Stefano Bottari : Le oreficerie di Randazzo
  –  Domenico Ventura : Randazzo e il suo territorio tra medioevo e prima età moderna. 
 
  –  Camerata GirolamoTrattato dell’honor vero, et del vero dishonore
 
 –  Santo Carmelo Spartà detto Don Santino : storico-scientifico di Randazzo
  – Sladen, Douglas Brooke– Sicily – The  New Winter Resort By ( pag. 462/468)
  –  Pietro Virgilio : Randazzo e il Museo Vagliasindi .
  –  Fabrizio Titone : Il caso dell’universitas di Randazzo nel tardo Medioevo .
  –  Paolo Vagliasindi Basiliano : Discussione Storica e Topografica di Randazzo (1835)
  –  Davide Cristaldi : L’Aquila Marmorea del Castello di Randazzo .
  –  Gesualdo De Luca : Elogio funebre per Sua Maestà Ferdinando II Re delle Due Sicilie .
  –  Raimondo Diaccini : Vita del Beato Domenico Spadafora .
  –  Fernando Mainenti : Il castello di Randazzo: architettura, storia, miti e leggende popolari .
  –  Francesca Passalcqua : 1787 /1805  L’intervento di Giuseppe Venanzio Marvuglia nella fabbrica di 
     Santa Maria a Randazzo .
  –  Mariangela Niglio : La Conservazione della Cinta Muraria di Randazzo .

 

 

 

 

 

GIUSEPPE BONAVENTURA

Giuseppe Bonaventura nasce a Randazzo il 5 ottobre 1919 .
Si presenta per la prima volta alle elezioni comunali del 1960 nella lista della Democrazia Cristiana e  viene eletto Consigliere Comunale.  
  Il 14 dicembre 1960 viene eletto Sindaco. Ovviamente non era facile conciliare la sua attività di sindacalista a Catania con la carica di Sindaco. Il 26 agosto del 1961 si dimette da Sindaco e da Consigliere Comunale per candidarsi al Consiglio Provinciale di Catania  dove eletto viene nominato assessore allo Sviluppo Economico.
Muore Il 17 dicembre del 1964  a Torino dove si era recato nel tentativo estremo di poter guarire da un male incurabile.
La sua salma sarà composta nella Sala Consiliare . 

Settant’anni di Cisl, anche a Catania ricordato l’anniversario

La Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori fu fondata da Giulio Pastore, a Roma, il 30 aprile 1950

Oggi, anche la Cisl di Catania ha ricordato i primi 70 anni della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori, nel momento storico più drammatico della storia recente, con la pandemia in corso, e in una città già provata dalle vicissitudini legate alla crisi finanziaria comunale.
La Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori fu fondata da Giulio Pastore, a Roma, il 30 aprile 1950. L’Assemblea generale che portò alla costituzione del nuovo sindacato si tenne al Teatro Adriano di Roma e vi parteciparono i delegati della LCgil, della Fil e della Ufail. 

«Celebriamo un anniversario in un momento difficile – sottolinea Maurizio Attanasio, segretario generale della Cisl catanese – dove gli effetti della grave emergenza sanitaria stanno avendo pesanti ricadute sul piano economico e sociale. Lo avvertiamo particolarmente a Catania, e nella sua area metropolitana, dove la vita di tanti lavoratori e di tante famiglie è stata già segnata dalla lunga stagione di crisi attraversata dal 2008 e dal dissesto del Comune capoluogo».

Secondo il numero uno della Cisl etnea «anche oggi, come 70 anni fa, la Cisl, è chiamata a svolgere un ruolo importante nel movimento sindacale e indicare la strada della rinascita civile e delle necessarie riforme economiche e sociali: nel 1950 con Pastore, nella ricostruzione del Dopoguerra; oggi, guidata da Annamaria Furlan, nella ricostruzione dopo l’emergenza sanitaria». 

«Per fare ciò – conclude Attanasio – dobbiamo ripartire dagli stessi valori morali e culturali del cattolicesimo sociale che rappresentano una parte importante delle nostre radici ideali e culturali. Si devono mettere al primo posto i diritti della persona, la dignità e la sicurezza del lavoro, l’inclusione sociale, la lotta alla povertà, per tornare a guardare al futuro con coraggio e fiducia».

A Catania, la Cisl ebbe tra i fondatori Vito Scalia, Peppino Bonaventura e Giuseppe D’Amico. Scalia guidò il sindacato etneo dal 1950 al 1961; fu segretario generale nazionale aggiunto negli anni Settanta. Nel 1962, gli succedette Bonaventura, protagonista a Randazzo delle lotte dei braccianti, al quale è dedicata la sede della Cisl catanese di via Vincenzo Giuffrida 160.

 

 

 
 
INTITOLATA A PEPPINO BONAVENTURA LA SEDE DELLA CISL

INTITOLATA A PEPPINO BONAVENTURA LA SEDE DELLA CISL

Cerimonia con Annamaria Furlan e il sindaco Enzo Bianco

Catania, 18 dicembre 2017 – È stato intitolato a Giuseppe “Peppino” Bonaventura (1919-1964), sindacalista Cisl di Randazzo, il palazzo sede della Cisl di Catania, al 160 di via Vincenzo Giuffrida.
La cerimonia di inaugurazione si è tenuta alla presenza di Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl nazionale che ha svelato la targa posta all’ingresso dello stabile, e di Maurizio Attanasio, segretario generale della Cisl etnea.
Vi hanno partecipato anche Enzo Bianco, sindaco di Catania e della Città metropolitana, dirigenti della Cisl regionali e delle altre province siciliane, una rappresentanza catanese di Cgil, Uil e Ugl.
La figura di Bonaventura è stata ricordata dalla figlia Alfina: il padre iniziò la sua attività sindacale nel 1943, durante la guerra, nel territorio di Randazzo, allora chiamata la “Cassino di Sicilia”, per i bombardamenti subiti; già all’età 24 anni rappresentava i disagi e l’oppressione dei contadini del luogo patiti per mano del nobilato prima e dei proprietari terrieri dopo. Peppino Bonaventura divenne segretario provinciale della FISBA, la federazione cislina dei braccianti agricoli, per la quale girava campi e latifondi in sella alla sua Moto Guzzi, con i giornali e le deleghe sotto braccio.
Fu delegato al primo congresso della Cisl, tenuto a Napoli l’11 novembre del 1951. A Catania, fu tra i fondatori della Cisl, assieme a Vito Scalia e a Giuseppe D’Amico; dell’Unione sindacale catanese fu componente di segreteria e poi segretario generale dal 1961 al 1964. Bonaventura morì prematuramente all’età di 45 anni.
«Questa è la casa dei lavoratori, dei dirigenti, degli iscritti e degli operatori della Cisl di Catania – ha affermato Attanasio – ed è grazie al loro impegno e ai loro sacrifici, e al sostegno dei vertici regionali e nazionali che finalmente abbiamo potuto realizzare il sogno di una sede tutta nostra.
Da qui continueremo a puntare a nuovi obiettivi e a rappresentare e dare voce ai lavoratori, ai pensionati e ai più deboli».
«Ogni sede sindacale – ha sottolineato Annamaria Furlan – è un baluardo di democrazia e partecipazione in tutto il Paese, contro le avversità di ogni giorno.
La sede della Cisl di Catania è un atto di generosità e un investimento per il futuro delle donne e degli uomini, dei lavoratori e degli iscritti della nostra organizzazione».

Nella foto, da sin. Maurizio Attanasio, Annamaria Furlan, Enzo Bianco. nel riquadro, in b/n Peppino Bonaventura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PALERMO NICOLO’

Palermo Nicolò nasce a Randazzo il 28 giugno 1884.

 Eletto Consigliere Comunale
 – 18 aprile 1946
 – 25 maggio 1952
 – 06 novembre 1960

Eletto Sindaco il 28 febbraio 1955.

GIUSEPPE EMANUELE

COLLEGIO SALESIANO SAN BASILIO

In occasione del suo  centenario La Famiglia Salesiana ha stampato  una pregevole pubblicazione :

“IL COLLEGIO SALESIANO S. BASILIO di RANDAZZO nel suo centenario 1879 – 1979 “ 

(clicca sull’immagine per leggerlo tutto)

PRESIDENTI CONSIGLIO COMUNALE

  PRESIDENTE CONSIGLIO DATA DELLA ELEZIONE
FABIO RENATO AIDALA 1994
CARLO LO GIUDICE  1998
FRANCESCO SGROI  2003 
     
CARMELO (LUCIO) RUBBINO 2008
ANTONINO GRILLO  2012

 

PARLAVECCHIO MARIO

Parlavecchio Mariano nasce a Randazzo il 3 febbraio 1933

Viene eletto Consigliere Comunale :

 – 7 giugno 1970
 – 15 giugno 1975
 – 30 giugno 1980

Viene eletto Sindaco il 18 luglio 1980.

Francesco Lanza

Francesco Lanza : nasce a Randazzo il primo Luglio del 1948, dopo la scuola dell’obbligo consegue il diploma di perito industriale all’istituto tecnico di Giarre. Ancora studente partecipa volontario con i gruppi di soccorso alle popolazioni della valle del Belice colpite dal terremoto del 1968. Servizio militare in artiglieria ai confini orientali Italiani negli anni della guerra fredda. Dopo alcuni anni di lavoro all’estero torna a Randazzo, si sposa con Clelia Lecce con la quale ha avuto due figli, Diego e Ruggero oggi avvocato l’uno ed ingegnere l’altro. Alle elezioni Amministrative del Comune del 1980 viene eletto in Consiglio Comunale con una lista civica in rappresentanza dei commercianti e degli artigiani di cui era il presidente della locale associazione; rieletto per tre volte consecutivamente vi rimane sino al 1994. Assessore alla Pubblica Istruzione ed ai beni culturali dal 1982 al 1984 si impegna in particolare per la realizzazione di una cucina industriale per la refezione scolastica, l’ammodernamento delle scuole elementari e medie, l’apertura della biblioteca comunale e dei due musei cittadini. Cura l’organizzazione di due importanti convegni Nazionali sulla letteratura e la poesia del “900 Siciliano. Nel 1988 torna a fare parte dell’amministrazione comunale con l’incarico di assessore ai lavori pubblici e urbanistica in una fase molto positiva della attività amministrativa; sono infatti di quegli anni la realizzazione di un pozzo per l’acqua in contrada Santa Caterina, l’adeguamento degli edifici scolastici alla normativa di sicurezza e antincendio, l’ammodernamento della rete idrica in alcuni quartieri, gli impianti della pubblica illuminazione e la costruzione di alcune strade cittadine. Sempre in quegli anni il restauro del palazzo municipale, la costruzione degli alloggi popolari in contrada San Lorenzo, la costruzione della pretura e molte altre cose. Nel Maggio del 1993, a conclusione di una profonda crisi politica che determinava le dimissioni di quattordici consiglieri comunali dei trenta in carica, veniva eletto Sindaco del Comune di Randazzo e da subito deve affrontare l’emergenza della spazzatura, che da settimane non veniva raccolta a causa della chiusura della discarica, e la chiusura dell’ospedale di Randazzo disposta dall’amministratore straordinario della U.S.L. di Bronte. Fortunatamente entrambe le pesanti emergenze vengono affrontate con determinazione e fermezza e risolte positivamente. Nonostante il breve periodo di durata della nuova amministrazione, che si concludeva appena un anno dopo con le elezioni anticipate decretate dal governo regionale per tutti i comuni della Sicilia, intensa è stata l’attività della Amministrazione Comunale; infatti viene approvato lo Statuto del Comune ed alcuni importanti regolamenti, tra i quali il regolamento dei procedimenti amministrativi che istituisce il responsabile del procedimento, viene costruita la pretura ed il mercato coperto, viene chiesta ed ottenuta al ministero degli interni l’istituzione di un distaccamento dei vigili del fuoco, il completamento della zona artigianale in contrada Sant’Elia, vengono appaltati dopo undici anni di tentativi andati a vuoto i lavori per la costruzione del depuratore (poi bloccati dalla successiva amministrazione), l’apertura del castello di San Martino con l’esposizione della collezione dei pupi siciliani; sempre a San Martino l’amministrazione comunale si adopera ed ottiene il finanziamento, dell’Assessorato Regionale ai beni culturali, dei lavori di consolidamento del campanile della chiesa. Dalla amministrazione della provincia di Catania ottiene la costruzione della strada provinciale “Boccadorzo”. A questo si aggiungono una serie di provvedimenti adottati dall’amministrazione comunale che hanno consentito alle amministrazioni che si sono succedute di potere agevolmente assicurare alla citta di Randazzo alcuni servizi, ad esempio tra gli altri il servizio di espurgo delle fognatura con apposito camion attrezzato che ancora oggi funziona.

Prof. Domenico Ventura

Prof. Domenico Ventura 

(Dipartimento “Economia e Impresa”)

 Dati anagrafici:

Data di nascita: 09 marzo 1949

Luogo di nascita: Catania

Curriculum accademico:

1972, 30 marzo: laurea in Lettere presso l’Università di Catania (110/110);

AA. 1972/73 – 1973/74: frequentazione della “Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari” dell’Università di Roma 1973, 1 febbraio – 1974, 31 ottobre: assistente incaricato supplente presso l’Istituto di Storia Economica della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Catania;

1974, 27 aprile: diploma del “Corso di specializzazione per la lettura e l’interpretazione di documenti commerciali dei secoli XIII-XVIII” conseguito presso l’Istituto Internazionale di Storia economica “Francesco Datini” di Prato (direttore: prof. Federigo Melis; presidente: prof. Fernand Braudel);

1974, 1 novembre – 1983, 5 gennaio: contrattista presso l’Istituto di Storia economica della Facoltà di Economia dell’Università di Catania;

1983, 6 gennaio – 2001, 31 ottobre: ricercatore presso il suddetto Istituto;

2001,1 novembre: professore associato di Storia economica nella Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Catania;

Attività di docenza:

AA. 1994/95–2003/04: incarico d’insegnamento di “Storia economica” nel Diploma Universitario in “Economia e Amministrazione delle Imprese”;

AA. 2001/02 –2008/09: incarico d’insegnamento di “Storia economica” nel Corso di laurea triennale in “Economia” (6 CFU);

AA. 2001/02 ad oggi: incarico d’insegnamento di “Storia economica” nel Corso di laurea triennale in “Economia aziendale” (9 CFU); dall’a.a. 2009/10 (due Corsi per complessivi 18 CFU);

Domenico Ventura

AA. 2001/02: incarico d’insegnamento di “Storia economica” nel Corso di laurea triennale in “Amministrazione e controllo” (6 CFU);

AA. 2001/02–2002/03: incarico d’insegnamento di “Storia della Sicilia” nel Corso di perfezionamento in “Economia Regionale”;

AA. 2002/03–2003/04: incarico d’insegnamento di ”Storia economica” nel Corso di laurea triennale in “Economia e gestione dei sistemi agroalimentari” (3 CFU);

2003, giugno: affidamento incarico per attività didattica nel Master “Management Turistico” nell’ambito del Programma Operativo Nazionale per le regioni (Catania);

2003, giugno: affidamento incarico per attività didattica nei Corsi postdiploma IFTS (Siracusa); 

AA. 2003/04–2006/07: affidamento incarico seminari a Gela nell’ambito della convenzione sottoscritta fra Provincia Regionale di Caltanissetta e Facoltà di Economia dell’Università di Catania per il Corso di laurea triennale in “Economia”; 

AA. 2004/05: incarico d’insegnamento di “Storia dell’agricoltura” nel Corso di laurea specialistica in “Management Turistico” (6 CFU);

AA. 2004/05-2008/09: incarico d’insegnamento di “Storia dell’impresa e dell’innovazione” nel Corso di laurea specialistica in Direzione Aziendale (6 CFU);

2006, luglio: affidamento incarico di “Storia delle organizzazioni internazionali” nel Master “Mercati internazionali e marketing per le P.M.I.” (Agrigento).

 Attività di formazione e ricerca:

AA.2003/04 ad oggi: componente del Dottorato di ricerca in “Organizzazione del territorio e sviluppo sostenibile in Europa” attivato presso il Dipartimento “Economia e Territorio” dell’Università di Catania; 

Affiliazioni:

– Società Italiana degli Storici dell’Economia

– Comitato di consulenza scientifica del Museo Civico Etno-Antropologico “Mario De Mauro” di Scordia (Ct)

– Comitato scientifico della rivista “AmpeloScordia. Bollettino di Storia e Cultura” di Scordia (Ct)

– Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale (Socio corrispondente)

– Consiglio Scientifico dell’Istituto di Storia della Carta “Gianfranco Fedrigoni (ISTOCARTA)”.

 Pubblicazioni

 a) Monografie:

  • Edilizia, urbanistica ed aspetti di vita economica e sociale a Catania nel ‘400, Istituto di Storia economica, Collana di studi e ricerche diretta da Antonio Petino, 6, Catania, Università di Catania, 1984;
  • Randazzo e il suo territorio tra medioevo e prima età moderna, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1991;
  • Feudi e patrimoni in ascesa nel Seicento siciliano. Scordia e il principe Antonio Branciforti, Museo Civico Etno-Antropologico e Archivio Storico “Mario De Mauro”, Scordia 2004;
  • Città e campagne di Sicilia. Catania nell’età della transizione (secoli XIV-XVI), Acireale-Roma, Bonanno, 2006;
  • Cultura e formazione economica in una realtà meridionale. La Facoltà di Economia di Catania (1920-1999), Catania, Università di Catania, 2009;
  • Il servizio postale nella Sicilia moderna: una gestione privata in regime di monopolio (1549-1786), Acireale-Roma, Bonanno, 2012;
  • Fra Storia e Geografia. L’avventura della Storia economica a Catania tra le due guerre, Torino, Giappichelli, 2013;
  • «Baglio». Un’azienda vitivinicola nella Sicilia dell’Ottocento, Acireale-Roma, Bonanno, 2013.
  • Dalla parte degli esclusi. Stampa ed editoria in Sicilia ai tempi del Piano Marshall, Milano, F. Angeli, 2014.

b) Saggi:

  • Palagonia, A.D. 1579. (Da un anonimo registro notarile), Accademia dei Palici, Quaderni, 1, Palagonia 1997;
  • Scordia, 1628-1636. Dalla “fondazione” al primo rivelo, Museo Civico Etno-Antropologico e Archivio Storico “Mario De Mauro”, Testi e documenti, 1, Scordia 1998;
  • Note bio-bibliografiche e saggio introduttivo a M. DE MAURO, Notizie storiche sopra Scordia Inferiore, Catania 1868, ristampa anastatica a cura del Museo Civico Etno-Antropologico ed Archivio Storico “Mario De Mauro”, Coll. Riletture, 1, Scordia 2000.

 c) Saggi pubblicati in volumi collettanei:

  • Nella Sicilia del ‘400: terra e lavoro in alcuni contratti notarili del catanese, in Studi in onore di Antonio Petino, I, Momenti e problemi di storia economica, Catania 1986, pp.103-135;
  • L’impresa metallurgica di Fiumedinisi nella seconda metà del XVI secolo, in A. GIUFFRIDA, G. REBORA, D. VENTURA, Imprese industriali in Sicilia (secc. XV-XVI), Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1996, pp.131-214 ed ora in “Mediterranea. Ricerche storiche” (online) 2012, pp. 135-246;
  • Itinerario storico, in G. GAMBERA, Scordia e dintorni, Scordia, Museo Civico Etno-Antropologico e Archivio Storico “Mario De Mauro”, 2002, pp.9-38;
  • Economie e risorse boschive nella storia della Sicilia, in Storia e risorse forestali, a cura di M. Agnoletti, Firenze, Accademia Italiana di Scienze Forestali, 2001, pp. 275-289 e in “Archivio storico siciliano”, s. IV, vol. XXIV (1998), pp.303-321;
  • Medici ebrei a Catania, in Medici e medicina a Catania. Dal Quattrocento ai primi del Novecento, a cura di M. Alberghina, Catania, Maimone, 2001, pp.35-39;
  • La questione forestale in Sicilia nella pubblicistica di metà Ottocento, in Diboscamento montano e politiche territoriali. Alpi e Appennini dal Settecento al Duemila, a cura di A. Lazzarini, Milano, F. Angeli, 2002, pp.232-253;
  • Forme e attori dello spazio urbano catanese, in La memoria ritrovata. Pietro Geremia e le carte della storia, a cura di F. Migliorino e L. Giordano, Catania, Maimone, 2006, pp.253-274;
  • La “ricetta” di un medico contro la povertà in una comunità ricca…di ferro, in Il ferro e il buon governo. L’utopia politica ed economica del dottor Grappein e la Valle d’Aosta ai primi dell’800, a cura di S. Noto, Quart (Valle d’Aosta), Musumeci editore, 2007, pp.177-203;
  • La Storia, in N. GAMBERA – D. VENTURA, Scordia. La Storia – Le Tradizioni – I Monumenti – L’Arte, Scordia, Museo Civico Etno-Antropologico e Archivio Storico “Mario De Mauro”, 2009, pp. 7-34.

d) Interventi a convegni:

  • Considerazioni su credito ed interesse in Sicilia (Randazzo, secc. XV-XVI), in Credito e sviluppo economico in Italia dal Medio Evo all’Età Contemporanea, “Atti del I Convegno Nazionale della Società Italiana degli Storici dell’Economia (Verona, 4-6 giugno 1987)”, Verona, Grafiche Fiorini, 1988, pp.173-190;
  • Intervento alla “XXI Settimana di Studi dell’Istituto Internazionale di Storia Economica «F. Datini» (Prato, 10-15 aprile 1989)”, in La donna nell’economia. Secc. XIII-XVIII, a cura di S. Cavaciocchi, Firenze, Le Monnier, 1990, pp.158-159;
  • Edilizia e società a Randazzo nel Quattrocento, in Catania e il suo territorio. Bilanci e proposte storiografiche (Catania, 9-10 gennaio 1998), [Atti non editi];
  • Vite e vigna nella Randazzo del ‘400, in I beni culturali dei centri minori: Randazzo, fra recupero e valorizzazione (Randazzo, 17-19 aprile 1998), [Atti non editi];
  • Economia e risorse boschive nella storia della Sicilia, in History and Forest Resources, “International Conference (Firenze, 20-23 may 1998)”, pubblicato in Storia e risorse forestali, a cura di M. Agnoletti, Firenze, Accademia Italiana di Scienze Forestali, 2001, pp.275-289 e in “Archivio Storico Siciliano”, s. IV, vol. XXIV (1998), pp.303-321;
  • La Sicilia preindustriale nell’inventario di una cartiera settecentesca, in Il lavoro come fattore produttivo e come risorsa nella storia economica italiana, “Convegno di Studi della Società Italiana degli Storici dell’Economia (Roma, 24 novembre 2000)”, a cura di S. Zaninelli e M. Taccolini, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp.337-356;
  • La questione forestale in Sicilia nella pubblicistica di metà Ottocento, in Processi di diboscamento montano e politiche territoriali. Alpi e Appennini dal Settecento al Duemila, “Convegno di Studio (Vicenza, 5-7 aprile 2001)”, pubblicato in Diboscamento montano e politiche territoriali. Alpi e Appennini dal Settecento al Duemila, a cura di A. Lazzarini, Milano, F. Angeli, 2002, pp. 232-253;
  • Forme e attori dello spazio urbano, in La memoria ritrovata. Pietro Geremia e le carte della Storia, “Convegno di Studio (Catania, 28-29 aprile 2003)”, pubblicato, con lo stesso titolo, a cura di F. Migliorino e L. Giordano, Catania, Maimone, 2006, pp. 253-274;
  • Tra storia e ambiente: viaggio nella Valle dell’Alcantara, in Centri storici e identità locale nella progettazione dello sviluppo sostenibile di sistemi del turismo, “Convegno di Studio (Catania, 27-29 ottobre 2003)”, a cura di V. Ruggiero e L. Scrofani, Catania, Dipartimento di Economia e Territorio dell’Università di Catania, 2004 [versione in CD];
  • Mondo rurale e Valdemone nel tardo Medioevo, in La Valle d’Agrò: un territorio, una storia, un destino, “Convegno Internazionale di Studi (Hotel Baia Taormina – Marina d’Agrò, 20-22 febbraio 2004)”, I. L’età antica e medievale, a cura di C. Biondi, Palermo, Officina di Studi Medievali, 2005, pp.133-152;
  • Amministratori inglesi in terra di Sicilia: la Ducea di Nelson, Bronte e i Thovez (1819-1871), in Vices temporum, “Giornata di studio nel 150° anniversario della nascita di Benedetto Radice (Bronte, 30 ottobre 2004)”, a cura di E. Galvagno, Bronte, Edizioni Esiodo, 2005, pp.61-78 e in “Annali della Facoltà di Economia dell’Università di Catania”, L (2006), pp. 129-152;
  • La «ricetta» di un medico contro la povertà di una comunità ricca…di ferro, in La figura e l’opera di César Emmanuel Grappein, “Convegno Internazionale in occasione del 150° anniversario della scomparsa (Cogne, 2 settembre 2005)”, pubblicato in Il ferro e il buon governo. L’utopia politica ed economica del dottor Grappein e la Valle d’Aosta ai primi dell’800, a cura di S. Noto, Quart (Valle d’Aosta), Musumeci editore, 2007, pp.177-203;
  • Storia dell’autonomia, in All’ombra del Paradiso. Storia di uomini e storia di santi nel territorio di Castel di Iudica (Castel di Iudica, 29 marzo 2008), Atti non editi;
  • Tavola rotonda su: Gli anni del Risorgimento. Randazzo: società, economia e fatti d’arme (Randazzo, 4 agosto 2011), Atti non editi;
  • Sul ruolo della Sicilia e di Amalfi nella produzione e nel commercio della carta: alcune considerazioni in merito, in Alle origini della carta occidentale: tecniche, produzioni, mercati (secoli XIII-XV), Atti del Convegno (Camerino, 4 ottobre 2013), a cura di G. Castagnari, E. Di Stefano, L. Faggioni, Fondazione Gianfranco Fedrigoni, Fabriano, Istituto Europeo di Storia della Carta e della Scienza Cartaria, 2014, pp. 95-119;
  • I siti produttivi siciliani e la loro breve stagione (secoli XVIII-XIX), in Il patrimonio industriale della carta in Italia. La storia, i siti, la valorizzazione, Atti del Convegno (Fabriano, 27-28 maggio 2016), Fondazione Gianfranco Fedrigoni, Fabriano, Istituto Europeo di Storia della Carta e della Scienza Cartaria (di prossima pubblicazione negli Atti).

  e) Articoli:

  • Aspetti economico-sociali della schiavitù nella Sicilia medievale (1260-1498), in “Annali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Catania”, XXIV (1978), pp.77-130;
  • Pirateria, guerra ed economia in Sicilia tra medioevo ed età moderna, in “Annali del Mezzogiorno”, XIX (1979), pp.11-102;
  • Sul commercio siciliano di transito nel quadro delle relazioni commerciali di Venezia con le Fiandre (secc. XIV-XV), in “Nuova rivista storica”, LXX (1986), pp.15-32;
  • Medici e istituzioni pubbliche in Sicilia. Una condotta medica a Randazzo nel 1467, in “Archivio storico siciliano”, s. IV, vol. XII-XIII (1986-87), pp.31-56;
  • Prezzi e salari a Randazzo agli inizi dell’età moderna, in “Nuova rivista storica”, LXXII (1988), pp.113-138;
  • Dall’Archivio Datini : spedizioni d’armi nella Sicilia del Vicariato (1387-1390), in “Archivio storico pratese”, LXV (1989), pp.85-107;
  • Masserie e mulini: strutture produttive nella Sicilia moderna, in “Rivista di storia dell’agricoltura”, XXX (1990), pp.17-41;
  • Grano “russo” nella Sicilia del Quattrocento, in “Archivio storico italiano”, CXLVIII (1990), pp.793-806;
  • Per una storia dell’edilizia urbana in Sicilia agli inizi dell’età moderna, in “Annali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Catania”, XXXVI (1990), pp.257-285;
  • Cronaca di un riscatto. Dalle lettere di Giovanni Carocci, mercante pisano “schiavo” in Tunisi (1384-1387), in “Ricerche storiche”, XXII, 1 (1992), pp.3-20;
  • Uomini e armi per la difesa costiera della Sicilia (da un’inedita relazione del primo Seicento), in “Ricerche storiche”, XXII, 3 (1992), pp.527-552;
  • Bagliori industriali nella Sicilia cinquecentesca: cenni di una ricerca, in “Ricerche storiche”, XXIV, 1 (1994), pp.3-18;
  • Epidemie e attività commerciale. La Sicilia di fine Trecento nei documenti dell’Archivio Datini, in “Società e storia”, 66 (1994), pp.723-740;
  • Quando il carcere era un affare. A proposito di “jus carceris” ovvero di “raxuni di prigionia”, in “Società calatina di storia patria e cultura. Bollettino”, 4 (1995), pp.217-242;
  • L’azienda Datini e il mercato dei pannilana in Sicilia, in “Annali della Facoltà di Economia dell’Università di Catania”, XLII (1996), pp.263-310;
  • Potere e criminalità nel Rinascimento siciliano: i Lucchesi di Naro, in “Società calatina di storia patria e cultura. Bollettino”, 5-6 (1996-97), pp.303-318;
  • “Privilegi” e iniziative industriali nell’Italia moderna: un fenomeno da riconsiderare, in “Annali della Facoltà di Economia dell’Università di Catania”, XLIII (1997), pp.7-30;
  • L’industria cartaria in Sicilia e le sue origini “settecentesche”, in “Annali della Facoltà di Economia dell’Università di Catania”, XLIV (1998), pp.137-162 e in “Ricerche storiche”, XXVIII, 2 (1998), pp.369-389;
  • Da un inedito rivelo (1636) un profilo del primo assetto demografico ed economico-sociale della Scordia moderna, in “Società calatina di storia patria e cultura. Bollettino”, 7-9 (1998-2000), pp.311-330;
  • Lo spazio e la corte del principe di Scordia. Documenti inediti sul palazzo Branciforti, in “AmpeloScordia. Bollettino di Storia e Cultura”, 1 (2000), pp.45-69;
  • Potere e spazio urbano nella società medievale: gli Alagona di Catania, in “Memorie e Rendiconti” dell’Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale, s. IV, vol. X (2000), pp.87-105;
  • Vite, zolfo e un prete innovatore nella Sicilia borbonica: Diego Costarelli (Acireale, 1854), in “Memorie e Rendiconti”, Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale, s. IV, vol. X (2000), pp.107-146;
  • Potere, violenza e criminalità organizzata a Scordia nei secoli XVI-XIX, in “AmpeloScordia. Bollettino di Storia e Cultura”, 2 (2001), pp.61-69;
  • Problemi d’inquinamento atmosferico nella Palermo borbonica (1831-1852). Prime note, in “Nuova Economia e Storia”, VII, 1-2 (2001), pp.39-47;
  • Rapporti agrari e vicende giudiziarie in un comune della Sicilia orientale tra Sette e Ottocento, in “Annali della Facoltà di Economia dell’Università di Catania”, L (2004), pp.5-26;   
  • Vicende agrarie in contrada “Pennisi” o “Vitarva” (Acireale, 1781-1875), in “Agorà. Periodico di informazione culturale”, V, 16 (2004), pp.38-43;
  • La breve parabola di un capomastro sfortunato nella Sicilia del ‘600: Clemente Rubino da Randazzo, in “Agorà. Periodico di informazione culturale”, V, 19/20 (2004/2005), pp.57-63;
  • Mineo e la sua scuola ebraica di alta formazione medica (secoli XIV-XV), in “AmpeloScordia. Bollettino di Storia e Cultura”, VI, 1 (2005), pp.47-57;
  • Per la storia delle élites locali. Il Consiglio Civico a Scordia tra il 1787 e il 1804, in “AmpeloScordia. Bollettino di Storia e Cultura”, VII, 2 (2006), pp.121-143;
  • Santi Floridia, storico e geografo ispicese (1891-1940), in “Hispicaefundus. Rivista di storia e di cultura della Società Ispicese di Storia Patria”, V, n. 11, dicembre 2008, pp. 3-11 e, con il titolo Santi Floridia. Preside della Facoltà (1939-1943). Cenni bio-bibliografici, in “Annali della Facoltà di Economia dell’Università di Catania”, LIV (2008), pp. 155-167.
  • Politica ed economia tra pubblico e privato. L’ascesa di un notaio “angioino” alle corti d’Aragona e di Sicilia, in “Nuova Rivista Storica”, XCII, fasc. III (2008), pp. 773-794.
  • Alle origini della Facoltà di Economia di Catania, in “Annali di Storia delle Università italiane”, 13 (2009), pp. 397- 408;
  • Un moderno Indiana Jones nell’Archivio di San Rocco [di Scordia], in “AmpeloScordia. Bollettino di Storia e Cultura”, XI, 19 (2010), pp. 89-91;
  • L’economia agraria del Calatino nella pubblicazione di un alto funzionario del Regno (Giuseppe Fovel, 1876), in “Rivista di Storia dell’Agricoltura”, L, 1 (2010), pp. 97-126;
  • Zolfo, mantici e un prete innovatore nella Sicilia borbonica, in “Nuova Economia e Storia”, XVII, n.1-2 (2011), pp. 37-66;
  • Nascita di una moderna azienda vitivinicola nella Sicilia postunitaria, in “Nuova Economia e Storia”, XVII, n.3 (2011), pp. 13-36;
  • Corrado Barbagallo. Il fulmineo passaggio di un Maestro nel R. Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Catania, in “Annali di Storia delle Università italiane”, 15 (2011), pp. 339-350;
  • Produzione e vendita di vino in un mercato siciliano di fine Ottocento, in “Nuova Economia e Storia”, XVII, n. 4 (2011), pp. 29-52;
  • Carlo M. Cipolla, straordinario di Storia delle esplorazioni geografiche nella Facoltà di Economia e Commercio di Catania (1949-53), in “Annali di Storia delle Università italiane”, 16 (2012), pp. 309-318;
  • Gaetano Platania, un geologo acese nel R. Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Catania (1923-30), in “Memorie e Rendiconti”, Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale, s. VI, vol. I (2012), pp. 121-144;
  • Fiscalità statale e banchieri privati nella Sicilia alfonsina. A proposito dei meccanismi di riscossione e di deposito della regia collecta, in “Nuova Rivista Storica”, XCVIII, fasc. I (2014), pp. 267-288;
  • Vincenzo Feo (1844-1906). Profilo di un imprenditore che, dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi del Novecento, risuscitò e fece grande il cotonificio siciliano, in “Agorà. Periodico di informazione culturale”, n. 49 (2014), pp. 34-41;
  • In tema di consumi popolari. La neve di Buccheri sul mercato di Scordia (1636), in “AmpeloScordia. Aperiodico di Storia e Cultura”, a. XVI, n. 1, s. II (2015), pp. 18-25;
  • Umberto Toschi, ovvero la Geografia tra ricerca e didattica nella Facoltà di Economia dell’Università di Catania (1933-35), di prossima pubblicazione in “Annali di Storia delle Università italiane”.

f) Recensioni:

  • G. BARBERA CARDILLO, La Calabria industriale preunitaria. 1815-1860, Napoli, ESI, 1999, in “Nuova Economia e Storia”, V, 1-2 (1999), pp.115-117;
  • G. DE GENNARO, Piccoli paesi e grandi nazioni. Scritti di storia europea (secc. XVI-XX), Torino, Giappichelli, 1998, in “Nuova Economia e Storia”, VI, 1-2 (2000), pp.105-107;
  • A. SIGNORELLI, Tra ceto e censo. Studi sulle élites urbane nella Sicilia dell’Ottocento, Milano, F. Angeli, 1999, in “Nuova Economia e Storia”, VI, 3 (2000), pp. 111-114.

g) Altro:

  • Presentazione a L. GENUARDI, Sui demani comunali di Palagonia, a cura di A. Cucuzza, “Società calatina di storia patria e cultura. Studi e ricerche”, 1, Caltagirone 1997, pp.7-9;
  • Presentazione a A. CARUSO, Caltagirone e gli Alleati. Politica e società, 9 luglio 1943-25 gennaio 1944, Catania, Le Nove Muse, 2004, pp. 9-11;
  • Prefazione a A. CARUSO, Il Piano Marshall e la Sicilia. Politica ed economia, Torino, Giappichelli, 2013, pp. VII-VIII.

h) Collaborazione con saggi e recensioni alle seguenti riviste:

  • «Agorà. Periodico di informazione culturale»
  • «AmpeloScordia. Bollettino di Storia e Cultura»
  • «AmpeloScordia. Aperiodico di Storia e Cultura»
  • «Annali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Catania»
  • «Annali della Facoltà di Economia dell’Università di Catania»
  • «Annali del Mezzogiorno»
  • «Annali di Storia delle Università italiane»
  • «Archivio storico italiano»
  • «Archivio storico pratese»
  • «Archivio storico siciliano»
  • «Hispicaefundus. Rivista di storia e di cultura della Società Ispicese di Storia Patria»
  • «Memorie e Rendiconti dell’Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale»
  • «Nuova Economia e Storia»
  • «Nuova rivista storica»
  • «Ricerche storiche»
  • «Rivista di storia dell’agricoltura»
  • «Società e Storia»
  • «Società calatina di storia patria e cultura. Bollettino».

(aggiornato al luglio 2016)

Domenico Prof. Ventura

 

Articoli e Pubblicazioni

 

 

LINK

Domenico Ventura: “Randazzo e il suo territorio tra medioevo e prima età moderna”   (le prime 16 pagine del libro).  

Domenico Ventura : “ Masserie e Mulini strutture produttive nella Sicilia Moderna “.

REPERTI ARCHEOLOGICI PRESENTI NEL MUSEO (in lavorazione)

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GIUSEPPE VELASCO

 

Giuseppe Velasco nacque a Palermo nel 1750 da genitori spagnoli, Fabiano Ugo de Generalife e Anna Rodriguez.

Fin da giovanissimo appassionato di pittura, a 15 anni mutò il suo cognome in onore del pittore spagnolo Diego Velázquez, secondo alcuni per l’esistenza di una lontana parentela.
I pittori Gaetano Mercurio e Giuseppe Tresca  furono i suoi principali maestri ma nelle sue opere appaiono ben evidenti le influenze raffaelliane.

Giuseppe Velasco dipinto da Giuseppe Patania

Dal 1795 ebbe inizio una collaborazione intensa e prolifica con l’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia con il quale collaborò alla decorazione del palazzo Costantino, della Villa Belmonte all’Acquasanta e di Palazzo Geraci.
Tra le maggiori opere di Giuseppe Velasco si ricordano le decorazioni del palazzo Belmonte Riso, della villa Valguarnera a Bagheria, della chiesa di S. Antonio di Padova, dell’Orto Botanico, della Casina Cinese nel Parco della Favorita, della grande sala del Parlamento al Palazzo Reale,  della Chiesa di Montevergini e della Casina Reale di Ficuzza.

Lavorò alla realizzazione di tele in tutta la Sicilia dalla quale sembra non si sia mai allontanato.

Fondò l’Accademia del Nudo presso la Regia Università a Palermo e la diresse fino alla sua morte, che avvenne a Palermo nel 1827.
Una sua opera, la “Gloria di Santa Chiara”, si trova a Lentini nella chiesa della SS trinità e San Marziano.

Giuseppe Velasco (Palermo, 16 dicembre 1750 – Palermo, 7 febbraio 1827) è stato un pittore italiano.
Giuseppe Velasco o Giuseppe Velázquez (correnti le varianti Velásquez o Velasquez o Velásques o Velasques) è in Sicilia e in Italia uno dei più importanti rappresentanti del neoclassicismo del tardo XVIII e inizio XIX secolo. Figlio di genitori spagnoli Fabiano Ugo de Generalife e Anna Rodriguez, all’età di 15 anni decide di cambiare il suo cognome in omaggio al grande pittore spagnolo Diego Velázquez. Sacerdote francescano scopre la passione per la pittura e nel 1770 sposa Marianna Puleo. Nel 1798 incontra Vincenzo Riolo concedendone in sposa la figlia Anna. Per lungo tempo lavora con l’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia insieme al quale esegue diversi lavori: Palazzo Costantino di Palermo e la Palazzina Cinese nel Parco della Favorita di Palermo.
Nel periodo 1785 – 1790 collabora con l’architetto Léon Dufourny per la scuola del Giardino Botanico Reale di Palermo dove manifesta la sua piena maturità artistica.
Sotto il regno dei Borboni in Sicilia negli anni 1798 – 1802 e 1806 – 1815 trae i favori della sua origine spagnola.
Ottiene i consensi del Vice Cancelliere Caramanico il quale assegna assieme al Marvuglia, varie commissioni della corte borbonica. Nel 1805 è nominato direttore di artistico presso la Regia Università di Palermo.

Allievo dei pittori Gaetano Mercurio e Giuseppe Tresca, insegnante di Valerio Villareale, si dedica in particolare alle rappresentazioni mitiche e religiose eseguite con la tecnica a olio e prodotto numerosi ritratti personaggi per lo più borbonici.

Velasco – Crocifissione – Siracusae.


Tecniche abituali: il bianco e nero, la pittura a fresco, imitando lo stile di Raffaello dal quale trae fonte di ispirazione. Ha avuto grande interesse per il pittore Pietro Novelli, del quale ha restaurato molte opere e sviluppato le sue abilità di osservatore e copiatore.
Le sue opere principali si trovano a Palermo, in Sicilia, territorio che non ha mai abbandonato durante tutto il suo operato.
È sepolto nella Cripta dei Cappuccini a Palermo.

Opere
Affreschi
• 1767, Ciclo, affreschi eseguiti come discepolo di Giuseppe Tresca nella realizzazione delle volte della navata centrale: La Regina Ester al cospetto di Re Aussero, Giuditta, Assunzione della Madonna al Cielo. Quattro quadri, due del Nuovo Testamento lato cornu evangelii e due del Vecchio Testamento lato cornu epistolae del duomo della Vergine Santissima Del Soccorso di Castellammare del Golfo.
• 1776, Ciclo, affreschi con scene della vita del conquistatore di Costantinopoli, opere realizzate nel Palazzo Costantino di Palermo.
• 1776, Storie di Mosè e Storie di Sant’Antonio di Padova, affreschi raffiguranti gli episodi della Vergine che offre il Bambino a Sant’Antonio, Il piede riattaccato, La predica ai pesci, La risurrezione del morto, Sant’Antonio e i mendicanti, opere presenti nelle volte delle cappelle della chiesa di Sant’Antonino di Padova di Palermo.
• 1792 – 1796, Ciclo, affreschi del Gymnasium dell’Orto botanico di Palermo.
• 1798, Ciclo di Santi, raffigurazioni di San Pietro, San Matteo, San Paolo e Sant’Andrea, affreschi realizzati nella chiesa di San Matteo al Cassaro di Palermo.
• 1799, Apoteosi di Ercole e delle sue gesta, ciclo di affreschi realizzati nelle volte e sulle pareti del Salone di Ercole del Palazzo Reale di Palermo.[1]
• 1805, Ciclo, affreschi mitologici realizzati nella Palazzina Cinese nel Parco della Favorita di Palermo.
• ?, Psiche condotta nell’Olimpo da Mercurio e tele con Storie di Amore e Psiche, opere presenti nel Palazzo Ganci di Palermo.
• ?, Decorazioni monocromatiche, raffigurazioni di Storie di Santa Chiara, affreschi presenti nella chiesa di Santa Maria degli Agonizzanti di Palermo.
• ?, Decorazioni sovra porta, affreschi realizzati nel Palazzo Trabucco della Torretta di Palermo.
Dipinti ad olio
• 1772 – 1775, Ciclo, San Benedetto che abbatte gli idoli, Estasi di Santa Scolastica e Presentazione al tempio, dipinti su tela, opere commissionate per la chiesa di San Biagio di Nicosia.

Santa Rosalia – Palermo

• 1775, San Benedetto, dipinto su tela, opera custodita nella chiesa dell’Immacolata Concezione al Capo di Palermo.[2]
• 1787, Miracolo di San Vincenzo Ferreri, dipinto su tela, opera custodita nella chiesa di San Domenico di Palermo.[3]
• ?, Ritratto di Santa Rosalia, dipinto su tela, opera custodita nella Cappella di Santa Rosalia, transetto della Cattedrale di Palermo.
• 1797c., Arcangelo Raffaele, dipinto su tela, opera custodita nella cappella eponima della basilica di San Francesco d’Assisi di Palermo.[4]
• 1799, Il Sogno di Guglielmo il Buono, dipinto su tela, opera documentata sulla scala del monastero dell’Ordine benedettinodi Monreale.
• 1801, Assunzione di Maria, dipinto su tela, opera custodita nella Cattedrale di Palermo.
• 1803, Santa Cristina incoronata da Cristo, dipinto su tela, opera custodita nella Cappella di Santa Cristina della Cattedrale di Palermo.
• 1808, Presentazione a San Benedetto, dipinto raffigurante San Benedetto, San Placido e San Mauro, opera custodita nella chiesa di San Salvatore di Noto.
• 1808, Adorazione dei Magi, dipinto su tela, commissione per la chiesa di San Salvatore di Noto.
1809, Annunciazione, Assunzione, Incoronazione della Vergine, ciclo mariano di tele, opere custodite nella basilica minore di Santa Maria Assunta di Randazzo.
1812 – 1816, Martirio di Sant’Andrea, Martirio dei Santi Filippo e Giacomo, Sacra Famiglia, ciclo di tele, opere custodite nella basilica minore di Santa Maria Assunta di Randazzo.
• XVIII secolo, Consegna delle chiavi a San Pietro, dipinto su tela, opera conservata nel duomo della Natività di Maria di Castelbuono.
• XVIII secolo, Miniature, decorazioni di portantina settecentesca, opera custodita nella sacrestia del duomo della Natività di Mariadi Castelbuono.
• XVIII secolo, Deposizione, dipinto su tela, opera conservata nel duomo della Natività di Maria di Castelbuono.
• XVIII secolo, Opera, dipinto su tela, opera conservata nella chiesa di Santa Rosalia di Corleone.
• XVIII secolo, San Benedetto, dipinto su tela raffigurante il fondatore dell’Ordine benedettino nell’atto di ricevere la veste, accompagnato dai discepoli, opera custodita nella chiesa di San Giorgio in Kemonia di Palermo.[5]
• XVIII secolo, Resurrezione di Nostro Signore e Adultera, dipinti su tela, opere custodite nella cattedrale di San Nicolò di Nicosia.
• XVIII secolo, Noli me tangere, olio su tela, opera custodita nella chiesa di Santa Lucia di Mistretta.
• 1793, San Paolo cura gli infermi, San Paolo cura il padre di Publio, dipinti su tela, opere custodite nel corodella chiesa di San Paolo Naufrago di La Valletta, Malta.
• Appartengono allo stesso ciclo e commissione del vescovo Vincenzo Labini: Maria Vergine della Provvidenza 1804, Maria Vergine della Carità con San Giuseppe, San Gaetano, Sant’Agata, Gloria di San Filippo raffigurato con le anime del Purgatorio.
Ritratti
Velasco dipinge i ritratti di Giuseppe Ventimiglia, Monsignor Antonio Ciafaglione, Ferdinando III, Ignazio Marabitti e della famiglia Airoldi Marchesi di Santa Colomba d’origine lombarda.

 

Opere di Giuseppe Velasco esposte nella Basilica di Santa Maria – Randazzo

 

Velasco martirio di Sant’Andrea – Basilica di Santa Maria – Randazzo

Velasco (o Velasques). Assunzione di Maria. Basilica Santa Maria Randazzo 1809. Il quadro è stato restaurato nel 1887 dal prof. Pizzillo da Palermo.

 

Velasco (o Velasques). Incoronazione di Maria vergine. Basilica di Santa Maria – Randazzo (1809). Il quadro nel 1887  viene restaurato dal prof. Pizzillo da Palermo.

Velasco. Sacra Famiglia. Chiesa di Santa Maria – Randazzo (1823)

 

Velasco (o Velasques).- Annunciazione – Basilica Santa Maria Randazzo sec. XIX

Velasco ( o Velasques). Martirio dei Santi Filippo e Giacomo. Basilica Santa Maria Randazzo sec. XIX

ANGELO ZIRILLI

 

Angelo Zirilli incontra la musica giovanissimo, all’ età di 7 anni, studiando pianoforte, chitarra e basso elettrico.

Consegue il Diploma di Basso Tuba presso il Conservatorio “A. Corelli“ di Messina. Successivamente consegue il Diploma Accademico di II livello in Composizione e Direzione d’Orchestra Fiati, sotto la guida dei Maestri Carmelo Chillemi per la Composizione e Lorenzo Della Fonte e Bruno Cinquegrani per la Direzione d’Orchestra.

Nel corso degli anni ha accumulato esperienze musicali in ogni campo, ha svolto numerose tournèe all’estero, effettuando spettacoli musicali negli Emirati Arabi, in Tunisia, in Arabia Saudita, in Inghilterra, a Malta e in tutta Italia. Grazie agli studi di Composizione si è recentemente approcciato allo studio dell’ Organo.

Per 10 anni ha fatto parte della prestigiosa Orchestra di Fiati del Conservatorio “A. Corelli“ di Messina, composta da oltre 100 elementi, e attualmente diretta dal Maestro Lorenzo Della Fonte, con la quale ha eseguito i maggiori repertori per orchestra di fiati antichi e moderni collaborando con musicisti di fama mondiale, ha seguito numerosi corsi di formazione e perfezionamento, ha partecipato alle registrazioni di numerosi CD con diversi organici strumentali incidendo brani editi ed inediti. Ha fatto parte dell’ Orchestra “Taormina Opera Stars” eseguendo numerose opere liriche presso il Teatro Greco di Taormina.

Per 12 anni ha ricoperto la carica di Capobanda Artistico presso L’Associazione – Complesso Bandistico “E. Marotta“ di Randazzo, della quale da 4 anni si onora di essere il Maestro Direttore e Concertatore, e a cui ha dedicato la propria tesi di laurea: INTROSPECTUM – Poema Sinfonico dedicato alla Banda di Randazzo in occasione del 170° anniversario dalla fondazione”, eseguito dalla stessa Banda il 1° aprile 2017 presso l’Auditorium del Conservatorio di Messina.

Dal 2005 cura la Scuola Musicale degli Allievi della Banda di Randazzo, insieme a tutti gli altri insegnanti con i quali collabora, ottenendo grandi risultati e presentando ogni anno presso i diversi Conservatori italiani numerosi allievi, che con grande onore portano in giro per il mondo la tradizione bandistica Randazzese.

Attualmente insegna Teoria, Analisi e Composizione presso il Liceo Musicale “T. Gargallo” di Siracusa.

 



breve storia dell’Associazione:

 Associazione – Complesso Bandistico della Scuola Musicale “Erasmo Marotta”  – Randazzo 

         La Banda di Randazzo vanta una gloriosa storia, quest’anno compie il suo 172° anniversario dalla fondazione, avvenuta nel lontano 1847. E’ tra le più antiche della Sicilia, e dal 1847 non ha mai interrotto la sua attività se non a causa degli eventi bellici della seconda guerra mondiale.
            Nel 1967 i musicanti si costituirono in Associazione, e nel 1987 l’Associazione è stata rinnovata assumendo l’attuale denominazione, intitolata all’illustre concittadino Erasmo Marotta (Randazzo 1565 – Palermo 1641) musicista e compositore, ritenuto dai Musicologi l’inventore del Dramma Pastorale in musica.
            Nel corso degli anni numerosi ed insigni Maestri si sono succeduti alla direzione del Complesso Bandistico, tra tutti si necessita di ricordale l’illustre Maestro Lilio Narduzzi, il quale diede nuovamente lustro alla Banda dopo la breve pausa del periodo bellico, in cui Randazzo fu sottoposta a terribili bombardamenti, e dei successivi anni di ricostruzione.
In seguito, Maestri della Banda dei tempi odierni sono stati G. Blanca, A. Sapienza, S. Miraglia e A. Trazzera.
            Attualmente l’Associazione è guidata dal Presidente Antonio Greco, mentre l’organico di circa 45 elementi e la Scuola Musicale sono affidati al Maestro Angelo Zirilli ed ai suoi collaboratori.
            La Banda svolge numerose attività concertistiche, organizzando concerti e partecipando ai raduni bandistici, collaborando spesso con musicisti di chiara fama, uno su tutti, Massimo Greco, che ebbe i suoi natali musicali proprio in questa Associazione, e che porta in alto il nome di Randazzo nel panorama musicale internazionale del Jazz e del Pop suonando con artisti del calibro di Zucchero e Ligabue, e producendo sempre musica di altissima qualità e di grande stile attraverso i suoi dischi.

 

LA CINTA MURARIA

     
La caratteristica predominante delle città medievali è essenzialmente costituita dalla costruzione di maestose e insuperabili mura di cinta a difesa dell’abitato
.

La costruzione di questa particolare tipologia architettonica del medioevo era ben presente nella Città di Randazzo e cingeva gran parte del nucleo urbano.
Le mura di cinta furono edificate intorno al XI secolo, durante la dominazione sveva, ma alcune fonti ne fanno risalire la costruzione già dal I secolo a.C. Il circuito murario, che avvolgeva tutta la città, era lungo circa 3 km, l’altezza delle mura era compresa tra i 5 e i 10 m. con uno spessore di 2 m.
Costruite interamente in pietra lavica e composte da pietrame grossolano e di media grandezza, sulla sommità era presente anche un passaggio che consentiva il controllo sia all’interno che all’esterno dell’abitato, inoltre robusti merli ornavano e proteggevano il camminamento.
Erano compresi nel circuito della cinta muraria anche 8 torri (tra cui il Castello Svevo, la Torrazza di San Domenico) e 12 porte (porta Pugliese, porta Buxemi, porta della Giustizia, porta Santa Caterinella, porta San Martino, porta Santa Maria di Gesu, porta San Giuseppe, porta San Francesco di Paola, porta del Carmine, porta Aragonese, porta dell’Erba Spina e porta della Fontana Nuova), costruite o ricostruite tra XI e XVII secolo.

 

Pianta realizzata dall’arch. Charles Musarra 1983

Ai giorni nostri di questa importante opera difensiva rimane un tratto che dalla collina del Convento di San Giorgio percorre un tratto della via Bonaventura ed altre porzioni di mura tra la porta San Martino e la Porta San Giuseppe.
Delle 12 antiche porte sono sopravvissute ai tempi solo 4, forse le più importanti, porta Aragonese, porta Pugliese, porta San Martino, porta San Giuseppe.
Mentre, il Castello Svevo è l’unica torre è giunta fino a noi, oggi sede del Museo Archeologico Paolo Vagliasindi.

Porta Aragonese è la porta di accesso orientale della città, deve il suo nome al Re Pietro III d’Aragona che la restaurò nel 1282, fu denominata anche Porta degli Ebrei, Porta di San Giuliano, Porta di Santa Maria, Porta ‘o mustu (poiché chi voleva introdurre in città merci, ed in particolare vino o mosto, era obbligato a passare da questa porta per pagare il dazio doganale).

Porta San Martino è collocata all’estremità ovest del paese, nel quartiere di San Martino da cui prese il nome, anche denominata porta Dogana o porta Palermo perchè da lì passava la Regia Trazzera che da Messina portava a Palermo.

Porta San Giuseppe porta il nome dell’omonima chiesa nelle vicinanze, oggi non più esistente.

Porta Pugliese, probabilmente dal nome di una ricca famiglia che abitava nelle vicinanze è la porta che si affaccia a nord lungo il corso del fiume Alcantara.

Il Castello Svevo, o Castello Carcere  fu dimora di Federico II di Svevia, in seguito e fino al 1973 fu adibito a carcere comunale. Restaurato negli anno ’90, dal 1998 è sede del Museo archeologico Paolo Vagliasindi. 

A cura di Lucio Rubbino

 

              

 

 

 

Porta San Giuseppe – Randazzo

Porta San Martino – Randazzo

 

Porta Pugliese – Randazzo

 

Porta Aragonese – Randazzo

ISIDORO RACITI

Isidoro Raciti è nato a Giarre (CT) nel 1957.

Isidoro Raciti

Pittore-poeta, da oltre quarant’anni si dedica alla pittura con impegno, interessandosi particolarmente alla carta quale nobile mezzo di comunicazione ed espressione, eccellente ed insostituibile supporto della parola e dell’immagine.
Attivo e stimolante giornalista, operatore e mediatore culturale, dai primi anni Settanta ad oggi, è stato più volte segnalato dalla critica e vincitore di moltissimi concorsi e premi artistici e letterari.
Gli è stato assegnato il Premio Europeo di Giornalismo “G. Macherione”.Oltre ad aver diretto varie testate giornalistiche, ha fondato e diretto i mensili di cultura lo Stilo, il cui logo di testata veniva pubblicato per gentile concessione del Museo del Louvre di Parigi, No Comment e, successivamente, Sicilia Tutto Qui.

Alcune sue opere pittoriche figurano in diverse collezioni pubbliche e private (anche in musei e fondazioni), in Italia e all’estero, mentre altre sono state utilizzate come “immagine” in prestigiose circostanze.
Sue liriche sono state tradotte, pubblicate e recensite su riviste ed antologie tra le più conosciute e diffuse.
Numerosi gli articoli giornalistici, le recensioni ed i servizi radiotelevisivi a lui dedicati nel corso della sua articolata attività.

Ha esposto in permanenza soprattutto in Spagna presso le Eurogalerias de Arte “Llamas(Bilbao, Fuenterrabia, Las Arenas, Malaga, Marbella, San Sebastian) e la Arte Galeria “Antonia Ferrero” in Portugalete.Ha pubblicato e curato una cinquantina di volumi (poesia, arte ed altro).
Fra le sue attività culturali di maggior successo ricordiamo il “Premio TORRE ARCHIRAFI”  Rassegna Internazionale d’Arte e Cultura  fra le più quotate e stimate nel panorama artistico-culturale, che ha organizzato per dieci anni.
Fra i premiati con l’ambito riconoscimento: Museo del Louvre di Parigi, Governo Svizzero, Francisco Goya (alla memoria), 

Insolito Amore – Isidoro Raciti

Maestro Alberto Sughi.
Altre manifestazioni di prestigio: la storica Antologica del Maestro Archimede Cirinnà (già pittore del Vaticano); la presentazione del volume Capolavori della Pittura Italiana ’800 e 900 nelle Collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Mario Ursino; un apprezzato documentario sulla vita di Federico II e sui castelli normanni dell’area jonico-etnea, per la Fondazione Federico II dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Successivamente ha ideato e condotto per due anni consecutivi l’Oscar Internazionale dell’Acqua segno di Vita. Tra i premiati: la NATO, il Palazzo di Versailles, il Museo Archeologico Etrusco delle Acque di Chianciano Terme, la Pedrollo S.p.A., Piscine Castiglione, Viorica – fontane danzanti, la Chiesa Cattolica in Giordania (in memoriale del Battesimo di Cristo), il Comune di Longarone.
Ha prospettato la possibile creazione di un Museo d’Arte Tematico dell’Etna (MATE).Dai primi anni Novanta consolida una significativa e vitale amicizia con un suo particolare estimatore, per anni curatore delle sue mostre iberiche, Mario Angel Marrodán (poeta spagnolo, saggista, biografo e membro dell’Associazione Internazionale dei Critici d’Arte, recentemente scomparso).
Sempre affascinato dalla carta, è l’artista che si interessa maggiormente a questo insostituibile supporto e che, negli ultimi vent’anni, ha prodotto vari libri e cataloghi su carta fatta a mano, anche filigranata e copertine con stampa a secco (torchio a stella), come nel caso di OMAGGIO all’ETNA (HOMAGE to ETNA) Euthymìa Ætnensis, che presenta nel 1998 alle Ciminiere di Catania e al Comune di Milo (CT) in tiratura limitata; nonché il catalogo ufficiale de i 1000 anni della Carta in Sicilia – interamente realizzato a mano su carta “Franco Conti”, in tiratura limitata e due copie in P.d.A. (2003).
L’originale collezione “i 1000 anni della Carta in Sicilia” costituisce l’unico evento per ricordare i mille anni della introduzione, da parte degli Arabi, della carta in Sicilia.
Il Catalogo è stato curato dal Dott. Mario Ursino (g

Un diavolo per capello – Isidoro Raciti

ià Funzionario e Storico dell’Arte della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, docente di Legislazione dell’Arte ed eminente esperto di De Chirico).La prima esposizione ha avuto luogo al Castello Nelson di Bronte (CT).
Nell’occasione, lo stesso dott. Ursino ha auspicato un maggior interesse da parte degli Enti Pubblici verso l’opera artistica del Raciti, la quale -a suo avviso- meriterebbe un inserimento ancor più esteso e capillare in ambiti museali, al fine di essere ampiamente conosciuta.
Messaggi di congratulazioni e vive espressioni di apprezzamento per le stupende opere e per l’iniziativa culturale sono giunti anche da parte del Papa, del Presidente della Repubblica e da varie Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea tra le più prestigiose.
Successivamente l’Artista è stato invitato ad esporre i due pannelli più grandi  (mt 3 x 2)  alla mostra Vernice art-fair della Fiera di Forlì.
Nel 2011, su invito delle Terme di Chianciano (SI), del Museo Archeologico delle Acque e del Comune di Chianciano Terme, ha presentato il catalogo MOS MAIORUMIl costume degli antenati (poesie e opere pittoriche) con récital, mostra e spettacolo VIORICA – Fontane Danzanti a lui dedicato, con grande successo di pubblico e di critica.
Nel 2012, su invito dell’Associazione Salus (C. D’Agostino Onlus) e del P.O. “San Vincenzo” Taormina – Divisione Oncologia Medica, ha presentato, a scopo benefico, il catalogo La nostra Isola (acquerelli e pastelli) in occasione della esposizione al pubblico dell’inedita Collezione.
Su invito del prestigioso Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano, nel 2013, ha presentato la Collezione TRACCE dedicata al Museo e alla sua storia, evento che ha riscosso un notevole successo di pubblico e di critica, testimoniato dalla presenza di oltre trentamila visitatori.
I fogli di carta appaiono chiari protagonisti in ogni opera, così come nella poesia Trame di luce che inaugura e condensa il percorso dell’intera collezione, che consta di trenta opere su carta fatta a mano Fabriano.
Oltre al Museo e al Comune di Fabriano, hanno collaborato all’organizzazione la Libera Associazione Culturale L’IMPEGNO, la Collana editoriNproprio e il Comitato Archivio Artistico Documentario Gierut.
Il catalogo della Collezione, rilegato a mano, contiene un’articolata nota del critico d’arte Lodovico Gierut, un testo del Dott. Mario Ursino, una testimonianza del Dott. Fabrizio W. Luciolli (Presidente dell’Atlantic Treaty Association e del Comitato Atlantico Italiano NATO), la Presentazione dell’Assessore al Turismo – MCF del Comune di Fabriano, l’Introduzione del Dott. Giorgio Pellegrini (Dir. MCF), la Prefazione del Prof. Pietro Guarnotta. Curatrice dell’evento: Prof. Rosa Pino. Le opere sono state punzonate a cura del Museo accanto alla firma dell’autore.
L’artista, negli ultimi anni, realizza le sue opere soprattutto su carta fatta a mano, da lui definita  “la grande Signora, nobile e fantasiosa”.
Nel 2012 ha realizzato la collezione Il destino comune degli artisti – Omaggio a Jackson Pollock (28 gennaio 1912 – 11 agosto 1956) per ricordare, a cento anni dalla nascita, il pittore statunitense capostipite dell’Action Painting ed “eccellente protagonista sensitivo dell’essenza dell’Arte”, come il Raciti stesso lo definisce.
La relativa brochure è stata realizzata in occasione della Personale di Pittura presso “Casa Cuseni” Museo delle Belle Arti – Città di Taormina (agosto 2015).Recentemente è stato inserito nel circuito delle mostre previste in occasione del gemellaggio tra i Comuni di Pietrasanta (LU) e Cefalù (PA); è stato, inoltre, invitato, insieme ad un piccolo gruppo di artisti selezionato da qualificati critici d’arte, a realizzare, in omaggio al grande Antonello da Messina, un’opera pittorica su una tavoletta avente le stesse dimensioni del celebre Ignoto marinaio, custodito all’interno del Museo Mandralisca di Cefalù, affinché resti permanentemente esposta presso lo stesso Museo.
Di prossima pubblicazione: Del silenzio dell’Arte, Il sogno astratto, Antologia poetica.

 

 

Tel. +39 338 7949279                                                                    Mail: isidoro.raciti57@gmail.com

 

Sito dell’Artista: www.racitiarte.com  (in fase di rielaborazione).

Ulteriori notizie reperibili su YouTube e su Facebook (profilo dell’Autore).

 

Realizzazioni artistiche e attività culturali

  • MILLE ANNI DELLA CARTA IN SICILIA
  • Pittore, poeta e autore di numerosi volumi;
  • Fondatore e Segretario dell’Associazione “Premio TORRE ARCHIRAFI” Rassegna d’Arte e Cultura (internazionale);
  • Già Direttore Responsabile-Editore del mensile d’Informazione e Libere Opinioni Lo Stilo (con logo di testata pubblicato per gentile concessione del Museo del Louvre di Parigi), gli è stato conferito il Primo Premio Europeo di Giornalismo intitolato a Giuseppe Macherione;
  • Già Direttore Responsabile di Radio Universal TV, del Radio Giornale Punto Ora Informazione, di Radio Giarre Sera e del quindicinale sportivo Cuore GialloBlu, nonché Direttore Responsabile del Periodico Nel mio Comune e Direttore Responsabile e Direttore Editoriale del periodico No Comment, Direttore Responsabile e Direttore Editoriale del quotidiano online Sicilia Tutto Qui.
  • Giornalista Pubblicista (ha pure collaborato con il quotidiano Gazzetta del Sud);

    Juvenilia – Isidoro Raciti

  • Addetto stampa con incarichi di pubbliche relazioni e responsabile organizzativo;
  • Presentatore radiotelevisivo e ideatore di vari programmi;
  • Insegnante di Comunicazione (Corso Europeo per Esperto Reti Locali);
  • È stato coordinatore e moderatore di una conferenza, tenuta dal Ministro degli Esteri italiano del tempo, sul tema L’Italia nell’Europa che conta: quali opportunità per i giovani del Mezzogiorno?;
  • Nel 1992 ha allestito la storica Antologica del Maestro Archimede Cirinnà (già pittore del Vaticano);
  • Negli ultimi anni, presente in prestigiose esposizioni, ha firmato varie personali di successo;
  • È stato responsabile organizzativo e coordinatore della presentazione del volume Capolavori della Pittura Italiana ’800 e 900 nelle Collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Mario Ursino (Funzionario e Storico dell’Arte del predetto Museo romano);
  • Per la Fondazione Federico  II dell’Assemblea Regionale Siciliana ha diretto un apprezzato documentario sulla vita di Federico II e sui castelli normanni dell’area jonico-etnea;
  • Ha curato l’organizzazione per la presentazione al pubblico del romanzo Pazzo di Pietro Guarnotta, autore della commedia Fausto, vincitrice del concorso UILT (Unione Italiana Libero Teatro), messa in scena per la regia di Guglielmo Ferro;
  • Ha presentato a Firenze la XIV edizione del Premio Enogastronomico Internazionale “Caterina de’ Medici”;
  • Negli ultimi anni ha esposto in permanenza soprattutto in Spagna presso le Eurogalerias de Arte “Llamas” (Bilbao, Fuenterrabia, Las Arenas, Malaga, Marbella, San Sebastian) e la Arte Galeria “Antonia Ferrero” in Portugalete;
  • Dal 1995 è collaboratore, coordinatore, ideatore programmi e conduttore televisivo di Euro TV – Produzioni Video & Service;
  • Dal 2003 è curatore dell’originale Collana editoriNproprio, ideata insieme a Pietro Guarnotta per stimolare la divulgazione di ogni valido e meritevole prodotto intellettuale;
  • Ha anche condotto un entusiasmante collegamento in diretta televisiva su RAIDUE;
  • Nel 2010 ha ideato e condotto la Prima Edizione dell’Oscar Internazionale dell’Acqua segno di Vita, (tra i premiati, con differenti motivazioni, la NATO, il Palazzo di Versailles, il Museo Archeologico Etrusco delle Acque di Cianciano Terme, la Pedrollo S.p.A., Piscine Castiglione, Viorica – fontane danzanti). L’anno successivo è seguita la Seconda Edizione, che ha visto premiati la Chiesa Cattolica in Giordania e il Comune di Longarone (BL).
  • È Presidente e Fondatore della Libera Associazione Culturale L’IMPEGNO.

Sue pubblicazioni:

  • TRILOGIA (non solo poesie)

    Tipografia-Litografia Bracchi – Giarre (1991)

  • TANDEM Inter Nos e Storie Ricercate (Poesie)

    Tipolito Galatea – Acireale (1993)

  • INTENSAMENTE TU (Pagine scelte)

Futuria 2016 – Isidoro Raciti

    Tipografia-Litografia La Rocca – Giarre (1994)

  • IMPEGNO CIVILE

    Prima edizione: Tipografia La Celere – Messina (1995)

    Seconda edizione: Tipografia-Lito Santo Grasso – Giarre (1996)

  • TEOREMI (Poesia e Pittura)

    Litoscanner – Nuova Graphica Due – Palermo (1997)

  • IBERIA (50 Poesie in italiano e spagnolo)

    Ediciones Cardeñoso – Vigo (Spagna)

    Colección: Cuencosliterarios N° 202 (1997)

  • OMAGGIO all’ETNA (HOMAGE to ETNA) Euthymìa Ætnensis

    Catalogo Bibliografico su carta filigranata

    Tiratura limitata N° 10 P.d.A. (1998)

  • VENA nella valorizzazione del territorio di Piedimonte Etneo

    Tipografia-Litografia Etna – Fiumefreddo di Sicilia (1999)

  • Solchi diVersi

    Tipografia-Litografia Etna – Fiumefreddo di Sicilia (1999)

  • e la vita continua (pamphlet italiano-inglese)

    Tipografia-Litografia Etna – Fiumefreddo di Sicilia (2001)

  • zucchero in zollette (silloge poetica)

    Tipografia-Litografia Etna – Fiumefreddo di Sicilia (2002)

  • i 1000 anni della Carta in Sicilia

Notte di San Lorenzo – Isidoro Racit

    Catalogo interamente realizzato a mano su carta “Franco Conti”

    Tiratura limitata N° 2 P.d.A. (2003)

  • i 1000 anni della Carta in Sicilia a cura di M. Ursino (catalogo mostra)

    Tipografia-Litografia Etna – Fiumefreddo di Sicilia (2003)

  • Trentennale di attività (2003)
  • Viaggiando Viaggiando (raccolta di poesie)

    Tipolitografia F.lli Chiesa – Nicolosi (2003)

  • I due pannelli di carta fatta a mano più grandi del mondo (brochure)

    Tipolitografia F.lli Chiesa – Nicolosi (2004)

  • Isidoro Raciti “Poetica e impegno di un artista” anteprima trentennale di attività (pamphlet)

    Tipolitografia F.lli Chiesa – Nicolosi (2004)

  • Porcherie (poesie)

    Tipolitografia F.lli Chiesa – Nicolosi (2004)

  • Ricostruiamo l’uomo (poesie)

    Tipolitografia F.lli Chiesa – Nicolosi (2008)

  • Mos Maiorum – Il costume degli antenati (poesie e opere pittoriche)

Tipolitografia F.lli Chiesa – Nicolosi (2011)

  • La nostra Isola – acquerelli e pastelli

Tipolitografia F.lli Chiesa – Nicolosi (2012)

  • Tracce (Catalogo dell’omonima collezione su carta fatta a mano – Fabriano)

Tipolitografia Etna – Fiumefreddo di Sicilia (2013)

  • inSolito Amore (Poesie 2008-2014)

Rotomail Italia S.p.A. – Vignate (2015)

  • Il destino comune degli Artisti – Omaggio a Jackson Pollock nel centenario della nascita

Tipolitografia Etna – Fiumefreddo di Sicilia (2015)

Inoltre ha curato l’edizione dei volumi:

–     Dell’Associazione “Premio TORRE ARCHIRAFI” – Rassegna d’Arte e Cultura (int.le) Analisi del segno inciso – 1993;

Tavolozze incrociate una mostra come pretesto1994;

Oltre il chador1995;

Impegno civile (prima e seconda edizione) – 1995/1996;

Centoartisti1997;

50 poesie di Mario Angel Marrodán (in lingua italiana) – 1997.

–     Del Rettore del Santuario di “S. Maria della Vena”:

II Santuario S. Maria della Vena – Un’antenna spirituale di comunicazione con il cielo -2002.

–     Della Collana editoriNproprio (dal 2003 ad oggi): Viaggiando Viaggiando

Le memorie di un combattente

Varie ed eventuali

Poeti in erba

Porcherie

Le radici dell’anima

La perfetta infelicità

Sulle ali della libertà

Conosci, ama, tutela il tuo ambiente

La vita: istruzioni per l’uso

Un mondo in un granello di sabbia

Le lacrime della luna

Iperbole

Il Banco di Sicilia

Parole

Sicilia – la vera storia di una leggenda

Ricostruiamo l’uomo

Il Radice sconosciuto (1854-1931)

Il Viaggio in Sogno

Erano i giorni delle fionde

Legalità è…

Talking in Bed

Mos Maiorum – Il costume degli antenati

Francesco Sciacca: l’uomo, il preside, lo studioso

Io parto da qui

Rinchiusi

Formule di approssimazione delle funzioni goniometriche

Annuario Attività 2008/2011 – Comune di Piedimonte Etneo

La nostra Isola

Mi sussurra il Cielo

Tracce

La Fantasia e il Fantastico

Il Vangelo secondo lo Spirito Santo

inSolito Amore

Il destino comune degli Artisti – Omaggio a Jackson Pollock nel centenario della nascita

 

Prossime pubblicazioni:

Cataloghi d’arte e altre opere:

  • Del silenzio dell’Arte
  • Il Sogno Astratto
  • Antologia poetica

Alcuni inserimenti su antologie e miscellanee

 

(in Italia):

100 Poesie d’amore Ibiskos Editrice (Empoli)

Annuario dell’I.T.G. “N. Colajanni” (Riposto)

Antologia “Madonna di Montalto” – A. Siciliano Editore (Messina)

Antologia Torino ’94: – Ibiskos Editrice (Empoli)

Artisti per l’Europa – Italart (Corno Giovine LO)

Atlantis-Ars-Artis (Acireale)

Bollettino del Santuario di Montalto (Messina)

Centoartisti (Torre Archirafi-Riposto)

Colle Armonioso (Firenze)

Cultura e Società (Torino)

Dialogo (Como)

Dizionario Antologico – Carello Editore (Catanzaro)

Ferdinandea (Catania)

Festa di Vendemmia Pro Loco (Giarre)

Francobollo d’argento (Zafferana Etnea)

Giornale di Poesia Siciliana (Palermo)

Grappoli d’amore (Vasto)

Hyria (Napoli)

I nostri pensieri vagano nei ricordi (Riposto)

I Poeti del Faro D’argento (Riposto)

Il Foglio Volante – La Flugfolio

Il Giornalino – III Circolo Didattico (Giarre)

Il Letterato (Cosenza)

Incontri (Catania)

Incontro nello studio di Ada Gandolfo Macaluso (Cannizzaro CT)

La Nuova Tribuna Letteraria (Padova)

Le Due Sicilie Società Storica Catanese (Catania)

Leggere Poesie – Ursino Editore – Antares (Catanzaro)

Lumie di Sicilia (Firenze)

Mostra del libro edito ed inedito – E.N.D.A.S. (Catania)

Natale in maneggio – I.T.C.O. (Acireale)

Nord-Sud (Salerno)

Nuova Comunità (Cosenza)

Nuovo Confronto (Bari)

Poesia e Musica – a cura del G.A.C. (Roma)

Portaportese Giornale La Voce di Roma e del Lazio

Premio Giornale dell’Etna (Acireale)

Premio Poesia (Riposto)

Presenza (Napoli)

Punto di vista (Padova)

Quaderni dell’Asia (Palermo)

Roma (Salerno)

Rosemarine (Nunziata di Mascali – CT)

Sagra del Mare (Riposto)

Isidoro Raciti

Studio d’Arte Simeone – Cooperativa Sociale “La Cicala” (Genova)

Tribuna Stampa (Milano)

Verso il Futuro (Avellino)

Vita e Mare (Genova)

Voci nostre (Giarre)

 

(all’Estero):

Arboleda (Palma de Mallorca Spagna)

Cartas y Testimonios de Garcia Moreday 25 Años del Mazacote

Espiral de las Artes (Madrid – Spagna)

Nuevo Horizonte Cultural (Las Palmas de Gran Canaria – Spagna)

Punto de encuentro (Uruguay)

 

 

Servizi radiotelevisivi trasmessi su:

 

Antenna Sicilia

Canale 5

DG Marche

Euro Sicilia International

Euro TV

Prima TV

Radio Gold Fabriano

Radio Universal

RAI Radio Televisione Italiana

REI TV

Rete 4

Rete-Special

Tele Aci – Canale 9

Telecolor

Tele Effe – Fenice

Tele Idea

Telejonica

Telepira

Tele Radio Ciclope

Tele Sicilia

Teletna

T.R.A.

TVR – Italia 9 Network

Articoli e recensioni stampa

(in Italia):

BlogTaormina

Bronteventi

Canicattì Nuova

Comunicare

Corriere di Reggio

Corso Italia

Cronaca Vera

Dg Marche

Dossier – Roma

Espresso Sera

Gazzetta del Sud

Gazzettino di Giarre

Giornale di Sicilia

Giornalismo Siciliano

Il Cittadino

Il Difensore

Il Mercatino

Il Messaggero del Sud

Il Nuovo Corriere del Tufo

Il Tirreno – Grosseto

L’Aretuseo

L’Azione

L’Espresso Calatino

L’Italia Settimanale

La Gazzetta

La Nazione

La Nazione – Grosseto

La Sicilia

La Tribuna di Giarre

La Voce dell’Ionio

lo Stilo

Media Pages

Murmur Art

Notiziario Museo Nazionale della Fotografia Brescia

Orizzonti

Prospettive

Sicilia Mondo

Sicilia Notizie – Giornale dell’Etna

Sicilia Sera

Taormina Informa

Vita di Comunità

Vivere Fabriano

(all’Estero):

Deia (Spagna)

El Correo (Spagna)

El Correo Vizcaya (Spagna)

 

Fernando Mainenti

Fernando Mainenti.  Già docente di Storia e Letteratura nei Licei, è cultore di Storia della Sicilia e autore di centinaia di articoli di carattere storico, letterario e di alcuni romanzi e saggi storici tra cui :
   “ il Fiume Freddo “, romanzo storico e autobiografico;
   “Menzogne e Misfatti dell’Unità d’Italia” , saggio storico e critico sull’Unità d’Italia;
   ” La Fata Murgana” , poesia narrata in lingua siciliana. 
Nel 2010, organizzato dal Comune di Milo, è stato vincitore del Premio Angelo Musco per la Sezione Letteraria- Narrativa Edita con la seguente motivazione:
 Con una scrittura colta e sapiente, ironica e affabile insieme, Ferdinando Mainenti ha scritto un libro che non è solo di ricordi, a volte divertito a volte toccante, ma che è anche un racconto di formazione, per così dire, di propria personale maturazione, come anche racconto di un passaggio generazionale, al tempo stesso. Un mondo feudale – contadino immobile e di antichi valori ormai scomparso che la mano abile e sicura dell’autore ha saputo fermare al momento del cambiamento, prima della trasformazione che vi è andato apportando l’inarrestabile processo della modernità.

Qui di seguito un suo articolo sul  Castello Svevo sede del Museo Archeologico Paolo Vagliasindi.

La Sicilia dei Castelli :  Il castello di Randazzo: architettura, storia, miti e leggende popolari. 

La nascita della città di Randazzo si fa risalire al periodo della occupazione bizantina della Sicilia, verso l’800 d.C. o poco prima.

Fernando Mainenti

Il nome di Randazzo è di origine bizantina e proviene da “Randàkes”cognome di una illustre famiglia di Costantinopoli trasferita in Sicilia e precisamente a Taormina, dove uno dei suoi membri svolgeva le funzioni di governatore.
Non sappiamo di un 
fondatore del centro abitato, ma di un nucleo urbano che sorse poco a poco, casa per casa da una popolazione greca, spostatasi dalla pianura del “Feudo”, dove aveva la sua residenza nel centro abitato dell’antica “Tissa”. L’emigrazione verso la fertile Randazzo avvenne per scampare ad una paurosa colata lavica che distrusse il territorio di Tissa e per sfuggire alle incursioni degli arabi che penetravano nel territorio lungo il  corso del fiume Alcantara, per saccheggiare e devastare.
Ai greci in 
fuga dal loro primigenio territorio si unirono poi gruppi di popolazione latina che abitavano nella zona circostante.
Greci e latini si unirono nel 
processo di fortificazione del luogo, ben difeso da un’ampia palude, da un profondo ciglione lavico e soprattutto dal fiume Alcantara e dal Fiume Piccolo,  oggi estinto, che nei secoli scorsi scorreva lungo il quartiere di S. Francesco di Paola.
Il primo nucleo della futura città, all’inizio fu formato da un piccolo villaggio di capanne di legno. Le  maestranze greche, esperte in costruzioni, trasformarono presto le capanne in casette in muratura. Ebbe sviluppo rapidamente una primitiva forma di artigianato del legno e fiorirono quindi mercanti che esportavano il legname in numerose contrade. Si formò quindi un grosso borgo, che nel 1150 fu ampiamente descritto dal geografo El-Edrisi, familiare del re Ruggero II. 
Nel periodo aspro della conquista musulmana della Sicilia nacque la bellissima leggenda della chiesa di S.Maria. Nelle campagne dove ora sorge Randazzo vi era una piccola comunità cristiana, che venerava un’immagine della Madonna raffigurata su un dipinto di legno.
In epoca imprecisata, la 
piccola comunità venne sconvolta da una scorreria di infedeli, che iniziarono a devastare il territorio e a perseguitare i cristiani che veneravano l’immagine della Vergine Santa. Gli abitanti furono costretti alla fuga da quel luogo devastato: prima vollero salvare Prospetto nord del castello di Randazzo in una foto degli anni ‘20 del Novecento. l’immagine della Madonna, per non farla cadere nelle mani distruttive degli arabi; portarono poi il dipinto dentro una grotta, e prima di ostruire l’entrata della spelonca con grossi massi di pietra lavica, accesero un lumino davanti alla Sacra Immagine ed infine fuggirono. 
Passarono i secoli: un giorno, un pastorello che badava alle sue pecore in quella zona vide un raggio di luce provenire dalla grotta. Preso da curiosità, pose l’occhio ad una delle fessure dei macigni e vide un lumicino ardere dinnanzi ad una bellissima immagine della Madonna. Ad onta del trascorrere degli anni, quel lumicino acceso dai fedeli di quel tempo antichissimo ancora brillava di viva luce.

Castello Svevo – Randazzo


Sparsa la notizia del miracoloso evento, la popolazione si radunò nel luogo del ritrovamento. Abbattuto il muro di pietre che ostruiva l’ingresso della grotta, apparve l’Immagine Sacra con la luce ancora accesa, segno della potenza della Madonna e della sua benevolenza verso la popolazione di Randazzo. Sul luogo del miracoloso avvenimento fu innalzata una chiesetta in legno, trasformata successivamente in muratura, ad una sola navata, dopo molti anni seguìta da una grandissima chiesa: l’attuale Basilica di S. Maria. Il dipinto miracoloso trovato nella grotta, detto “La Madonna del Pileri”, restaurato dal pittore Giovanni Nicolosi, è oggi esposto alla pubblica venerazione sopra la porta di tramontana della splendida chiesa.
Nel XII secolo Randazzo, essendo sulla costa del Val Demone, appariva, già in epoca araba, cinta da poderose mura. Pare che il Gran Conte Ruggero, prima di attaccare la possente fortificazione in quel luogo, si sia recato a venerare l’immagine di S. Giorgio conservata in un piccolo monastero prospiciente le mura.
Fino al 1943 le antiche mura medievali si mostravano lunghe e robuste come ai tempi della magnificenza della città. I bombardamenti della seconda guerra mondiale hanno distrutto buona parte della possente cinta muraria, per cui oggi esistono solo brandelli di mura sparsi lungo l’antico tracciato.
La parte 
maggiormente intatta si mostra sulla collina di S. Giuliano, verso la Porta Aragonese. È visibile una torre considerata la parte principale del castello, e quattro porte. La più importante delle porte è la Porta Aragonese, sulla quale spiccano gli stemmi dei sovrani d’Aragona. Pietro I, primo sovrano di Sicilia, nello stesso anno dei Vespri – settembre 1282 – provvide a restaurare questa porta e vi fece apporre le sue insegne, dopo aver indetto un “Campo” nel quale convennero tutti i baroni del Regno per prestargli giuramento.
Ad un chilometro 
ad est di Randazzo, esiste una contrada di campagna che porta il nome di Campo del re”. Si suppone pertanto che detta porta esistesse già al tempo degli arabi o più probabilmente nel periodo della conquista normanna dell’isola.

Nel periodo di massimo sviluppo medievale della città, le mura cingevano Randazzo per circa tre chilometri, segnati da otto torri e dodici porte.

La Porta Aragonese, nel corso degli anni, è stata intesa dagli abitanti anche sotto altri nomi: “Porta S. Giuliano”, per la presenza nei pressi di una piccola chiesa dedicata al culto del santo; “Porta degli Ebrei”, per la presenza nei pressi di un ghetto ebraico o “Porta del Mosto”, perché chi, nel tempo passato, doveva introdurre in città vino o mosto doveva passare per questa porta: un gabelliere comunale era addetto al controllo ed incassava dieci grani per ogni salma di vino o di mosto. 
A nord della città si trova Porta Pugliese, ad occidente Porta S. Martino, che prende il nome dalla splendida chiesa di S. Martino (XIII secolo) costruita nei pressi della struttura muraria.
La chiesa di S. Martino conserva il più antico campanile a cuspide dell’isola: la svettante 
costruzione di pietre bianche e nere segna la torre campanaria di S. Martino come la più bella di tutta la Sicilia. La facciata, in seguito ad un sisma, fu rifatta nel XVII secolo.
 
L’ultima porta sopravvissuta allo sconcio dei secoli, Porta S. Giuseppe, si trova anch’essa ad occidente, nei pressi della quale scorreva il Fiume Piccolo, coperto dalla colata lavica del 1653. Porta Aragonese in una foto degli inizi del ‘900. La Madonna del Pileri.
Porta San Martino in un’antica immagine. Con la venuta dei normanni, guidati dal Gran Conte Ruggero, alla precedente popolazione residente nella città, costituita da greci e latini, si aggiunse un nuovo gruppo proveniente dal nord Italia: i lombardi, venuti al seguito della contessa Adelasia, moglie di Ruggero. I nuovi venuti si stabilirono nel quartiere Martino, mentre i greci avevano sede nel quartiere S. Nicola e i latini nel più antico agglomerato, quello di S. Maria.
 
Questi gruppi di popolazione ebbero una loro grande chiesa e per secoli rimasero distinti. Ciascuno parlava la propria lingua e professava la propria religione. Dice lo storico Filotimo degli Omodei: “In Randazzo si parlavano tre dialetti diversi, uno per quartiere”.

Il Castello di Randazzo si svolse sul perimetro delle mura: a settentrione, fra Porta Pugliese e Porta S. Martino e si sviluppò attorno alla Torre Mastra posta su quel circuito. La struttura poggia su un potente agglomerato lavico che domina la valle del torrente Annunziata, di fronte alla timpa di S. Giovanni, il principale emissario del lago della Gurrita. 
Il dongione fu costruito probabilmente dal conte normanno Ruggero su un preesistente insediamento  arabo. Il castello ospitò l’imperatore Federico II di Svevia e la moglie Costanza, nel 1210, quando i sovrani dovettero lasciare Palermo a causa di una violenta pestilenza.
La scelta 
dell’imperatore di rifugiarsi a Randazzo con la giovane moglie fu determinata dalla saldezza delle sue fortificazioni, dall’aria salubre di mezza montagna, dai secolari boschi alle pendici dell’Etna che si estendevano fino alle più alte vette dei Nebrodi. Un altro elemento di scelta del luogo fu la presenza di una caccia abbondante ed anche il carattere lieto ed accogliente degli abitanti, che offrirono al giovane imperatore e alla sua corte feste, cavalcate, banchetti e lieti conversari. Federico II fu talmente colpito dal luogo che fece di Randazzo una residenza reale e un caposaldo avanzato di difesa, in quanto la cittadina si trovava in strategica posizione sulla più importante via dell’isola. 
L’imperatore rafforzò le mura con otto torri e fissò la sua residenza in quella più forte e più sicura, l’attuale castello. Nel 1282, Randazzo prese parte ai Vespri: la città insorse contro gli angioini e nel piano che circonda il lago Gurrita i randazzesi sterminarono le truppe francesi che presidiavano la città. Cessato il governo di Carlo d’Angiò, nell’interregno che ne seguì Randazzo scelse cinque senatori a capo di un Comune libero e indipendente. 
Pietro I di Aragona, nel novembre del 1282, restaurò Porta S. Martino e vi pose una lapide con i nomi dei senatori che avevano appoggiato favorevolmente la causa aragonese. Sulla porta sono ancora visibili gli stemmi reali, ma la lapide è stata distrutta. Per ringraziare i randazzesi che si erano subito schierati a favore del nuovo re, Pietro I offrì alla chiesa di S. Maria, in omaggio alla Madonna, uno stupendo calice d’oro, argento e pietre preziose, che fa parte ancora oggi del tesoro della chiesa. 
Agli inizi del 1300, il duca Roberto d’Angiò, attraversate le catene dei monti Nebrodi, sferrò un attacco armato contro Randazzo, città fedelissima a re Federico III d’Aragona. I randazzesi serrarono le porte, le munirono di armati e presidiarono le otto torri di guardie scelte. Per evitare un lungo, probabile assedio, i cittadini passarono al contrattacco: in una notte di buio fittissimo, l’esercito randazzese uscì da Porta Pugliese ed attaccò gli armati angioini. Una scarica di pietre lanciate dai frombolieri colpì ed uccise il capitano del duca Roberto. Seguì un furioso combattimento: l’esercito angioino fu costretto a battere in ritirata dall’impeto dei randazzesi. 
L’avvenimento va sotto il nome di “assalto della Fonte del Roccaro”, una  fontana che ancora esiste sulle sponde del fiume. Nel 1406 re Martino, viste le precarie condizioni delle mura, dirupate in più parti, e le porte prive di chiavistelli e talune parti abbattute, volle che fossero riparate con sollecitudine.

Nella seconda metà del XVI secolo, regnando Filippo II di Spagna, il castello di Randazzo fu adibito a carcere seguendo la sorte di molti altri castelli siciliani, castello Ursino compreso. La decisione fu presa dal viceré, in quanto risiedeva nella città il Capitano Giustiziere di tutto il Val Demone, e nel castello-carcere venivano rinchiusi tutti i malfattori dell’intero vallo. Il Comune non gestì direttamente il luogo di pena e detenzione, ma lo diede in gabella per pubblico bando al migliore offerente. 
Annualmente, le casse comunali ricavavano 22 onze. Il castellano aveva l’obbligo delle riparazioni necessarie alla fabbrica, del mantenimento dei detenuti, vitto e carbone per il riscaldamento invernale.
Per venire 
incontro alle necessità finanziarie del castellano-carceriere, il Comune stabilì, con una disposizione del marzo 1587, che ogni carcerato dimesso a fine pena dovesse versare un indennizzo di due tarì se cittadino di Randazzo, e di quattro tarì se di altri paesi del vallo. I castellani-carcerieri, fra il Cinquecento e il Seicento, incassarono le somme ma non si curarono affatto di mantenere la fabbrica del castello in buone condizioni.

L’ingresso del castello.

Il castello, oggi sede del Museo Archeologico Paolo Vagliasindi, nel contesto urbano di Randazzo.  La struttura pertanto subì un processo costante di deterioramento,

che compromise definitivamente l’armonia dell’architettura. Il 27 agosto del 1636, Filippo IV re di Spagna, bisognoso di denaro come tutti i sovrani spagnoli, famosi per la loro rapacità, inviò alla città di Randazzo una pergamena reale con la quale chiedeva ai cittadini una notevole somma per la Corona, minacciando di annullare la demanialità della città di Randazzo, con la conseguente vendita in qualità di feudo. La minaccia provocò l’effetto sperato, per cui i randazzesi raccolsero il donativo dal feudo Torrazzo e dalla vendita del castello.
L’11 
gennaio 1640, don Carlo Romeo stipulò l’atto di cessione col Regio Fisco per 404 onze, e acquistò anche il titolo di barone del castello di Randazzo.
In ordine di tempo, al barone don Carlo Romeo seguirono don Pietro Romeo, donna Caterina Romeo, don Giuseppe Impellizzeri, don Paolo Impellizzeri. Don Paolo fu l’ultimo barone di casa Impellizzeri. In tale lasso di tempo il castello andò progressivamente in rovina per l’incuria dei succitati castellani. Il tribunale del Regio Patrimonio minacciò l’esproprio del castello e del titolo, per cui don Paolo fu costretto a vendere castello e titolo a don Michelangelo Vagliasindi per 250 onze.
L’atto fu stipulato il 22 
aprile del 1739. Don Michelangelo Vagliasindi detenne il titolo per circa 60 anni. Nel 1813 il nuovo barone, don Carmelo Vagliasindi, nell’anno successivo alla Costituzione del 1812 che aboliva la feudalità, vista anche la situazione debitoria che lo affliggeva, fu costretto a cedere in enfiteusi al Comune di Randazzo il castello per un canone di 20 onze all’anno. Il titolo di barone del castello rimase a don Carmelo Vagliasindi, e poi passò ad altri membri della famiglia per giungere a Consalvo Romeo, pronipote della famiglia che per prima aveva avuto quel titolo.
Consalvo non è stato mai 
infeudato, in quanto la Costituzione della Repubblica italiana, nel 1946, ha cancellato il valore legale dei titoli nobiliari.

Architettura

Il castello, nei secoli passati, ha subito un forte degrado architettonico e notevoli rimaneggiamenti. Don Carlo Romeo aveva accorpato delle casette adiacenti, acquistate per 211 onze, allo scopo di ingrandirlo, e aveva fatto abbattere l’antica cappella perché pericolante. Al barone sono attribuibili nuove mura, le volte, la scala a chiocciola, l’ampia finestra che guarda a levante, la cimasa e il grande portone bicromo di ingresso, sul quale spicca l’aquila aragonese. I Vagliasindi, nel loro tempo, realizzarono le celle a forno del piano terra e la camera dei teschi. Il castello oggi presenta un grande androne al piano terra, segue una grande stanza ed alcuni piccoli ambienti per il custode, una cucina ed i servizi igienici. Dei magazzini per la conservazione delle derrate si aprono a un piccolo cortile dal quale si possono scorgere le celle a forno; segue un secondo piccolo cortile sopraelevato, chiamato “cortile delle donne”. Il primo piano mostra un corridoio e altre celle. 
Il secondo piano è caratterizzato da una grande stanza. Sul circuito murale adiacente al castello stava la torre di S. Domenico, a nordovest, di pertinenza dei domenicani che vi realizzarono una grande cappella. Anche questa torre, come le altre, è scomparsa da lungo tempo.

Il castello, oggi, domina l’area di tre chiese, di superbi campanili, di un  groviglio di case, torri e palazzi. Con il quartiere medievale ancora intatto nei suoi archi normanni e svevi (sia pur deturpato da moderne costruzioni).

L’ombra del maniero si proietta ancora sul palazzo reale, ricco di aggraziate bifore, e su palazzo Romeo, che si erge a minacciare il modesto agglomerato urbano ai suoi piedi.

La notte a Randazzo è piena di memorie, e l’alba della stella Diana imbianca le mura, le grandi porte, le torri che giacciono, sonnolente di secoli, tra l’Alcantara a nord e il vulcano a mezzogiorno, laddove il vento gelido dei Nebrodi sfinisce i secolari boschi con il suo eterno sospiro.

Produzione Letterario di Fernando Mainenti

 

Giarre: presentato il libro di Fernando Mainenti “Menzogne e misfatti dell’Unità d’Italia”

Su iniziativa dell’Associazione turistica “Pro Loco” di Giarre, presieduta da Salvo Zappalà, è stato presentato nel “Salone degli Specchi” del Comune il libro Menzogne e Misfatti dell’Unità d’Italia di Fernando Mainenti, con prefazione della senatrice Anna Finocchiaro; relatore, l’architetto Salvo Patanè.
 Lo scrittore Mainenti sostiene nel suo volume la tesi, accreditata e condivisa da molti autori che si sono interessati e si interessano dell’argomento, di una unità geografica del Paese, mentre quella politica, sociale ed economica, dopo centocinquanta anni, è ancora da venire.
Il relatore, l’architetto Salvo Patanè, con una saggia e lucida analisi ha messo in luce l’aspetto più significativo del Risorgimento, e cioè che più che unificazione voluta dal popolo si trattò di un’unificazione a mano armata, voluta dal Piemonte nei confronti del Regno delle Due Sicilie, che fu occupato militarmente e annesso all’Italia del Nord con il metodo tragico di una feroce dittatura militare.
Il cav. Piersanti Serrano, delegato dell’Ordine Costantiniano della Sicilia Orientale, ha trattato della figura del generale Ferdinando Beneventano del Bosco, unico vero grande soldato che cercò di difendere sino all’ultimo il suo re ed il regno invaso dai piemontesi.

A cura di Maria Pia Risa

 

 

EMANUELE MANITTA

Emanuele Manitta (Caltagirone, 12 gennaio 1977) è allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo portiere, successivamente diventato allenatore dei portieri del Calcio Catania, insegnante di educazione fisica nelle scuole primarie e di 1° e 2 grado, docente a contratto presso la Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Messina.

Figlio di papà Francesco, sottufficiale dei Carabinieri in pensione, e mamma Pina Magro, casalinga e mamma a tempo pieno. Anche se è nato e vissuto per qualche anno a Caltagirone (il padre prestava servizio nella locale stazione dei Carabinieri), Emanuele, è da considerarsi Randazzese a tutti gli effetti, in quanto cresciuto e maturato, dall’età di cinque anni, ai piedi dell’Etna, ove tutt’ora risiede.
La sua carriera ha inizio nelle giovanili dell’A.S. Randazzo, dove milita nelle varie Categorie (Giovanissimi, Allievi, Juniores) con esordio nella stagione 1992-93, all’età di 15 anni, nel Campionato di 1^ Categoria. Nella stagione 1993-94, a 16 anni, esordisce nel Campionato Regionale di Promozione.

Viene convocato nelle varie Rappresentative e, sempre nella stagione 1993-94, dopo aver difeso la porta della Rappresentativa Juniores del Comitato Provinciale di Catania, arriva la convocazione in quella Regionale in vista della partecipazione al Torneo delle Regioni che in quell’anno si svolgeva in Piemonte.

La Sicilia, dopo ben 22 anni, conquista la vittoria in questo prestigioso Torneo e Manitta si mette in luce con ottime prestazioni, soprattutto parando tre rigori nella semifinale contro l’Emilia Romagna e suscitando l’interesse dei vari osservatori, in particolare all’A.S. Bari che, nel giugno del 1994, lo rileva dall’A.S. Randazzo a titolo definitivo.

Dopo una stagione all’A.S. Bari viene ceduto in prestito al Ragusa (Campionato Serie D) e l’anno successivo viene ceduto definitivamente alla Peloro-Messina (Campionato Serie D). Difende la porta del Messina per cinque Campionati e con 159 presenze contribuisce a 3 promozioni della squadra peloritana dalla Serie D alla Serie C1. In quest’ultima stagione (1999-2000) diventa grande protagonista della promozione del Messina dalla C2 alla C1, subendo soltanto 10 reti e, addirittura, realizzandone una su azione in Castrovillari-Messina (1-1).

L’exploit gli valse la massima serie nel 2000-2001 con il Lecce, senza mai la gioia dell’esordio in quanto vice di Antonio Chimenti. Ritorna a Messina, che nel frattempo aveva raggiunto la Serie B, nella stagione 2001-2002 e vi resta fino a gennaio 2003, quando si trasferisce nel Napoli ove rimarrà come portiere titolare anche l’anno successivo (stagione 2003-2004).

Nella stagione 2004-2005 difende la porta del Catanzaro, sempre in Serie B, prima dell’esperienza al Bologna nel 2005-2006, come vice di Pagliuca, dove totalizza 2 presenze.

Arriva al Livorno nel luglio del 2006 ed esordisce in serie A il 21 gennaio 2007 in Livorno-Roma (1-1). Nella stagione calcistica 2006-2007 colleziona 8 presenze in Campionato con il Livorno, subendo solo otto reti, contribuendo alla sospirata salvezza, raggiunta con una giornata di anticipo.

Svincolatosi dal Livorno il 29 agosto 2007, firma un contratto biennale col Messina sempre in serie B: per Manitta si trattò di un nuovo ritorno alle origini.

A fine stagione si svincola dalla Società per la mancata iscrizione della squadra peloritana al campionato di Serie B: a tutt’oggi risulta essere il portiere con più presenze tra quelli approdati al Messina, con un totale di 201 presenze.

Il 3 ottobre 2008 firma un contratto annuale per il Siena come secondo portiere, sostituendo l’infortunato Dimitrios Eleftheropulos. Con la casacca bianconera esordisce il 29 ottobre 2008 in Milan-Siena (2-1), collezionando in tutto 6 presenze stagionali.

Nel 2009, al termine del contratto con il Siena, all’età di soli 32 anni, decide di smettere con il calcio giocato a causa di un problema degenerativo al ginocchio sinistro e riprende gli studi, iscrivendosi alla Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Messina.

Al contempo, in questi anni, svolge il ruolo di preparatore dei portieri del Giarre e Due Torri società militanti nel Campionato di Eccellenza Siciliana.

Il 26 luglio 2012 si laurea in scienze motorie all’Università di Messina e firma, dopo qualche giorno, per il Catania Calcio un contratto quadriennale come coordinatore dei preparatori dei portieri delle squadre giovanili.

Il 30 marzo 2015 consegue la Laurea Magistrale in Attività Motoria Preventiva e Adattata, presso la Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Messina, con voto 110/110 e lode. Successivamente, diventa Docente federale FIGC nei Corsi per Allenatore dei portieri di 1º livello.

Biblioteca Autori per Randazzo

        Elenco pubblicazioni di Autori che  parlano di Randazzo.

  Autore Titolo Editore Note
Domenico Ventura Randazzo e il suo territorio tra medioevo e prima età moderna  Salvatore Sciascia Editore 
Caltanissetta
settembre 1991
 
Storia e Cultura
collana diretta da
Francesco Renda
 Premessa
“Se é fuor di dubbio che l’esistenza di una comunità, come quella di un individuo, possa essere segnata in modo duraturo attraverso il tempo, come attraverso la vita, da un avvenimento che sconvolge  comunque gli schemi dell’abituale quotidiano, il 1888 segna senz’altro una data di estrema importanza nella storia di Randazzo.” 
 Maria Teresa Magro
(Museo Archeologico) Angelo Priolo
(Museo Scienze Naturali)
 Breve Guida ai Musei di Randazzo
Museo Archeologico Vagliasindi.
Museo Civico di Scienze Naturali.
   
FEDERICO DE ROBERTO  RANDAZZO E LA VALLE DELL’ALCANTARA  Istituto di Arte Grafiche Editore – Bergamo 
1909
147 Illustrazioni e 1 Tavola  
FABIO BASILE  L’ETNEA RANDAZZO
Genesi e Crescita
Fotocomposizione e Stampa Istituto Poligrafico della Sicilia 
Messina 1984 
Nuovi borghi montani nella Sicilia Normanna 
GIUSEPPE MANITTA  Il Dinamismo Cosmico
nelle opere di
NUNZIO TRAZZERA
Il Convivio”
Accademia Internazionale 
Catalogo di Opere di Trazzera con commenti di:  Giuseppe Manitta
Santi Correnti
Maristella Dilettoso
Sac.Salvatore Virzì
Enza Conti
Annamaria Di Stefano
Angelo Manitta 
 LA SICILIA IN VERSI PIETRO BRUNO  EDIGRAF – CATANIA 
dicembre 1981
Randazzo 
Rivedi il medioevo per le strade
A campanili e cupole… è matrona
Nelle tre Chiese sono tre contrade
Dimora fè’ quel tale d’Aragona
Addì mille e trecento per etade;
Zelante nelle feste a’ la Patrona,
Zeppa di corti, ha tanta architettura,
Onore del passato…la struttura.
 
 ARTE e Natura
nei Musei Civici di Randazzo
 MARIA TERESA MAGRO Regione Siciliana
Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Catania
2014
Testi:
Il Castello.
Il Museo Archeologico 
Paolo Vagliasindi (1838-1913)
Lezioni di restauro.
La musica tra i Greci.
I siti di interesse archeologico nell’alta valle dell’Alcantara.
Il Museo Civico di storia naturale.
 I SENTIERI DELLA MEMORIA
Musei e Territorio
della Provincia di Catania
 Testo di Silvia Malavasi
con la collaborazione di
Daniel Tarozzi e
Francesca Giomo
 FN Editrice
2006 
RANDAZZO
Il Borgo sull’Etna
Breve Storia di Randazzo, pregevoli fotografie,
Museo Archeologco Paolo Vagliasindi 
Museo dei Pupi Siciliani.Museo Civico di Scienze Naturali 
GLI ANTICHI VICOLI MEDIEVALI DI RANDAZZO ANTONINO PORTARO Tipolitografica
Fabio De Cesare
Roma
Luglio 2018
Un suggestivo viaggio a ritroso nel tempo.
RANDAZZO 
IERI E OGGI
IMMAGINI A CONFRONTO
 ANTONINO PORTARO  EUROSELECT – Roma
2014  
Un suggestivo viaggio a ritroso nel tempo attraverso le foto d’epoca 
RANDAZZO
17 GIUGNO 1945

ANATOMIA DI UNA STRAGE 
SALVO BARBAGALLO  “EDIGRAF”
Maggio 1976  
Associazione Nuovo Mondo Teatro “ERWIN PISCATOR” 
 ANTONIO CANEPA
ULTIMO ATTO
Prefazione di Valter Vecelio
 SALVO BARBAGALLO Bonanno Editore
settembre 2012 
Questo libro è dedicato ai Siciliani, affinché ritrovino la memoria perduta. 
 LA NOSTRA ISOLA
acquarelli e pastelli
ISIDORO RACITI  Tipolitografia F.lli Chiesa
marzo 2012  
 Prefazione di
 Pietro Guarnotta
Nota critica di
Lodovico Gierut
CAPITOLI, CONSUETUDINI E USI CIVICI DI
CASTIGIONE DI SICILIA

e in appendice Randazzo e Linguaglossa
ANGELO MANITTA  A cura dell’Accademia Internazionale Il Convivio e del Centro di Studi Siciliani
Castiglione di Sicilia
dicembre 2008 
Randazzo Capitoli e Consuetudini.
Il presente testo segue la pubblicazione di Vito La Mantia, il quale lo trae dall’originale esistente nel vol.118 della R.Cancelleria.(Archivio di Stato in Palermo)
Patrimonio Artistico e Culturale  di
Randazzo
Castiglione di Sicilia
Linguaglossa 
 Salvatore Agati
Angelo Manitta
Antonio Cavallaro
“La nuova Grafica” di
Proietto Antonio
settembre 1997 
21^ Distretto Scolastico
Randazzo
Assessorato Regionale ai Beni Culturali e alla P.I.  
MUSEO ARCHEOLOGICO
PAOLO VAGLIASINDI 
 Maria Teresa  Magro
Francesco Privitera
Vincenzo Pappalardo
 Maimone & Associati s.a.s.Catania “Quando la contadina trovò l’anello d’oro” 
 ETNA
UN VULCANO
UNA CIVILTA’
S.Agati – M.La Greca – G.M.Licitra – P.Maenza – A.Messina – R.Romano – G.A.Ronsisvalle – E.D.Sanfilippo – G.Sperlinga.  Giuseppe Maimone Editore
Catania marzo 1987 
  Amministrazione Provinciale di Catania
Storia del vulcano Etna, le eruzioni, le grotte, il paesaggio vegetale, la fauna, il paesaggio antropico, il parco, i vini, i castelli, i miti.  
SICILIA SCONOSCIUTA
Itinerari insoliti e curiosi
 MATTEO COLLURA RIZZOLI   
  MOS MAIORUM
Il costume degli antenati
Poesie e opere pittoriche 
ISIDORO RACITI  Collana
editoriNproprio 
Tipolitografia F.lli Chiesa
Nicolosi – maggio 2011
La “Collana
editoriNproprio”
nasce da un’idea  di Isidoro Raciti e Pietro Guarnotta, per stimolare la divulgazione di ogni valido e meritevole prodotto intellettuale.
Dal titolo già si evince che ciascun autore sarà editore di se stesso e potrà avvalersi della esperienza del curatore e del prefatore, che offriranno consigli utili al progetto dell’opera e alla sua presentazione e diffusione. 
 
CATANIA E LA SUA PROVINCIA SANTI CORRENTI Artigrafiche Benni
Roma
ottobre 1983
I caratteri distintivi
della 
PROVINCIA ETNEA
CITTA’ E PAESI DI SICILIA   SANTI CORRENTI Ridolfo Editore  a cura di
Giancarlo B. Scarantino
Sicilia da conoscere e amare
 
AL QANTARAH   GIUSEPPE LAZZARO DANZUSO
EUGENIO ZINNA
DOMENICO SANFILIPPO EDITORE
Catania 1988  
Randazzo
“‘N Cristu nudu, crudu, ‘nchiaiàtu comu su fussi siccàtu di lu ventu” 
DIFESE DA DIFENDERE
Atlante delle Città Murate di Sicilia e Malta 
 
EUGENIO MAGNANO  DI SAN LIO
ELISABETTA PAGELLO
Fondazione Culturale 
“Salvatore Sciascia”
Palermo, ottobre 2004  
“O fortunati quelli, di cui le mura già sorgono!”
sospira Enea…. 
Virgilio, Eneide
ITINERARI BIZZARRI
Curiosità Italiche 
Conte Pietro Silvio Rivetta
in arte 
TODDI
Casa Editrice Ceschina
Milano 1935  
 La Città del 3
Un laghetto periodico –
La prediletta dell’Etna –
Un parente di Ernani Involami – 
Le viventi statue digiune –
Il tempo è relativo.
Randazzo, febbraio 1934
 CREDERE
o non credere
WIERZYC’
czy nie wierzyc’
Don CRISTOFORO BIALOWAS    La storia del beato Domenico SPADAFORA 
SEMAFORO VERDE
Una speranza a Natale in Albania 
 CARMELO LA ROSA Scaffali  la Meridiana   
 IL VULCANO E LA SUA ANIMA SALVATORE SCALIA  Prova d’Autore
dicembre 1989 
La lingua degli uccelli.
Intervista all’ing. Angelo Priolo e uno sguardo al museo di Scienze Naturali
 
LA SVEDESE DALLO SCIALLO ROSSO   ROSARIO TALIO  Tipografia F.lli Zappalà – Catania – 1986  Il dr.Rosario Talìo è stato il Direttore di
“Randazzo Notizie”. 
ERESIA ?
(La bancarotta della lotta di classe) 
 TOMMASO VAGLIASINDI
1866/1929
Cav  Nicolò Giannotta – Editore
Libraio della Real Casa
Catania 1923
 Appendice
Polemica Epistolare con Filippo Turati.
 LA VALLE DELL’ALCANTA’RA
Dalla preistoria all’età contemporanea
 Angelo Manitta – Salvatore Maugeri  Accademia Internazionale
“Il Convivio”

Febbraio 2012 
 In copertina:

La Sicilia, carta geografica del Cinquecento

TRILOGIA 
(NON SOLO POESIE)
 ISIDORO RACITI  Tipo-Litografia 
Bracchi Isidoro
Giarre 23 marzo 1991 
 Le opere pittoriche contenute nel volume sono di:
Alcatraz ,A. Caltabiano,
A. Caponetto, C. Fresta,
S. Giuffrida, M. Motta, 
F. Nasello, G. Pulvirenti,
G. Raciti, S.Zapplà,
S. Leotta, M. Prima.
 CONOSCERE L’ETNA
Guida ai percorsi del parco Regionale
 Giuseppe Riggio
Giuseppe Vitali
Sellerio Editore
Palermo
luglio 1987  
A cosa serve un parco? Perché è solitamente così difficile stabilire che una certa zona (ambiente montano o foce di fiume) necessita di una particolare tutela ? 
I BIZANTINI 
NELLA VALLE DELL’ALCANTARA 
ANGELO MANITTA  Il Convivio Editore  
Verzella 
gennaio 2017 
 Le Cube di 
Castiglione di Sicilia
Malvagna
Randazzo
Roccella Valdemone
S. Domenica Vittoria
Il Collegio Salesiano 
S.Basilio di Randazzo
nel suo centenario
1879 – 1979 
 I Salesiani Tipografia Scuola Salesiana del Libro di Catania Barriera
30 ottobre 1979
Don Bosco a don Guidazio scoraggiato per la sua partenza  alla volta della Sicilia:
“Sta tranquillo, non inquietarti di nulla; va dove l’ubbidienza ti Manda, non temere, tu arriverai a Randazzo e lì farai tante belle cose ! “.
 LA TEOLOGIA E’ SAPIENZA
Conversazioni e lettere
 M.-D. CHENU  –  
ANTONINO FRANCO 
Editrice Morcelliana
Gennaio 2018  
NUNZIO TRAZZZERA
Pittura – Scultura 
 ANGELO MANITTA Litografia La Rocca
Giarre 
 Il Carretto
Associazione Artistico Culturale Europea
Il recupero
dei centri storici minori
in Sicilia  
ANDREA PIRAINO   Publialfa Editrice
1992  
ANCI-SICILIA 
 inSolito Amore
(poesie 2008-2014)
UnUsual Love 
(poesie 2008-2014)
 ISIDORO RACITI   Prefazioni e Traduzioni di
Pietro Guarnotta 
IL TROFEO  FEDERICO DE ROBERTO   INEDITI E RARI
gennaio – marzo 1974
 A cura e con introduzione di Piero Meli
Tutto quaggiù è armonia 

Padre Maugeri
uomo sacerdote musicista

 Salvatore Licciardello  Casa Editrice La Voce dell’jonio
Acireale – 2018
La mia missione, La mia attività, La mia responsabilità
é quella
del ministro di Dio,
dell’uomo di Dio,
dell’uomo consacrato,
per la vita e per la morte,
alla glorificazione
del Signore
e alla santificazione
delle anime.
Don Antonino Maugeri 
CONSUETUDINI DI RANDAZZO  VITO LA MANTIA  Palermo
Stab,Tip. A. Giannitrapani 
1903
Comm. Vito La Mantia
Grande Ufficiale
Primo Presidente Onorario di Corte d’Appello 
Antiche Consuetudini delle Città di Sicilia  VITO LA MANTIA     
Origine e vicende dell’Inquisizione in Sicilia VITO LA MANTIA  Sellerio Editore
Palermo
 
 Ospedalità antica in Sicilia
Un millennio di medicina e assistenza sanitaria
 MARIO ALBERGHINA Bonanno – Editore
2001 
La Basilica di Santa Maria Assunta  
di Randazzo
(XIII-XIX)
Francesca Passalacqua  Edizioni CARACOL
Palermo 
dicembre 2017

Opera Nazionale Dedicata Agli Artefici Della Vittoria Capi di Arditi
BASEGGIO VAGLIASINDI
FREGUGLIA 
Profili di
GIUSEPPE GORDINI 
MCMXXII

 Giuseppe Gordini Società Tipografica Editoriale 
Porta di Piacenza
1922
La biografia di
Pietro Paolo Vagliasindi
(da pag.44 a pag.72) 
 Masserie e mulini:

Strutture produttive nella Sicilia moderna
Domenico Ventura  Università di Catania   
   Walter Leopold

Architetture del Medioevo in Sicilia a Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo

Traduzione di
Annamaria Leopold

 Contributi di
Annamaria Leopold
Rocco Lombardo
Renata Prescia
Gaetano Scarpignato
 Editrice Il Lunario
Enna – 2007 
La dissertazione di dottorato di Walther Leopold (1882/1976), è la testimonianza dell’amore per l’Italia. Presentata nel 1913 al Politecnico di Dresda e pubblicata a Berlino nel 1917, riveste un’importanza particolare perché ha proposto per la prima volta all’attenzione internazionale monumenti significativi, contribuendo così indirettamente anche alla loro salvaguardia. 
         
         
         
         

A cura di Francesco Rubbino

SEN. GIOVANNI ROMEO DELLE TORRAZZE

GIOVANNI ROMEO DELLE TORRAZZE

 

ROMEO DELLE TORRAZZE Giovanni

  

     
 
 
 
     
   Indice dell’Attività Parlamentare   

   Fascicolo personale   

 

.:: Dati anagrafici ::.
 
Data di nascita: 12/10/1861
Luogo di nascita: BELPASSO (Catania)
Data del decesso: 18/09/1957
Luogo di decesso: RANDAZZO (Catania)
Padre: Tommaso
Madre: PULVIRENTI Giuseppa
Nobile al momento della nomina: Si
Nobile ereditario No
Titoli nobiliari Marchese, titolo concesso con regio decreto del 23 dicembre 1926 e con regie patenti del 13 ottobre 1927
Barone del Cugno, titolo riconosciuto con decreto del 16 novembre 1901
Barone di Torrazza, titolo rifiutato dal padre Tommaso e rinnovato a favore di Giovanni con regio decreto del 13 giugno 1901 e con regie patenti del 12 dicembre 1901
Coniuge: ANATRA Giulia Maria
Fratelli: Antonio
Vincenza
Vincenzo
Maria
Luogo di residenza: CATANIA
Titoli di studio: Scuola militare
Presso: Scuola militare di Modena
Professione: Militare di carriera (Esercito)
Carriera giovanile / cariche minori:  
Carriera: Generale di brigata nella riserva
Cariche e titoli: Comandante supremo dell’Esercito (ottobre 1915)
Aiutante di campo di SM il Re (1900)
Aiutante di campo generale onorario di SM il Re
Presidente del Tribunale militare di Palermo
 

.:: Nomina a senatore ::.
 
Nomina: 06/10/1919
Categoria: 03 I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio
Relatore: Fiorenzo Bava Beccaris
Convalida: 10/12/1919
Giuramento: 11/12/1919
Annotazioni: Gruppo Senato: Non ascritto a gruppi
 

.:: Onorificenze ::.
 
Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia 11 aprile 1898
Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia 29 luglio 1911 
Grande ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia 17 giugno 1919
Gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia 19 febbraio 1922
Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 8 giugno 1902
Commendatore dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 14 dicembre 1924
Grande ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 10 giugno 1939
Commendatore dell’Ordine della Legion d’onore
 
 

.:: Camera dei deputati ::.
 
Legislatura Collegio   Data elezione Gruppo Annotazioni
XXIII Bronte   7-3-1909 Centro  
XXIV Bronte   26-10-1913 Centro  
 
 

.:: Senato del Regno ::.
 
Commissioni: Membro della Commissione per l’esame del Testo Unico delle norme legislative sul Consorzio zolfifero siciliano (9 dicembre 1930) Membro della Commissione per il giudizio dell’Alta Corte di giustizia (1° maggio 1934-2 marzo 1939) 
Membro della Commissione dell’agricoltura (17 aprile 1939-5 agosto 1943)
   
 
 

.:: Alta Corte di Giustizia per le Sanzioni contro il Fascismo (ACGSF) ::.
 
Deferimento: 27/08/1945    
Provvedimento: Ordinanza di decadenza Data: 10/01/1946
Provvedimento: Ordinanza di inammissibilità del ricorso Data: 29/03/1946
Provvedimento: Sentenza di cassazione della decadenza (Sezz. Unite Civili-Cassazione) Data: 09/06/1947
 
 

.:: Atti parlamentari – Commemorazione ::.
 
Per i senatori deceduti successivamente al 17 maggio 1940, data dell’ultima seduta pubblica del Senato del Regno, non fu svolta commemorazione in Assemblea.
 
Note: Il nome completo risulta essere: “Antonio Giovanni Romeo”

 

 

 

Dati anagrafici ::.
 
Data di nascita: 12/10/1861
Luogo di nascita: BELPASSO (Catania)
Data del decesso: 18/09/1957
Luogo di decesso: RANDAZZO (Catania)
Padre: Tommaso
Madre: PULVIRENTI Giuseppa
Nobile al momento della nomina: Si
Nobile ereditario No
Titoli nobiliari Marchese, titolo concesso con regio decreto del 23 dicembre 1926 e con regie patenti del 13 ottobre 1927 Barone del Cugno, titolo riconosciuto con decreto del 16 novembre 1901 Barone di Torrazza, titolo rifiutato dal padre Tommaso e rinnovato a favore di Giovanni con regio decreto del 13 giugno 1901 e con regie patenti del 12 dicembre 1901
Coniuge: ANATRA Giulia Maria
Fratelli: Antonio Vincenza Vincenzo Maria
Luogo di residenza: CATANIA
Titoli di studio: Scuola militare
Presso: Scuola militare di Modena
Professione: Militare di carriera (Esercito)
Carriera giovanile / cariche minori:  
Carriera: Generale di brigata nella riserva
Cariche e titoli: Comandante supremo dell’Esercito (ottobre 1915) Aiutante di campo di SM il Re (1900) Aiutante di campo generale onorario di SM il Re Presidente del Tribunale militare di Palermo
 

.:: Nomina a senatore ::.
 
Nomina: 06/10/1919
Categoria: 03 I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio
Relatore: Fiorenzo Bava Beccaris
Convalida: 10/12/1919
Giuramento: 11/12/1919
Annotazioni: Gruppo Senato: Non ascritto a gruppi
 

.:: Onorificenze ::.
 
Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia 11 aprile 1898 Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia 29 luglio 1911  Grande ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia 17 giugno 1919 Gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia 19 febbraio 1922 Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 8 giugno 1902 Commendatore dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 14 dicembre 1924 Grande ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 10 giugno 1939 Commendatore dell’Ordine della Legion d’onore
 
 

.:: Camera dei deputati ::.
 
Legislatura Collegio   Data elezione Gruppo Annotazioni
XXIII Bronte   7-3-1909 Centro  
XXIV Bronte   26-10-1913 Centro  
 
 

.:: Senato del Regno ::.
 
Commissioni: Membro della Commissione per l’esame del Testo Unico delle norme legislative sul Consorzio zolfifero siciliano (9 dicembre 1930) Membro della Commissione per il giudizio dell’Alta Corte di giustizia (1° maggio 1934-2 marzo 1939)  Membro della Commissione dell’agricoltura (17 aprile 1939-5 agosto 1943)
   
 
 

.:: Alta Corte di Giustizia per le Sanzioni contro il Fascismo (ACGSF) ::.
 
Deferimento: 27/08/1945    
Provvedimento: Ordinanza di decadenza Data: 10/01/1946
Provvedimento: Ordinanza di inammissibilità del ricorso Data: 29/03/1946
Provvedimento: Sentenza di cassazione della decadenza (Sezz. Unite Civili-Cassazione) Data: 09/06/1947
 
 

.:: Atti parlamentari – Commemorazione ::.
 
Per i senatori deceduti successivamente al 17 maggio 1940, data dell’ultima seduta pubblica del Senato del Regno, non fu svolta commemorazione in Assemblea.
 
Note: Il nome completo risulta essere: “Antonio Giovanni Romeo”

 

Padre Luigi Magro Cappuccino così scrive del Senatore Giovanni Romeo nel

                                ” CENNI STORICI DELLA CITTA’ DI RANDAZZO “ a pag. 170

Come tutti gli altri Reali che dominarono la nostra Sicilia, anche i Savoia onorarono la nostra Città con segni di predilezione ricambiati dal nostro popolo con vero amore di rico­no­scenza e fedeltà alla Monarchia.

Villa Statella Randazzo

Nel 1911 quando fu inaugurato a Catania il Monumento a Umberto I° nella nuova Piazza Roma, il Re Vittorio Emmanuele III° con la Regina Elena del Montenegro vennero a Catania per onorare di loro Real presenza la cerimonia.

Arrivo dei Reali alla villa Stella Romeo – Randazzo

Essi si compiacquero far sosta in tutte le Stazioni per ricevere l’omaggio del popolo ricam­biandolo con sorrisi e compiacenze.
            Anche la nostra Città fu onorata dalle Loro Maestà che furono acclamate da un gran numero di Cittadini che affluirono alla Stazione. I Reali si degnarono gradire un bel mazzo di fiori che il Commissario Spasiano offrì a nome di Randazzo.

Il convoglio dei Reali d’Italia a Randazzo – 1911

Lasciata tra le ovazioni del popolo la nostra Città, il Treno reale si mosse per traspor­tare gli Augusti Visitatori nella vicina Villa Statella del Marchese Romeo ove il Re e la Regina col loro seguito ebbero offerta una colazione.
    Era il 31 maggio 1911.
Accompagnavano Sua Maestà il Re il Ministro degli Esteri Sangiuliano, il Ministro di Grazia e Giustizia Finocchiaro Aprile, il Ministro dei Lavori Pubblici Sacchi, la Presidenza del Se­nato e della Camera dei Deputati con parecchi Onorevoli ed il Prefetto della Provin­cia.

          In tale occasione sua Maestà la Regina nominò Dama di Palazzo la Marchesa 

La Famiglia Reale.

Sig.a Giulia Anàtra moglie del Marchese Giovanni Romeo delle Torrazze il quale era stato quale Capitano di Cavalleria Ufficiale di Ordinanza quando Sua maestà il Re era Principe Eredita­rio, ed in seguito Aiutante di Campo del Re quando questi salì al Trono.

     Il Marchese Romeo fu il primo a rivolgere a Vittorio Emmanuele il Titolo di Re, dopo­ché fu assassinato Umberto I°.

Il Principe trovavasi sul mar Jonio reduce da Costantinopoli e da Gerusalemme nei paraggi di Capo Spartivento, quando dal Semaforo fu segnalato di fermare la rotta ed ac­costarsi e col megafono veniva avvertito il Principe che c’era un dispaccio per lui urgente.

Il Comandante della nave con una lancia andò a prendere quel plico che conteneva un te­legramma della Regina Margherita che d’urgenza invitava il figlio a rientrare perché suo Pa­dre era gravissimamente infermo.
Volta la prora per Reggio Calabria e giunto in porto si apprese la tragica fine del Re Um­berto I°.
            Col Treno Reale che si trovò pronto, il Principe, sempre accompagnato dalla Sua Ordinanza, partì per Napoli dove fu accolto da un’imponente dimostrazione silenziosa.
Il Capitano Romeo, dovendo annunziare al Principe che l’On. Francesco Crispi desi­derava essere ricevuto, invece che Altezza lo chiamò Maestà.
            Partito il Treno Reale per Monza, il Principe fu sempre accompagnato dal Romeo il quale dal nuovo Re d’Italia fu, nello stesso Palazzo dove giaceva la Salma del defunto Re Umberto, promosso suo Aiutante di Campo, lasciando alle Autorità Superiori dell’Esercito di trovare una formula giuridica perché un semplice Capitano potesse coprire quella mansione riservata agli Ufficiali Superiori. 
   Il nuovo Aiutante di Campo accompagnò la Salma del defunto Re a Roma dove il Romeo fu poi promosso Tenente Colonnello.
La carica di Aiutante di Campo del Re Vittorio Emanuele III° lo tenne in servizio per 5 anni circa e durante questo tempo passò a matrimonio e la Sposa si ricevette un regalo da Sua Maestà la Regina Elena.
Quando si congedò dal Servizio fu promosso Colonnello.

            Richiamato in servizio nel 1915 per la guerra mondiale fu nuovamente Aiutante ef­fet­tivo del Re per tutto il periodo della guerra, accompagnando ovunque il Sovrano.

Quando si concedò fu promosso al grado di Maggior Generale.

 

            Molto intime sono state le relazioni passate, per Sovrana Degnazione tra la Famiglia Reale e i Marchesi Romeo i quali visitando i Reali sono stati sempre Ospiti della Reggia, come nel 1944 lo furono per ben 15 giorni, e d’altro canto anche la Famiglia Reale si degnò accettare l’ospitalità in casa Romeo.
Per la nascita dei Principi i Marchesi Romeo si son trovati nella Reggia.
            Oltre Sua Maestà il Re e Sua Maestà la Regina, come sopra si è detto, anche il Principe Ereditario Umberto di Savoia Principe di Piemonte onorò i Marchesi Romeo di una sua augusta Visita accettando l’8 ottobre 1921 una colazione nella Villa Statella a Ran­dazzo.
In seguito fu altra volta Ospite dei Marchesi nella casa di Catania.

            Anche le loro AA. RR. le Principesse Mafalda e Giovanna furono a Randazzo ed ebbero offerta una Colazione alla Statella presso i Marchesi Romeo il 24 aprile 1923.

Le date di queste Auguste Visite sono incise in tre lapidi murate nella facciata del Castello sulla veranda.

            Il Marchese Romeo fu anche Deputato al Parlamemto Italiano per il Collegio di Bronte per due Legislature per oltre 11 anni e, per la Categ. IIIª fu eletto dal Re Senatore del Regno.

 

Castello Romeo – Randazzo

Castello Romeo – Randazzo

 

 

A VARA

STORIA DELLA ” VARA” di Salvatore Calogero Virzì 

 

Invitato a far seguito alla simpatica cerimonia svoltasi con una mia conversazione che si adattasse nello stesso tempo al momento mi è sembrato argomento consono e opportunissimo parlare della ”Storia della Vara”, espressione folcloristica di grande importanza, non solo per la nostra cittadina, che da secoli gode della sua celebrazione, ma anche per tutta la storia del costume della nostra Sicilia.
Essa, infatti, conserva ancora in tutte le sue espressioni un sapore inconfondibile di tempi e di età trascorsi, gelosamente conservato dal multiforme spirito delle innumerevoli generazioni che formano questa nostra cittadina, che vanta momenti di vero splendore nella sua storia e godette di grande importanza nelle travagliate traversie dell’Isola, come in quel periodo di esaltazione nazionale quale fu il “Vespro Siciliano” di cui l’anno scorso, in tutta la Sicilia, si è commemorato, con manifestazioni culturali, il settimo centenario della ricorrenza: 1282-1982.

Tutti sappiamo in che cosa consiste la festa della “Vara”, quali sono i suoi momenti, quali la caratteristiche, ma non tutti conoscono né le origini, ne la sua lunga storia, né quale sia stato lo svolgimento degli avvenimenti che la riguardano lungo i secoli trascorsi ed a noi ricordati da polverosi e marciti documenti d’archivio, che io ho avuto la fortuna di ritrovare ed il coraggio di compulsare, e che oggi mi danno la gioia di riferirne e notizie in questa mia conversazione.

  1. – LA FIERA FRANCA

A diradare, in parte, il mistero della situazione della Festa della “Vara”, ci viene in soccorso il ritrovamento di un documento originario che ci fa conoscere la data precisa di una manifestazione che fu l’occasione determinante della nascita della festa della Vara.
La istituzione cioè di una Fiera Franca che doveva celebrarsi nell’ambito del territorio della Chiesa di S. Maria.
La concessione è del 3 Agosto 1476 e fu data dal Re Giovanni d’Aragona: privilegio di grande importanza che rivoluzionò tutto il costume e tutta la vita economica e civile del paese.

            Ma è necessario chiarificare in che cosa consiste tale privilegio.

“a Vara”  foto d’epoca – Randazzo

Da tutti si conosce la grande importanza che ebbero la fiere nel Medioevo e l’efficacia economica di tale rilievo che ancora molti paesi, non più per privilegio speciale, ma per tradizione che si è perpetuata nei secoli più lontani della loro storia, ne conservato la celebrazione.
Cosi Mojo, Francavilla, Cesarò, Roccella, Troina, i cui paesi più lontani dell’Isola, e raccolgono animali d’ogni genere in numero veramente impressionante.
RANDAZZO, dunque, ebbe questo privilegio sollecitato dal Clero e dal Procuratore della Chiesa di S. Maria, perché allora era in tali strettezze economiche che non aveva la possibilità di portare a termine i lavori della fabbrica della stessa chiesa ancora, dopo tanti secoli, in costruzione.
Tale privilegio della Fiera Franca, infatti, devolveva una certa tassa da pagare alla Chiesa, mentre i commercianti erano esenti dal pagare le tasse allo stato ed alla dogana del Re.
            La Fiera comprendeva il commercio di panni, merci varie e bestiame. Gli animali prendevano posto ad “un tiro di balestra dalle mura” (nel Piano di S. Giuliano, penso); i mercanti di stoffe e generi vari nella Piazza di S. Maria dove l’amministrazione della Chiesa faceva costruire le “logge “,  abitacoli provvisori di tavole, da affittare ai vari mercanti per un modico prezzo.

Commercio di primaria importanza era quello della seta grezza, di cui in Randazzo vi era una grande produzione, ricercata dai mercanti palermitani, specialmente, che venivano numerosi, per la sua buona qualità.
A tutte le operazioni di commercio presiedeva di turno per il quale, nel centro del mercato, si alzava una “loggia” su un podio a scalini, sulla quale sventolava la bandiera della Fiera Franca ed in cui prendevano posto l’assessore, il notaio per i contratti da stipulare, il pesatore ufficiale; un congruo numero di guardie prestavano servizio per la Fiera.
La Fiera durava 9 giorni: 4 prima del quindici Agosto e 4 dopo e tutte la Autorità (Sindaco, assessori, giudici, ecc.) dovevano essere presenti alla apertura e chiusura della Fiera Franca, simboleggiata dal grande gonfalone bianco, con in mezzo la immagine della Madonna che veniva innalzato sul pinnacolo più alto del Campanile.
            Cerimonia suggestiva cui assisteva tutto il popolo che godeva, acclamava a gran voce la sfilata delle Autorità comunali, vestite con sontuosi paludamenti, che al suono di numerosi tamburi e di “bifferi”, sfilavano solennemente lungo la Piazza Soprana, fino al podio, per loro innalzato, davanti alla Chiesa.
Momento culminante della cerimonia era l’innalzamento del gonfalone, mentre scoppiettavano i mille petardi e suonavano a festa le numerose campane della Chiesa.

Il Privilegio di Re Giovanni coincideva con la “Corsa del Palio”.

Da tutti si conosce, o almeno si è sentito parlare, del ”Palio di Siena” , cioè la gara tra i vari quartieri della città che si disputa la vittoria con una corsa sfrenata di cavalli. A Siena ancora perdura tale manifestazione, diventata tanto famosa per tutta l’Italia; a Randazzo, purtroppo, è morta fin dalla metà del 1700.
In quel tempo le “Corse del Palio” erano una manifestazione famosa in tutta l’Italia e le città più importanti ne godevano il privilegio fin dai tempi remotissimi della Cavalleria Medievale, tanto che ce ne parla perfino Dante nella Cantica dell’Inferno (c. XV 122-123).
Randazzo, città allora di grande importanza, ottenne il privilegio di memorare questa singolare manifestazione che si articolava in cinque gare: corsa dei cavalli, corsa dei giumenti, dei muli, degli asini e dei buoi.
Gli animali che vi concorrevano non erano, almeno nei primi tempi, cioè nei sec. XV e XVI, né pochi né poco efficienti, in numero imprecisato.
Essi correvano la loro corsa a scaglioni, mentre musiche e canti, eseguiti da professionisti chiamati per l’occasione da vari paesi, echeggiavano nella Piazza di S. Maria, all’ombra di quel campanile ornato nella cuspide dallo stendardo della Fiera, che garriva al vento.
A dare il via alla corsa sono le Autorità dal loro palchetto sormontato dalla bandiera bianca.
La gara affannosamente cominciava tra le grida e gli incitamenti dei concorrenti, gli squilli di tromba e gli osanna del popolo: prima i cavalli con le loro bardature trapuntate, poi i giumenti, quindi i muli, gli asini, i buoi.
I vincitori delle varie gare ricevevano in premio delle stoffe pregiate, che cambiavano, nella qualità, secondo le varie gare: damasco d’oro per i cavalli; velluto cremisino per i giumenti; damasco verde per i muli ed un imprecisato “catalubbo” per asini e buoi.

  1. – LA “VARA”

Indagare sull’origine della “Vara”, non è cosa agevole, appunto perché ci mancano i documenti.

Chi, per primo, costruì la “Vara” in Randazzo? Quando e quale fu il primo progetto? Queste sono domande che possono ottenere una risposta solo, all’atto attuale, dalla intuizione storica e dalle deduzioni che si possono ricavare dalle poche notizie che abbiamo.
A mio parere l’invenzione della “Vara” di Randazzo si deve collocare verso la seconda metà del 1500 ed ha una derivazione diretta da quella similare di Messina.
Dagli storici municipali messinesi, quali sono il Bonfiglio e il Gallo, sappiamo che la “Vara” di Messina fu inventata nei primi del 1500.
Quale sia stata l’occasione immediata di questa invenzione, non ci viene da essi riferito ma è chiaro che ebbe derivazione dall’uso dei carri trionfali, allora tanto in auge a Palermo, a Catania e nelle altre città della Sicilia.

Così, dall’uso in Messina di portare in processione la statua della Madonna Assunta su una bardatura cremisi su un cavallo bardo in occasione della Festa del 15 Agosto, per opera di grandi maestri si passò, prima, ad un modesto carro con in alto la statua della Madonna Assunta e poi, man mano, col passare degli anni della prima metà del 1500, ad un carro talmente vistoso che comprendeva ben 500 personaggi ed era alto 50 palmi.
0Fu una tale meraviglia che in occasione del passaggio dalla città dell’imperatore Carlo V, nel 1535, i messinesi lo vollero onorare montando questa meraviglia di carro, che andò incontro all’illustre personaggio che ne rimase ammirato e compiaciuto.
Tappa precedente obbligata del viaggio di Carlo V fu Randazzo, ove arrivò il 18 Agosto del 1535. Egli pare vi si sia fermato per tre giorni, insignì Randazzo del Titolo di “Città”, suscitando tra la popolazione un entusiasmo indicibile e, quindi, partì per Messina, accompagnato da una lunga teoria di nobili della novella città, cioè di Randazzo che, in gran gala, formano un imponente corteo degno di un tanto personaggio, lungo la trazzera regia che attraversava la Valle dell’Alcantara.
I messinesi, come abbiamo detto, accolsero trionfanti il loro Imperatore, con manifestazioni mai viste, giacché per l’occasione gli andarono incontro, sulla via che conduceva al Duomo, due poderosi carri mobili splendenti di ori ed argenti.
Rimasero sbalorditi i componenti del corteo imperiale e tra essi anche i randazzesi che ne facevano parte i quali, a mio parere, recepirono nel loro cuore e nei loro propositi il messaggio che veniva loro da quello spettacolo mai visto.
Perché Messina sì, e Randazzo no?

Anche Randazzo era una gloriosa città. Anche Randazzo celebrava la festa dell’Assunta. Anche Randazzo, e specialmente la Chiesa di S. Maria, avrebbe potuto avere il suo carro trionfale.

Data la posizione economica florida della Chiesa, in seguito alla vistosa eredità di Giovannella De Quatris, che nel 1506 aveva devoluto ad essa i suoi due grandi feudi, si dà mano al progetto e si realizza un carro trionfale alto 18 metri che, in forma sintetica, rappresenti i tre misteri mariani della Dormizione o morte, dell’Assunzione e della Incoronazione di Maria Santissima, prendendo come esempio ispiratore così ci tramanda la tradizione ancora viva – il quadro del Caniglia, ancora esistente nella Chiesa, proprio nella Cappella del Crocifisso, che rappresenta i tre misteri sopraddetti, proprio forma ascensionale con cui sono rappresentati nella “Vara”.

Chi fu il primo inventore ed esecutore del progetto? Nulla sappiamo, solo possiamo azzardare l’ipotesi che sia stato ispiratore e consigliere della costruzione tecnica il grande architetto messinese Andrea Calamech, allora in Randazzo per attendere alla ristrutturazione della facciata della Chiesa di San Nicola, prima, e dell’interno della Chiesa di Santa Maria, poi.

Da ciò che sopra abbiamo riferito, però, possiamo, con forte probabilità, ricavare i termini del tempo della costruzione della “Vara”.

Carlo V venne in Sicilia nel 1535. il quadro del Caniglia porta la data del 1548. Perciò il lasso di tempo in cui fu creata la “Vara di Randazzo” è determinato da queste due date, cioè la metà del sec. XVI, anno più anno meno.

Che il periodo della costruzione sia proprio questo ci viene confermato, inoltre, dal fatto che i documenti più antichi che parlano di essa, uno del cosiddetto “LIBRO ROSSO” e l’altro dell’Archivio, risalgono proprio alla fine del sec. XVI

La struttura originaria della “Vara” sostanzialmente era quella che possiamo ancora ammirare: non si muoveva su ruote ma su scivoli, in un primo momento, e poi, su “rullari”, ed era tirata con entusiasmo da ogni ceto di persone che si prestavano volentieri per devozione, ma anche perché potevano essere avvantaggiati, per la vicinanza, nel salire sulla “Vara”, in occasione della sua spoliazione, per impossessarsi di qualche pezzo considerato preziosa reliquia da porre nei campi e in casa come buon antidoto contro il “malocchio”.

Il montaggio della “Vara” impegnava per mesi tutta la popolazione, operai, rivenditori, artigiani d’ogni specie, perfino boscaioli che dovevano tagliare anno per anno, nel più crudo inverno, e poi lasciarlo stagionare, il tronco della “Vara”, vero supporto portante cui era affidata la vita di tanti bambini e che in tutti i quattro secoli della esistenza della “Vara” cedette solo una volta, alla metà del sec. XVIII.

Col passare degli anni, affidata come fu, nella sua realizzazione strutturale, ad abili maestri ed artigiani, essa subì trasformazioni d’ogni genere e si ingrandì talmente che nel suo passaggio per la “Piazza Soprana” scuoteva pericolosamente le case.

La processione, come ai tempi nostri, si svolgeva lungo l’attuale Via Umberto sia perché era la strada principale ed era pianeggiante, e sia ancora perché, prospicienti ad essa, sorgevano i tre Monasteri di Benedettine (Santa Caterina, S. Giorgio, S. Bartolo), monache di clausura, che attraverso le fitte grate potevano seguire il suo svolgimento.

Alla semplice processione della “Vara”, col passare del tempo, si aggiunsero due altre manifestazioni di grande momento: il carro trionfale e la cavalcata.

La “Cavalcata” era una lunga teoria di cavalieri cui prendevano parte tutti i giovani più nobili della città che, all’occasione, sfoggiavano vistosi costumi alla spagnola dai molti colori, ricchi di trine e di ornamenti preziosi, che, su focosi cavalli, avanzavano accompagnati da alabardieri e scudieri, al seguito del signifero o portatore del gonfalone della città.

Precedeva la processione vera e propria, il “Carro Trionfale”, sontuoso podio mobile su cui prendevano posto i personaggi più importanti della festa e della città: le autorità, i suonatori, i cantanti, ecc.

La festa così diventò sempre più sontuosa, specialmente da quando la sua organizzazione fu assunta dall’Opera De Quatris (1676), che sopperì alle enormi spese richieste dall’illuminazione con accorgimenti speciali della Piazza Soprana, dal Campanile, della Facciata della Chiesa e all’addobbo di tutto l’interno della Chiesa che, in un anno particolare, richiese tanti drappi che per portarli da Linguaglossa, patria dell’impresario, richiese l’impiego di numerosi carri, dai fuochi pirotecnici.

Così la Festa della “Vara” diventò un momento di tripudio popolare in quel mese di Agosto assolato, in cui finalmente le braccia posavano dal lavoro dei campi ed i cuori speravano nel prossimo raccolto delle vigne.

  1. – IL DECLINO 

Così la festa si svolse per secoli: nel 1600 non saltò un anno, nonostante la grossa spesa che comportava (onze 95).
La prima metà del 1700 incrementò la fiera, il Palio e la festa in sé, ma, col maturare degli anni nella seconda metà cominciarono a sorgerei primi contrasti esterni ed interni, che avviarono il tutto verso un deprecabile tramonto.
Gravissimo il contrasto con il vicino comune di Roccella Valdemone, detto allora “Roccella di Randazzo”, che durò per ben un secolo e mezzo e che concorse al declino della Fiera Franca, la Chiesa si premurò di avere altre concessioni, tra le quali quella che proibiva ai comuni viciniori entro trenta miglia, di celebrare fiere nel medesimo tempo in cui la celebrava Randazzo.
Ed ecco i fatti.
Ottenuto Randazzo da Re Giovanni il Privilegio della Fiera Franca, la Chiesa si premurò di avere altre concessioni, tra le quali quella che proibiva ai comuni viciniori entro trenta miglia, di celebrare fiere nel medesimo tempo in cui la celebrava Randazzo.
Le cose andarono bene per oltre un secolo e mezzo.
Tutti i paesi circonvicini erano dipendenti dal Capitano di Giustizia del Valdemone, che risiedeva a Randazzo e pertanto, volenti o nolenti, dovettero sottomettersi a scanso di rappresaglie.
Ma, col passare degli anni, il Capitano di Giustizia si trasferì a Barcellona e così non ci fu, per detti paesi, il pericolo delle temute rappresaglie e Roccella si ribellò all’imposizione e così, forte dei suoi diritti giusti o pretesi, in barba a tutti i privilegi che vantava Randazzo, celebrò la sua festa e la sua fiera dall’11 Agosto al 22, proprio nel tempo riservato alle celebrazioni randazzesi.
Il primo documento in nostro possesso, che ci parla della vertenza, è del 22 Aprile 1655 ed è un richiamo del Tribunale del Real Patrimonio ai roccellesi perché smettano di celebrare la loro festa e la loro fiera nel tempo riservato alla fiera di Randazzo.
Ma i roccellesi, sostenuti da non chiari documenti a loro vantaggio, dai loro potenti feudatari e da esperti avvocati, per anni ed anni, non si diedero per intesi, anzi presero tanto coraggio che, illegalmente, trasformarono la loro piccola fiera “pro maestri scarpari, frondinari e cacinari”, cioè di piccole mercanzie, in grossa fiera di animali.

Vincenzo Rotella il Figlio Salvatore, Cartillone

Le vicende si susseguirono serrate su questa linea di acceso contrasto dall’una e dall’altra parte, per anni ed anni, con continui ricorsi ai Tribunali, che facevano la voce grossa, ma che non avevano la volontà dagli alti personaggi che proteggevano i roccellesi, che in tutte le controazioni randazzesi, come afferma il documento, non “volsero” ubbidire, anzi arrivarono al punto, avendo Randazzo mandato come messo un certo Francesco Paccione di 15 anni, inviato con intento così giovane perché, edotto dai fatti precedenti, si temevano delle violenze e giustamente si pensava che i roccellesi non avrebbero avuto il coraggio di infierire contro un ragazzo.
Ed ebbero ragione, perché il povero giovane se la vide brutta.
Egli, infatti, aveva l’incarico di notificare alle Autorità roccellesi le decisioni del Tribunale, che comandava loro di sospendere le celebrazioni della Fiera e li condannava a pagare i danni ed una grossa multa.
Non avesse mai comunicata la cosa, il povero messo perché, come egli stesso, ancora terrorizzato, riferì, scampò per un miracolo alla furia omicida di quel popolo inferocito: “ci visti fari a tutti di quel popolo etiam a femmini una conturbata grande… che voliano abbrugiare i randazzesi e, se non avesse stato picciotto lo voliano…appendere ad un albero e tagliare a mezzo…”.
Ma intanto altri contrasti più gravi, purtroppo, maturarono in seno alla comunità randazzese, che fecero dimenticare e trascurare i contrasti con Roccella, dando agio a quest’ultima di consolidare i suoi pretesi diritti: contrasti tra Autorità civiche e Autorità ecclesiastiche della Chiesa di S. Maria che, con alterne vicende, si trascineranno fino alla fine del sec. XVIII e che determineranno, per parte loro, il tramonto di questa grande istituzione che aveva procurato per diversi secoli tanta fama alla città e aveva apportato tanto benessere economico alla popolazione.
Ma andiamo con ordine esponendo i fatti e denunziando gli errori.
Malanimi, prepotenze, egoismi, competizioni personalistiche, invidie furono le cause del disastro non solo da parte dei responsabili ma anche dei signorotti del tempo, arbitrariamente protesi verso le prepotenze.
Non è questa una affermazione arbitraria mia perché è confermata da documenti inconfutabili e da esempi che mi permetto di riferirvi, solo qualcuno fra tanti.
E’ del 1765 la persecuzione del Capitano di Giustizia della Città contro mastro Francesco Emmanuele, impresario della “Vara”. La ragione? L’Emmanuele aveva litigato con un servo del Capitano. Solo l’aiuto e intervento del clero della Chiesa impedì il peggio.
Altro caso indicativo è quello di un assessore che fa mettere in carcere i giocolieri che avevano vinto due grani al figlio suo.
Casi questi caratteristici del clima che regnava in città, ma ben altri più gravi turbarono l’armonia della festa e della città.
La legge dava ai Giurati il diritto di imporre alle merci la meta, ed era costume, per accertarne la genuinità, da fare dei prelievi.
Nulla da eccepire! Ma perché doveva essere il solo degli assessori incaricato ad usufruire di questo diritto e privilegio e non tutti e quattro i Giurati?
E così, ecco, tutti i giurati, sindaco guardie e chiunque vantasse un briciolo di autorità, darsi da fare a rilevare prelievi a man salva con quanta gioia da immaginarsi dei vari commercianti!

Singolare il caso di un rivenditore di vetrerie, cui vengono prelevati, a titolo di mostre, i quattro più bei pezzi che aveva. E ancora più banale il caso di un rivenditore di “calia” a cui ne vengono richiesti, sempre a titolo di mostra, ben due mondelli.

Ben più gravi erano poi gli arbitri perpetrati dal Giurato preposto nella compilazione dei contratti, richiedendo indennizzi, ricompense arbitrarie, e spesso perpetrando prepotenze ed ingiustizie.

I commercianti ed i forestieri ne rimanevano sconcertati. I Procuratori della Chiesa reagivano, tempestando di esposti le Autorità centrali che intervennero con provvedimenti non piacevoli alle Autorità Comunali: così viene loro tolta la facoltà della meta alle merci. Indi ire e ripicche.

Usurpano il diritto di suonare il campanello nella processione.
Il clero reagisce e allora le autorità cittadine si intromettono con prepotenza nella assegnazione delle logge. Continuano le reazioni e naturalmente continuano prepotenze ed usurpazioni.
Sono in verità deludenti pettegolezzi di paese, ma incisero tanto nel buon andamento della Fiera e della Festa che allontanarono, anno per anno, forestieri e commercianti.
Infatti, è del 1770 l’assenteismo quasi completo dei mercanti alla Fiera.

Nel 1782 i disordini suscitati dai contrasti tra autorità religiose e comunali, tra gli stessi membri municipali per gelosie personali e irriducibili competizioni, sono così gravi, che il Governo Centrale, dietro denunzia dei Procuratori della Chiesa, ridusse i giorni della franchigia della Fiera da nove a tre.
La reazione dei Giurati non tardò a farsi sentire perché in risposta tentano addirittura di fare abolire la Fiera Franca di S. Maria a vantaggio della Fiera di San Giovanni.

Ma se per il momento non ci riuscirono, hanno in serbo un colpo decisivo.

Il colpo maturò nel 1794, anno in cui, col capitale maturato con la stessa tassa sulla carne, si pensa di pavimentare la “Piazza Soprana” con lastroni di basalto e contemporaneamente si avanza la proposta di abolire il passaggio della “Vara” così pesante da scuotere le case e consentire il lastricato.

Pippo Crimi 

La proposta suscita un immaginabile stupore e le proteste più violente da parte del clero e della popolazione tutta, ma il Consiglio Civico è tutto concorde e si abolisce la Festa, con immenso danno economico.
Né Palio, né Fiera risorgeranno mai più.

Troppo tardi si accorgono del danno che si è recato alla città.

Gli esposti di tutti i ceti della popolazione si avanzano incalzanti al Governo, all’Amministratore della Opera de Quatris, al Re.

Il popolo soprattutto è tanto inquieto da far temere violenze pubbliche perché nella abolizione della processione della “Vara” vede la ragione di tante cattive annate per il raccolto: “i castighi di Dio – dice un esposto al Re firmato da centinaia di persone – in questi anni non sono stati pochi: “grandine mai vista, terremoti, piogge eruttive, effusioni di ceneri vulcaniche” che tutto hanno brugiato…”.

Finalmente dopo tante insistenze esposti e pressioni nell’Agosto del 1815, 21 anni dopo, si ripristina la Festa della Vara, ma non il Palio.
Esso è morto verso la fine del secolo precedente, in quel periodo di contrasti.

Si riprende a celebrare la Fiera, ma con tanta fiacchezza che, non favorita dagli avvenimenti politici del principio del sec. XIX e dalla cessata produzione della seta, man mano andò esaurendosi fino alla completa estinzione.

Solo verso la metà del secolo, dopo vari tentativi e progetti di cui possediamo anche i disegni estrosi e irrealizzabili, si pensò alla riforma della “Vara”, in conformità  alle proposte di alleggerimento di tutto l’apparato, avanzata dalle Autorità che avevano concesso la ripresa della Festa.

E così, tra alti e bassi, dovuti in gran parte ai momenti politici del tempo e ai momenti di disaccordo insanabile per la divisione dei beni dell’Opera de Quatris, si è perpetua fino ai nostri tempi e costituisce ancora il vanto e l’espressione più caratteristica della città.

Dico fra alti e bassi, perché ancora parecchie volte, per ragioni estranee alla volontà dei responsabili, ha dovuto essere sospesa, come in occasione del colera nel 1911, delle due guerre mondiali, la seconda delle quali così furibonda e funesta per il paese che solo nel 1962, quando in parte erano risanate le ferite inferte alla città dai feroci bombardamenti a tappeto del Luglio-Agosto 1943, potè con gioia di tutti essere ripristinata.

Essa è diventata ormai non soltanto una festa religiosa, ma una somma di manifestazioni che raccoglie aderenti in tutti i campi del progresso moderno: pittorico, sportivo, culturale, musicale, dando, purtroppo, a tutta la manifestazione piuttosto un aspetto mondano promosso dallo spirito moderno proteso verso altri valori che quelli della fede.

Essa è diventata un’occasione per evadere dalle preoccupazioni della vita ed una ricerca di obliterazione delle cure presenti senza quell’anelito spirituale che fu la molla di propulsione dei vecchi cittadini del sec. XVI.

Ora, infatti, si è tolto l’uso di collocare sul Carro Trionfale, ai piedi del fercolo, le sante reliquie, né il clero procede, come una volta, in abiti liturgici, mentre il suo posto è preso da squadre di sbandieratori vestiti alla medievale che, allo squillo di lunghe trombe ed al rullo di grossi tamburi, fanno piroettare le loro variopinte bandiere dai molti simboli, da teorie di danzanti majorettes, da sfilate storiche come il Corteo di Carlo V, ultimo Imperatore che dimorò a Randazzo e “dulcis in fundo”, da prestigiosi cantanti che salassano il bilancio della festa per allietare con le loro trite e ritrite canzonette, urlate senza grazia, accompagnate dagli strumenti rumorosi del jazz, gli esaltati animi della gioventù moderna che in essi vedono i loro nuovi santoni.

Ma la “Festa della Vara” è sempre, e per sempre rimane, un atto di fede del popolo e una testimonianza di quella civiltà cristiana che ha civilizzato i popoli, imprimendo nel loro cuore quelle virtù che fecero grandi i nostri padri e che sono sempre, anche in mezzo alle deviazioni moderne ed ai disastri terroristici del tempo, l’anelito del mondo e il miraggio dell’uomo onesto.

Sac. Salvatore Calogero Virzì

 

      Un pregevole depliant  sulla storia della “VARA” a cura di Ettore Palermo ed edito dalle Grafiche PALERMO di Randazzo






Un depliant del 1973 




 

 

 Il parroco don Domenico Massimino sulla festa dell’Assunta: “Profonda la devozione dei Randazzesi a Maria”

 

Annamaria Distefano

Quella del 15 agosto si è trasformata in una festa laica, ma i cattolici, non dimenticano il suo primo e autentico significato: celebrare l’assunzione di Maria Vergine in cielo. Per parlare di questo, abbiamo intervistato  il parroco della Basilica di Santa Maria di Randazzo,  padre Domenico Massimino, fine teologo oltre che sacerdote sempre dedito alla parrocchia.
– Padre Domenico, la Vara, il 15 agosto, mette in scena l’Assunzione di Maria al cielo. Ci spiega in parole povere cosa significhi questo? 
L’Assunzione sta a indicare come, pur essendo Maria morta, esattamente come moriamo tutti noi esseri umani, Gesù compreso, il suo corpo non abbia conosciuto la corruzione del sepolcro, la decomposizione. Maria è stata infatti assunta in cielo nell’interezza dell’identità umana, fatta di anima e corpo. Per la Chiesa ciò che è accaduto a Maria è ciò a cui andremo incontro tutti. Lo scopo della nostra vita terrena, ciò che le conferisce un senso è arrivare a questa risurrezione di vita. La resurrezione di vita comprende l’anima, che non muore mai, e il corpo. Per noi è impossibile immaginarci al di fuori dalle due categorie che conosciamo nella vita terrena: spazio e tempo. Eppure è questo che accadrà nella resurrezione di vita, o per esemplificare, nel Paradiso”.

– Perché la Madonna ha conosciuto immediatamente questa resurrezione di vita, essendo stata l’unica al di fuori di Gesù Cristo?
L’esistenza terrena di Cristo è legata in maniera speciale a quella di Maria. Maria non ha conosciuto mai il peccato. La morte è l’espressione del peccato. Non avendo conosciuto peccato, Maria non ha sperimentato la corruzione del sepolcro. La sua, infatti, non è nemmeno da considerarsi una morte, ma è chiamata dalla Chiesa “dormizione”. Qui in Basilica abbiamo un quadro bellissimo di Giuseppe Velasquez, pittore palermitano vissuto tra il ‘700 e l’ 800. Egli raffigura il ritrovamento del sepolcro vuoto di Maria, da parte degli apostoli. Si tratta di un episodio narrato solo dai Vangeli apocrifi, che il quadro descrive in maniera perfetta: una parte degli apostoli volge lo sguardo al sepolcro vuoto, la rimanente parte volge lo sguardo al cielo. Non si tratta di due sguardi, ma di un unico sguardo, lo sguardo della Fede, che coglie i segni, ma va oltre”.

– Quando è diventato dogma l’Assunzione di Maria?

Padre Domenico Massimino


“ Nel 1950, sotto Papa Pio XII. Un dogma è una verità alla quale bisogna credere necessariamente se ci si professa cristiani. Non è che prima di quella data non si credesse all’Assunzione della Madonna. Al contrario, infinite sono le testimonianze, prima fra tutte la consacrazione di numerose chiese alla Madonna Assunta, che ci dimostrano come, a livello popolare, fosse già radicata la venerazione della Madonna Assunta. Quando parlo ai ragazzi io faccio sempre un esempio per spiegare loro il significato di dogma. Il dogma è come un indumento che hai in valigia, ma che non sai di avere. Nel momento in cui lo cerchi, scopri di averlo. Non si è materializzato nel momento in cui lo trovi, chiaramente è sempre stato lì, solo che prima non si era manifestata l’esigenza di cercarlo”.

– Crede che la Vara aiuti a ricordare il vero significato del 15 agosto, o che, al contrario, l’aspetto folkloristico che ha assunto, e che è proprio a tutte le feste, possa distrarci dal significato cattolico?
Innanzi tutto, esiste, per celebrare la Madonna Assunta, un momento di assoluto raccoglimento in preghiera: è la Messa solenne del 14  pomeriggio, concelebrata da tutti i sacerdoti di Randazzo e presieduta da un Vescovo (quest’anno sarà monsignor Giombanco, vescovo di Patti). Questa Messa è seguita da una processione intima, intensa, partecipata dal paese e da tutte le confraternite”.

“La Vara rientra senza dubbio nelle manifestazioni folkloristico-religiose. Il folklore religioso, però, non è di per sé negativo. Gesù, Dio incarnatosi, ha parlato una lingua specifica, ha vissuto tradizioni, usi e costumi tipici del tempo e del luogo in cui ha vissuto. Certe feste folkloristico-religiose ci presentano i contenuti della fede cristiana in modalità tipiche di una certa cultura e tradizione.
La Vara dà il senso della verticalità, costituisce una sfida all’uomo prigioniero dell’orizzontalità di vita, incapsulato in una visione riduttiva rispetto al senso della vita.
La Vara induce l’uomo a guardare in alto, verso il cielo, fino a trovare l’aggancio che dà senso pieno, globale, eterno, al suo vivere sulla Terra”.

Annamaria Distefano

 

BEATO DOMENICO SPADAFORA

 

                                 Il Beato Domenico Spadafora                                                                                                                           (Randazzo 1450 – Montecerignone 1521)

 

La biografia – La famiglia – I luoghi – I tempi 

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Venetico Superiore (ME) – antichissimo ritratto del beato Domenico donato dalla famiglia Spadafora alla chiesa.

Domenico Spadafora discendeva da una nobile, antica famiglia, giunta in Sicilia da Costantinopoli probabilmente nell’XI secolo: capostipite fu Basilio Spadafora, capitano della guardia dell’imperatore Isauro Comneno.
I discendenti ricoprirono alte cariche sotto i Normanni e poi sotto gli Aragonesi. Secondo una delle tante interpretazioni, il nome “Spadafora” deriverebbe dal privilegio di poter portare, in pubblico, la spada sguainata davanti a sovrani e imperatori.
Questo casato diede al regno di Sicilia letterati, senatori, pretori, vescovi, giureconsulti, ebbe molti titoli e feudi: principi di Maletto, Mazzarà, Venetico, Spadafora, Carcaci, Cerami, Cutò, baroni di Roccella… Ma ebbe anche stretti legami con la città di Randazzo: qui aveva la tomba di famiglia nella chiesa di S. Francesco, e due case, il Palazzo del Duca, presso S. Nicola, e un’altra nota come Palazzo dei Conti di Gagliano dove oggi è la Piazza del Municipio.  

Gli storici parlano di due rami della famiglia, uno a Palermo e l’altro a Messina, da dove una propaggine si trasferì nel Val Demone, ed ebbe stretti legami con Randazzo, Roccella, Maletto.

Monumento del beato Spadafora al santuario.

Randazzo era allora città demaniale, ma avveniva spesso che gli aristocratici avessero la dimora nelle città demaniali, ed i possedimenti feudali altrove. Benché la città non fosse un feudo, gli Spadafora vi ebbero un ruolo importante, e vi ricoprirono sempre delle cariche, di giustizieri, capitani reggenti, capitani a guerra, sindaci… Pare che Randazzo per la sua posizione strategica e per motivi economici fosse molto ambita dagli Spadafora, che non potendo ottenerla in feudo, in quanto demaniale, riuscirono tuttavia ad ottenere il controllo del territorio con l’assegnazione di feudi nei centri vicini, esercitando però, di fatto, il potere in Randazzo, con l’aggiudicarsi le più importanti cariche pubbliche.  Così Ruggero Spatafora, per primo, ottenne il feudo di Roccella, e successivamente la famiglia si sarebbe assicurato quello di Maletto, sul versante opposto.

Alcuni nomi e alcune date per dimostrare quanto fosse rilevante la loro presenza a Randazzo:

L’urna con i resti del Santo.

15 febbraio 2005 – don Bialowas consegna alla basilica di Santa Maria le reliquia del beato Spadafora.

Nel 1282 Pietro e Damiano Spadafora furono due dei sei senatori che governarono la città nell’interregno dopo la guerra del Vespro, per conto di re Pietro I d’Aragona. Nel 1470  Ruggero Spadafora fa testamento in favore dell’Ospedale di Randazzo. L’anno 1479 Giovanni Spadafora, padre di Domenico, riceve l’investitura della baronia di Maletto.
Ancora, nel 1522,  Giovan Michele Spadafora, barone di Roccella, investito nel 1510, e nipote di Domenico, commissiona ad Antonello Gagini la statua marmorea di S. Nicola di Bari per l’ omonima chiesa di Randazzo, in qualità di fideiussore.
Infine, nel 1612 un principe di Spadafora fa dono alla chiesa dei PP. Cappuccini di Randazzo della tela con la Trasfigurazione, attribuita al Lanfranco.
Da Giovanni Spadafora (o Spatafora), barone di Maletto e signore di Casale, Castello e Tonnara, nasce a Randazzo, intorno al 1450, Domenico, e si vuole che sarebbe stato battezzato in S. Nicola.
Era il terzogenito, ma il secondo dei maschi, e non gli spettava pertanto nessuno dei feudi paterni, appannaggio esclusivo del primogenito Giovannello.

il “Conventino”, i resti della chiesa e del convento di Santa Maria delle Grazie, fondato dal beato Domenico.

Veduta di Montecerignone con la Rocca.

Presto fu inviato a Palermo, per compiere i suoi studi. Frequentò le scuole dei Frati Predicatori di S. Domenico, ma è certo che fece la professione e divenne novizio nel convento domenicano di S. Zita, che proprio in quel periodo viveva un clima di rinascita spirituale per opera del beato Pietro Geremia, che in Sicilia si era impegnato attivamente per ricondurre i conventi domenicani all’osservanza delle regole.
Domenico vi fece il noviziato, raggiungendo attraverso la preghiera, l’osservanza dei precetti ed i sacrifici, l’ideale del domenicano. Praticava digiuno e penitenza, portava cilici sotto le vesti, senza tralasciare di dedicarsi allo studio e alla scienza.
I superiori, nel 1477, dopo l’ordinazione sacerdotale, lo mandano a compiere gli studi a Perugia, e poi a Padova, dove Domenico conseguì nel 1479 il grado di Baccelliere in Sacra Teologia, “con aggregazione a quella Università ed ampia licenza di esercitare il suo ministero con l’insegnamento pubblico della Teologia”.
Richiamato a Palermo, sempre a S. Zita, vi rimane circa otto anni, proseguendo nella sua vita austera, e in un’intensa attività apostolica.
Nel 1487 fu indetto a Venezia, nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, il Capitolo generale, per eleggere il nuovo Maestro Generale dell’Ordine,. Il Vicario generale, fra Giovacchino Torriani, aveva ricevuto dal papa la facoltà di nominare 12 Maestri in Sacra Teologia, dopo avere ascoltato le dispute.
Domenico prese parte al Capitolo, e il 7 giugno, tenne una disputa che riscosse grandi consensi, facendolo eleggere tra i 12 nuovi Maestri. Subito dopo, il Vicario Torriani lo volle come collaboratore presso di sé, nell’intento di circondarsi di uomini “saggi e prudenti”, che potessero dare il loro contributo nella restaurazione dell’Ordine.

Il Santuario del beato Spadafora.


Intanto gli abitanti di Monte Cerignone, nel Montefeltro, chiedevano al Maestro Generale di fondare una chiesa, in contrada Fontebuona, a mezzo miglio dal paese, dove esisteva una cappella della Madonna di cui erano particolarmente devoti, e un convento di frati.
Il Torriani pensò d’inviare proprio Domenico, con l’incarico di fondarvi una comunità riformata.
Questo potrebbe sembrare un misconoscimento delle doti di Domenico, da parte del Generale, ma la chiave di lettura di questa decisione è invece nella volontà di mandare una persona saggia, che evitasse conflitti e scissioni.
 Il beato vi giungeva il 15 settembre dell’anno 1491.
Per avere l’autorizzazione pontificia, Domenico si recò a piedi a Roma, dal papa Alessandro VI, tornando col Breve che autorizzava l’erezione del convento.
Con un atto del 1492, ratificato nel 1493 dal Vescovo di Montefeltro, Monte Cerignone cedeva a Domenico alcune terre.
 Completata la chiesa, S. Maria delle Grazie, con un solo compagno, si occupò della costruzione del convento e di richiamare i frati necessari al culto e alla predicazione. Instancabile, teneva sermoni, insegnava ai giovani di Montecerignone la Logica e le altre scienze, facendo affidamento sui legati e le elemosine.
Ultimato il convento, fu creata la comunità dei frati. Numerose seguirono le vocazioni.
Qui Domenico trascorse circa 30 anni, dedicandosi alla carità e alla direzione spirituale delle anime, amato e riverito da tutti, tenuto già in considerazione di Santo.


 Nella primavera del 1521, sentendosi venire meno le forze, scriveva al maestro Generale fra Garzia di Loagna, un’istanza per rimettere la carica di Vicario, ma l’istanza veniva rifiutata.

L’urna con i resti del beato.


Solo in un secondo tempo ottenne di associare P. Tommaso in qualità di Pro-Vicario.
Il 21 dicembre di quell’anno celebrò la Messa come di consueto, riunì i frati nel capitolo, e dopo avere loro raccomandato l’osservanza delle regole, la bontà e lo zelo, ed essersi scusato per i suoi difetti e per eventuali torti o dispiaceri arrecati loro, annunciò che sarebbe morto prima del tramonto.
Recatosi nella sua cella e ricevuti i sacramenti, rendeva l’anima a Dio.

 

  1. Tommaso di S. Marino, che gli era succeduto nella carica di Vicario, volle che Domenico non fosse seppellito nella fossa comune, ma nella chiesa. Nel 1545, quando i suoi resti furono traslati, durante deii lavori di ampliamento, furono trovati intatti. Aumentarono i prodigi e le guarigioni a lui attribuiti, e il culto attorno alla sua tomba.

Nel 1652 il convento di S. Maria delle Grazie venne chiuso per ordine di Innocenzo X, e la chiesa passò sotto la giurisdizione della Parrocchia di S. Maria in Reclauso.
L’urna con il corpo del beato Spadafora vi fu traslata il 3 ottobre dell’anno 1677. Il santuario fu ricostruito nel 1870, e nel 1874 ebbe luogo una nuova ricognizione del corpo, con relativo verbale.

 

Mancava solo il riconoscimento della Chiesa, fin quando, nel 1921, mons. Raffaele Santi, vescovo di Montefeltro, rivolse istanza al sommo pontefice Benedetto XV, corroborando così le sollecitazioni dell’Ordine, affinché a Domenico venisse riconosciuto il titolo di beato.
La sanzione ufficiale avveniva il 14 gennaio 1921, nel 4° centenario dalla sua morte, 7° dalla morte del fondatore, Domenico di Guzmàn.
 

Una preghiera ininterrotta

La vita terrena del Beato Domenico Spadafora si potrebbe compendiare nella mortificazione della volontà ed osservanza delle regole, che si adoperò incessantemente per ripristinare e riportare alla disciplina originaria.

Festa del beato – concelebrazione all’aperto.

Nato da nobile stirpe, avrebbe potuto far leva sulla sua posizione sociale per ottenere alte cariche e privilegi, in un tempo in cui il censo era fattore di forza e potere. Aveva parenti nelle più alte cariche dell’isola, influenti presso la casa d’Aragona, non potevano mancargli gloria, agi e vita facile, invece “si rinchiuse in un chiostro e si cinse di silenzio”.

La gente lo amava, i confratelli riconoscevano le sue eccezionali qualità, di cuore, di spirito e d’intelletto, i superiori gli conferivano titoli accademici e teologici, lo incitavano, gli davano stima e fiducia, eppure, lungi dall’aspirare a cariche ed onorificenze, si ritirò in un convento di montagna “piccolo coi piccoli”, accontentandosi di indicare la via del bene ai contadini e agli umili. “E sembra quasi che questa umiltà sia stata rispettata dalla storia – dice il suo biografo P. Diaccini – Quasi tutto infatti che si riferisce alla sua azione è scomparso e il silenzio circonda la sua figura”.

Smorzò con i digiuni, le veglie e le mortificazioni la sua indole impetuosa di siciliano, per trasformare la sua vita in una preghiera ininterrotta. Un continuo anelare alla perfezione e al bene. La città di Randazzo, che gli diede i natali può

Il santuario di S.Maria in Reclauso in Montecerignone.

 andare fiera di annoverare, tra i suoi figli più illustri, il nome del Beato Domenico Spadafora.

Il culto del beato Domenico, il gemellaggio e i rapporti tra le comunità di Randazzo e Montecerignone, inizio processo di canonizzazione, iniziative dell’O.P. 

L’altare del beato Domenico al santuario di S.Maria in Reclauso

Il culto del beato Spadafora, vivo sui luoghi dove visse e operò – basta notare la grande devozione attorno all’urna coi suoi resti mortali, e l’affluenza al santuario di S. Maria in Reclauso, a Montecerignone, specie la seconda domenica di settembre, in occasione della sua festa – e vivo anche fra i Domenicani, che ne fanno memoria il 3 ottobre, era caduto quasi nell’oblio proprio nei suoi luoghi di origine.
Qualcosa si risvegliò nel 2004, allorchè don Bialowas, rettore del santuario e poi postulatore della causa di santificazione, dopo aver visionato gli atti relativi alla beatificazione, e i documenti parrocchiali e diocesani, volle mettersi in contatto con il paese di origine, Randazzo. Iniziarono così e si cementarono anche i rapporti fra le due comunità, mentre da parte sua l’Ordine dei Predicatori si fece promotore di diverse iniziative religiose.
Proprio nel 2004 ad alcune visite a Randazzo di don Bialowas, per acquisire notizie e documentazioni, o alla testa di pellegrini cerignonesi, seguirono visite di delegazioni del comune di Montecerignone, giungendo così al gemellaggio tra le due città (Comune di Randazzo, Deliberazione consiliare n.11/2004).
Lo stesso anno un gruppo di circa 50 Randazzesi, con in testa l’Arciprete e il Sindaco, si recò per la prima volta in pellegrinaggio al santuario di S. Maria in Reclauso, partecipando alla festa del 12 settembre.
Il 20 ottobre i sindaci di Randazzo e Montecerignone, Agati e Giorgini, furono ricevuti a Roma da sua Santità Giovanni Paolo II; all’udienza furono presenti, fra gli altri, lo stesso don Bialowas e il principe Michele Spadafora, discendente del beato Domenico e allora attore della causa.

Il 13 febbraio 2005 don Bialowas offre alla città di Randazzo una reliquia del beato Domenico Spadafora, nel corso di una concelebrazione solenne nella basilica di S. Maria, alla presenza di autorità religiose, civili e militari.

Una data importante è quella del 10 settembre 2006: la Festa del beato Domenico Spadafora a Montecerignone, con massiccia partecipazione di pellegrini, coincideva con l’apertura del processo di canonizzazione.
Gli atti del processo diocesano saranno consegnati a Roma, alla Congregazione dei Santi, il 14 gennaio 2009.

Oltre ai vari scambi di visite e delegazioni, e al riacceso interesse per la figura del beato Domenico nella sua terra d’origine (non è un caso se negli ultimi anni sono state realizzate su di lui 4 o 5 tesi di laurea all’Università di Catania), oltre alle celebrazioni nelle varie ricorrenze e anniversari, una importante iniziativa, patrocinata dall’Ordine dei Domenicani, sono state le  “celebrazioni itineranti” , svoltesi dal 2006 al 2012, il 3 ottobre, giorno in cui l’O.P. fa memoria del beato, nei centri che furono legati alla famiglia Spadafora: Randazzo, Venetico Superiore (ME), Maletto (CT), Spadafora (ME), Roccella Valdemone (ME), con conclusione nella chiesa di S. Domenico a Catania, concelebrazioni che hanno visto la partecipazione dei parroci, del clero, dei sindaci ed autorità dei centri interessati, e di numerosi fedeli.

 Maristella Dilettoso

Raimondo Diaccini – Vita del Beato Domenico Spadafore

Raimondo Diaccini – Vita del Beato Domenico Spadafora


 

Per saperne di più guarda il sito : 

http://web.tiscali.it/beatodomenico/20%20Il%20Beato%20Domenico%20Rassegna%20Stampa.htm

 

CORALE POLIFONICA S.MARIA

Cantare è quasi un volare, un sollevarsi verso Dio, un anticipare in qualche modo il canto dell’eternità.
(Frase pronunciata da Papa Benedetto XVI in occasione di un concerto dei Domspatzen, i piccoli cantori di Ratisbona).

 

                                                      CORALE POLIFONICA S. MARIA DI RANDAZZO

 

Alfredo Guidotto

          La Corale Polifonica S. Maria è formata da circa trenta elementi, giovani e adulti, che si incontrano settimanalmente per conoscere ed apprendere il repertorio sacro, e talvolta anche quello profano, della polifonia antica, moderna e contemporanea. È presente nella Basilica di S. Maria Assunta in Randazzo per animare la celebrazione liturgica domenicale delle ore 11:30, le liturgie solenni e le principali festività di carattere religioso a livello cittadino.

           Le sue origini risalgono alla metà degli anni ’70, quando un gruppo di giovani inizia a riunirsi nella Basilica per intraprendere un cammino di fede. Può considerarsi uno dei frutti della Missione popolare che il Clero locale ha affidato, agli inizi del 1974, ai Padri Missionari Oblati di Maria Immacolata. La Missione ha coinvolto tutte le parrocchie della città, dando un notevole impulso e vigore alle attività pastorali delle comunità parrocchiali e in particolar modo al settore giovanile. Da quella bellissima esperienza, alcuni giovani sentirono l’esigenza di curare l’animazione liturgica, iniziando a coltivare la passione per il canto. Nella prima fase, anche se non mancavano impegno e passione nel preparare i canti, le competenze musicali erano molto semplici e ruotavano intorno al suono di una chitarra ed alle voci “pioneristiche” di un piccolo gruppo di giovani che seguivano le mode e le tendenze musicali di quegli anni. Di quel primo gruppo faceva parte anche Maria Ausilia Rasano, che, dopo aver conseguito il diploma di pianoforte, diventa l’anima e l’insostituibile guida dell’intero gruppo.

          Negli anni ’80, Maria Ausilia Rasano coinvolge il M° Nino Scalisi che, per oltre un decennio, sarà l’organista ufficiale della Basilica e il condirettore della stessa Corale, alla cui crescita artistica e musicale contribuisce con molta dedizione e competenza. In occasione dell’ordinazione sacerdotale di p. Nino Sangani OMI, avvenuta l’8 aprile del 1988 nella Chiesa di S. Martino di Randazzo, la Corale cura l’animazione liturgica della solenne celebrazione eucaristica. In quella circostanza, il Coro amplia il proprio organico, arricchendosi di nuovi elementi, soprattutto giovani, che danno la possibilità di elaborare i canti a più voci e di riunirsi in forma stabile.

La Corale Polifonica di S.Maria – Randazzo

         Negli anni successivi, intensifica l’attività partecipando ad alcune edizioni del Raduno Diocesano di Musica Sacra e a varie rassegne di musica corale organizzate nell’ambito della provincia di Catania. Spesso, nel periodo natalizio, nella Basilica di S. Maria Assunta e in alcuni paesi vicini, la Corale ha presentato dei concerti di musica sacra per sostenere attività di beneficenza (adozioni a distanza, sostegno ai bisognosi, altri progetti missionari).
La storia della Corale è stata segnata da un’esperienza significativa vissuta nell’ottobre del 1994 quando ha eseguito i canti per la celebrazione eucaristica domenicale che la RAI ha trasmesso dalla Basilica di Randazzo, suscitando grande apprezzamento e attestati di stima da varie parti d’Italia.
          

          Nel 1998 si inserisce il M° Francesco Lo Presti, musicista di grande talento, che diventa il nuovo organista ed affianca il M° Maria Ausilia Rasano nella direzione musicale. I suoi arrangiamenti musicali di grande impatto sonoro e dalle varie colorature, creati con l’organo o con una semplice tastiera elettronica, s’intersecano con l’armonia e la bellezza del canto polifonico e suscitano in chi ascolta un senso di ammirazione, d’incanto e di pace interiore.

          Tra i principali impegni degli ultimi anni si annoverano:l’esecuzione dal sagrato della Basilica di S. Maria Assunta di alcuni canti sacri durante la tradizionale e suggestiva processione del Venerdì Santo; il concerto natalizio eseguito alla fine di dicembre 2007 insieme al Coro della Parrocchia S. Maria del Galeso di Taranto presso la medesima Parrocchia situata nel quartiere Paolo VI. La stima da sempre manifestata da p. Nino Sangani per la Corale e il suo invito a realizzare una iniziativa comune sono stati l’occasione di varcare, per la prima volta, i confini della Sicilia e l’opportunità di un proficuo confronto con una realtà musicale diversa, oltre che un bellissimo momento di condivisione e di amicizia; i concerti del Natale 2008, eseguiti nella Cripta della Basilica e nelle viuzze di S. Martino, il più antico quartiere di Randazzo; ed infine, il concerto natalizio eseguito nel Palazzo Municipale di Randazzo.
         In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la Corale ha partecipato al tradizionale Concerto di Ferragosto eseguito in piazza Municipio il 14 agosto 2011 dal Complesso Bandistico “E. Marotta”.
          Il 14 dicembre dello stesso anno ha ricevuto, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, l’Attestato di Riconoscimento quale gruppo di Musica Popolare e Amatoriale di interesse nazionale.

       Oltre ai maestri Maria Ausilia Rasano e Francesco Marco Lo Presti, il Coro si avvale della collaborazione del mezzosoprano Mamiko Yamamoto, il cui apporto è importante sia durante le prove, dove mette a disposizione grandi competenze didattico-musicali, sia nei concerti e in altre manifestazioni che sono impreziositi dalle sue intense interpretazioni canore.

          La Corale Polifonica S. Maria mette al servizio della Chiesa la disponibilità dei singoli coristi e dei maestri nell’elaborare i propri canti, da quelli più semplici a quelli più complessi, e condivide, in pieno, quanto affermato in una delle appendici al repertorio nazionale di canti per la liturgia della Conferenza Episcopale Italiana: “Il canto ha capacità di penetrare, di commuovere e di convertire i cuori; favorisce l’unione dell’assemblea e ne permette la partecipazione unanime all’azione liturgica; adempie al duplice scopo che, come arte sacra e azione liturgica, gli è consono, la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli”.     
    Randazzo, 05/12/2017                                                           Alfredo Guidotto

 

Le foto sono state gentilmente concesse da Rosario Foti.

SANTI CORRENTI

 

Santi Correnti, primogenito di Antonino e di Venera Leonardi, nacque a Riposto il 28 gennaio 1924.

Santi Correnti

    Rimasto orfano di padre a soli 11 anni, divenne punto di riferimento per i suoi fratelli: Pino, Lina e Nardina.
Dalla madre, docente elementare con la passione del giornalismo (scriveva per la rivista Le Vie Nuove con lo pseudonimo Viola di Prato), ereditò l’amore per lo studio e la ricerca storica.

    Ex normalista, pluri laureato con il massimo dei voti e la lode (conseguì le lauree: in Lettere Classiche – con una tesi su Virgilio, scritta in latino –, e in Storia e Filosofia, più una Honoris Causa),nel 1959 insegnò per un anno al Senior High School di West Bend nel Wisconsin.

    È stato il primo a istituire la cattedra di Storia della Sicilia nell’insegnamento universitario, conducendola dal 1970 al 1996, nell’Università di Catania.
Direttore dal 1964 dell’Istituto Siciliano di Cultura Regionale (ISCRE) e dal 1973 della Rivista Storica Siciliana; Medaglia d’Oro della Pubblica Istruzione dal 1977, Acireale nel 1991 lo nominò “Siciliano dell’anno” per le rubriche culturali da lui curate per diverse testate giornalistiche alcune delle quali sulle tv locali come “Alla scoperta di Catania” su Telejonica e “L’Almanacco” su Antenna Sicilia.

    Premio Aitnen nel 2008 per aver offerto ai lettori “un quadro della Sicilia tra i più completi e interessanti scritti finora”,che egli ha voluto pubblicare per “la valorizzazione morale” della terra natia.

    Per i suoi studi sull’alimentazione, nel 1993 gli è stata dedicata una sala del Museo delle Paste Alimentari di Roma, mentre nel 2006 l’Associazione Culturale catanese “L’Elefantino” proprio per onorare l’indiscussa valenza della sua ricerca storica, ha istituito il Premio “Santi Correnti” (rarissimo esempio di intitolazione a persona vivente).

    «Amava la famiglia –ha ricordato la prof.ssa Nardina, sorella dell’estinto –e profondamente la moglie Concettina Scirè, venuta meno il 13 agosto 2007.    Da quel giorno, sembrava quasi che aspettasse il momento di ricongiungersi a lei.
    Aveva addirittura dato le disposizioni per le sue esequie scegliendo anche il luogo per la tumulazione. Minuzioso sino alla fine».

Si spense improvvisamente a Villa dei Pini, Santa Maria La Stella (Ct), dov’era momentaneamente ospite, alle ore 5,30 del 27 agosto 2009, all’età di 85 anni.

Proloco Riposto

 

                                                                        Fu un catanese a costruire la storia di Sicilia: Santi Correnti

Santi Correnti è stato uno storico italiano, nato il 28 gennaio del 1924 a Riposto, in provincia di Catania.

Assieme a Giuseppe Pitrè e Paolo Orsi, è stato uno degli esponenti più importanti, nella ricostruzione della storia di Sicilia. 92 le opere storiografiche da egli realizzate e numerosi i saggi che, dal 1956 fino al volume postumo del 2011, che raccoglie i “Proverbi e modi di dire siciliani di ieri e di oggi”, costituiscono una delle più importanti e complete produzioni della storia di Sicilia.

Santi Correnti

Correnti, con l’oggettivismo che caratterizzava il suo mestiere, ha analizzato a fondo diversi aspetti della sua provincia e della sua terra.
Oltre agli studi e alle ricerche sui cenni storici, il suo interesse si alimentò anche di altri punti di vista, prospettive atipiche da cui guardare la sua terra e da cui parlarne, per farla conoscere al mondo e alla Sicilia stessa, con uno sguardo il più possibile obiettivo, e dunque completo. Studi sfociati nei volumi “La Sicilia di Sciascia” del 1977 (un secondo volume verrà poi realizzato nell’87), “Wagner e la Sicilia” (come esempio degli altri volumi dedicati a personaggi letterari ‘di Sicilia’, come Dante, Brahms e Goethe) del 1981, e “Il miglior perdono è la vendetta. Storia e dizionario del linguaggio mafioso”, del 1987.

Con il suo lavoro, Correnti ha offerto un quadro completo e attento della storia di Sicilia.
Con l’obiettivo di valorizzare la sua terra, parlò di storie e leggende, luoghi d’interesse e bellezze paesaggistiche, con il tratto caratteristico tipico di uno studioso, ma con l’accento particolare di un amante della propria terra. Con aforismi, ora in latino, ora in siciliano, il Professore è stato in grado di arricchire una vastissima produzione fatta di storia e curiosità.

La sua formazione umanistica, ma aperta ai problemi attuali, ha permesso la composita produzione, che aveva l’obiettivo di analizzare la Sicilia in tutte le sue molteplici sfaccettature, volendola dunque liberare, e con lui i suoi abitanti, dai molteplici pregiudizi legati alla storia e alla cosiddetta ‘sicilitudine’. Dedicò la sua vita a creare una sorta di antologia di quella che è la storia dell’Isola, vista da molteplici angolazioni. Con un linguaggio semplice e garbato, il Professore pone la sua obiettività metodologica al servizio di una sapiente ricognizione cronologica dei fatti, arricchita da elementi di vita quotidiana; così come le leggende, i miti, le credenze, che costruiscono il sostrato simbolico di un popolo. I suoi non erano solo documenti, ma vere e proprie memorie, volte a presentare un volto unico, ma sfaccettato, della Sicilia contemporanea.

Correnti fu professore alla Normale di Pisa e direttore dell’Istituto Siciliano di Cultura Regionale e della Rivista Storica Siciliana. Durante il periodo dedicato all’insegnamento presso l’Università di Catania (dal 1970 al 1996), creò la prima cattedra in Storia della Sicilia. Per le sue ricerche sull’alimentazione, gli è stata intitolata una sala del Museo delle Paste Alimentari di Roma. È stato Medaglia d’Oro della Pubblica Istruzione nel 1977, e nel 1991 ricevette la menzione di “Siciliano dell’anno”. Morì il 27 agosto 2009, a Catania.

Enrica Bartalota

 

Nel volume pubblicato dalla Provincia di Catania:

            ” Catania e la sua Provincia – I CARATTERI DISTINTIVI DELLA PROVINCIA ETNEA ” 

Santi Correnti dedica sei pagine alla nostra Randazzo che di seguito pubblichiamo.

 

Pubblicazioni di SANTI CORRENTI 

     

a cura di Francesco Rubbino

CASA DELLA MUSICA E DELLA LIUTERIA MEDIEVALE

Nasce nel 2009 con l’intento di creare un punto di incontro per gli appassionati di musica, di artigianato, di belle arti in generale, dove sia possibile isolarsi ad ascoltare i suoni naturali degli strumenti musicali in un ambiente antico vicino alla natura.

Casa della Musica e della Liuteria – Randazzo

La Casa è un edificio costruito tra XII e XV secolo. Da un lato si affaccia sulla Via S. Caterinella, nel quartiere di S.Martino, dall’altro sporge sulla valle del fiume Alcantara e i monti Nebrodi.
Nella luce discreta dei suoi ambienti silenziosi sono custoditi oltre 60 strumenti musicali e oggetti sonori che documentano l’interesse umano per i suoni dalla Preistoria al Medioevo.
La singolarità di questa collezione è che tutti questi oggetti durante la visita vengono suonati dal loro autore, che ne spiega l’origine, le particolarità e la funzione. Nella stanza più grande 40 posti a sedere permettono anche a un pubblico numeroso, come gruppi scolastici e comitive organizzate, di godere della sosta negli ambienti medievali ravvivati dai racconti e dalla musica. Le visite serali a lume di candela.

 

L’ESPOSIZIONE

Giuseppe Severini – Randazzo

Si comincia dagli oggetti sonori utilizzati fin dall’epoca preistorica: frutti essiccati, mandibole di animali, ossa, legni, pietre, corni e conchiglie.
Seguono oggetti naturali modificati al fine di produrre suoni: canne e tibie di animali tagliate e forate per creare dei primitivi flauti, i primi strumenti ad ancia, precursori delle Zampogne, poi i “Rombi” preistorici ricavati da lastrine di osso o di legno, le “Cicale” fatte con gusci di noci, spago e legnetti.

Giuseppe Severini – Randazzo

 

Si prosegue con uno dei primi strumenti a corde, la Kythara greca, col Kanon di Pitagora, il primo “accordatore” della storia europea, l’Epinette des Vosges, l’Arpa medievale di Santiago de Compostela, e poi Salteri a percussione e infine i Liuti. 

Seguono una serie di strumenti ad arco, dai Rebab ricostruiti a partire dalle pitture della Cappella Palatina di Palermo (secolo XII) alle Lyre senza tastiera al Lyrone basso al “Violino siciliano di canna” alla Gusle yugoslava a una sola corda.
Infine la Symphonia e la Ghironda, le prime “macchine per la musica” medievali.
Inoltre si possono ascoltare le campane intonate del Tintinnabulum e, quando c’è vento, la tessitura di armonici dell’Arpa eolica.

Giuseppe Severini – Liutaio

 

 

 

E’ possibile acquistare un cd di musica medievale eseguito da Secoli bui, un DVD  sulla Casa e sugli strumenti musicali antichi, un libro di  racconti ispirati alla storia di Randazzo e anche piccoli strumenti musicali.

 

 

Randazzo, Catania, via S. Caterinella 19 aperto tutti i giorni. tel.349 4001357

fonte: www.secolibui.com

Un luogo forse unico in Italia
La Casa della Musica a Randazzo
Non è un museo, né un’esposizione, bensì un laboratorio vivente
Di Francesca Bisbano


 
  Casa della Musica e della Liuteria Medievale – particolare grande sala

Mille anni di storia quasi dimenticata oggi rivivono attraverso la passione di un esperto maestro liutaio nel cuore della città di Randazzo!
Quelli, che spesso sono definiti come Secoli Bui, adesso vengono presentati sotto una nuova luce dal continuo ed attento lavoro del maestro Giuseppe Severini, per cui l’attenzione si sposta nuovamente sullo strumento musicale e sulle sue tecniche di lavorazione.
Si parla di un’arte antica, tramandata e arricchita in tempi lontani attraverso le culture di tutto il mondo: dagli arabi, ai cinesi, agli europei, diversamente da quanto solitamente viene insegnato, l’attenzione al perfezionamento di dette tecniche cresce già a partire dal XII secolo, come testimonia una miniatura del tempo. Tuttavia oggi è possibile verificare detta consuetudine in quella che dallo stesso suo ideatore è stata ribattezzata come: “casa della musica e della liuteria medievale”!

Cos’è la Casa della Musica?
Non è un museo, né un esposizione, bensì un laboratorio vivente! Circa cinquanta strumenti musicali, vengono esposti e presentati al visitatore all’interno di un edificio storico (probabilmente un ex alloggio militare) risalente al XII secolo, con interventi di rifacimento datati intorno al XII-XV secolo, nei pressi di quanto rimane dell’antico Palazzo Reale distrutto durante il terremoto del 1693.

L’idea nasce dalla necessità di dare un ordine alla casa e valorizzare l’opera di chi ormai da anni propone una serie di spettacoli, comprendenti canti, danze, azioni musico-teatrali, nonché rievocazioni storico-medievali, in tutta la Sicilia. Chi vi entra può vedere, toccare ed ascoltare dal vivo gli strumenti musicali, venendo a contatto con una cultura ormai dimenticata: il tutto grazie anche alla particolare suggestività prodotta dagli ambienti interni. Parte degli intonaci, infatti, nonché dei recenti interventi, sono stati smantellati con l’intento di recuperare quanto più possibile dell’originario assetto strutturale, nonostante le evidenti tracce di bruciature su gran parte dell’edificio e che dunque in passato hanno giustificato i necessari rifacimenti.

 
  Casa della Musica e della Liuteria Medievale – Forme per la costruzione di un liuto

Tuttavia gli ambienti più importanti rimangono : la grande sala, dotata di circa trenta posti a sedere, ove è possibile assistere a varie dimostrazioni musicali in completamento alla presentazione di ogni singolo strumento a cura dello stesso Severini e il laboratorio del liutaio, con forno e cucina a carbone annessi, ove è possibile invece visionare le varie fasi di lavorazione o riparazione degli strumenti.

La vista comprende anche un’illustrazione della storia del quartiere San Martino che ospita l’edificio e delle origini del paese, sorto probabilmente sulle rovine dell’antica Tissa.

Perché visitare la Casa?

I motivi sono molteplici e fortemente soggettivi. Sicuramente una buona ragione risiede tanto nella curiosità, che essa suscita, quanto nella singolarità degli ambienti interni, che fanno perdere del tutto il contatto con la realtà esterna. Chi entra nella casa, entra nel passato!

 
  Casa della Musica e della Liuteria Medievale – Flauti

L’estrema semplicità e schiettezza degli arredi, ma sopratutto il suono dimenticato di Liuti, Campane, Conciglie, Salteri, Lyre ad Arco, Flauti di ogni sorta, Ghironde, Tamburi e tanti altri strumenti, ricordano al visitatore che un tempo, accanto ai canti gregoriani, gelosamente studiati e tramandati nelle maestose abazie o negli innumerevoli monasteri italiani, poichè considerati base della tradizione monodica medievale, è esistita anche la musica profana, legata ad una tradizione para-liturgica, che mostra verso gli strumenti e le forme musicali del tempo un’attenzione maggiore di quanto in genere s’ immagina.

Canti goliardici vengono posti all’attenzione degli ospiti, suoni remoti, antichi idiomi, come il lombardo del 1500, uniti a canti catalani e al “canso”, le cui strofe richiamano gli antichi filoni cortesi-cavallereschi, ricreano un’atmosfera unica, misteriosa, quasi magica, che colpisce anche l’anima dell’ospite più ignaro!

CASA DELLA MUSICA E DELLA LIUTERIA MEDIEVALE
Via Santa Caterinella, 21
95036 Randazzo (CT)
ingresso libero
www.liuteriaseverini.it
prenotare la visita:
cell 349 4001357 o con un
 messaggio

 

MARIO SCALISI

Mario Scalisi

Mario Scalisi nasce a Randazzo il 16 febbraio 1941.

    Consegue il diploma di Maturità al Liceo Scientifico Principe Umberto di Savoia di Catania e la Laurea in Scienze politiche all’Università di Siena, città dove collabora col giornale “La Martinella”.
    Negli anni 1968 e 1969 insegna al Liceo Scientifico “A. Poliziano” e nell’Istituto Tecnico Commerciale Statale “Francesco Redi” di Montepulciano (SI).
    Durante questi due anni, però, resta interessato ai problemi di Randazzo e, con la collaborazione di Santino Cammarata, a cui si aggiungono Gaetano Lazzaro, Vincenzo Romano, Paolino Lazzaro e Salvatore Scalisi, pubblica una serie di numeri unici, con i quali, in modo irriverente, mette a nudo le paralizzanti contraddizioni interne della maggioranza assoluta che all’epoca amministrava il comune.
    Alle elezioni del 7 giugno 1970 risulta eletto consigliere comunale e ricopre la carica di vicesindaco.
    Carica dalla quale si dimette alla fine dello stesso anno, perché nominato professore presso la Scuola Media “Giacomo Quarenghi” di Sant’Omobono Terme (BG), pur mantenendo sino alla scadenza del 1975 la carica di consigliere comunale di Randazzo.  

In Valle Imagna, di cui Sant’Omobono Terme è capoluogo, ricopre numerose cariche, anche elettive:
    dal 1975 al 1980 è presidente della biblioteca comprensoriale;
   dal 1980 al 1985 è membro dell’Unità Socio Sanitaria Locale di Ponte San Pietro  (BG), dove ricopre la carica di Presidente della Commissione Igiene;
    dal 1985 al 2011 è consigliere comunale e, nell’arco di questo periodo, precisamente dal 1985 al 1993, ricopre la carica di Vicesindaco di Sant’Omobono Terme mentre,
    dal 1985 al 1990, è contestualmente Presidente del Consorzio Idrico Valle Imagna e,  a Bergamo , componente del direttivo del Consorzio dei Bacini Imbriferi Montani del lago di Como e  fiumi Brembo e Serio;
    dal 1990 al 2006 è componente della Comunità Montana Valle Imagna, dove, per un quinquennio, ricopre la carica di Assessore ai lavori Pubblici.

Due amici imprenditori di Sant’Omobono Terme lo coinvolgono sin dal 1976 nelle problematiche riguardanti la diffusione dei segnali televisivi.
Dal 1987 al 1992 è amministratore unico della società SIDERA srl. In tale veste assume la responsabilità dell’ emittente televisiva Imagna TV. Nel 1991 SIDERA SRL è acquisita da una società facente capo a Stefania Craxi. Imagna Tv diventa emittente regionale col  nome di Tele Nord Italia con sede a Milano.
Nel 1992 presidente di SIDERA SRL  è Marco Bassetti, fondatore e futuro presidente di Endemol Italia.
Mario Scalisi  permane ancora per oltre un anno in SIDERA srl in qualità di consigliere di amministrazione, quindi si dedica esclusivamente a SOGEPOTEL srl, società titolare di uno dei più importanti siti d’Italia per l’emittenza radiotelevisiva, telefonia mobile e internet, e della quale è amministratore unico sin dal 1991.

Nel 2010, anno del passaggio dalla tv analogica a quella digitale, pubblica il libro “Toni delle antenne”, che fra romanzo e realtà, racconta la nascita e lo sviluppo delle televisioni commerciali.

 

PREMESSA

Questo libro racconta la storia della postazione radiotelevisiva di Valcava di proprietà dei fratelli Carlo e Italo Manzoni di Sant’Omobono Terme, ameno paese della Valle Imagna in provincia di Bergamo.

Sono veri tutti i nomi delle società, delle emittenti, delle ditte, dei professionisti, degli amministratori pubblici e privati, dei politici, dei pubblici funzionari e delle persone citati nel libro.

La narrazione degli avvenimenti riguardanti uno dei principali siti del più ricco e popoloso bacino d’utenza radiotelevisiva d’Italia costituisce un particolare punto di vista dal quale il lettore può attingere qualche informazione inedita sulla nascita e i successivi sviluppi delle televisioni e delle radio commerciali in Lombardia.

Presentazione libro “Toni delle Antenne” di mario Scalisi

Con diversa fortuna cercarono di affermarsi nel liberalizzato settore della comunicazione editori importanti, quali Mondadori, Rizzoli, Rusconi e Peruzzo, l’imprenditore Silvio Berlusconi e Salvatore Ligresti. E non fecero mancare la loro presenza, in modo diretto o indiretto, alcuni uomini politici: da Craxi a Vittorino Colombo a Valter Veltroni.

La storia della postazione radiotelevisiva scorre insieme a qualche vicenda dell’ agonizzante sistema della Prima Repubblica, s’ incontra con personaggi destinati ad assumere ruoli di rilievo nell’ entourage di Silvio Berlusconi e vive le riflessioni e il tormento di quei cattolici, che, ritrovatisi orfani della Democrazia Cristiana, hanno visto nella coalizione e nella formazione volute dal Cavaliere di Arcore la più congeniale ancora di salvezza per continuare nel loro impegno politico.

Ma con la storia vera della postazione è intrecciata una storia di pura fantasia.

Così come nel film di Robert Zemeckis Chi ha incastrato Roger Rabbit recitano insieme attori in carne ed ossa e cartoni animati, in questo libro convivono fatti reali con quelli inventati ma possibili, almeno secondo il pensiero del principale personaggio del romanzo.

Per conciliare la realtà con la fantasia è stato necessario l’uso di alcuni nomi non veri: Toni, il signor Vito e il Professore, i quali , solo per la parte riferita alla storia del sito radiotelevisivo, nel loro insieme rappresentano i signori Carlo e Italo Manzoni e l’amministratore della società che gestisce la postazione radiotelevisiva di Valcava, cioè l’umile autore di questo libro.

Pure di fantasia è il nome di Osvaldo, personaggio in parte vero, mentre totalmente di fantasia è la signora Franca.

Nulla è opportuno dire su Angela. La meravigliosa fanciulla, che profuma del profumo di tutti i fiori del mondo è lasciata procedere in modo autonomo dalla sensibilità e dai convincimenti religiosi dell’autore del libro alla sensibilità e ai convincimenti dei lettori.

Qualunque sia l’identità che ciascun lettore vorrà liberamente attribuire alla fanciulla, è da lei che provengono gli stimoli per alcune importanti riflessioni.

Riflessioni necessarie affinché il protagonista del romanzo prenda la decisione d’impegnare le proprie risorse e destinarle al perseguimento dell’unità dei cristiani e al rinnovato impegno politico dei cattolici italiani su basi rese libere dalle nostalgie del passato.

  Mario Scalisi                                                                                                                                                                                                                    

  Un articolo sui Sovranismi:  da Antonio Canepa  a Umberto Bossi e Matteo Salvini  . 

 

 

LUCIA LO PRESTI

    Randazzo :  Sala consiliare “Falcone e Borsellino” gremita per la presentazione del libro postumo di Lucia Lo Presti 
Randazzo la Cassino di Sicilia. Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto e danneggiato negli anni della seconda guerra mondiale”. 

Maristella Dilettoso

Si è svolta il 23 aprile, presso la Sala consiliare “Falcone e Borsellino” del Comune di Randazzo, gremita da un folto pubblico di amici, parenti, conoscenti, giovani e non, la presentazione del libro di Lucia Lo Presti Randazzo, la Cassino di Sicilia. Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto e danneggiato negli anni della seconda guerra mondiale, pubblicato da Il Convivio Editore. Una presentazione di certo insolita, per l’assenza dell’autore.

Dopo il saluto del primo cittadino, prof. Michele Mangione, ha preso la parola Gaetano Di Silvestro, in veste di moderatore, tracciando una breve biografia di Lucia Lo Presti, una ragazza di Randazzo che nel 2012 aveva conseguito la laurea all’Accademia di Belle Arti di Catania, specializzandosi in Restauro, venuta a mancare a soli 28 anni il 5 giugno 2014, dopo aver lottato contro una lunga malattia.
Il volume presentato è appunto la sua tesi di laurea, che i familiari hanno voluto pubblicare non solo per onorarne la memoria, e per rendere tutti partecipi di una ricerca rilevante per la storia della città, ma anche per devolverne il ricavato alla Fondazione IEO (Istituto Europeo Oncologico) – CCM di Milano. Si tratta di una monografia che indaga i danni subiti dalla cittadina di Randazzo durante i bombardamenti del 1943, al fine di fare un bilancio non solo delle opere distrutte, ma anche di quelle danneggiate e ancora recuperabili. 

Primo relatore è stato Giuseppe Manitta, direttore editoriale de “Il Convivio”, critico letterario, autore di numerosi volumi, tra i quali apprezzati studi sul Leopardi, ma anche compagno di studi di Lucia, negli anni di frequentazione del Liceo classico “Don Cavina” di Randazzo:
Con Lucia ci eravamo conosciuti in un’aula del Liceo – ha esordito – e quindi la mia partecipazione emozionale è superiore rispetto ad altri episodi del genere” e ha proseguito analizzando la metodologia utilizzata dall’autrice nella ricerca e nell’uso delle fonti, affermando: “Lucia ha svolto un lavoro fondamentale, quello che è avvenuto a Randazzo fa parte della storia, ma purtroppo i piccoli centri mancano di studi su tali avvenimenti, e Lucia ha colmato questo vuoto. Il metodo di ricerca e il metodo storiografico individuano la centralità di Randazzo nella 2a guerra mondiale, poiché il paese si trovava lungo una linea di difesa che interessava le forze italo-tedesche. Oltre alle fonti letterarie e alle testimonianze, ancora più importanti sono le fonti iconografiche, sia quelle antecedenti la distruzione, sia le immagini riprese nel momento della distruzione, che mostrano le deturpazioni subite dalla città”, per concludere: “Nel libro di Lucia non è vi è solo l’analisi della distruzione, ma di quello che si può recuperare del patrimonio artistico e architettonico, quindi il libro va letto anche in positivo”.    

 È stata poi la volta di Maristella Dilettoso, per oltre un trentennio direttrice della Biblioteca comunale, giornalista, autrice di numerosi articoli e di testi sulla storia e tradizione locale, che si è soffermata sugli aspetti devastanti dei bombardamenti del luglio-agosto 1943 per la città di Randazzo, su come quei tragici giorni furono vissuti dagli abitanti, e quanto negli anni e nelle generazioni successive sia stato importante per loro conoscere quale fosse prima il volto della città.

 “La mia generazione ha avuto la sorte di non conoscere la guerra, almeno non direttamente, ma è cresciuta nell’immediato dopoguerra, quando il ricordo di quei giorni, e di quegli eventi, era ancora troppo forte, e tante ferite non si erano ancora chiuse e cicatrizzate.
La mia generazione non è cresciuta soltanto con i racconti delle fiabe, ma è venuta su anche con i racconti ancora vivi del tempo di guerra, racconti di aerei, di bombe, di sfollamento nelle campagne, di incertezza del domani, di fame, di paura.
La mia generazione ha camminato, per diversi anni, lungo le strade di un paese che portava visibili le stimmate della guerra, imbattendosi ancora in tante case e palazzi sventrati impietosamente, o ridotti in macerie.
Cosa c’era, cosa è scomparso, cosa è rimasto, cosa è stato recuperato… ecco l’importanza di questo libro
”, aggiungendo: “Il libro si rivela molto interessante perché è un altro tassello che va ad aggiungersi agli scritti che costituiscono, sotto aspetti diversi, la bibliografia su Randazzo, per noi randazzesi e per quanti ne avessero la voglia, potrà essere utile a ricostruire, a immaginare com’era il nostro paese, e a non dimenticare. Inoltre il libro raccoglie, in un tutto organico, notizie che finora si trovavano in ordine sparso, e offre una vera e propria mappatura del paese, perché suddivide la materia in edilizia sacra, civ

ile, militare, toccando chiese, palazzi, edifici pubblici, vie, porte, ecc. e distinguendo tra patrimonio distrutto, danneggiato, e recuperato”.
Come puntualmente è documentato dal libro di Lucia Lo Presti, il luglio – agosto 1943 fu un mese di incessanti attacchi aerei, dove, ad onta della Convenzione dell’Aja del 1907, non si esitò a bombardare ospedali, edifici indifesi, chiese e luoghi di culto, vi persero la vita molti civili, e come se ciò non bastasse, vi furono anche gli strascichi, a causa dei tanti ordigni inesplosi di cui pullulava il territorio di Randazzo, che nell’immediato dopoguerra causarono morti e numerosi feriti, anche tra i bambini.  “A morire, oltre la gente, furono anche le opere d’arte…” con questa frase lapidaria Lucia concludeva infatti la sua Tesi di laurea.
Molto indovinate le citazioni di scrittori siciliani poste in apertura dei capitoli: dalla Cronachetta siciliana di Nino Savarese, per la parte storica, e dagli autori randazzesi per la parte descrittiva, è come se questi incipit facciano da contrappunto alla descrizione dei nudi fatti, proponendo le sensazioni e riflessioni dell’uomo.
Il sindaco di Randazzo, Michele Mangione, ha concluso, nella sua qualità di docente, ravvisando l’opportunità di adottare il testo nelle scuole superiori, e la necessità di trasmettere ai ragazzi i valori della tradizione locale, educarli a conoscere la storia del proprio paese, di avviare dei progetti che incoraggino gli alunni a ricostruire, anche attraverso la conoscenza delle fonti orali, la mappatura del paese e del patrimonio scomparso, per far crescere una gioventù impegnata a raccogliere il valore della storia e della propria storia personale.

Dopo alcuni interventi del pubblico in sala, fra gli altri quello del professore Arcidiacono, dell’Accademia di Belle Arti, col quale la giovane scomparsa aveva collaborato negli ultimi tempi a un tirocinio per il restauro di una chiesa a S. Pier Niceto, e della dott.ssa Rossella Caporale, amica e collega di studi, che tra l’altro ha osservato: “Lucia sarebbe stata felicissima, perché desiderava concretizzare con la pubblicazione questo suo lavoro”, è stato il coordinatore della serata, Gaetano Di Silvestro, a concludere, dicendo:
Penso che Lucia ci abbia voluto dare un messaggio, di riunire le nostre forze, di capire le ricchezze che possediamo e di raccoglierne il frutto, il messaggio che ci lascia Lucia è di amore verso il proprio paese”.


Maristella Dilettoso  
(Articolo pubblicato su Il Convivio n. 65 – 2016)

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        Lucia Lo Presti – La Cassino del Sud

(Randazzo 23 aprile 2016: Aula Consiliare “Falcone e Borsellino” – contributo di Maristella Dilettoso durante la presentazione del libro) 

Gli Alleati a San Martino – Randazzo

 

Maristella Dilettoso

Se mi trovo qui stasera, è perché tempo addietro i familiari di Lucia vollero affidarmi questo testo per una revisione, prima di darlo alle stampe, e voglio ringraziarli per questa fiducia.
Il testo, infatti, era nato come una tesi di laurea, e prima che diventasse un libro, questo era un primo passaggio obbligato: dei passaggi successivi, e dell’aspetto editoriale, si è occupato poi Giuseppe Manitta. Sinceramente, dopo il suo intervento, dove sono stati approfonditi gli aspetti storici e letterari, c’è poco da aggiungere.
Avevo conosciuto l’autrice, anche se superficialmente, per ragioni familiari, e inoltre quando operavo presso la biblioteca comunale, l’avevo incontrata spesso proprio mentre lavorava alla tesi, e cercava dei testi, delle fonti, e qualche suggerimento.

Tuttavia c’è un altro aspetto di questo lavoro che mi intriga, e che mi ha incuriosita da sempre, ed è la voglia di capire, di sapere come e quanto sia cambiato il volto di Randazzo nell’arco di un secolo. Tanto che mi ero occupata anni addietro dell’argomento, dei bombardamenti alleati e di ciò che ne è conseguito per Randazzo, molto più in breve, naturalmente, per un articolo pubblicato nel 2000, dove provavo a censire i danni riportati dalla città a causa dell’evento più catastrofico che l’abbia colpita fino ad ora. Questa è una ragione in più perché questo scritto mi ha profondamente colpita e interessata.

La mia generazione ha avuto la sorte di non conoscere la guerra, almeno non direttamente, ma è cresciuta, negli anni dell’immediato dopoguerra, quando il ricordo di quei giorni, e di quegli eventi, era ancora troppo vivo nei più grandi, tanti lutti erano ancora troppo recenti, tante ferite non si erano ancora chiuse e cicatrizzate.

Le macerie lungo il corso Umberto – Randazzo

La mia generazione non è cresciuta soltanto con i racconti delle fiabe, ma è venuta su anche con i racconti ancora vivi del tempu ri guerra, ed erano racconti di aerei, di fortezze volanti, di spezzoni incendiari, di oscuramento, di sfollati nelle campagne, di incertezza del domani, di fame, di paura.

La mia generazione ha camminato, per diversi anni, lungo le strade di un paese che portava visibili i segni della guerra, perché la ricostruzione fu lenta e faticosa, percorrendo quelle vie ci imbattevamo ancora in tante case e palazzi sventrati in modo impietoso, o ridotti in cumuli di macerie, e quelli rimasti in piedi mostravano sui muri, come delle ferite ancora aperte, i fori delle bombe.

La maggior parte dei randazzesi visse quella “lunga estate calda” del 1943 nelle case di campagna, nelle proprie o in quelle di amici e parenti, in una strana promiscuità, con poco cibo, dando fondo alle scorte alimentari che erano riusciti a portarsi dietro; qualcuno dei più giovani tentava ogni tanto delle rapide spedizioni in paese, per recuperare qualche provvista dimenticata nella fretta, mettendosi così a duro rischio e pericolo: spesso durante queste “incursioni” trovavano la loro casa già distrutta, in altri casi saccheggiata, o ancora invasa da saccheggiatori, tedeschi o inglesi che fossero.

Andando avanti negli anni, si è fatta sempre più forte e costante la voglia di conoscere quale aspetto avesse Randazzo prima di quel fatidico luglio-agosto 1943, ci sarebbe voluta la macchina del tempo, invece abbiamo dovuto accontentarci di poche immagini viste sui libri, come quello del De Roberto, e di qualche sbiadita foto d’epoca, che purtroppo non documentano tutto, perché di molti angoli del paese, chiese, palazzi, statue, quadri, ecc. non esiste più nessun documento o nessuna testimonianza.

Cosa c’era, cosa è scomparso, cosa è rimasto, cosa è stato recuperato… ecco l’importanza di questo libro

Soldati Alleati a Randazzo

Vero è, e dobbiamo ammetterlo, che anche prima di allora, ma soprattutto dopo, tanti altri guasti sono stati perpetrati ai danni del nostro patrimonio, e non solo con le distruzioni, ma anche con interventi quanto meno discutibili.

Ma quella che si consumò in appena un mese, un mese interminabile per chi lo visse, fu la più devastante delle catastrofi, il culmine, una sorta di spartiacque tra il prima e il dopo, perché di danni Randazzo ne aveva subiti tanti nel passato, saccheggi, incendi, inondazioni, eruzioni dell’Etna, terremoti, e tanti, anche per incuria umana o ignoranza, ne avrebbe subiti dopo.

Perché dopo i danni inferti dagli Alleati e dai Tedeschi, la storia di Randazzo, è costellata di vere e proprie violenze al patrimonio, al residuo nostro patrimonio, che dal dopoguerra si sono protratte fino ai giorni nostri, penso all’euforia della ricostruzione negli anni ’60, e penso a tanti rifacimenti e restauri anche decisi dall’alto, e spesso improvvidi e di dubbio risultato.

Come già è stato detto, e come puntualmente è documentato dal libro di Lucia, fu un mese di incessanti attacchi aerei, dove in barba alla Convenzione dell’Aja del 1907 non si esitò a bombardare anche ospedali, edifici indifesi, chiese e luoghi di culto, persero la vita numerosi civili, o per mano dei soldati, o sotto le bombe, come quelli che si erano rifugiati dentro la chiesa di S. Martino, devastata dalle bombe il 7 agosto, anzi uno dei beni più danneggiati, e come se ciò non bastasse, vi furono anche gli strascichi, una lunga scia di sangue, a causa di tutti gli ordigni inesplosi  di cui pullulava il territorio di Randazzo, che nell’immediato dopoguerra causarono morti e numerosi feriti, anche tra i bambini.

Abbiamo avuto molte testimonianze su quei giorni, oltre a quelle riportate sul libro, credo che ciascuno di noi ne abbia sentito parlare in gioventù, in famiglia e fuori, e purtroppo non abbiamo avuto sempre il buon senso e la preveggenza di registrarle o di trascriverle.

Però una testimonianza, una per tutte, vorrei riportare, dato il tema, quella di un uomo, un grande uomo, che a quei tempi non era ancora cittadino randazzese (lo sarebbe diventato nel 1979). Era venuto a Randazzo nel 1937, aveva trovato una splendida cittadina medievale, uno scrigno di tesori d’arte, e se ne era innamorato, ma anche lui come tutti dovette assistere, in quella estate infausta del 1943, allo scempio e alla devastazione. Parlo di don Virzì, che nella premessa al suo libro sulla chiesa di S. Maria descrive tutto questo con parole che a oltre 30 anni di distanza commuovono e danno i brividi.

Ho perduto, come tanti altri, tutto, rimanendo con solo ciò che avevo addosso e col rimpianto della distruzione di tutto quello che era stato il sogno più bello della mia vita: la visione di bellezza di una città medievale (e qui descrive tanti particolari, finestre, portali, viuzze…). Ed io, pellegrino doloroso, mi immersi in mezzo a queste rovine, cercando il passaggio tra i mucchi di macerie, … ma ogni cosa gridava il suo dolore e il suo strazio…E il mio cuore impotente pianse davanti alla distruzione di tanto materiale artistico e storico insostituibile che aveva reso, con la sua scomparsa, impenetrabile e incomprensibile ormai alla mente umana intieri periodi storici della vita della città e della Chiesa…”

Per me, se mi concedete una considerazione personale, c’è una statua che compendia e rappresenta la guerra e la distruzione di Randazzo: avrete certamente presente la Madonna attribuita a Vincenzo Gagini, oggi a S. Martino, e un tempo a S. Maria del Gesù. È una statua bellissima, per me la più bella che ci sia a Randazzo, ho visto qualche vecchia fotografia che la ritrae ancora integra… invece adesso è una Madre dall’aria triste, che regge sulle braccia un Bambino con le gambe spezzate… ecco, questa statua è per me una metafora della guerra, una metafora di ciò che la guerra fece e lasciò a Randazzo: dolore, danni agli uomini e alle opere d’arte, la metafora di una storia spezzata.

Infatti “A morire, oltre la gente, furono anche le opere d’arte…” con questa frase lapidaria Lucia conclude la sua Tesi di laurea. È una frase che fa riflettere.

Perché, a rileggere queste pagine, dove è stato profuso impegno, ricerca, lavoro fisico e mentale, nel ricostruire con puntualità, precisione cronologica e documentaria, la sofferenza di una città, è difficile non ripensare alla sofferenza di Lucia, ma anche al fatto che una giovane donna, nell’espressione culminante del suo percorso di studio, qual è una tesi di laurea appunto, ha espresso un atto d’amore, ma anche di speranza e di volontà di recupero, verso il proprio paese.

Il libro si rivela molto interessante – oltre che per lo scopo umanitario e solidale per cui ne è stata voluta la pubblicazione – ma perché è un altro tassello che va ad aggiungersi agli altri scritti che costituiscono, sotto aspetti diversi, la bibliografia su Randazzo, è pregevole per la ricchezza delle fonti, sia locali che esterne, ma su questo si è già soffermato Giuseppe Manitta, per noi randazzesi e per quanti ne avessero la voglia, potrà essere utile a ricostruire, a immaginare com’era il nostro paese, e a non dimenticare.

Questo libro raccoglie, in un tutto organico, notizie che finora si trovavano in ordine sparso, e offre una vera e propria mappatura del paese, perché suddivide la materia in edilizia sacra, civile, militare, toccando chiese, palazzi, edifici pubblici, vie, porte, ecc. e distinguendo tra patrimonio distrutto, danneggiato, e recuperato.

Ho trovato molto indovinate le citazioni dalla Cronachetta siciliana di Nino Savarese, per la parte storica, e degli autori randazzesi per la parte descrittiva, perché è come se questi incipit messi in apertura a ogni capitolo facciano da contrappunto alla descrizione dei fatti, dei nudi fatti, proponendo le sensazioni e riflessioni dell’uomo.

E fa ancora molta impressione (personalmente almeno mi ha molto colpita) rivedere la fredda cronologia dei bombardamenti, dell’aviazione alleata, vedere come, in questo “bollettino delle incursioni” il nome di Randazzo ricorre di continuo, quasi tutti i giorni, in un elenco cosi asettico, di una freddezza chirurgica, direi, dove si elencano le località colpite, e tutto questo mentre qui, nel paese, per ciascun abitante, ogni giornata, ogni incursione, rappresentava altra sofferenza, dolore e distruzione.

Infine, ricordiamoci (non voglio dirlo a scopo consolatorio ché sarebbe riduttivo) che ciascuno continua a vivere attraverso quello che ha prodotto, nel bene come nel male, attraverso le proprie opere: oggi ancora tanta gente del passato, artisti pittori musicisti poeti continuano a parlarci attraverso i loro quadri, le loro musiche immortali, i loro scritti, consegnando all’umanità valori che sopravvivono nella memoria, nella cultura e nella storia. E conoscere il passato del proprio paese alimenta la memoria storica, perché la memoria non è un dato immobile, statico, ma un qualcosa che, passando per la conoscenza delle proprie radici e della propria identità, ci fa proiettare verso il futuro.

 

Randazzo, la Cassino di Sicilia. Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto e danneggiato negli anni della seconda guerra mondiale:
Il saggio si articola in due parti: i danni che la guerra ha causato e ciò che, dall’altro lato, ha risparmiato.
Per ognuna di esse si ritrovano riscontri e testimonianze documentarie, siano scritturali o iconografiche, così che è possibile per il lettore non solo affidarsi alla descrizione dei mutamenti, ma anche di seguirli ipso oculo.
Tra le opere danneggiate si possono individuare due categorie ben specifiche: le opere completamente distrutte dalla guerra e dalle ricostruzioni o abbattimenti successivi, quindi oramai non identificabili nel tessuto urbano, ed opere gravemente danneggiate ma ancora esistenti…

The essay is divided into two parts: the damage the war caused and what, on the other hand, has saved. For they themselves are iconographic and documentary evidence, or scriptural, so it is possible for the reader not only rely on the description of the changes, but also to follow them ipso oculus. Among the works are damaged you can identify two specific categories: works completely destroyed by war and the subsequent slaughter, then rebuilds or unidentifiable now into the urban fabric, and severely damaged but still standing.

SINDACI

 

  SINDACO

Data della elezione a Sindaco

Giuseppe Emanuele 18 aprile 1946         
Pietro Vagliasindi 5 luglio 1947 
 Palermo Nicolò 28  febbraio  1955
   Pietro Vagliasindi 12 giugno 1956 
 Giuseppe Bonaventura 14 dicembre 1960 
   Giuseppe Montera 26 agosto 1961
   Sebastiano Giuffrida 20 febbraio 1965
 Camarata Santo 22 gennaio 1969
 Vincenzo Viviano

Commissario Regionale

21 giugno 1969
Antonino Foti

Commissario Regionale

18 aprile 1970
Paolo Felice Iovino 13 agosto 1970
   Giuseppe Montera 13 aprile 1971
Francesco Rubbino  05 ottobre 1971
Giuseppe Gulino 30 ottobre 1972
Giuseppe Montera 05 aprile 1974
Salvatore Agati 15 settembre 1975
Francesco Rubbino 26 settembre 1978
Emanuele Dilettoso 30 novembre 1979
Mario Parlavecchio 18 luglio 1980 
Francesco Rubbino dicembre 1981 
Salvatore Agati 15 settembre 1982
Giovanni Petrullo  22 aprile 1988
Salvatore Agati 13 dicembre 1988
Francesco Rubbino 29 maggio 1990
Giovanni Germanà 23 dicembre 1992
Francesco Lanza maggio 1993
 Angela Vecchio giugno 1994 
Ernesto Del Campo   giugno 1998
Salvatore Agati giugno 2003
Ernesto Del Campo giugno 2008
 Michele Mario Mangione giugno 2013

A cura di Lucio Rubbino

 

TERRITORIO ETNEO DI RANDAZZO: IL RIFUGIO FORESTALE DI MONTE SPAGNOLO (di E. Crimi)

Nella parte sommitale dell’Etna, a sud di Monte Spagnolo, a pochi metri dalla “bottoniera” eruttiva del 1981 e all’interno della nota faggeta di Randazzo, la mano dell’uomo, complice un ambiente ancora incontaminato, ha saputo realizzare un manufatto di grande attrattiva. Infatti, incastonato in un pianoro naturale a oltre 1400 metri di quota, troviamo il “Rifugio di Monte Spagnolo”, luogo di sosta obbligata per tutti gli escursionisti appassionati di questo territorio montano etneo, che trovano in esso un punto base per una semplice immersione nella natura incontaminata, oppure, per le passeggiate di alta quota che portano verso l’estremo limite di vegetazione arborea del vulcano più alto d’Europa e la famosa “Grotta del gelo”, nome dovuto alla sua caratteristica di mantenere una gran massa di ghiaccio al suo interno per quasi tutto il periodo dell’anno.

Questo rifugio, per la sua posizione geografica, per la pregevole fattura della struttura, per la sua ubicazione all’interno di una zona boschiva ben conservata, ma anche per le sensazioni intime ed indescrivibili che offre al gitante, da tanti anni rappresenta come un punto di riferimento per i viandanti che vogliono godere del paesaggio etneo e può senza dubbio definirsi come massima espressione del connubio natura – uomo. Il rifugio di “Monte Spagnolo”, è aperto e libero a tutti coloro che lo rispettano e lo sanno apprezzare e visitarlo è una sensazione unica che resterà impressa a lungo nell’anima del visitatore.

Ci sono mille motivi per salire fin lassù e visitarlo, ma soprattutto, per scappare dalla vita caotica e frenetica della città, in cerca di scenari naturali e autentici.

Quando sarete lassù a passare la notte, sappiate che è un rifugio semplice e spartano, non cercate le comodità cittadine, non siate troppo pigri da non alzarvi e perdere così un’alba che dopo aver inondato di luce Monte Spagnolo, s’infila quasi di striscio tra gli alberi di faggio, la sera non siate troppo stanchi e affamati da restare seduti dentro a tavola ma godetevi il calar del sole e il dolce passaggio dal giorno alla notte. Se sarete fortunati, forse potrete incontrare anche qualche piccolo animale selvatico abitante del luogo, infatti in questa zona, non è difficile fare la conoscenza diretta di conigli, lepri e volpi. Se incontrate il cattivo tempo, non perdetevi il temporale montano estivo, fatto di un composto caos, tra rumori assordanti e mille luci, per poi come d’incanto veder apparire il sole e poter respirare quell’aria fresca di “Madre terra” che vi laverà dentro… Anche solo per uno di questi momenti vale la pena di salire al rifugio di Monte Spagnolo.

Dopo aver vissuto queste sensazioni, tornerete un po’ più ricchi a valle, pensando che in fondo tutti salgono sull’Etna e poi, dopo poco o magari dopo giorni, quando sarete scesi, vi verrà la voglia di tornare ancora lassù, per scoprire un altro rifugio, così da rubare ancora alla montagna una nuova e indimenticabile emozione!

Enzo Crimi

ETTORE FOTI

TERRITORIO ETNEO DI RANDAZZO: LA LEGGENDARIA GROTTA DEL GELO (di Enzo Crimi)

La Grotta del Gelo, la cavità di origine vulcanica più conosciuta dell’Etna, si è formata a circa 2040 metri slm, sul versante nord-occidentale dell’Etna, in territorio di Randazzo, ed ha uno sviluppo di circa 125 metri e un dislivello di metri 30 circa. Anticamente utilizzata dai pastori per abbeverare il gregge, oggi è meta ambita dell’escursionismo etneo. Infatti, l’affascinante spettacolo offerto dalla visione di un piccolo ghiacciaio rappresentato da un consistente deposito naturale perenne di neve ghiacciata, ha stimolato da sempre la curiosità degli escursionisti che ritengono la grotta, certamente una delle più note delle oltre 300 presenti sull’Etna. Sin dall’alba del mondo, sappiamo che le grotte hanno sempre rappresentato dei veri e propri misteri e la storia antica e recente dell’uomo è ricca di fatti inspiegabili e non comuni legati alle grotte. Forme di paure ancestrali dell’irreale collettivo, rappresentate da demoni e spiriti maligni, abitanti delle viscere della terra, si sono intrecciate con le fantasiose storie leggendarie di maghi, divinità, esseri demoniaci, tesori nascosti (truvature) e briganti, i quali, sono stati i veri soggetti di fantastiche vicende. Nelle leggende a sfondo religioso, le grotte divengono teatro di eventi prodigiosi o straordinario ricettacolo che protegge manufatti e sacre immagini, preziose apportatrici di grazia divina. Quindi, nelle menti arcaiche e meno evolute, le grotte erano considerate luoghi sacri e al loro interno poteva avvenire una crescita sia contemplativa e spirituale che fisica o anche la maturazione della saggezza e della consapevolezza. Gli uomini primitivi, al loro interno, alla luce delle torce e, ancora prima, sperimentando e approfondendo il loro rapporto sacro e liturgico con il fuoco, trascorrevano la loro esistenza ed organizzavano la loro vita sociale, in particolare nelle ore notturne, quando praticavano i loro riti tribali e i loro banchetti. Le grotte sono anche delle aperture misteriose in un mondo oscuro e silenzioso e per l’uomo del neolitico, esse rappresentavano una porta d’accesso all’aldilà, ma non era un’aldilà come lo intendiamo oggi, era un mondo spirituale incastonato ed influente nel tessuto della realtà quotidiana. Quando si entrava in questo aldilà, si incontravano strani esseri, si vivevano esperienze particolari e mistiche, era un luogo che ispirava una potente energia, ecco perché spesso le grotte venivano usate anche come luoghi di preghiera arcaica e non di rado, al loro interno si celebravano rituali di sepoltura. Le grotte, quindi, non soltanto sono luogo di ricovero per animali selvatici o ispiratori di miti e leggende, esse sono anche permanenti e gelose guardiane della cultura e delle tradizioni popolari degli uomini antichi. Dunque, seppur non possiamo considerarla molto antica, sin dalla sua formazione, la Grotta del Gelo ha rappresentato un intrecciato motivo di studio antropico, storico ed anche geologico, dell’intrigante mondo ipogeo e del suo lento ed incessante scorrere del tempo. Un affascinante ed inconsueto viaggio all’interno delle recondite profondità, immersi in un silenzio magico, laddove in piena estate il ghiaccio cede il posto ad incantate ombre che si incontrano e si confondono in un gioco sempre nuovo ma occulto, che profuma di misterioso e arcano, ma che ogni piccola disattenzione può trasformarsi in rischiosa trappola. Il suo nome è la sua notorietà, sono dovuti alla sua caratteristica di mantenere una gran massa di ghiaccio al suo interno per quasi tutto il periodo dell’anno, ciò dovuto alla neve che viene spinta dal vento al suo interno facilitata dalla lieve inclinazione del suolo, alle infiltrazioni dell’acqua che si congela per le temperature fredde e al difficile scambio termico con l’ambiente esterno. Con queste condizioni climatiche, la massa glaciale, trovando condizioni di temperatura più favorevoli, ha eseguito una traslazione sul fondo della grotta dove mantiene il suo spessore, rendendo a periodi impraticabile il cunicolo finale. Per visitarla in primavera, si procede con l’utilizzo di attrezzatura alpinistica tra cumuli di neve presenti sin dall’inizio della galleria e attraverso stallatiti di ghiaccio pendenti dalla volta e un scivoloso strato di ghiaccio, si arriva ad un piccolo ambiente pianeggiante coperto da uno tappeto di ghiaccio cristallino, dal quale traspaiono grossi massi incastonati al suo interno. Da questo si dipartono due gallerie “rivestite” dal ghiaccio invernale: la prima diventa quasi subito impraticabile a causa della gran massa di ghiaccio, la seconda, più ampia, si sviluppa interamente all’interno del ghiacciaio direzione sud e verso l’uscita. La Grotta del Gelo rappresenta un caratteristico esempio di cavità ipogea originata da meccanismi eruttivi, essendo stata prodotta dal parziale svuotamento di una colata lavica, ed è abbastanza singolare per la notevole ampiezza che supera quella media delle comuni grotte laviche. Essa si apre a monte e precisamente nella parte iniziale delle famose “lave dei dammusi” che costituiscono il prodotto dell’eruzione che in diverse fasi e per 10 anni circa (1614-1624) interessò il versante settentrionale dell’Etna. Si tratta di una grotta di scorrimento lavico che segue un processo evolutivo che ha origine dalle colate laviche, le quali scorrendo lungo le pendici del vulcano, alle volte si creano dei percorsi per così dire paralleli. La parte esterna, in quanto a contatto con l’atmosfera, tende a raffreddarsi e a solidificarsi prima,
mentre il flusso lavico all’interno della colata mantiene il suo calore e continua a scorrere come in una galleria, sino a quando viene alimentato. Quando la colata incomincia ad estinguersi e pertanto il flusso non riceve più propulsione, la condotta si svuota e lascia il posto ad una grotta di scorrimento lavico. Attualmente la Grotta del Gelo non gode di ottima salute. Infatti, mentre all’inizio della sua formazione avvenuta verosimilmente verso la prima metà del XVII secolo, cioè qualche decina di anni dopo la fine dell’eruzione all’interno della quale si formò, il ghiaccio della cavità raggiungeva uno spessore di circa 2 metri, in questi ultimi anni il ghiaccio al suo interno si assottiglia sempre di più, tanto che a estate inoltrata ne rimane pochissimo e pertanto, essa perde il suo fascino. Ciò è dovuto probabilmente alle variazioni climatiche che stanno interessando il nostro pianeta, alle temperature meno rigide e nevicate sempre meno abbondanti, ai numerosi movimenti sismici del terreno che creano infiltrazioni d’aria che indeboliscono le proprietà coibenti della grotta e non ultimo, al disordinato afflusso dei visitatori che certamente andrebbe regolamentato.

ENZO CRIMI

IL LAGO GURRIDA DI RANDAZZO : IN SILENZIO DOVE RIPOSANO GLI AIRONI (di Enzo Crimi).

 

Lago Gurrida Randazzo

Il lago Gurrida, realizzato artificialmente verso la fine degli anni sessanta e inizio settanta, ha una capienza di circa 400 mila metri cubi d’acqua. Sotto il profilo morfologico il territorio complessivo che include il lago, esteso per circa 300 Ha, é caratterizzato dalla presenza in affioramento di un consistente strato di suolo di natura agrario, originato dal disfacimento di ammassi detritici, con presenze calcaree frammiste ad argilla. Situato ad una quota di circa 835 m. s.l.m., all’estremo settore nord-occidentale del dominio vulcanico etneo e può considerarsi, dal punto di vista geo-strutturale, uno degli anelli di congiunzione tra i terreni vulcanici e quelli sedimentari posti a settentrione, caratterizzati geologicamente da argille variegate marnose e quarzarenitiche identificate in letteratura geologica con il nome di “Flysch Numidico”.

La genesi geologica del sito ci fa pensare che questo comprensorio era in origine verosimilmente formato da una vasta vallata acquitrinosa generata ed alimentata dal fiume Flascio e che risentiva degli effetti delle eruzioni vulcaniche, dalle quali veniva spesso modificato. In seguito, a causa dell’imponente colata lavica che originò le lave di “Santa Venera”, secondo alcuni studiosi avvenuta tra il 1150-1170, secondo altri risalente al periodo preistorico, il fiume Flascio subì lo sbarramento e la deviazione verso il fiume Alcantara, attraverso un percorso sotto le mura sud della cittadina di Randazzo, dove prendeva il nome di fiume Piccolo.

In seguito, l’assetto idrogeologico del fiume Flascio venne mutato nuovamente a causa di un’altra eruzione vulcanica. Infatti, nel 1536 una colata lavica proveniente dal Monte Pomiciaro, posto a sud-ovest di monte Spagnolo, ha nuovamente sbarrato il corso del fiume Flascio, determinando così l’odierno bacino che compone il noto lago, mentre un’ampia parte esterna allo specchio d’acqua, di proprietà del Demanio Forestale Regionale, in realtà può essere definita un acquitrino nel periodo invernale che si asciuga quasi del tutto nel periodo estivo, quando il flusso idrico viene spesso a diminuire. A seguito di questo fenomeno di abbassamento del livello, l’acqua stagnante su tutto il comprensorio in parte si disperde, attraverso buche, fessurazioni e inghiottitoi naturali (pirituri), per immettersi nelle falde acquifere che vanno ad alimentare il fiume Simeto, attraverso le sorgenti delle “Favare” di Magiasarde (nome proveniente dall’arabo al-fawwāra, “la sorgente”) e il fiume Alcantara, attraverso il torrente “Annunziata”. Nei mesi invernali, quando maggiori sono le precipitazioni meteoriche e la portata idrica del torrente Flascio e delle sorgenti sotterranee, il lago esonda e causa l’allagamento delle zone circostanti, compresi vigneti e frutteti, un tempo fiori all’occhiello dell’agricoltura locale.

Lago Gurrida – Randazzo

I vigneti limitrofi al lago, coltivati con vitigni di grenache o alicante, sono originari dei Pirenei e furono introdotti in questo territorio nel 1868 da un enologo della ducea Nelson per contrastare la filossera che è una malattia delle viti, attraverso la loro sommersione nell’acqua. Questi insoliti vigneti, generano nobili uve da vino, dalle quali si produce un corposo vino color rubino, molto ricercato dal mercato. Diviene complicato comprendere quali siano le vere motivazioni di questa meraviglia naturale. Guardando questi vigneti immerse quasi completamente nelle acque, si potrebbe pensare a qualcosa di suggestivo e irreale, tuttavia, è anche un buon motivo per riflettere sulla genialità della natura che ha voluto esprimere questo patrimonio, da salvaguardare per la grande capacità di questa vite di adattarsi. Per tali caratteristiche, questo vitigno costituisce un’autentica unicità.

Gli aspetti vegetazionali del lago Gurrida, esprimono una grande suggestione in tutte le stagioni, per la presenza di una ricca vegetazione arborea rappresentata da salici e pioppi e una rigogliosa vegetazione minore arbustiva, tra la quale emerge la canna acquatica, l’oleandro, l’ampelodesma, la ginestra di Spagna, il tamerice, il sambuco, e l’euforbia. Altre piccole piante come la menta, la canapa acquatica, il cardo cretico, il sedano d’acqua, la veronica acquatica, il ranuncolo, la lenticchia d’acqua, a volte si associano alla folta vegetazione igrofita che si abbina ai muschi, alle felci, alla florida vegetazione erbacea che nei tratti inondabili, finisce periodicamente per essere sempre spazzata via dall’esondazione delle acque per poi ritornare in particolare in primavera quando è la festa grande della natura che si risveglia, quando i prati che si affacciano sul lago, si vestono di verde. In questo periodo sono moltitudini di fiori che si fecondano e si propagano per mezzo delle correnti, dell’aria e degli insetti.

Nel lago Gurrida hanno riparo numerosissime specie di animali acquatici e uccelli migratori, data la sua ottimale posizione geografica lungo una direttrice di migrazione, che assicura un persistente richiamo per l’avifauna. La protezione di queste aree è utile e necessaria ai fini dell’equilibrio ecologico dei nostri territori: Aironi cenerini, Cavalieri d’Italia, Pavoncelle, Pivieri, Pettegole, Combattenti, Piovanelli, Anatre, Marzaiole, Beccaccini, Gallinelle d’acqua, Codoni, Fischioni, Tuffetti, Folaghe, Canapiglie, Mestoloni, senza dimenticare le tantissime altre specie di uccelli minori, le quali, seppur meno appariscenti o meno noti di quelli sopra indicati, certamente, in concorso con tutte le specie floristiche, contribuiscono, in forma paritaria, al mantenimento dell’equilibrio naturalistico di questo sistema lacustre. La Cicogna bianca è un esempio alquanto tangibile della integrità di quest’area, infatti era quasi scomparsa dal panorama faunistico di questo territorio ma da qualche anno è ritornata a nidificare. Il ritorno e la permanenza delle cicogne confermano ancora una volta come questo territorio presenti alcuni aspetti indicatori di grande salubrità dell’ecosistema che consentono la vita di alcune sensibilissime specie di avifauna di grande interesse scientifico e naturalistico.

Enzo Crimi

Anche le acque del lago sono ricche di vita: Anfibi quali il Rospo comune, la Rana esculenta, il Discoglosso e i pesci come le Carpe e Tinche, rappresentano le specie più comuni di fauna ittica presenti nel lago. Il bacino costituisce, in ogni caso, una risorsa insostituibile per tutta l’area circostante e per la fauna stanziale che vi alloggia: Volpi, Gatti selvatici, donnole, Ghiri, Istrici, conigli, Martore e altre specie. Alcuni rapaci diurni come le Poiane e i Falchi, abili volatori, sono capaci di volteggiare a lungo sfruttando le correnti calde ascensionali alla ricerca di prede come conigli, roditori, rettili ed altri piccoli uccelli presenti all’interno di questo vasto territorio. I rapaci hanno sempre rappresentato per i loro studiosi come un indicatore naturale di quello che è l’equilibrio biologico di un ecosistema, in quanto essi, a seconda della particolare integrità, riescono ad adattarsi ad un ambiente in modo stanziale, oppure, seguendo le naturali rotte migratorie, riescono a percorrere anche migliaia di chilometri pur di raggiungere mete ben conservate e quindi più idonei alla loro sopravvivenza che segue l’avvicendarsi delle stagioni.

Un altro universo animale, presente nell’area, completa l’interazione biologica con le altre varie componenti: il mondo dei rettili. La Natrice o biscia del collare è considerato il rettile d’eccellenza presente lungo il fiume, l’innocuo Biacco è invece il rettile più comune dell’area. Inoltre, in questo sito vivono una grande quantità di altre specie minori, come numerose luscengole, lucertole, gongili, ramarri, gechi ed emidattili, sono anche presenti la testuggine comune e la testuggine palustre siciliana. La presenza di questa straordinaria biodiversità, oltre ad arricchire il paesaggio di tonalità, rappresenta una delle costituenti biologiche più minacciate dalla degradazione o dalla riduzione a ritmo sempre più alto di questi biotopi. Pertanto,  queste presenze animali,  mantengono uno profondo legame di reciproca dipendenza con questo ambiente naturale, quasi a volere significare per certi versi che la loro presenza in queste aree è rigorosamente dipendente dalla integrità biologica che il territorio saprà conservare nel tempo.

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lago Gurrida

 Il lago Gurrida, rappresenta un connotato naturalistico che ha dell’eccezionale, non a torto, può considerarsi come una delle poche aree umide presenti in Sicilia, ben inserito all’interno di un circuito di turismo naturalistico, da cui gli abitanti di questo territorio si attendono molto, sottoforma di ricaduta economica che tarda sempre ad arrivare. Purtroppo, in questo preciso momento storico, il lago Gurrida, che è di proprietà privata, ma anche una gran parte del nostro territorio isolano pubblico,  esprime una violenta forma di smobilitazione e abbandono, e tutto sembra avvolto in un’immensa ombra, quasi tenebrosa. Insomma, questo territorio è oramai lasciato all’oblio, e non c’è scusa neppure rispetto alla durata di questo processo di abbandono che io oramai percepisco da anni. Questo fenomeno è stato trascurato oramai con tempi di accumulo difficilmente recuperabili. Scorrendo i ricordi della mia decennale frequentazione di questo territorio, posso cogliere i segni indelebili di un “Amarcord” vissuto con molta intensità e difficile da dimenticare, a contatto con una natura viva e difesa, che per restare tale oggi, ha bisogno di grande protezione.  I ricordi sono dunque ciò che ci resta? Forse, certamente sono le tracce di esperienze naturalistiche passate sul territorio, che hanno impresso la mia memoria attraverso le sensazioni e le emozioni che hanno colpito i miei sensi estremamente ricettivi verso questo “pezzo” di territorio etneo. Quante volte ho dovuto pensare che alcune circostanze o accadimenti non sono in linea con le dotazioni culturali di un paese civile? Ho anche pensato: che futuro ha un popolo che non rispetta il suo ambiente naturale?    

lago Gurrida – Etna

  L’amore per la natura deve essere una battaglia continua con chi è privo di intelligenza naturalistica, ognuno di noi deve operare per il bene dei valori naturalistici che esprime il territorio, in particolare quanto questo è capitolato all’abbandono, pur nella consapevolezza che non tutte le persone detengono una sensibilità naturalistica e allora, i sintomi sono i rifiuti, gli incendi, i sentieri danneggiati, la dimenticanza, insomma, la mancanza di rispetto e l’ambiente ne risente. E’ difficile interagire con chi è privo di cultura dell’ambiente che faccia comprendere la vera importanza del nostro patrimonio naturale. Certe problematiche non possono essere affrontate da sodalizi e associazioni naturalistiche di volontariato o addetti alla vigilanza generalizzata, ancor più nelle aree private come il lago Gurrida, dove per entrare bisogna bussare, è lo Stato che potrebbe (dovrebbe) sostituirsi al privato, ma quale Stato, quali Istituzioni, in alcuni casi lo Stato (o chi lo rappresenta) diventa debole e ha paura di avere coraggio nel prendere delle decisioni impopolari e limitanti il diritto alla proprietà, anche quando un territorio volge alla noncuranza e all’oblio. Non bisogna certo avere una mente eccelsa per comprendere che l’interesse del legislatore verso la natura e l’ambiente, sembra oramai una foto sbiadita, che tende a scomparire definitivamente dalle tematiche politico-sociali che si discutono oggi, e allora, come in un gioco onirico, il nostro animo contemplativo, molte volte, si infrange sugli irti scogli dell’indifferenza che i “nostri” politici nutrono verso i beni naturalistici del creato. Pertanto la configurabilità dell’ambiente come bene giuridico non può essere ignorata dall’uomo attraverso tagli continui alle risorse finanziariev. Eppure, il legislatore con la sua mente piccola, non ha ancora la piena consapevolezza della gravissima crisi ambientale che noi uomini con l’intelligenza naturalistica, figli di questa terra splendida ma martoriata dalla ipocrisia dei “senza anima” stiamo vivendo. L’assenza di antropizzazione, a volte, rende un territorio apprezzabile e in alcuni casi ricco di particolare integrità per quanto riguarda gli aspetti naturalistici e paesaggistici. Di contro, non può non amareggiare e suscitare un senso di vuoto e di tristezza l’abbandono di un territorio, che per le sue condizioni, nel tempo porta ad un processo di dissolvimento degli stessi valori naturalistici, che consentono la vita degli animali, delle piante, dell’uomo stesso. Seguendo questo ragionamento, l’importanza di ricordare si affianca a quella della dimenticanza che non significa cancellare il passato ma prendere distanza da esso attraverso la sua comprensione e accettazione, che ne attenua il potere di provocare in noi emozioni di grande portata che ci hanno segnato e che possono pesare in noi come se appartenessero al presente. Chiudo questa mia riflessione con un pizzico di auspicabile ottimismo, augurandomi che qualcuno, chi deve decidere, si accorga dei suoi errori ed arrivi il momento in cui si renda conto che l’inestimabile valore ambientale è meritevole di grande attenzione e tutela….andiamo avanti !!!

Enzo Crimi

ANGELO MANITTA

        Notizie biografiche: nato a Castiglione di Sicilia (Italia) il 3 febbraio 1955, ha conseguito la laurea in Lettere presso l’Università di Catania.
Docente negli istituti superiori, ha fondato nell’anno 2000, oltre alla rivista Convivio insieme a Enza Conti ed altri amici dell’arte e della cultura.

Angelo Manitta

E’ autore di numerose pubblicazioni, tra cui Big bang è la sua più complessa opera poetica, un poema in 12 libri e 108 canti, su imitazione di modelli classici, ma con sensibilità e impostazione moderna.
Si tratta di «un’iniziazione per un itinerario simbolico ed emozionale e per un’esperienza di liberazione, sul versante di una spirale, che eternamente si espande e ritorna concentricamente su sé stessa» come scrive Carlo Di Lieto.
Di tale opera, della quale sono stati pubblicati 7 volumi, è stato scritto che «è la nuova commedia universale che passa in rassegna le figure esemplari della storia, della letteratura, delle arti, della musica, del sacro, sempre drammaticamente e rigorosamente incise fra racconto e giudizio. […]
La grandiosa e ricchissima opera folta di reinventati personaggi della storia e della letteratura è un poema, unico nei nostri tempi per complessità e invenzione». (Giorgio Barberi Squarotti). Numerose sono le sue pubblicazioni.
Si ricordano, tra l’altro, di quelle pubblicate in volume:
   Saggistica letteraria: Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo (1998); Antonio Filoteo Omodei e Giulio Filoteo di Amadeo scrittori siciliani del Cinquecento (2001); Aci e Galatea. Riproposizione topografica di un mito (2007); Il ‘Giobbe’ di Antonio Sarao. Poema eroico del romanticismo siciliano (2009); codirezione del Dizionario biobibliografico degli autori siciliani. Ottocento e Novecento (2011); codirezione del Dizionario biobibliografico dei musicisti di Sicilia (2013); Modernità e anticlericalismo nell’‘Inno a Satana’ di Giosuè Carducci (2013); Il codice autografo delle rime di Antonio Filoteo Omodei (Capponiano 139). Indagini su un inedito petrarchista del Cinquecento (2015).
   Narrativa: Come una favola (1997); Dei, eroi e isole perdute (Mursia, 2001); Dame, cavalieri e paladini (Mursia, 2003); A partire da Boccaccio (Mursia, 2005), Noi e il mondo (2006), Ceneri di fenice (2007), Una voce dall’infinito (2010), All’ombra di Galatea (2011).
   Saggistica storica: Santa Maria della Catena venerata a Castiglione di Sicilia e oltreoceano (1996); Angelina e il Delfino di Francia. Rappresentazione scenica con saggio critico su Giulio Filoteo di Amadeo e Antonio Filoteo Omodei (2008); Capitoli, Consuetudini e usi Civici di Castiglione di Sicilia e in appendice Randazzo e Linguaglossa, (2008); La valle dell’Alcantara dalla Preistoria all’età Contemporanea (2012); Verzella. Un borgo senza storia. Dal Neolitico ai giorni nostri (2013); I Bizantini nella Valle dell’Alcantara (2017).
   Poesia: Donne in punta di piedi (1995), La ragazza di Mizpa (1998; 2017, con traduzione greca), Big bang. La luce del tempo (2007); Big bang. Visione di Luce (2008); Orbite d’ellissi. Big Bang – Il sistema solare (2010); Il Mondo dei viventi. Big bang – La Terra (2011); La via dello Zodiaco I (2012); La via dello zodiaco II (2012) e il volume con traduzione slovena La chioma di Berenice-Berenkini zametni lasjè (2017).
Ha curato anche diverse traduzioni dal francese, spagnolo, portoghese, inglese, siciliano, latino e greco in antologie e in singoli volumi.

 

 Angelo Manitta

saggio critico-bibliografico di Claudia Manuela Turco,

con note di approfondimento di Marco Baiotto e Marilena Rodica Chiretu

 

Angelo Manitta è nato il 3 Febbraio del 1955 a Castiglione di Sicilia e si è laureato in Lettere presso l’Università degli Studi di Catania con una tesi sull’opera pirandelliana Il fu Mattia Pascal. Insegna nelle Scuole Medie Superiori e collabora con molti giornali. La sua attività letteraria gli è valsa parecchi riconoscimenti, ma la sua fama è notevolmente accresciuta dall’anno 2000, ovvero da quando ha fondato l’Accademia Internazionale Il Convivio e l’omonima rivista, dando ulteriore lustro alla piccola città di Castiglione di Sicilia. Notevole la mole di pubblicazioni, che spaziano in modo variegato per interessi, estensioni e generi, dal microtesto giornalistico allo studio storico più complesso, rivelando abilità filologiche e di traduttore non comuni.

A Catania nel 1981 è stata edita la silloge poetica giovanile Fragmenta, ricca di frammenti quotidiani e propensioni verso la dimensione sovrannaturale ed eterna, mentre nel 1990 è uscito il saggio La Basilica S. Maria della Catena e S. Giacomo Apostolo in Castiglione di Sicilia.[1]

Nella rosa delle pubblicazioni fa seguito il saggio Verzella e le sue contrade.[2] L’autore sostiene che “anche una campagna può avere una sua storia”.[3] Egli conferma che, al di là del fatto che si tratti per lui del luogo che gli ha dato i natali, anche un posto sperduto qualsiasi e considerato soltanto una piccola frazione, ha una sua storia meritevole di considerazione e da cui poter attingere per il presente come da una copiosa fonte. Manitta dimostra sempre particolare sensibilità per le realtà e i personaggi “minori”, umili. Del resto, a sostegno di questa tendenza, basti pensare all’esempio fornito, nell’ambito della Storia dell’Arte Moderna, dalle opere di Jacopo Bassano, artista relegato a poche righe in molti manuali, perché a lungo considerato “minore”, ma che negli ultimi anni ha riscosso l’interesse della critica.

Importante per la comunità locale pure la pubblicazione del Compendio di tutte le cose memorabili della Città di Castiglione di Giuseppe Luigi Sardo, avvenuta grazie al paziente lavoro di ricerca condotto da Manitta. Inoltre, egli ha speso molte energie in approfonditi studi di storia locale anche affinché sia data “più voce al dialetto siciliano”.[4]

Nel 1994 viene pubblicata la Lettera ad Orazio[5] (in realtà è una lettera-saggio).

La carriera di insegnante e l’impegno letterario in questo periodo sono affiancati dall’attività politica. Angelo Manitta è vicepresidente (in qualità di esponente del Movimento Democratico Popolare) del Consiglio Comunale di Castiglione di Sicilia. Nel mese di settembre, però, è costretto dalle circostanze a dimettersi.[6]

Nel 1995 esce la silloge poetica Donne in punta di piedi,[7] opera che, come ricordava Luigi Rolando su «La Nuova Tribuna Letteraria», l’autore inviava gratuitamente a chiunque ne avesse fatto richiesta e che fu segnalata nell’ambito del Premio “Venilia”.[8] In questa raccolta Manitta ha dedicato le sue poesie a dodici figure femminili emblematiche: Saffo, Cleopatra, Khadigia, la contadina Ermentrude, Giovanna d’Arco, Lucrezia Borgia, Madame Curie, Anna Frank, Marilyn Monroe (“il gesto / inconsueto riduce in nulla / o in frammenti un’intera esistenza, / benché il chiaro whisky e gli allucinogeni / potenzino le qualità. Ma non servono / le lacrime finte quando la scena / s’è conclusa ed è calato il sipario”), Antígona Pérez (Cerco / un fratello che dorme, forse, / o esala l’ultimo respiro / o, morto, giace insepolto / su sabbiose scogliere, dove gabbiani / voraci affossano gli artigli / e l’onda del mare ricopre / i sandali slacciati.”), Madre Teresa di Calcutta, una madre di Sarajevo (“È un acerbo tormento il figlio / appeso alla ringhiera, sudicia / di smog, per la rivoluzione combattuta / contro luridi fantasmi zoppicanti. / È un crudele addio palpare / le mani penzolanti per seppellirle / nell’alcova e sapere che il grano / dopo giorni di marciume germoglia / quasi Cristo risorto.”). La dimensione eroica, la forza d’animo e il coraggio accomunano donne famose e ignote. Le “donne in punta di piedi”, anche se spesso ancora sottomesse, continuano a muovere il mondo, come hanno sempre fatto. Nei versi manittiani con realismo efficace vengono colti il loro gesti quotidiani, emblemi di vita vera, veramente vissuta e colta in profondità.

Gisella Padovani, dell’Università degli Studi di Catania, annota nella prefazione:[9]
“La teoria delle figure femminili celebrate dalle liriche di Angelo Manitta si sgrana lungo un filo ideale che dalle plaghe fascinose di un passato storico perduto in lontananze ancestrali conduce ad una dimensione di concreta e bruciante attualità.

Coniata su modelli letterari antichi e recenti o evocata sotto la diretta suggestione della cronaca contemporanea, deputata a rappresentare le ragioni immediate del cuore o voluttuosamente impegnata nell’avventura dei sensi, la donna è, comunque, protagonista assoluta di questo pregevole canzoniere che la esalta e la sublima in contesti situazionali e ambientali di forte rimbalzo drammatico.” … “Artista ispirata o serena incantatrice, vergine virago o angelo del focolare, studiosa appassionata o vedette del palcoscenico, la donna vagheggiata nei versi di Manitta è in ogni caso nobilitata dalla sacralità di un ruolo che la isola su un piano di assolutezza emblematica, consentendole di sottrarsi alla “insignificanza storica” denunciata, a incipit del volume, nell’epigrafe siglata da una scrittrice coraggiosamente impegnata sul fronte delle battaglie femministe, Simone de Beauvoir.

E può anche accadere che l’unica possibilità di sfuggire alle aggressioni del mondo esterno e al devastante fluire del tempo sia offerta dalla morte, che per alcune delle eroine che avanzano “in punta di piedi”, in eterea e armoniosa successione, sulle pagine di Angelo Manitta, si configura come strumento privilegiato con cui approdare all’individuazione di una prospettiva liberatoria.” … “La raccolta, governata da una struttura compositiva rigorosamente metrica, include dodici componimenti, ognuno dei quali consta di dieci quartine (ad eccezione del primo, che ne contiene quindici).

Fedele al proposito di chiarezza, leggibilità, “capacità di incidere”, teorizzato nelle Riflessioni sulla poesia in appendice ai testi, l’autore nelle sue liriche forgia un dettato limpido, raffinato, di classica compostezza, che pur inclinando alla narratività si attesta costantemente su un registro stilistico alto e tocca la levità del poème en prose di marca francese.

Evitando contorsionismi sintattici e imprevedibili metamorfosi semantiche, il Manitta punta con decisione sul discorso “in chiaro”, e adegua la “parola” e le sue combinazioni all’assenza dinamica della realtà, in aperta opposizione alle abdicazioni nichilistiche e alle sterili declinazioni narcisistiche che dilagano in molte zone della poesia italiana contemporanea.”

La silloge è stata illustrata da Luciano Costanzo. L’ideatrice del Contattismo, Clelia Rol, ha analizzato il testo fornendoci forse la recensione più appassionata: “La breve silloge di Angelo Manitta, edita da “Il Faro” di Riposto, è un inno alla donna, vista sotto variegati aspetti: con spirito di abnegazione e dedizione, con civetteria, con coraggio e forza d’animo, con fascino e seduzione, con dolore e rabbia, con perversione e libidine, con spirito di rassegnazione, con ingegno e talento, con drammatizzazione, con sentimento ed amore.

La donna è sempre, e comunque, la protagonista, l’interprete di un’eterna tragedia, quale appare la vita al poeta, autore di questo prezioso volumetto, dal quale si evince ciò, anche dalla scelta dei personaggi che animano la raccolta.

Note pessimistiche affiorano, facendo vibrare l’animo del lettore, partecipe delle toccanti vicende. Poesia profonda e penetrante, che coinvolge ed appassiona. Il verso è libero e sciolto in quartine, ben delineate ed armoniche. La poesia è, decisamente, da contatto.

La maturità e la vera vena poetica, portano il poeta a liberarsi, totalmente, dall’Io Protagonista, interpretando il mondo che lo circonda, da abile spettatore.

Nel suo caso l’oggettivismo è rappresentato dalla donna – archetipo di sensibilità, passionalità, altruismo – capace di accendere le pagine di questo componimento lirico, con i colori della speranza, dell’amore e – perché no – della purezza nella fede.”[10]

Poco dopo la poesia manittiana Chiusa monade viene inserita in un’antologia curata da Stefano Valentini[11]:

“Il luccichio dell’acqua, che fluisce

al chiarore notturno, percuote

le mie pupille mentre cammino sulle pietre

viscide accanto a fiori muti

e sento nel fango il calarsi

dei suoi piedi stanchi. Io e lei,

chiusa monade silenziosa,

attendiamo uniti il bagliore

delle ultime luci (come la madre,

in ansia, aspetta il figlio,

scrutando il fruscio del vento

che sembra il suo alito stanco)

o il cane che abbaia lungo la strada

(l’hanno forse scosso i suoi passi veloci)

o il calpestio, suoi basoli consumati,

che s’avvicina o s’allontana (è lui,

non è lui). Ma poi ogni rumore tace.”

 

Riportiamo qui di seguito la nota critica relativa a tale poesia:
“Pur riscontrando in molte sue liriche un evidente debito verso l’opera di Borges e, per restare in Italia, del nostro Giuseppe Conte, dobbiamo rimarcare la facilità con cui Manitta raggiunge esiti interessantissimi e sicuri, densi d’emozioni e sentimenti universali, ma espressi sfuggendo alle insidie di qualsiasi convenzionalità.
Notevolissima la capacità evocativa di atmosfere e suggestioni che lambiscono il sovrannaturale, nel contempo portando in evidenza elementi di paesaggio il cui significato trascende – almeno d’un poco – quello che siamo abituati a riconoscere.”

Poco tempo dopo, in un’altra antologia curata da Stefano Valentini, viene pubblicata la lirica manittiana Filosofemi[12]

“Filosofemi di profumi appassiti

in segreto. Tetti, case,

strade in grigio riflessi

in calici di magnolie. Aria,

luce e vento (impalpabili

fantasmi d’una notte di San Lorenzo)

spandono desideri su trasfiguranti

macerie. La lotta intima

sobilla alte volontà

di conquista. Bellezze inesistenti

s’inerpicano a bambini sfuggenti

che cancellano orme di tumide

onde. I rintocchi delle campane

richiamano alla realtà. I volti

muschiati tentennano voci

di grifi. Le parole si mutano

in suoni. Le tacite foglie

dei pini riversano fiumi

di rugiada e cedono sensi

autunnali ad un Etna ventoso.”

 

Nella relativa nota così viene valutata la lirica: “L’autore, non di rado impegnato in raffigurazioni allegoriche di figure mitiche o esplicitamente mitologiche, qui preferisce riservare la propria attenzione al paesaggio dell’isola: ne ricava, con la consueta maestria stilistica, una rappresentazione potente e originale, trasfigurata ma concreta, d’un ambiente che di per se stesso evoca un mondo fantastico. È labile il confine tra il dato immaginifico e quello naturale, né potrebbe essere altrimenti in una Sicilia che è luogo d’incrocio e confine dei quattro elementi: la terra e l’acqua, ovviamente, ma anche l’aria del vento e il fuoco del vulcano.”

Santa Maria della Catena – castiglione di Sicilia

Proseguendo la nostra carrellata, ci imbattiamo nel saggio Santa Maria della Catena venerata a Castiglione di Sicilia e oltreoceano,[13] edito nel 1996, nel quale Manitta ricostruisce tutte le vicende legate al santuario della Patrona di Castiglione, risalendo alle origini del culto e soffermandosi sul simbolo della catena inserito nella tradizione biblica e sulla sua diffusione negli Stati Uniti, in Australia e in Sud America, ove sono emigrati molti castiglionesi che continuano a mantenere saldi i legami con la terra d’origine.[14] La storia urbana si intreccia a quella della devozione. Anche ai giorni nostri questo santuario è meta di molti pellegrinaggi dalla Valle dell’Alcantara.
L’autore si è a lungo documentato, coadiuvato da don Salvatore Treffiletti. Vengono via via seguite le varie fasi di costruzione e trasformazione della chiesa. Manitta si sofferma pure sulle opere d’arte scomparse. Davvero interessante il capitolo dedicato alla Madonna della Catena nella poesia dei Castiglionesi.
[15]

L’atmosfera è quella del “mese dei fiori”, maggio, ed è festa:
“È primavera. Il freddo, la neve e la pioggia sono ormai un ricordo, le giornate splendide e assolate, invece, un evento quotidiano. Gli alberi, come gli arbusti, si sono già ricoperti di foglie, che tremolano al soffio della leggera brezza di tramontana, mentre i prati rinverditi offrono agli armenti abbondanti pascoli.

“È maggio. Le viti allungano visibilmente i loro tralci, i grappoli fioriscono, le larve si schiudono al tiepido calore, gli insetti ripopolano le campagne, quando gli uccelli precoci, allegri per l’inverno andato via, raccolgono paglia e piumini per ricreare con imperitura fantasia i loro nidi sugli alberi, tra i rovi, tra le insenature di rupi scoscese o sui tetti delle case. Tutto ci dà una pacata sensazione d’allegrezza e di gioia.

“Qua e là negli orti o nelle villette le rose, create quasi da ignota mano divina, emanano un odore soave, allietando con i loro variopinti fiori la vista dei pellegrini, che a piedi vanno verso il Paese. In fondo, proprio in fondo, una rosa, bianca come la neve, ci dà un senso di caducità e di fragilità, richiamando alla nostra mente la spensieratezza e la felicità dei bambini.”[16]

Poi Manitta si sofferma sul fiore come simbolo mariano.[17] Come appena dimostrato, il testo si apre continuamente in squarci lirici, rendendo davvero gradevole la lettura anche per un lettore non direttamente interessato all’argomento.

Chiesa Santa Maria della Catena – Castiglione di Sicilia

Nel 1997 è stata pubblicata l’opera di narrativa per la Scuola Media Come una favola,[18] la quale è composta da “Dialoghi e racconti ecologici”. Vittorio Frosini, docente all’Università “La Sapienza” di Roma, ne ha curato la prefazione in forma di lettera, epistola con cui si rivolge allo stesso Angelo Manitta: “Molti anni or sono, quando insegnavo ed abitavo con la mia famigliola nella città di Catania, andavo con moglie e figlioli a prendere quella boccata d’aria a Verzella, dove ci conoscemmo e stringemmo amicizia.

“La lettura delle tue graziose favole mi ha risospinto nel tempo della memoria al luogo di quei nostri incontri, quando tu avevi l’età del piccolo Andrea, l’ascoltatore dei racconti del Nonno” … “Quello che maggiormente ho apprezzato nelle tue favole, è proprio il paesaggio tecnologico, in cui sono collocati questi personaggi: essi sono usciti da quell’ambiente tipicamente fiabesco, e perciò tradizionale ma anche convenzionale e che appare ormai falso, in cui si muovevano i loro predecessori: il finto mondo naturale, da essi abitato, veniva manipolato, adulterato e sottomesso dalle forze magiche, che operavano metamorfosi e prodigi di vario genere. Nei racconti del Nonno è presente, invece di una forza misteriosa e sovrumana, la violenza generata dalla realtà in cui ci troviamo a vivere, e che produce l’inquinamento della terra, delle acque e del cielo. Delle favole antiche resta il sorridente ricordo, adombrato da alcune figurine; ma l’immaginario dei piccoli lettori viene stimolato e guidato da freschi motivi e da esempi nuovi, dei quali essi hanno fatto e ricevuto personale esperienza.” … “Una caratteristica eminente dell’epoca nostra è data appunto dall’insorgere della nuova «coscienza ecologica», che era ignota alle età precedenti e che ha generato iniziative legislative e movimenti politici di grande importanza nel mondo attuale. Sono lieto che tu abbia pensato di suscitare i primi barlumi di tale coscienza negli alunni della prima scolarità, in un libro attraente ed integrato da opportune indicazioni didattiche”.[19]

L’autore si sofferma, in queste quattordici favole, sui più complessi problemi che affliggono la società contemporanea, quali i rapporti familiari, la droga, il razzismo, la solitudine, la mafia. Il testo, nel catalogo scolastico delle Edizioni Greco del 1997, veniva consigliato per la I e la II media: “Per avvicinare di più il ragazzo al racconto, il testo è stato corredato da disegni e schede di riflessione, adatte, queste, più ad un dibattito da svolgere in classe che come compiti per casa.” Pure quest’opera manittiana ottenne molti articoli e recensioni.[20]

A testimonianza della continua attenzione di Manitta per le tematiche legate all’ecologia e del costante impegno profuso nel tentativo di trasmettere ai giovani i valori ambientali, va ricordato che, nell’ambito del Premio Antonio Filoteo Omodei – Giulio Filoteo di Amadeo, esistono una sezione dedicata alla poesia inedita sul tema “l’Uomo, l’Ambiente e i Parchi” e una sezione dedicata a poesie, componimenti in prosa e disegni dei ragazzi delle scuole primarie e secondarie sul medesimo tema.

Come una favola e le opere seguenti di narrativa per ragazzi: Dei, eroi e isole perdute (2001), Dame, paladini e cavalieri (2003), A partire da Boccaccio… (2005, coautore Giuseppe Manitta), hanno riscosso un successo notevole, ottenendo sia il plauso degli studenti, sia degli altri docenti. Angelo Manitta riconosce la preponderanza dei suoi interessi per il romanzesco e per miti e leggende, sentendosi particolarmente a suo agio trasmettendo ai giovani esperienze di vita attraverso storie che divertano ma facciano riflettere, passando dalle vicende avventurose e coraggiose a quelle amorose.

Nel 1997 a Randazzo viene editato il saggio manittiano Castiglione di Sicilia dai beni culturali ai beni ambientali e l’anno seguente a Giarre il catalogo Profili d’artisti: Nunzio Trazzera.

Nel 1998 viene edita la silloge poetica La ragazza di Mizpa,[21] una delle opere più difficili dell’autore. La prefazione è di Graziella Granà, mentre i disegni che la illustrano sono di Nunzio Trazzera, pittore e scultore sempre più legato alle crescenti attività del “Convivio”. La silloge ha riscosso un notevole successo, ottenendo parecchie recensioni e articoli e venendo segnalata nell’ambito del Premio “Venilia”, organizzato dalla nota omonima casa editrice di Montemerlo (Padova).[22]

La ragazza di Mizpa è sicuramente la raccolta poetica più raffinata e colta di Manitta, eppure l’autore non si abbandona mai a velleità narcisistiche. L’umano e l’eterno ancora si mescolano, ancora vita e morte si fondono e dividono per rifondersi; brevi poesie racchiudono sfuggenti significati, polisemie che invitano a una lettura paziente e insaziabile.

Su «La Nuova Tribuna Letteraria» Silvano Demarchi, riguardo a questa produzione manittiana, osserva: “Siciliano di Catania, non poteva non cantare l’Etna che sovrasta gli abitanti con la cima nevosa e l’aspra salita: «La strada / è un calvario di duri macigni / e il bosco, occhi / di avidi lupi…». Come si vede, frequente è il passaggio dalla realtà alla favola, dalla descrizione realistica o naturalistica alla elaborazione fantastica, colorata fiabescamente nei suoi riposti significati. Il titolo dell’opera riprende quello di una poesia che riguarda un fatto biblico: il sacrificio di una ragazza come ringraziamento per la vittoria ottenuta sui nemici, simile, in senso inverso, a quello di Ifigenia sacrificata come auspicio alla buona riuscita della spedizione di guerra. Angelo Manitta, autore di diversi saggi oltre che di raccolte di poesia, dimostra con questa sua ultima opera di aver raggiunto un suo stile, denso di parole scelte, ricco di vivide immagini tratte da una natura lussureggiante, ritmato da un verso scorrevole e talora incalzante nella sua essenzialità e sobrietà espressiva.”[23]

In questa silloge poetica compare il mito di Aci e Galatea, tanto caro all’autore e ricorrente nei suoi libri più diversi. Al riguardo, e in un contesto più ampio, così osserva Pinella Musmeci: “Il potere, la brutale passione di possesso e di dominio, è la legge che guida l’uomo nella folle corsa della vita. Nei potenti è grande e smisurata, nel quotidiano, nell’uomo di strada assume toni più modesti e di minore respiro, ma la logica che percorre i pensieri e le azioni è uguale nel grande come nel piccolo ed uguale è la valenza delle passioni. Così la rabbia amorosa di Polifemo per il possesso di Galatea, atterra il pastorello Aci e, nel mondo delle favole, si susseguono tante eroine sacrificate all’invidia ed all’egoismo: “Prezzemolina dalle lunghe trecce” per un desiderio smodato della madre, “La Bella e la Bestia” per la cupidigia di ricchezze delle cattive sorelle e per la negligenza del padre.”[24]

Giacomo Leopardi

Ancora nel 1998, Manitta pubblica il saggio Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo,[25] distribuito in sette capitoli e in circa una sessantina di pagine, ove l’autore “non trascura le versioni più recenti di interpretazione sulla non più certa assolutezza del pessimismo leopardiano”.[26] Tale pubblicazione coincide con le celebrazioni per il bicentenario della nascita del poeta recanatese.
Come osserva Elio Picardi: “Dalla disamina sulla personalità dell’artista marchigiano nasce un limpido resoconto letterario, minuzioso e profondo, pertinente ed efficace. Notevoli sono i paralleli tra il Leopardi ed altri importanti rappresentanti del panorama poetico di tutti i tempi.”
[27]

L’opera, una delle più importanti dell’autore, suscita subito interesse e parecchi giornali e riviste, anche non strettamente culturali, le dedicano articoli e recensioni.[28]

Pur ammettendo che la tesi di fondo non è originale, poiché altri prima di lui (per esempio Umberto Bosco) hanno sostenuto lo stesso assunto, mentre De Sanctis sosteneva che “Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone”, come osserva Carmelo Musumarra “sono molti gli argomenti di critica leopardiana che trovano luogo nell’aureo libretto di Angelo Manitta, e sono svolti tutti con acume e solidità di cultura specifica. Talvolta una sola parola suggerisce tutto un discorso critico. Così accade anche leggendo il suddetto saggio, ricco di impegno culturale e di severo stampo scientifico.”[29]

Non si deve pensare che questo libro non fosse necessario, data la mole eccessiva delle pubblicazioni già esistenti su Giacomo Leopardi. Infatti, Stefano Valentini ha scritto: “Aggiungere altre pagine alla sterminata bibliografia sul poeta di Recanati? Può sembrare un semplice atto di deferenza e omaggio, dovuto alla ricorrenza del bicentenario, oppure una velleità presuntuosa e destinata a ripetere il già detto e il già fatto. E invece no: questo libro di Angelo Manitta si legge talmente volentieri da apparire necessario, scritto com’è con rigore espositivo ma anche con capacità divulgativa e stile elegante. E sceglie un tema che ci sta a cuore, perché anche noi abbiamo dubitato spesso dell’effettivo pessimismo leopardiano: troppa è la capacità di cogliere gli aspetti dolci della vita, anche nel giro di pochissimi versi, per assolutizzare le visioni negative d’alcuni suoi canti.”[30]

Ed Enza Conti ben riassume: “Il saggio, come si deduce dal titolo, vede nel pessimismo leopardiano non la conseguenza degli acciacchi fisici del poeta, ma l’influenza della letteratura e della filosofia, tanto che il suo pessimismo spesso diventa libresco e di maniera. Leopardi non è altro, quindi, che un anello, secondo l’autore del saggio, della lunga catena del pessimismo europeo-occidentale che parte dagli antichi popoli mesopotamici, i sumeri in particolare, e attraverso la civiltà classifica, la religione ebraica prima e cristiana poi, giunge all’esistenzialismo contemporaneo.”[31]

Giacomo Leopardi

Rileggiamo Leopardi attraverso gli occhi di Manitta: “Il pessimismo del Leopardi si presenta perciò non come esistenziale, ma filosofico, e di questo egli ha pienamente coscienza. Infatti nel 1832 scrive allo studioso svizzero De Sinner che, essendo condotto dalla sue ricerche ad una filosofia «esasperante», egli non ha esitato ad abbracciarla per intero. E attacca: «Non è stato altro che per effetto della vigliaccheria degli uomini che… si è voluto considerare le mie opinioni filosofiche come il risultato delle mie sofferenze personali e che ci si è ostinati ad attribuire alle mie circostanze materiali ciò che non si deve che al mio pensiero. Prima di morire io voglio protestare contro questa invenzione della debolezza e della volgarità e pregare i miei lettori a voler distruggere le mie osservazioni e i miei ragionamenti piuttosto che darne la causa ai miei malanni.»”[32]… “La posizione del Leopardi nei confronti del suo pessimismo mi sembra molto chiara, anche perché afferma che nella realtà «noi preferiamo il vivere al non vivere e lo preferiamo col fatto non meno che con l’intenzione», anche se ammette che l’uomo «non può essere privo della perfezione della sua esistenza, e quindi della sua felicità, senza patire e senza infelicità.» Il pessimismo viene quindi superato dialetticamente dall’interno. La sua «filosofia negativa» è solo di superficie. In fondo egli è «ottimista di cuore», secondo l’espressione del Gentile, perché crede «nello spirito e nel valore dei suoi ideali».”[33]… “Il pessimismo di Leopardi quindi è un pessimismo puramente virtuale, e se a volte ama commiserare se stesso, in alcuni passi dello Zibaldone egli sembra più un attore che un filosofo. Recita il suo male e il suo dolore, volendo esprimere il dolore del mondo, di tutti gli esseri umani, perché è innegabile che ogni essere umano prova dolore misto alla gioia. Le riflessioni del Leopardi, mi sia consentito un paragone, sono simili al mondo della celluloide o alla virtuosità del computer che ci presentano una realtà falsa, immaginata e ricostruita, ma esibita come vera. Nei film l’attore muore o viene ferito solo virtualmente, il sangue non scorre realmente. La violenza non è vera. È invece la nostra mente che la crede vera e il regista ce la fa credere tale. Ma in effetti si tratta di una violenza, di una morte, di un sangue puramente virtuali. Allo stesso modo Leopardi non è un vero pessimista, pessimista è la sua arte, che è tutt’altra cosa che la sua esperienza vitale e personale.”[34]

Silvana Andrenacci puntualizza:[35] “Lo studioso ritiene che il pessimismo non può sostituire interamente l’ottimismo che vive in ogni uomo! Se così fosse – il genere umano si estinguerebbe in poco tempo, giudicando, inoltre, quello del Poeta “un sistema forse mutuato da altri”.

Leopardi era consapevole di aver dato motivo ai critici di attribuire le disposizioni dell’animo ai suoi stessi malanni, dichiarando pessimista soltanto la propria Arte.

In età giovanile, dopo aver letto il Werther di Goethe (in seguito Le ultime lettere di Jacopo Ortis del Foscolo), nel suo cuore crebbe la tristezza, sapendo vedere e giudicare la propria persona, conscio di essere ignorato dalle donne che amava o che avrebbe amato… Però bastava una lettera affettuosa di un amico per riprendere con slancio la vita culturale, fonte di grandi gioie e speranze, coltivando la propria salute con estrema cura. Si può arguire che il suicidio fu e restò desiderio teorico.”[36]

Inoltre, Anna Maria Ferrero valuta l’opera manittiana in questione con le seguenti osservazioni:[37] “Non si tratta di un nuovo saggio originale e rivoluzionario, annuncia l’autore, anche se a nostro avviso lo è, bensì di una indagine sulla universalità della poesia del Leopardi, un tentativo, e aggiungiamo perfettamente riuscito, di fare emergere la giusta dimensione del pessimismo leopardiano, pessimismo letterario e filosofico più che individualistico ed esistenziale.”[38] … “La prosa del Manitta è, ad un tempo, colta e fluidamente scorrevole, è densa di concetti e, ad un tempo, semplice e chiara. L’autore, ad esempio, senza pedanteria, spiega ogni volta il significato dei termini meno conosciuti poiché inusuali.”

Notevole l’illustrazione in copertina: olio su tela di Giuseppe Manitta, figlio di Angelo. Benchè giovanissimo, il pittore ha saputo creare un’atmosfera che sa d’“infinito” leopardiano, sa di sofferenza, e sa di speranza.”[39]

Il 21 dicembre 2000 avviene la svolta decisiva: grazie all’iniziativa di Angelo Manitta, viene fondata l’Accademia Internazionale “Il Convivio”, di cui si possono ripercorrere le varie tappe e attività in corso sul relativo sito Internet (www.il-convivio.com ), dove è possibile consultare anche la versione elettronica dell’omonima rivista cartacea. Il numero degli associati e delle riviste partner su scala internazionale è in continuo aumento.
L’Accademia deve il suo nome all’omonima opera dantesca, ai cui principi si è voluto ispirare il fondatore Angelo Manitta: gli artisti, diversamente dall’uomo comune, riescono a staccarsi dalla realtà e a comunicare con il divino esplorando i labirinti del pensiero. Il logo dell’Accademia è composto da una C mezza luna che domina il cielo, ovvero un cerchio composto da nove tratti-stelle raffiguranti le nove Muse e racchiudenti una stella-simbolo della luce interiore dell’uomo. I membri del “Convivio” banchettano a una mensa ideale, ove cibarsi di conoscenza.

Il trimestrale attualmente consta di 96 pagine ed è abbondantemente illustrato da immagini in bianco e nero e a colori. Le immagini che adornano le copertine recano la firma di artisti noti, come Nunzio Trazzera. Tra i collaboratori spiccano nomi di rilievo come Giorgio Barberi Squarotti, Carmelo Aliberti, Vittoriano Esposito, Fulvio Castellani. Vi sono collaboratori di Redazione anche all’estero e vengono pubblicati molti pezzi in lingue straniere e talvolta in greco e latino. Inoltre, grazie ai rappresentanti delegati, l’Accademia gestisce riviste e siti telematici. Sulla rivista si alternano nomi famosi e di sconosciuti in un clima di reciproco rispetto e arricchimento.

In pochi anni, tra le riviste che si occupano di Poesia Arte e Cultura, “Il Convivio” è riuscito a occupare un posto di primo piano.

Tra i concorsi organizzati dall’Accademia va ricordato il Premio Internazionale “Poesia, Prosa e Arti Figurative”, altrimenti detto Premio “Il Convivio”. Solitamente presidente onorario della giuria è Giorgio Bàrberi Squarotti. Tra gli altri concorsi internazionali organizzati dall’Accademia compaiono il Premio Teatrale “Angelo Musco”, il Premio “Fra Urbano della Motta” (Premio “Natale”), il Premio “Publio Virgilio Marone” e il Premio d’Arte Figurativa “Filippo Juvara”. Il numero dei partecipanti è in continuo incremento.

 

Proseguendo con la panoramica delle pubblicazioni, al mese di febbraio del 2001 risale l’edizione del Comune di Castiglione di Sicilia del saggio di Angelo Manitta Antonio Filoteo Omodei e Giulio Filoteo di Amadeo scrittori siciliani del Cinquecento.[40] L’opera è corposa (consta di ben 256 pagine), la tipologia di ricerca alquanto complessa; l’autore ha dovuto districarsi nel labirinto della selva d’errori lasciati dietro di sé da molti eminenti studiosi precedenti. Come riconosciuto dall’allora sindaco ingegner Concetto Bellia nella presentazione dell’opera, Angelo Manitta, studioso castiglionese, ha consentito di identificare correttamente due dei più importanti scrittori di Castiglione di Sicilia, togliendoli dall’oblio e dall’incertezza: lo storico Antonio Filoteo Omodei e il romanziere Giulio Filoteo di Amadeo[41], infatti, prima dei puntuali studi manittiani, si pensava fossero un solo scrittore.[42]

La notabile et famosa historia di Angelina Loria, romanzo cavalleresco di Giulio Filoteo, composto da più di duemila pagine in cui si narra la popolare leggenda del Delfino di Francia innamorato di Angelina, figlia di Ruggero, barone di Castiglione, è uscita dalla forma frammentaria per ritornare alla luce in una veste completa grazie ai pazienti studi di Manitta. Come osserva Enza Conti, “La lettura del romanzo di Giulio Filoteo di Amadeo oggi ci permette di poter immaginare la bellissima Angelina che passeggia tra le stanze del castello di Castiglione.”[43]

Anche le opere Topografia dell’Etna e Descrizione della Sicilia di Antonio Filoteo (ma il saggista si sofferma pure sulle opere minori) ovviamente suscitano l’interesse non soltanto degli storici, bensì anche quella dei concittadini curiosi di sapere di più del passato della propria terra e delle proprie radici.

 

Nel mese di aprile 2001, invece, viene pubblicata la lirica Orizzonte, inclusa nella silloge La ragazza di Mizpa, sulla rivista brasiliana «Literatura» (“Revista do Escritor Brasileiro”) con la relativa traduzione di Nilto Maciel; viene confermata la passione botanica di Manitta:

“I funghi crescono oltre la siepe,[44]

cuscino d’astragali sull’orlo

dell’abisso, dove mani s’intrecciano

in uragani di campi

diafani e voli di libellule,

sospese nel vuoto, trapassano

aerei crinali. L’orizzonte

è teatro d’infinite

forme. Ma nessuno conosce

i destini degli uomini o i mistici

volti dei prati cosparsi

di anemoni e orchidee,

margherite e miosotidi, iris

e viole, tulipani e verbene,

che ci attendono lassù, proprio lassù,

sulla cima del colle.”[45]

 

Nel 2001, uscita l’opera manittiana di narrativa per ragazzi Dei, eroi e isole perdute,[46] sulla sua importanza per il mondo della scuola, in relazione a un incontro che ha avuto luogo a Gaggi, Enza Conti ha scritto: “Giornata all’insegna del dibattito culturale alla scuola media ed elementare di Gaggi.Partendo dall’analisi del testo “Dei, eroi ed isole perdute”, e approfittando della presenza dell’autore il prof. Angelo Manitta, gli alunni con numerose domande hanno avuto modo di approfondire alcuni antichi miti della Sicilia, nonché della Valle dell’Alcantara. Sarà stato per il modo diverso di affrontare i fatti che hanno influito sulla cultura dell’isola, senza il supporto di un testo scritto, certo è che gli alunni hanno mostrato grande interesse all’incontro dibattito soffermandosi soprattutto sul mito di Ulisse e Polifemo, nella memoria e nella “storia” della Valle dell’Alcantara in quanto il grande vulcano, rappresentato dal gigante Polifemo, la domina. E se l’interesse degli alunni della scuola elementare si è soffermato sulle vicende fantastiche, i ragazzi della scuola media hanno invece spinto il relatore a soffermarsi sulle motivazioni che hanno indotto l’autore a scrivere il racconto e sulle tecniche di scrittura. Tale curiosità è scaturita, hanno affermato gli alunni, dall’esigenza di voler confrontarsi con le altre scuole del territorio attraverso la stesura di racconti.

Durante l’incontro organizzato dalla prof. Angela Vecchio, i ragazzi si sono anche interessati del mito di Aci e Galatea, ancora oggi attuale perché ben rispecchia i sentimenti degli adolescenti.”[47]

Dei, eroi e isole perdute include miti dell’antico Medio Oriente, miti greci, i miti di Ulisse, di Roma e di Enea, miti dell’adolescenza, dell’amore e dell’Oltretomba. L’opera è stata illustrata da Angela Micheletti. Nel 2001 Domenico Defelice così suggeriva: “Ai docenti della Scuola dell’obbligo consigliamo di scegliere, come libro di lettura per i propri allievi del prossimo anno scolastico 2001/2002, Dei, eroi e isole perdute di Angelo Manitta.

In una prosa limpida e scorrevole, che attrae e invoglia, Manitta rivisita tutto il fascinoso mondo della Mitologia, dimostrando che si può comprendere e meglio apprezzare il mondo moderno, supertecnologico, se si conosce il passato coi suoi eroismi, la sua immensa voglia di conquiste e d’avventure, con molta più lealtà tra i contendenti di quanto non ce ne sia oggi. E poiché la nostra Terra – per fortuna ancora splendida – s’è fatta un pochino stretta, la sete d’ignoto del passato dovrebbe esserci stimolo per esplorazioni nel campo scientifico o conquiste spaziali; così, i moderni e futuri astronauti potrebbero eguagliare e superare i Giasone e gli Ulisse della Mitologia. Il riaccostarsi a questi racconti deve servire a riscoprire le “favole belle” – scrive Manitta nella Presentazione – “nate in mondi lontani nel tempo, ma ancora capaci di offrire messaggi di grande attualità. L’uomo, oggi come allora, ama, odia, spera, cerca, progetta, sfida; sente il bisogno di conoscere mondi nuovi”. Manitta “assegna ampi spazi anche al gioco, alla ricerca, all’uso del vocabolario, agli approfondimenti e tutto ciò fa di Dei, eroi e isole perdute un libro attivo e reattivo, capace non solo di acculturare e invogliare alla lettura (e Dio sa quanto ne abbiamo bisogno, stando all’ultimo posto in Europa), ma di stimolare al coraggio nella vita e al desiderio della conquista, perché gli uomini, secondo quanto ha affermato Dante per bocca di Ulisse, non sono stati fatti “a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza”. Manitta, allora, ci invita alla creazione dei miti del nostro tempo, dei nuovi miti (e non solo …Internet!) e allora la musica e il “canto” della Terra e delle Stelle saranno più fascinosi di quelli delle antiche e mitologiche Sirene.”[48]

A Catania nel 2001 esce l’antologia dell’Accademia Internazionale Il Convivio, curata da Angelo Manitta, Teorema d’immagini. Oramai sono svariati i volumi antologici pubblicati a seguito di concorsi banditi dall’Accademia.

Nell’aprile del 2002 l’associazione Centro studi “Universum Calabria” ha promosso il premio artistico “Disegna la tua pace”. Angelo Manitta ed Enza Conti hanno coinvolto molti bambini in questa iniziativa. Così scrisse per l’occasione Domenico Grillone: “La pace vista con gli occhi dei bambini. Nonostante le continue immagini cruente e le incessanti notizie di guerre e distruzioni che la televisione quotidianamente trasmette, loro riescono ad immaginare ed a sperare in un mondo in cui la convivenza pacifica tra esseri umani è possibile.” … “Alle parole del prof. Angelo Manitta sono seguite quelle della prof.ssa Enza Conti, appena un saluto e un omaggio all’entusiasmo dei bambini che hanno aderito spontaneamente, e in gran numero, all’invito dei maestri a partecipare al concorso. E loro non si sono fatti pregare, tanto da riuscire a mettere nei loro disegni un pezzettino del loro cuore.”[49]

Nello stesso anno la poesia Notturno di Angelo Manitta viene tradotta da Norma Suiffet e inserita in una pubblicazione di Montevideo.[50]

Inoltre, viene pubblicata la lirica manittiana Il tuo viso su «Alhucema», con traduzioni in spagnolo e in portoghese di Teresinka Pereira.[51] Riportiamo tale poesia per intero qui di seguito:

 

“Il tuo viso è come quello della luna che divide

il cielo a mezzanotte. La tenera pelurie

delle tue guance suscita profonde lussurie

da ganimede. E l’alito disintegra il sole

 

e scioglie l’oceano tra perversi pensieri

che saziano il mio spirito inquieto. Togli

i veli che coprono il tuo simulacro e offrimi

tenerezze da fanciullo che illuminano mele

 

di gelosia. La brezza leggera ricopre

la perversione. Il sogno si tramuta in realtà

di baci sfiorati sulle succose labbra

d’adolescente in un’intima dissoluzione finale.”

 

Ancora nel 2002, dopo essere stata inserita nel mese di maggio nella pubblicazione Poeti e pittori del terzo millennio di Alfredo Varriale (volume N. 10), a dicembre esce su «Le Muse» Sete di morte, poesia tratta da La ragazza di Mizpa:[52]

 

“Morire è il sogno di giovani

amanti, è l’incontro furtivo

avvenuto, chissà perché, tra verdi

cespugli di quercia.

 

Vivere è morire, è calpestare

l’erba freschissima d’una gelida

primavera, adornata dalle nuvole

che si confondono col bianco

 

della neve dell’Etna. Il turista,

rinato Empedocle, sazia

la sua sete di morte e d’infinito

mentre le anime e i corpi

 

si allacciano, vanificando i sogni

e le paure che attanagliano pensieri.

La vita si polverizza e la morte

diventa conquista.”

 

La stessa poesia, tradotta in inglese da Alfredo Varriale nella sua pubblicazione, è valsa a Manitta il seguente giudizio critico di Pasquale Francischetti (Cenacolo Europeo di “Poeti nella Società”): “In questa sua “sete di morte” il poeta sembra cercare giovamento dalla sua sete di solitudine. Il vivere e morire qui sono da intendersi in senso simbolico: il vivere è inteso come l’atto di accettare la vita e quindi di goderla; il morire, come un rinunciare alla bellezza che la natura ci offre; e quindi un morire spirituale, senza assaporare la vita, giorno dopo giorno. Il suo sembra un segreto soliloquio, nato nella speranza di arrivare, in qualche modo, alla rivelazione del Mistero. Poesia intensa e corposa su cui l’autore si sofferma per rendere il proprio pensiero più profondo; ma anche per lasciare al lettore un motivo per meditare sugli accadimenti della vita.”[53]

Nel mese di febbraio del 2003 la dottoressa Maria Enza Giannetto ha presentato, durante il “Lunedì letterario” promosso dalla Società giarrese di storia patria e cultura, una dettagliata relazione sull’intera produzione manittiana, così suddividendola: sillogi poetiche, studi di storia locale, saggi critici, narrativa per ragazzi. La parte conclusiva della relazione è stata incentrata sulle molteplici attività dell’Accademia Internazionale “Il Convivio”.[54]

Nello stesso anno esce l’opera manittiana di narrativa Dame, cavalieri e paladini[55] e Il Convivio affianca come partner l’associazione culturale internazionale “Universum Calabria” nell’organizzazione del Premio di poesia “Trofeo Bergamotto”. Angelo Manitta fa parte della giuria.[56]

Con Dame, cavalieri e paladini continua la produzione per ragazzi: attraverso la ricerca del Santo Graal, Tristano e Isotta, Re Artù e i Cavalieri della tavola rotonda, con la spada nella roccia e Orlando Innamorato e con la sua follia, con Ruggero e Bradamante, nel cuore medievale l’autore fa sentire ai ragazzi il pulsare di valori sempre attuali, di valori, volendo usare una felice definizione di Gabriella Sica, non antichi bensì eterni.

Nel volume N. 11 di Alfredo Varriale Poeti e pittori del terzo millennio (anno 2002 – 2003) viene inserita la lirica Luminosa primavera, anch’essa tratta dalla raccolta La ragazza di Mizpa:

 

“L’agave, fiorita tra i sassi

adamantini dell’Etna, accoglie

il palpitante ramarro smerigliato

da raggi di sole.

 

Un giorno rapito alla morte

è un giorno rapito alla vita,

luminosa primavera. Il fiore

sciolto in pioggia

 

di luce addolcisce l’aria

o si mescola fievole a lamenti

o bagna gli effimeri sensi

nel calice d’un giglio.

 

E il silenzio annulla sussurri

di erbe, di globi purpurei,

e la solitudine frantuma speranze

di flebili amori.”[57]

 

Tale lirica è stata tradotta e pubblicata in inglese anche stavolta da Alfredo Varriale, il quale ha voluto inserire, nel Volume N. 13 della sua opera, un’altra poesia tratta da La ragazza di Mizpa con relativa traduzione in inglese. Si tratta di Lasciami dire:

 

“Non odo canto d’uccelli

né onde fruscianti che sbattono

logore scogliere. Ali

piumate e scie

 

schiumose m’infondono sensi

d’oblio. L’acqua umile

non riflette le stelle. I boschi

non comunicano orizzonti

 

infiniti. Lasciami dire

cose insensate mentre navigo

tra vergini flutti. Ah! Se danzassi

su prati di perle!

 

Piegherei gli alberi rigidi,

scandaglierei abissi d’immagini,

addolcirei le pietre, insegnerei

agli uomini ad amare.”[58]

 

Tale lirica, nel medesimo volume n. 13, è valsa a Manitta il seguente giudizio critico di Pacifico Topa: “Angelo Manitta, poeta intimista e profondo, un vate ispirato da un’arte di indiscusso pregio “Lasciami dire” vuol essere una puntualizzazione delle negatività esistenti in un mondo vuoto, privo di vitalità; carenze di una realtà che dovrebbe, invece, dare gioia all’esistenza… “Non odo canto d’uccelli / né onde fruscianti che sbattono / logore scogliere…” Questo silenzio d’apertura è sintomatico, un silenzio quasi apocalittico che rispecchia uno stato d’animo, la natura stessa partecipa a questa nullità, cielo plumbeo che oscura le stelle… “i boschi / non comunicano orizzonti / infiniti”… In questa sfera di incertezza Manitta sente urgente il bisogno di sfogarsi… “Lasciami dire / cose insensate mentre navigo / tra vergini flutti..” C’è bisogno di dare sfogo alla sua infinita tristezza e la fantasia si scatena in una ipotetica danza… “su prati di perle..” fascinosa impaginazione! Non soddisfatto di questo slancio emotivo, vorrebbe vincere ostacoli, penetrare nelle profondità dell’ignoto, vorrebbe addolcire questa durezza generale, ammansendo gli animi più duri, insomma, esplode nel cuore di questo vivace poeta quell’inno dell’amore che dovrebbe essere alla base della nostra stessa esistenza. In sintesi, questo è un messaggio chiaro: solo con l’amore le cose potranno migliorare, quell’amore che è solidarietà, comprensione, rispetto reciproco.”[59]

Il 4 gennaio 2004 il sindaco del Comune di Ispica Dott. Rosario Gugliotta ha consegnato il Titolo Onorifico di “Cavaliere dell’Accademia Contea di Modica” ad Angelo Manitta.[60]

Allo stesso anno risale la pubblicazione di Castiglione di Sicilia. Un “Presepe” tra l’Etna e l’Alcantara, promossa dall’Archeoclub d’Italia e da SiciliAntica,[61] i cui testi sono di Angelo Manitta. Questa elegante e accattivante guida turistica è ampiamente illustrata con fotografie a colori ed è accompagnata da una mappa della città, che viene definita una “città animosa” (il Comune di Castiglione di Sicilia è stato “insignito di Medaglia di Bronzo al merito civile per la strage nazista perpretata il 12 agosto 1943”).[62]

Ritroviamo il castello con la leggenda di Angelina, la basilica della Madonna della Catena e tanti altri luoghi d’interesse storico-artistico già letterariamente visitati dall’autore in diversi saggi e studi. Accurate descrizioni accompagnano pure i percorsi naturalistici.

Angelo Manitta, in qualità di Presidente dell’Archeoclub di Castiglione, ha tenuto conferenze su temi come “Aci e Galatea nella Valle dell’Alcantara”,[63] organizzate dalla sezione di Francavilla di “Italia Nostra”, e, in qualità di Presidente della sede castiglionese dell’associazione “SiciliAntica”, è stato relatore di molti incontri su argomenti legati alla preistoria e alla protostoria della Valle dell’Alcantara.[64]

Manitta si è preoccupato anche di mantenere vivo il ricordo di poeti che hanno avuto un legame speciale con la Valle dell’Alcantara. Ne è un esempio il caso del “poeta-elettrauto”, scomparso da qualche anno, Antonino Di Marco. Manitta è stato relatore in incontri dedicati anche a questo autore siciliano.[65]

Nel gennaio 2004 al poeta Aristotele Cuffaro è stato dedicato un incontro nel Palazzo Bellacera di Comitini. Manitta è stato il coordinatore dell’iniziativa, alla quale ha partecipato il Direttore del Cenacolo Accademico Europeo “Poeti nella Società” Pasquale Francischetti, a testimonianza della continua ricerca da parte di Angelo Manitta di collaborazione fattiva con le altre associazioni e riviste culturali.[66]

Tra gli altri autori siciliani di cui egli si è occupato ricordiamo Placido Petino.[67] Inoltre, Manitta ha spesso coinvolto artisti provenienti dalla Valle dell’Alcantara in esposizioni di successo.[68] Tra i pittori più o meno esperti presenti, il più volte citato e noto Nunzio Trazzera espone frequentemente.

Manitta si distingue anche come fine e sensibile traduttore dal francese, dallo spagnolo e dfal portoghese. Per esempio, ha tradotto Apologia del profeta illuminato di Mario Àngel Marrodàn dallo spagnolo per l’antologia 2002 – 2003 dell’Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (ALIAS).[69] Ha inoltre tradotto dallo spagnolo, sempre di Mario Àngel Marrodàn, la silloge di poesie Yo soy el soneto e di Otilia Jimeno Mateo la raccolta di liriche Genesis de un amanacer y el ocaso de un tiempo. Una poesia manittiana viene inserita sull’unico numero uscito della rivista culturale «Il potere di un verso» (sulla cui copertina campeggia la dedica “Al nostro Papa in Lourdes 15\08\04”). Si tratta della lirica Fosforescenti pupille, tratta dalla raccolta La ragazza di Mizpa:

 

“Stagioni sbocciano come

fosforescenti pupille che esalano

colori, odori, suoni.

Ma non può essere lei

 

a varcare la soglia di casa.

Non può il biancore d’un giglio

mischiarsi alla porpora d’una rosa.

Non può la turgida

 

gemma restare chiusa

sotto eterei cristalli di neve

o accettare destini di morte

o disperdere canti

 

nel vuoto quando infiniti fili

d’erba cullano, in acque

crespate, foglie o fiori,

api o farfalle.”[70]

Nel mese di gennaio del 2005 esce, per le scuole, A partire da Boccaccio… La novella italiana dal Duecento al Cinquecento, scritta da Angelo Manitta e da Giuseppe Manitta,[71] opera alla fine corredata da un accurato apparato di esercizi per una lettura guidata. I capitoli sono dedicati, oltre che a Boccaccio e agli altri autori inclusi, alla donna, all’adolescenza, alla famiglia, al personaggio, al comico e agli animali.

Tra le più recenti pubblicazioni di Manitta va annoverata pure Gilgamesh e l’Antipotere. Microscopium – Microscopio (da Big Bang).[72] Di Gilgamesh l’autore si è già occupato in Dei, eroi e isole perdute, trattando i miti dell’antico Medio Oriente.

Qui brani di prosa e di poesia si alternano: “E le stelle della costellazione del Microscopio si trasformarono in figure umane”…“Gilgamesh, un play boy all’antica, un modello da sfilate di moda, un manager orgoglioso della sua potenza, aveva un corpo perfetto. Gli dei-natura lo avevano reso bello, coraggioso e forte, ma col tempo era diventato arrogante, malvagio e violento.”[73]

 

“Grandezza finita contro grandezza infinita,

sconfinati conflitti originati da istigatori

di molecole umane per le trasformazioni sociali.

Possesso di specifiche sfere, controbilanciate

 

da sfere opposte, volontà contrarie.

Violenze contro violenze, possesso contro possesso

che istiga a mangiare a sazietà, a produrre

la fame dell’antipotere, la morte oppositorum.” [74]

 

Tra le opere che Angelo Manitta conserva ancora inedite figurano molte poesie e un romanzo per ragazzi di fantascienza, che non ha mai sottoposto alla revisione finale, malgrado esso sia stato riposto nel cassetto oramai da parecchi anni. Speriamo che Angelo possa trovare presto il tempo di occuparsi della pubblicazione almeno di qualche altra sua silloge di poesia, ma restando egli particolarmente esigente nei confronti di se stesso e generoso nei confronti degli altri, credo che più facilmente continuerà a dedicarsi in prevalenza al suo prossimo, prestando, come sempre, particolare attenzione ai più giovani, come solo un grande maestro di scuola e di vita sa fare.

 

Claudia Manuela Turco

Gilgamesh e l’Antipotere di Angelo Manitta

approfondimento critico di Marco Baiotto

Sorprendente l’inventiva e la fervida immaginazione creativa di Angelo Manitta.

Che l’epopea del leggendario e antichissimo re sumerico, le cui gesta narrate in numerose versioni e varie epoche hanno visto la luce nei territori dell’antica Mesopotamia (oggi Iraq) bagnata dal Tigri e dall’Eufrate, ben prima dei Veda indiani e dei poemi omerici, avessero innescato la fantasia di molti artisti e letterati tra cui il poeta Rainer Maria Rilke e Franco Battiato, fin anche, ben prima, a influenzare la Londra vittoriana con la moda “assira” o a ispirare più di un romanziere di archeofantascienza dei nostri tempi, non era certo un mistero.

Tuttavia, l’eclettico Angelo Manitta, ne ha saputo ricreare una versione parodistica, attualizzandola al contesto socio-politico attuale, dimostrando come la forza didascalica del poema, che risiede poi, tra le metafore e tramite l’enunciazione dei contrasti tra lo stadio “dissoluto” e quello “redento” del re di Uruk eroe protagonista, nell’educazione al buon governo e al buon uso del potere, sia rimasta intatta nel corso dei millenni attraversando tutta la storia della scrittura, a partire dalle celebri tavolette di argilla incise a caratteri cuneiformi (su cui il poema era vergato nella sua versione definita “Classica”), ritrovate presso Ninive, città antica sede della importantissima biblioteca di Assurbanipal.

Manitta segue piuttosto fedelmente lo sviluppo della vicenda originale narrata dal poema (sebbene alcuni personaggi come il Padre degli Dei, il drago dell’antipotere Humbaba o la città degli uomini scorpione Mashu, si trovino nominati altrove, probabilemente per differenze nelle fonti di provenienza e traduzioni, rispettivamente come Enlil, Khubaba e Shamash), ricreando, in un’interpretazione del tutto encomiabile e personale, ogni verso, e alternando le quartine poetiche con scorci prosastici d’intermezzo.

Questi ultimi assumono la funzione di collante narrativo che accelera lo sviluppo degli eventi, per poi, al loro termine, con invito sotteso, guidare l’attenzione del lettore a soffermarsi nuovamente su un punto focale della vicenda, esposto in versi (da questo “movimento cinematografico di panoramica e zoom”, forse, una delle ragioni della precisazione “Microscopium” nel titolo d’opera).

Accade così che la storia dipani le intricate gesta del re Gilgamesh, prima despota delle terre poste sotto il suo governo, padrone indiscusso dello ius primae noctis sulle fanciulle del regno, poi eroe che, redento in seguito alle epiche avventure condivise col suo, prima sfidante, poi fraterno amico Enkidu (che morirà punito dall’ira degli Dei), tenterà di alleviare le sofferenze dei suoi sudditi affrontando prima l’invincibile drago dai sette veli Khubaba, signore della foresta dei cedri, poi, insieme con Enkidu, il Toro del cielo, e infine supererà altre peripezie per giungere, tramite la vivandiera Siduri e il nocchiero Urshanabi, a incontrare Utnapishtip, per chiedergli il segreto dell’immortalità che vorrebbe donare agli abitanti anziani delle sue terre.

Gilgamesh poi, novello Argonauta alla ricerca del suo Vello d’oro, redento dalle esperienze vissute, avventurose quanto formative, e dalla perdita dell’amico, scoprirà non esistere il segreto della perenne giovinezza e, dopo essersi faticosamente guadagnato il suo “elisir di lunga vita surrogato” sotto forma di pianta ringiovanente, la perderà facendosela soffiare da un serpente e tornerà così sconsolato alla sua dimora, a mani vuote.

Regnerà ancora molti anni, benvoluto e amato dal suo popolo e, per dirla con le parole di Manitta: «Infine, stanco e vecchio, non gli rimase che incidere su una pietra le vicende memorabili della sua vita».

La visionarietà manittiana sfiora picchi d’intensità sfrenata in molti pregevoli passaggi, degni delle atmosfere delle migliori saghe fantasy-narrative di Terry Brooks: «Visioni di fate eludono occhi / annichiliti e rifusi in sguardi di erme / chimeriche, accavallate a brividi d’assoluto. / Angeli insegnano la via del perduto (…), Dio di forme appare poliedrica / utopia di cipressi intrisi a raggi / d’Assoluto, serragli d’acqua inverditi / da pozzanghere. E mostri, cavalcati da vagabondi / giovani, arroventano l’aria di venti (…)».

Entusiasmante poi per intensità espressiva, impareggiabilmente più elegante e raffinata di un verseggiare erotico catulliano o apollineriano, la serie di quartine dedicate all’opera seduttoria della dea Ishtar nei confronti di Gilgamesh: «Ruote d’oro e morfemi di rame / profumano legno di cedro. L’ombra / è cinnamomo di troni divini, di angelici sguardi / che donano dovizia di piaceri. Il corpo / si dona all’anima con pari impeto. Amore eterno di giovinezza dissoluta, / godi gli attimi fugaci concessi / in galoppate da sette leghe. Metamorfosi / in lupi o leoni sono alcove costruite / tra i canneti. Godiamo insieme della tua / virilità. Ho mangiato, ho bevuto da sola. / Mangiamo, beviamo insieme. Un ariete / ritorce i suoi colpi e annerisce castelli. / Il braciere si spegne».

Ma la visionarietà più originale e irriverente, a mo’ di un “Candido volterriano futurista” che farebbe impallidire il defunto termine di paragone, si raggiunge nei versi: «Gilgamesh, un play boy all’antica, un modello da sfilate di moda (…), toglieva i figli ai padri, violentandoli, strappava le vergini agli amanti, violentandole (…) tanto che gli uomini cominciarono a lamentarsi» o si trova nella creazione di Enkidu: «Aruru-Television, la dea della creazione, informazione distorta (…) prese allora del fango, dei raggi catodici e anodici, del ferro e del cemento, e forgiò un mostruoso gigante, su cui soffiò la vita e la forza (…), ignorava ogni regola di convivenza, ogni delicatezza sociale (…) lui che si pasceva d’erba e d’acciaio, di onde sonore e magnetiche, di raggi alfa, beta, gamma». Ed è con questi accostamenti pretestuosi che l’autore introduce con incisività la sua critica sociale al governo italiano, per poi gradatamente estendere la sua opinione a macchia d’olio sulla società in generale, le sue lotte di classe e i suoi corsi e ricorsi storici.

La parodia satirica di Manitta, però, non ha colore politico; prendiamo ad esempio i versi «Le nostre menti sono avvinte / dalla coercizione di burattinai che tengono le fila magnetiche (…) siamo vittime dei politici che fanno leggi a loro piacere ed interesse» oppure «L’uomo ha perso la sua dignità. L’egoismo / rende belve nell’animo. I proletari / si sono presi la rivincita, hanno piegato / i padroni e diventano loro stessi padroni (…)», dimostrano chiaramente quanto asserito.

La pesante critica nasce da un’onestà intellettuale che gli impedisce di tacere degli eventi scandalosi che accadono oggigiorno senza che avvenga una netta presa di coscienza della massa, in quanto quella stessa massa si trova stordita da un eccesso di informazioni drammatiche provenienti dal mondo globale per cui perde il senso della prospettiva e cade nell’apatia o, al massimo, “fa i capricci per qualche giorno”, per poi lasciarsi contenere dall’ordine costituito e dal proprio accogliente e caloroso egoismo.

Così Manitta fustiga le coscienze intorpidite con versi quali: «Non esiste Shoah / peggiore che l’umiliazione del corpo nella dissoluzione dell’anima», «Il caos è nel grembo di una madre morta, / d’un bambino avvolto in una borsa di plastica / e abbandonato», «La memoria si nullifica e si sperdono / i sentimenti. Non ordini ideali rinascono», «La malvagità non costa», «(…) tutti ribelli per ottenere / nuovi poteri», o ancora «Il tiranno ripudia e critica il morto / di fame, il grasso deride il magro» o infine «(…) potere e antipotere. / la lotta è titanica, monogamia di masse / infinite contrapposte a masse infinite / che si combattono in eterni cicli d’estinzione / per seppellire il provocatore in casse di zinco» e «Poteri occulti contrapposti ad altri poteri / occulti, logge massoniche e sette / segrete che si contrappongono al potere costituito».

Come già nell’opera antica anche Manitta risente della connotazione filosofica del testo del Gilgamesh classico; infatti l’autore non manca di sollevare interrogativi epocali, affrontati da molti nella storia del pensiero (Sant’Agostino per esempio), ossia il quesito che da sempre l’uomo si è posto in merito alla necessità dell’esistenza del male in quanto opposto del bene e da esso inscindibile («Lasciami vivere», supplica l’Antipotere drago Humbaba dinanzi all’ira di Gilgamesh, «per fare brillare il tuo positivo. Lasciami la mia libertà, sarò tuo servo»).

Ricordando quanto meritevole sia stato l’intento e il risultato pienamente raggiunto dalla presente opera, sottolineando quanto di universale può esserci insegnato volgendo lo sguardo su un capolavoro letterario nato molti e molti secoli prima di Gesù Cristo (solo attualizzandone un poco i riferimenti senza alterarne in alcun modo il messaggio), è d’obbligo chiosare alla manittiana maniera, il quale non indica al lettore soluzioni presuntuose, né quasi suggerisce un senso al Tutto, bensì enuncia-denuncia le brutture dell’umanità del suo tempo, per poi fuggire nella sua ultima, splendida, onirica visione-rifugio: «Realizzazioni umane acquisiscono sensi / divini. L’uomo polvere e fango, / l’uomo spirito e senso raggiunge / intenzioni divine. L’eternità è un sogno, / un pallido sogno di evolute menti / che fondono memorie abbronzate al sole, / scene di ziqqurat che toccano il cielo: / dèi impassibili, statue inerti, / illusioni di mortali, liquefazione d’innocenza».

E forse l’ardito gesto letterario dell’autore, in quanto a coscienza didascalica e civile, a voler dare credito alla leggenda, ne farebbe addirittura un degno discendente del consigliere del re di Uruk, lo scriba Sinleqiunnini, che per primo vergò i resoconti delle avventure di Gilgamesh, «colui che vide ogni cosa».

Marco Baiotto

Sottotitolo del volumetto: (Microscopium – Microscopio (tratto da Big Bang), I Quaderni del Convivio – Castiglione di Sicilia, 2005).

Eleganza mistica ne “La ragazza di Mizpa” di Angelo Manitta 

approfondimento critico di Marco Baiotto 

 

 A tal punto, e così insito nell’estremo etimologico del termine qualificativo stesso (nell’interpretazione manittiana), che la contemplazione di Dio a dispetto delle cose terrene, sconfina in una visionarietà orfica che travalica i confini dei miti della tradizione cristiana da cui trae origine e fondamento, per operare una fusione panteistica con elementi e divinità naturali dal sapore dionisiaco (elfi, ondine, driadi e silfi danzano su teorie lessicali di iris, magnolie, miosotidi, verbene, anemoni, ninfee, in una sorta di estasi del dolore, ditirambo catartico).

La poesia di Manitta, nel poemetto La ragazza di Mizpa (Emmeffe Charta – Roma, 1998), è talpa vellutata e schiva, elitaria nel dettato come chi vuol interloquire solo ai suoi simili, che vive nel sotterraneo delirio degli opposti esistenziali rivoltandoli, abbattendo a colpi di ossimorici incisivi la quercia dell’indifferenza al dolore degli altri, minando alla base le radichette nervose dei luoghi comuni.

Il sacrificio della fanciulla di Mizpa, immolata dal Giudice israelitico Iefte come pegno dovuto a Dio per avergli tributato la vittoria sugli Ammoniti (Giudici 11, 30-31), scompiglia la ragione del poeta in merito al senso delle promesse e dei voti, come a dire che nella vita si fanno “a scatola chiusa”, ci si giura l’eternità senza vedere oltre il dorso delle carte, così come tragicamente espresso dalle parole di Iefte, insavio oltre ogni dire: «La persona che uscirà per prima dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io l’offrirò in olocausto».

In questo interrogarsi profondo troviamo Manitta come Dante nel V canto del Paradiso: «Non prendan li mortali il voto a ciancia / siate fedeli, e a ciò far non bieci, / come Ieptè (Iefte, N.d.A ) a la sua prima mancia / cui più si convenia dicer ‘Mal feci’, / che, servando, far peggio; e così stolto ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, (Agamennone N.d.A) / onde pianse Efigènia (Ifigènia citata da Manitta in Olocausto) il suo bel volto, / e fé pianger di sé i folli e i savi / ch’udir parlar di così fatto cólto».                        

Infatti nell’Orizzonte manittiano «I funghi crescono oltre la siepe», di pascoliana memoria, che è anche «cuscino d’astragali sull’orlo dell’abisso» (gli astragali erano ossi, per lo più caprini e dalla forma quadrangolare simile a un dado, usati nell’antica Grecia e a Roma, per giochi e divinazioni), «dove mani s’intrecciano / in uragani di campi / diafani e voli di libellule (…) L’orizzonte / è teatro d’infinite / forme. Ma nessuno conosce / i destini degli uomini o i mistici / volti dei prati cosparsi / di anemoni e orchidee (…)», sono versi che suggeriscono le atmosfere delle Giocatrici di astragali canoviane, ombrate negli accenti.

Pare di scorgere tante mute dichiarazioni di dolore tra le righe, urla silenziose, echi di traumi forse familiari che si vogliono dire, nell’indeterminazione dei vaghi contorni, per sfuggire alla follia dell’incoscienza dell’uomo come strategia di sopravvivenza: «Muta e silenziosa / è sgusciata dalla tana, sparendo / nella torbida nebbia. Ora sente / a malapena in bocca / il sapore d’una caramella menta (…) I protagonisti / dopo lo spettacolo si sono lasciati come / in una telenovela. Il passo sicuro, / il viso truccato, gli occhi / lucidi e vitrei / riprendono quotidianità», «Lei, a sei anni, / è volata verso il puro Eliso / e i genitori invano / pregano il suo ritorno. Giace sotto una fredda lapide di basalto / e la sua anima è sparita tra soffici / angeli. Perché?».

La visione misterica si ammanta di fumi d’incenso metafisico, in vari passaggi dal vago sentore rimbaudiano: «La greve nebbia d’incenso / si dirada. Il caldo iridescente / mi toglie il respiro ed io m’estraneo / dal tempo come immobile / stilita», «All’ombra d’una statua marmorea, / quasi donna-driade sperduta / nel bosco, pronunzio il mio Confiteor», sono versi che suggeriscono sensi di colpa per il coinvolgimento nel dilemma delle «insidie con tele di ragno» mentre «Apollo e Dioniso, antinomia tra cielo / e terra, tra volontà e istinto, / tramutano le coline in orti / e assopiscono insetti / con ambrato polline».

Lo smarrimento rischia di travolgere l’anima del poeta trasfigurato, che non si capacita: «Carezzami la guancia con la mano / proprio ora che sento me stessa / un soffio fugace», ma è la metafora della pianta d’elleboro (o “rosa d’inverno”, nell’antichità considerata curativa contro la pazzia, invece oggi definita come tossica, N.d.A) a trarlo in salvo: «Raccogli rami / d’elleboro, mi sento già pronta / per spiccare il volo».

Così le «liturgie orfiche» manittiane, in cui «La fantasia, pronta a peccare / tra barlumi di auto in corsa, / annulla nel vento errabondo / rami di mandorlo / fioriti sull’abisso (…)» e in cui «La tua silhouette allora rigenera / dolci deliri», si stemperano nella riflessione che «Non può il biancore d’un giglio / mischiarsi alla porpora d’una rosa», per poi approdare alla conclusione, un po’ alla Erasmo da Rotterdam, che è solo il sogno e l’utopia, quella follia che prima si voleva evitare, benevola a volte, cinica altre, e da cui scaturiscono anche i versi di tanti poeti, a rendere sopportabile un’esistenza inconciliabile alla ragione.

È quel voler credere, o sperare, a far la differenza tra realtà e illusione cosmica.

La conclusione migliore sta nelle parole dell’autore: «Lasciami dire / cose insensate mentre navigo / tra vergini flutti. Ah! Se danzassi / su prati di perle! / Piegherei gli alberi rigidi, / scandaglierei abissi d’immagini, / addolcirei le pietre, insegnerei / agli uomini ad amare».

Poesia “matrioskale” dunque, ebbra di rimandi come cofanetti di metaforiche gioie (o, per i lettori più introspettivi, forzieri ricolmi di preziosi nella caverna di Alì Babà), che non offre risposte chiare, ricerca interiormente le chiavi di un’unificazione tra umano e divino, diffonde flussi e riflussi di passione e ragione, s’interroga sul peccato e sul dolore ed è, in sintesi, intimamente religiosa.

Coadiuvata dalle raffinate e visionarie illustrazioni dell’artista Nunzio Trazzera (che merita un plauso per la maestria dei mezzi espressivi), la raccolta lirica del poeta siciliano è solo in apparenza ermetica.

Pare un melograno che sotto la cangiante scorza celi, incastonati, rubini.

Marco Baiotto                                                                                                                                                            

 

“Gilgamesh e l’Antipotere” (I quaderni del Convivio n. 1 – 2005) è una vera epopeea, in versi ed in prosa, dei tempi moderni, del “mondo caduco, miscuglio di albe e di tramonti”, con speranze e delusioni. È la nostra vita con i suoi problemi più spinosi, perché noi stessi siamo “in balia dei venti e delle tempeste”.

In una forma originale, il racconto si presenta come un’interessante escursione del pensiero e dell’anima del poeta nel presente terreno che si apre verso gli spazi infiniti del Cielo e del Cosmo, là dove “l’uomo polvere e fango, / l’uomo spirito e senso raggiunge / intenzioni divine”.

Con un acuto spirito critico, l’autore ci presenta i problemi che tormentano la sua mente e la sua anima, nell’inedita ipostasi di mente ed anima di un presente controverso. È il problema delle “nemiche nazioni che sono diventate amiche”, dell’emigrazione vista come una nuova invasione di “barbari, nuovi / popoli vinti dalla fame”, che “calano da Nord, invadono da Est, penetrano da Sud, sbarcano da Ovest”, situazione critica nei confronti della quale “i parlamenti sono impotenti”.

La libertà stessa è vista come una fallace illusione, perché “siamo schiavi della nostra libertà, siamo prigionieri / dei potenti magnati dell’informazione. Siamo vittime / dei politici che fanno le leggi a loro piacere ed interesse”. Ed è per questo che il poeta si domanda retoricamente: “…chi ci libererà per darci pace?”.

Il problema del potere e dell’antipotere gira come la ruota della vita e l’uomo perde la propria dignità. I proletari, “dopo aver piegato i padroni”, diventano loro stessi padroni, opprimendo i nuovi proletari, “proletari di fame e di miseria, sparsi nei mondi suburbani”. “Ora siamo tutti servi di coloro che hanno sconfitto / la servitù”.

La grandezza acquista nuovi aspetti negativi, in un mondo in cui “il dolore è la consolazione d’una tolleranza senza protesta”, espressa tramite il rapporto “grandezza finita contro grandezza infinita”.

Il mondo intero sembra perciò, dominato dalla “violenza contro violenza, possesso contro possesso”, e dal male e dalla cattiveria: “Chi ha un tetto, non vuole che l’ altro ce l’ abbia / dare un pezzo di pane è peccato, è dare forza / all’infelicità”.

Viviamo dunque, in un mondo in cui “nasce la conflagrazione / cosmica… la luce e le tenebre assurgono a simbolo / di vita e di morte, di potere e di antipotere”.

Lo sguardo smarrito dell’uomo moderno si alza verso la speranza del Cielo e si perde negli spazi astrali: “Un cielo di morte / s’ apre a noi viventi… la luce, matrice cosmica, dissolve rami / di luce… segni astrali si colmano”.

Il motivo fondamentale del racconto sembra però, essere la lotta dell’uomo per ottenere la giovinezza eterna, tentativo fallito. In realtà, si tratta dell’umano desiderio di conservare, lungo la vita, i valori fondamentali della giovane età: la freschezza del corpo, della mente e dell’anima, la serenità, “l’amore all’ombra dei tigli”, la speranza, perché “l’eternità è un sogno, / un pallido sogno di evolute menti”.

“L’immortalità è sogno dell’uomo, la conquista / dell’eternità è non perdere la memoria del tempo, / avvicinarsi a Dio, conquistare la felicità”.

Specchio della realtà contemporanea, vista tramite i riflessi dei più remoti tempi, il racconto è una critica acerba che ci insegna pure a lottare con il male per accogliere “un’alba che apre spiragli di speranza”.

Marilena Rodica Chiretu

La battaglia di Francavilla di A Manitta a cura di M Dilettoso


 

 

[1] Tale opera è stata edita a Castiglione di Sicilia da Eigraf Marconi.

[2] ANGELO MANITTA, Verzella e le sue contrade, Catania, Il terzo Millennio, 1991.

[3] Cfr. GABRIELLA REINA, Verzella, rocce e verde a ridosso dell’Alcantara, in «La Voce dell’Jonio», A. XXXV, N. 3, 26 Gennaio 1992.

[4] Cfr. : ALBERTO GIMMA, Successo sicuro per il Primo festival della Poesia Europea di Taormina, in «GSA – Master News” (Gazzetta della Stampa A diffusione mirata), Milano, A. XV, NN. 11-12, Giugno 2001.

[5] ANGELO MANITTA, Lettera ad Orazio, in «Caro Piero», Padova 1994.

[6] Cfr.: MICHELE LA ROSA, Castiglione, ormai è crisi – la maggioranza si sgretola, in «Gazzetta del Sud», A. XLIII, 25 Settembre 1994, p. 5; MICHELE LA ROSA, Vento di crisi. Va a rotoli il Consiglio di Castiglione, in «La Sicilia», 25 Settembre 1994, p. 19.

[7] ANGELO MANITTA, Donne in punta di piedi, Riposto (Catania), Circolo Socio-Culturale “Il Faro”, 1995.

[8] Cfr. LUIGI ROLANDO, Angelo Manitta. Donne in punta di piedi, in «La Nuova Tribuna Letteraria», N. 41, Gennaio – Marzo 1996.

Tra gli altri articoli e recensioni dedicati a quest’opera manittiana: GIROLAMO BARLETTA, Donne in punta di piedi, in «La Tribuna di Giarre», 2 Dicembre 1995; ANGELO MESSINA, Le nostre pubblicazioni. Donne in punta di piedi di Angelo Manitta, in «Il Faro», A. I, N. 2, Aprile – Giugno 1996, p. 1; ENZA CONTI, Scrittore in vetrina, in «Gazzettino di Giarre», 14 Giugno 1996, p. 8 (in questo articolo si parla sia di Donne in punta di piedi sia di Santa Maria della Catena venerata a Castiglione di Sicilia e oltreoceano); ISABELLA MICHELA AFFINITO, Donne in punta di piedi, in «Il Grillo», A. XIX, N. 5, Settembre – Ottobre 2002.

[9] ANGELO MANITTA, Donne in punta di piedi, op. cit., pp. 7-9.

[10] CLELIA ROL, “Donne in punta di piedi” di Angelo Manitta, in «Noi dell’Alcantara», A. V, N. 1, Gennaio – Febbraio 1996, p. 1.

[11] STEFANO VALENTINI (a cura di), Laboratorio Letterario 1995 – 1996, Montemerlo (Padova), Venilia Editrice, 1996.

[12] STEFANO VALENTINI (a cura di), Laboratorio Letterario 1997 – 1998, Montemerlo (Padova), Venilia Editrice, 1998. La poesia Filosofemi era già stata inserita ne “La Nuova Tribuna Letteraria» di Ottobre – Dicembre 1997.

[13] ANGELO MANITTA, Santa Maria della Catena venerata a Castiglione di Sicilia e oltreoceano, Messina, edizioni culturali “Il Peloritano”, 1996, opera illustrata sia con fotografie in bianco e nero sia con fotografie a colori. Le fonti utilizzate vengono puntualmente citate in abbondanti note a piè di pagina, ma sin dalla premessa l’autore si dichiara contrario a inutili nozioni che appesantirebbero il testo, il quale rimane di agile lettura.

[14] Ibidem, pp. 97-102.

[15] Ibidem, pp. 59-84.

[16] Ibidem, p. 115.

[17] Tra gli articoli dedicati a questo saggio manittiano ricordiamo: SALVATORE FERRUCCIO PUGLISI, Presentata nel Salone del Carmine di Castiglione di Sicilia l’ultima interessante pubblicazione di Angelo Manitta. Santa Maria della Catena: tre secoli e mezzo di storia e fede popolare, in «Noi dell’Alcantara», luglio-agosto 1996, p. 9; GIROLAMO BARLETTA, Un volume di Angelo Manitta tra storia e leggenda. Il Santuario di Santa Maria della Catena, in «Gazzettino di Giarre», 27 Settembre 1996, p. 3; GIROLAMO BARLETTA, Un prezioso volume di Angelo Manitta. Santa Maria della Catena a Castiglione di Sicilia, in «La Tribuna di Giarre», 28 Settembre 1996.

[18] ANGELO MANITTA, Come una favola, Catania, Edizioni Greco, 1997.

[19] Ibidem, pp. 5-7.

[20] Alcuni esempi: RODOLFO AMODEO, Un’opera di narrativa per le scuole dello storico e scrittore etneo. Le fiabe metropolitane di Angelo Manitta, in «il Peloritano», Maggio 1997;  ENZA CONTI, Le favole ecologiche di Angelo Manitta, in «Noi dell’Alcantara», Marzo – Giugno 1998, p. 3; Francavilla, «Ecologia e narrativa», in «La Sicilia», 14 Febbraio 1998, p. 23;  Francavilla, «Ecologia e narrativa», in «La Sicilia», 15 Febbraio 1998, p. 21;  GIROLAMO BARLETTA, «Come una favola» di Angelo Manitta, in «Gazzettino di Giarre», N. 14, 11 Aprile 1997, p. 3; PIERLUIGI AMBROSINI, Angelo Manitta. Come una favola, in «La Nuova Tribuna Letteraria», Gennaio – Marzo 1998;  S. P., Francavilla, incontro su ecologia e poesia, in «Gazzetta del Sud» (Messina e Provincia), 13 Febbraio 1998; ENZA CONTI, Randazzo: Iniziativa dell’associazione Randart. «Come una favola», in «Gazzettino di Giarre», N. 16, 24 Aprile 1998, p. 3; NICOLA SCUDERI, Francavilla, un incontro su «Ecologia e narrativa», in «La Sicilia», 18 Febbraio 1998, p. 22.

[21] ANGELO MANITTA, La ragazza di Mizpa, Casalmorena (Roma), Emmeffe Editoriale Charta, 1998. L’opera, come altre di Angelo Manitta, è uscita a cura dell’Associazione Culturale “Il Convivio”. Per gli approfondimenti su questa silloge poetica rinvio alla relativa scheda di Marco Baiotto.

[22] Tra i tanti articoli, recensioni, note di lettura dedicati alla “ragazza di Mizpa” si ricordano: MICHELE LA ROSA, La donna cristiana ed islamica – legami e discrasie culturali tra due mondi tanto differenti, in «La Sicilia», 10 Marzo 1999, p. 25;  PIETRO FRATANTARO, La ragazza di Mizpa, in «l’altro Giornale» ( “Messina – Cultura &… dintorni”), N. 1388, 2 Novembre 2002;  ANNA MARIA FERRERO, Angelo Manitta. “La ragazza di Mizpa”, in «Talento», N. 43, Luglio – Settembre 1998;  RINA DAL ZILIO, Angelo Manitta. La ragazza di Mizpa, in «Pomezia – Notizie», Agosto 1998, p. 34; NUCCIO DE MAINA, Angelo Manitta. La Ragazza di Mizpa, in «La Precollina», A. II, N. 7, Settembre 1998, p. 17; ANGELA BARBAGALLO, Angelo Manitta: «La ragazza di Mizpa», in «Gazzettino di Giarre», N. 39, 16 Ottobre 1998, p. 3; ENZA CONTI, Un autore di Castiglione di Sicilia particolarmente apprezzato in Veneto. “La ragazza di Mizpa” di Angelo Manitta, in «Noi dell’Alcantara», A. IV, N. 7, Ottobre – Novembre 1998; GIUSEPPINA LUONGO BARTOLINI, Angelo Manitta, La ragazza di Mitza (sic!), in «Sìlarus», A. XXXIX, Novembre – Dicembre 1998; MAURO ROMANO, Giardini, versi di Manitta tra presente e passato, in «La Sicilia», 16 Gennaio 1999, p. 24; Stasera incontro culturale organizzato dalla Fidapa, in «Corriere del Mezzogiorno» (“Messina e Provincia”), 6 Marzo 1999; RO. AM., Conferenza alla Fidapa. Il poeta Angelo Manitta ha presentato una ‘silloge’, in «Corriere del Mezzogiorno» (“Messina e Provincia”), 9 Marzo 1999; Angelo Manitta. La ragazza di Mizpa, in «Punto di vista», A. VII, N. 23, Gennaio – Marzo 2000.

[23] SILVANO DEMARCHI, Angelo Manitta. La ragazza di Mizpa, in «La Nuova Tribuna Letteraria», Luglio – Settembre 1998.

[24] PINELLA MUSMECI, Nuova silloge di poesie dell’intellettuale castiglionese. «La ragazza di Mizpa» di Angelo Manitta, in «Noi dell’Alcantara», Gennaio – Aprile 1999, p. 8. Lo stesso articolo è stato pubblicato anche in «Peloro 2000», Maggio – Giugno 1999, p. 18.

[25] ANGELO MANITTA, Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo, Catania, Edizioni Greco, 1998.

[26] GRAZIANO GIUDETTI, Angelo Manitta. Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo, Ed. Greco, Catania, in «Pomezia – Notizie», A. 7, Novembre 1999, p. 26.

[27] ELIO PICARDI, Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo, in «Omero», A. I, N. 6, Novembre – Dicembre 2001.

[28] Tra i tanti articoli più o meno estesi e le recensioni o note di lettura usciti per l’occasione ricordiamo: SALVATORE FERRUCCIO PUGLISI, Libro su Leopardi, in «Gazzetta del Sud», 2 Gennaio 1999;  ANGELO MANITTA, Giacomo Leopardi Pessimista ma… non troppo, in «Il Grillo», A. XVI, N. 5, Settembre – Ottobre 1999; GIUSEPPINA LUONGO BARTOLINI, Angelo Manitta. Giacomo Leopardi – Ed. Greco, Catania, 1998, in «Sìlarus», A. IXL, NN. 203-204, Maggio – Agosto 1999, p. 124;  RINA DAL ZILIO, Angelo Manitta. Giacomo Leopardi pessimista ma non troppo, in «Pomezia – Notizie», A. 7, Maggio 1999, p. 16; M. L. R.,  L’innovativa chiave di lettura del pessimismo, in «La Sicilia», 8 Gennaio 1999, p. 19; FILIPPA FARFAGLIA, Smentito il pessimismo leopardiano, in «Corriere del Mezzogiorno» (Messina e Provincia), 6 Gennaio 1999; Angelo Manitta. Giacomo Leopardi, pessimista ma… non troppo, in «Punto di Vista», A. VII, N. 23, Gennaio – Marzo 2000, p. 4; ANTONIA IZZI RUFO, Angelo Manitta: Giacomo Leopardi, pessimista ma… non troppo, in «Sentieri Molisani», A. III, N. 2, Maggio – Agosto 2003; Angelo Manitta, Giacomo Leopardi, Edizioni Greco, in «Fiorisce un cenacolo», A. LXII, N. 10 – 12, Ottobre – Dicembre 2001; compare anche un riferimento ad Angelo Manitta a p. 3 tra gli “Accademici di Paestum e Artisti Benemeriti”; Francavilla, libro su Leopardi, in «La Sicilia», 6 Gennaio 1999; TITO CAUCHI, Giacomo Leopardi un un’analisi metodologica di Angelo Manitta, in «Pomezia – Notizie», A. 9, N.S., N. 12, Dicembre 2001, pp. 15-18 (interessante saggio che si sofferma su: “Piano dell’opera”, “Funzioni nella poesia leopardiana”, “Adolescente leopardiano e fanciullino pascoliano”, “Pessimismo di Leopardi e filosofia di Schopenhauer”, “Sincretismo di Leopardi e fonti classiche”, “Vicende personali ed esagerazione dell’infelicità”, “Pessimismo da Silvia al Pastore”).

[29] CARMELO MUSUMARRA, Leopardi pessimista ma non troppo, in «Prospettive», 7 Marzo 1999.

[30] STEFANO VALENTINI, Angelo Manitta. Giacomo Leopardi pessimista ma non troppo, in «La Nuova Tribuna Letteraria», A. IX, N. 54, Aprile – Giugno 1999.

[31] ENZA CONTI, Francavilla / Leopardi poeta attuale, in «Gazzetta del Sud», 26 Gennaio 1999. Cfr. RO. AM., Un incontro organizzato da “Italia Nostra”. Leopardi a Francavilla pessimista ma non troppo, in «Corriere del Mezzogiorno» (Messina e Provincia), 3 Gennaio 1999.

[32] ANGELO MANITTA, Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo, op. cit., pp. 31-32.

[33] Ibidem, p. 32.

[34] Ibidem, pp. 32-33.

[35] SILVANA ANDRENACCI, Angelo Manitta. Giacomo Leopardi pessimista ma… non troppo, Edizioni Greco, 1998, in «Pomezia – Notizie», A. 8, N.S., N. 10, Ottobre 2000, pp. 24-25.

[36] Ibidem, p. 25.

[37] ANNA MARIA FERRERO, Era proprio pessimista Leopardi?, in «Talento», N. 48, Ottobre-Dicembre 1999, pp. 25-27.

[38] Ibidem, p. 25.

[39] Ibidem, p. 27.

[40] All’argomento l’autore ha dedicato circa una decina d’anni di studi. Le fonti più importanti, oltre che nella Biblioteca Ursino Recupero e in quella Universitaria di Catania, sono state rinvenute nella Biblioteca Villadicanense di Castiglione di Sicilia e nella Biblioteca Marciana di Venezia. Nel 1998, per i tipi dell’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale, era stata stampata una prima breve versione del saggio in questione.

[41] Nell’ambito dei concorsi banditi dall’Accademia “Il Convivio” va annoverato il Premio Internazionale “Antonio Filoteo Omodei – Giulio Filoteo di Amadeo”.

[42] I due Filoteo erano comunque parenti.

[43] La Premessa del saggio reca la firma di Enza Conti, le cui considerazioni sono state riprese dalla medesima autrice nella recensione pubblicata su «Pomezia-Notizie», A. 9 (N.S.), N. 8, Agosto 2001, p. 35. Enza Conti, nell’Appendice antologica, ha curato la scelta dei brani, nonché le note.

[44] Non a caso Oltre la siepe è anche il titolo di un’antologia di premi banditi dal “Convivio”.

[45] Cfr. «Literatura», A. X, N. 20, Aprile 2001. Orizzonte  ne La ragazza di Mizpa è pubblicata a p. 27.

[46] ANGELO MANITTA, Dei, eroi e isole perdute, Milano, Mursia (Gruppo Elemond Scuola), 2001.

[47] ENZA CONTI, Gaggi / A scuola tra miti e leggende, in «Gazzetta del Sud», 24 Marzo 2001.

[48] DOMENICO DEFELICE, Angelo Manitta. Dei, eroi e isole perdute, in «Pomezia – Notizie», A. 9, N.S., N. 9, Settembre 2001, p. 29. Cfr. «Pomezia – Notizie», A. 9, N.S., N. 5, Maggio 2001, p. 43.

[49] DOMENICO GRILLONE, Premi consegnati nella parrocchia di San Leo. La pace vista dai bambini, in «Gazzetta del Sud», 26 Aprile 2002. Furono coinvolti i bambini delle scuole elementari di Saracinello e Bocale e quelli delle frazioni di Lume, S. Leo e Occhio di Pellaro e gli studenti della scuola media “Spanò Bolani” di Reggio.

[50] Cfr. «La Urpila» (“publicacion poetica”), Luglio – Dicembre 2002, p. 67.

[51] Cfr. «Alhucema» (“Revista de teatro y literatura”), N. 7, Gennaio – Giugno 2002.

[52] Cfr. «Le Muse», A. I, Dicembre 2002. Ne La ragazza di Mizpa la lirica Sete di morte compare a p. 25.

[53] A p. 34 del testo di Alfredo Varriale. A p. 35 è pubblicata la poesia Sete di morte in italiano e nella traduzione inglese.

[54] Cfr. Giarre. La produzione letteraria di Angelo Manitta, in «La Sicilia» (Catania), 15 Febbraio 2003. Maria Enza Giannetto è stata allieva di Angelo Manitta.

[55] Per i tipi della casa editrice Mursia di Milano.

[56] E. D., Il bergamotto in versi, in «Gazzetta del Sud» (Cronaca di Reggio), 9 Dicembre 2003, p. 24.

[57] Luminosa primavera, ne La ragazza di Mizpa, si trova a p. 40.

[58] La poesia Lasciami dire, con la relativa traduzione in inglese, è inserita a p. 32. Ne La ragazza di Mizpa, invece, compare a p. 34.

[59] Tale giudizio critico di Pacifico Topa è inserito a p. 31.

[60] Contemporaneamente, nella medesima cerimonia di premiazione, il figlio Giuseppe compare tra i nuovi iscritti come accademici associati, mentre Enza Conti riceve la Targa di “Dama Accademica” dalla Madrina Signora Raffaella Frasca Torchi. Cfr. Accademia Internazionale di Lettere Scienze e Arti “Contea di Modica” – Inaugurazione Ufficiale del 20° Anno Accademico – 6 gennaio 1984 – 6 gennaio 2004, in «Immagine», A. VI, N. 1, Gennaio 2004, pp. 6-8.

[61] Per i tipi di Documenta Edizioni.

[62] Il relativo documento è riportato a p. 112.

[63] Cfr. «La Sicilia», 15 Marzo 1997 e «Gazzetta del Sud», 14 Marzo 1997: il mito del pastorello Aci e della ninfa Galatea è stato collocato dagli studiosi lungo la costa ionico-etnea, tra Catania e Giarre. Secondo Angelo Manitta, con una tesi innovatrice, nella Valle dell’Alcantara.  Articoli interessanti sull’argomento: NICOLA SCUDERI, L’Alcantara è la «culla» del mito di Aci e Galatea?, in «La Sicilia» (“Messina cronache”), 19 Marzo 1997, p. 21; RODOLFO AMODEO, Aci, il pastore da cui nacque Acireale sarebbe originario dell’Alcantara, in «La Gazzetta Jonica» (“Cronaca dell’Alcantara”), 21 Marzo 1997, p. 4; SALVATORE FERRUCCIO PUGLISI, L’Alcantara è il mitico Aci, in «Gazzetta del Sud», 21 Marzo 1997; Incontro di “Italia Nostra” nella sala consiliare di Francavilla. L’ultima eruzione dell’Etna in diapositive, in «Gazzetta del Sud», 3 Aprile 1999; Il mito del fiume Aci, in «La Sicilia», 7 Aprile 1998, p. 21; SALVATORE FERRUCCIO PUGLISI, Aci e Galatea nella Valle dell’Alcantara, in «Gazzettino di Giarre», N. 12, 28 Marzo 1997, p. 3.

[64] Tra gli articoli apparsi sui giornali:; ENZA CONTI, Castiglione di Sicilia: conferenza inaugurale della nuova associazione«SiciliAntica». Preistoria e protostoria nella Valle dell’Alcantara, in «Noi dell’Alcantara», Gennaio – Febbraio 1998, p. 5; MARCELLO PROIETTO, Una sede di SicliAntica nel cuore della Valle dell’Alcantara, in «Gazzetta del Sud», 7 Gennaio 1998; Conferenza sulla Preistoria nella valle dell’Alcantara, in «SiciliAntica», A. I, N. 0, Marzo – Aprile 1999; ENZA CONTI, SiciliAntica apre anche a Castiglione, in «Gazzettino di Giarre», N. 49, 31 Dicembre 1997, p. 4. Angelo Manitta è intervenuto anche nel dibattito sulla città di Tissa; cfr.: ENZA CONTI, Malvagna / Libro di Antonino Portaro sulla storia della Valle dell’Alcantara. Alla ricerca della leggendaria città di Tissa, in «Gazzetta del Sud», 8 Agosto 1999.

[65] Cfr.: ENZA CONTI, Francavilla / Ricordo del poeta Antonino Di Marco, in «Gazzetta del Sud», 7 Gennaio 2001; RO. AM., Commemorato il poeta Di Marco, in «Corriere del Sud», 7 Gennaio 2001; ENZA CONTI, Poesia francavillese, in «Gazzetta del Sud», 4 Gennaio 2001. A conferma della vastità di interessi di Angelo Manitta e dell’impegno da lui profuso in molteplici direzioni, rammentiamo qui pure l’uscita di un altro articolo nel mese di gennaio del 2001: ENZA CONTI, Rievocazioni e preghiere nella chiesa restaurata, in «La Sicilia», 12 Gennaio 2001, p. 25. La Chiesa restaurata è quella di S. Antonio Abate di Castiglione e, come osserva Enza Conti, “Alla cerimonia è intervenuto anche il prof. Angelo Manitta, il quale ha fermato la sua attenzione, attraverso un excursus storico ed iconografico nell’importanza artistica che riveste la chiesa, non solo per i castiglionesi ma per l’intera comunità isolana, evidenziando soprattutto la preziosità dei mosaici che assieme alle tele armonizzano e arricchiscono in modo globale la navata principale».

[66] Cfr.: Presentato “Vitti, Pinsau e Scrissi” del poeta Aristotele Cuffaro, in «L’eco del sud» – «Messina sera», 31 Gennaio 2004.

[67] Cfr. breve scheda sulla produzione letteraria complessiva di Placido Petino riportata in «Punto di vista», N. 41, Luglio – Settembre 2004, p. 222 (ripresa da «Il Convivio», Ottobre – Dicembre 2001).

[68] Cfr.:  MARCELLO P. DI SILVESTRO, Quadri e paesaggi ammalianti per una mostra di successo, in «La Sicilia», 10 Agosto 2000; Francavilla, artisti a convegno, in «Corriere del Mezzogiorno», 17 Febbraio 1998, p. 15.

[69] In tale pubblicazione la poesia tradotta da Manitta è inserita a p. 254.

[70] Fosforescenti pupille, ne La ragazza di Mizpa, è pubblicata a p. 14 e con righe bianche che dividono la lirica in quattro strofe, mentre nella rivista «Il potere di un verso» le righe vuote sono state cancellate.

[71] ANGELO MANITTA – GIUSEPPE MANITTA, A partire da Boccaccio… La novella italiana dal Duecento al Cinquecento, Milano, Mursia Scuola, 2005 (I edizione Invito alla lettura).

[72] ANGELO MANITTA, Gilgamesh e l’Antipotere. Microscopium – Microscopio (da Big Bang), Castiglione di Sicilia, I Quaderni del Convivio, 2005.

[73] Ibidem, pp. 3-4.

[74] Ibidem, p. 12. Per gli approfondimenti su quest’opera manittiana rinvio alla relativa scheda di Marco Baiotto e quella di Marilena Rodica Chiretu.

 

 

 

 

 

 

 

Giuseppe Gullotto.

Alfio Scirto e Pippo Gullotto – Randazzo

                Giuseppe Gullotto nato a Passopisciaro nel comune di Castiglione di Sicilia il 5 agosto del 1947 da genitori Randazzesi, la mia biografia nasce su questo sito  come primo fondatore di radio libera e successivamente come emittente televisiva.
Da ragazzo dopo la scuola dell’ obbligo la mia passione era rivolta nel campo dei motori, ho imparato l’ arte sotto la direttiva di due bravi meccanici a Riposto, all’età di 20 anni mi sentivo pronto per affrontare questo mestiere da solo che ho fatto fino all’ età di 27 anni, mi sono sposato a 24 anni ed avendo messo su famiglia le esigenze sono aumentate pertanto bisognava  guadagnare di più, cosi a malincuore ho dovuto abbandonare l’attività motoristica per andare a fare tutt’altra cosa.
Sono diventato operaio nella tanta discussa Siace cartiera di Fiumefreddo di Sicilia ed avendo a disposizione più tempo ho incominciato a coltivare degli hobby, fermo restando che la meccanica mi accompagna fino ad oggi cercando di fare il mio meglio nel restaurare auto e moto antiche.
I miei primi hobby sono nel campo dell’aeromodellismo che pratico anche adesso, il mio sogno e’ sempre stato volare ho praticato per diversi anni il volo con i delta a motori, il secondo hobby nasce con l’ avvento delle ricetrasmittenti detti comunemente CB o baracchino.
Nel mio paese c’era un’altra persona che praticava lo stesso hobby, lui studiava all’Università di Catania in ingegneria elettronica, ed abbiamo fatto amicizia, un giorno mi chiama per radio e mi chiede se avevo in macchina la radio a modulazione di frequenza per ascoltare della musica indicandomi il canale, lui aveva costruito un trasmettitore l’unico nella nostra zona che era in grado di poter far ascoltare quello che ai giorni nostri ascoltiamo: la RADIO in FM.
Sto parlando del 1973, lui è Alfio Scirto, successivamente diventato mio cognato, ho subito chiesto di costruirne uno per me ma lui prontamente mi disse te lo regalo, dal detto al fatto col suo aiuto ho montato a casa mia una radio libera che inconsciamente utilizzavo senza alcuna autorizzazione, si era sparsa subito la voce di questo avvenimento ed ogni giorno facevo ascoltare la musica che tanta gente mi richiedeva, ed io ho incominciato anche a far sentire la mia voce, ero diventato un conduttore radiofonico senza rendermene conto, comunque la radio aveva un piccolo raggio d’azione dalla postazione dove mi trovavo era ascoltabile da Moio Alcantara, Malvagna, Roccella Val Demone, Santa Domenica Vittoria.
Qualche anno dopo nel 1975, la mia esigenza è stata quella di trasferirmi a Randazzo ed io ero felice di farlo, città che mi piaceva molto perché l’avevo sempre frequentata.
Assieme a me si trasferisce anche il mio hobby, da qui nasce assieme al costruttore Alfio Scirto, Radio Randazzo International, studi in via Torre, (la parte alta della città di  Randazzo). Descrivere quei periodi ci vorrebbe tanto tempo, ricordo il giorno dell’inaugurazione degli studi e delle trasmissioni, erano le 15.30 di un sabato estivo, ospiti l’ indimenticabile padre Vincenzo Mancini ed il sindaco Prof. Salvatore Agati, toccava a me fare le presentazioni ero frastornato quasi mi tremava la voce ero molto emozionato, avevo paura di sbagliare avendo accanto due persone di cultura come il Sindaco e l’Arciprete. Per fortuna tutto andò per il verso giusto.

Successivamente tanti ragazzi e ragazze si sono avvicinate e proposti come conduttori quasi tutti sono stati accolti, ed ebbe inizio ufficialmente la prima emittente radiofonica a Randazzo.
Come tutte le cose belle c’è sempre il rovescio della medaglia, dopo qualche mese le autorità giudiziarie ci hanno imposto di chiudere l’emittente perché privi di autorizzazione.
Non erano informati che, essendo stato abolito dalla Corte Costituzionale il monopolio alle trasmissioni di Stato, bastava comunicare all’ispettorato territoriale con sede a Catania della presenza dell’emittente.
Così avendo chiarito la nostra posizione sono riprese le trasmissioni.
Dopo un breve periodo, ci siamo trasferiti in altri studi più confortevoli perché abbiamo ceduto ad altri Radio Randazzo International, la motivazione era quella di avere la possibilità economica per sviluppare e potenziare un’altra realtà e dare anche spazio ad altri gestori con buoni propositi.

Antenne televisive

Con noi nasce in via dei Galvagno Radio Randazzo Centrale, successivamente nel 1980 si unisce ad un’altra realtà radiofonica derivata dalla prima emittente per potenziare la struttura, prende il nome di Radio Randazzo Unita.
E’ doveroso da parte mia ricordare l’amicizia che ci ha legato, all’indimenticabile nostro socio Franco Vagliasindi, per raccontare la nostra storia sia radiofonica e di amicizia si dovrebbe scrivere molto, lui con grande dispiacere di tutti coloro che lo conoscevano e naturalmente dei suoi cari è venuto a mancare in età ancora giovane, ma resta sempre un personaggio da ricordare con affetto. (Radio Randazzo Unita la sua esistenza finisce nell’ anno 1992).

Avendo fatto questa bella esperienza, negli anni 80 si incominciava a parlare di televisione, sempre con mio cognato Alfio Scirto, abbiamo dato vita alla prima emittente televisiva a Randazzo Tele Video Randazzo TVR, prima a carattere locale successivamente sempre con mezzi propri e con poco denaro abbiamo ampliato il bacino d’utenza con un ripetitore a Castiglione di Sicilia contrada Monte Colla adiacente alla postazione Rai, abbiamo costruito il traliccio per ospitare le antenne alto 30 metri, ancora oggi esistenti, tutto in manifattura artigianale con l’aiuto di un nostro amico fabbro Santo Pitinzano.
Successivamente abbiamo portato sul luogo, con una mia macchina e montato con l’ausilio di una carrucola, per intenderci quella usata nei pozzi dell’acqua, ed una scala di legno, quella serve per la raccolta delle olive, i ripetitori ed abbiamo costruito in muratura la casetta per la sistemazione delle apparecchiature.
Completata la postazione ed avendo già acquisito una discreta esperienza ci siamo cimentati a costruire le antenne e i trasmettitori per poter irradiare il segnale, quasi analogo discorso vale anche per le altre postazioni di S. Andrea, Maniace e Castelmola.
Fatte le postazioni ed avendo così potenziato su tutto il territorio il segnale di TVR abbiamo pensato anche a far vedere altre emittenti televisive che stavano nascendo in quel periodo. Ottenuta la loro autorizzazione il “territorio” ha avuto la possibilità di vedere prima il segnale di TELETNA emittente catanese e successivamente altre due emittenti RTP di Messina ed RST emittente calabrese.

Ma la nostra innovazione nel settore non si ferma qui, venendo a conoscenza della nascita di una emittente nazionale CANALE 5 siamo andati a contattare, a monte Lauro vicino la città di Vizzini, il responsabile della postazione di CANALE 5 proponendo la nostra disponibilità ad ospitare a forma gratuita il loro segnale televisivo, per dare la possibilità a questo “territorio” un po’ dimenticato da tutti, ad usufruire di questo servizio, cosa che è avvenuta a breve scadenza cosicché abbiamo avuto prima di tanti altri l’innovazione della tv privata.

Il successivo episodio lo voglio raccontare perché ritengo sia importante per la cronistoria delle emittenti locali.
Dopo qualche tempo, un giorno mi viene a trovare il tecnico di CANALE 5 ormai diventati amici dicendomi che il responsabile dell’emittente voleva parlarmi, mi presenta questo signore che io non conoscevo, parlava con accento milanese e prima di accennare la motivazione della sua venuta mi ha invitato a pranzo. A quel tempo nella nostra città pochi erano  i locali dove poter pranzare, la scelta è stata la trattoria Veneziano sita in via del Santuario.
Di tutto si e’ parlato tranne di televisione, una persona simpatica scherzosa che prendevi subito in simpatia, finito il pranzo in poche parole mi ha detto che stavano per far nascere altri due televisioni, ITALIA 1 e RETE QUATTRO e mi chiese se da parte mia c’era la disponibilità di ospitare anche le altre due emittenti. Non ha completato il discorso perché la mia risposta è stata subito positiva, ero felice di sapere che nel “territorio” avveniva questo. Concluso l’accordo, sempre in forma gratuita, ed avendo firmato all’istante un contratto per il comodato d’uso della postazione, leggo la firma: Silvio Berlusconi, a quel tempo ancora sconosciuto.

Negli anni successivi, per il nostro gesto di accoglienza, ha voluto aiutarci per diventare sempre più professionali, a tutt’oggi mantengo il rapporto con la loro azienda.

Successivamente abbiamo avuto rapporti anche con Telecolor ed Antenna Sicilia che grazie al nostro impegno ancora oggi vengono mantenuti questi servizi.

Franco Munda e Francesco Rubbino – Randazzo

Intanto il tempo scorre inesorabile,  nel 1990 per scelta personale, mio cognato, Alfio Scirto, lascia a me il compito di proseguire con TVR cosa che ho fatto assieme hai miei figli Andrea e Vincenzo fino ad oggi a distanza di 36 anni dalla sua nascita.
Nell’anno 2003 TVR cambia denominazione adesso si chiama EUROTV Randazzo, abbiamo sempre voluto che il nome di questa città fosse evidenziato per primo per l’ amore che gli portiamo e per tutti i Randazzesi che sempre ci hanno stimato e rispettato  a cui va il nostro grazie.
La televisione ha svolto un servizio sociale non indifferente riconosciuto da tutti, tanti programmi sono stati fatti, abbiamo avuti tanti illustri personaggi come ospiti, del mondo della politica, della cultura, dello sport, della medicina, dello spettacolo.
Abbiamo fatto anche tanti spettacoli ed iniziative nelle varie piazze ed il nostro obbiettivo principale e’ stato sempre quello di valorizzare la nostra città i suoi personaggi, i suoi monumenti e tutto quello che è la vita sociale, non solo di Randazzo ma di tutto il territorio del suo bacino di utenza.
In questa breve storia voglio ricordare  i collaboratori che più sono stati vicini all’emittente  ed hanno dato vita alla tv, Franco Munda, Pippo Anzalone, Gaetano Di Silvestro, Beppe Petrullo, Michele La Rosa, Isidoro Raciti, Angelo Borzi’, Carmelita Bonfiglio, Antonino Mobilia, Nino Caggegi e tanti altri, ricordo tutti ma sarebbe un lungo elenco, questa pagina serve non solo per ricordare ma per ringraziare tutti anche se non menzionati che tanto hanno fatto con serietà e passione per fare vivere una realtà importante che e’ quella della comunicazione.

EUROTV  ancora oggi con le difficoltà del tempo riesce a trasmettere per partecipare al sociale e allo sviluppo di questa Città e del suo hinterland. GRAZIE.
Voglio anche ricordare per precisione di cronaca che nel 1993 dopo la chiusura di Radio Randazzo Unita ho dato vita ad un un’altra realtà radiofonica Radio Amica, affinché Randazzo avrebbe avuto ancora questa realtà e fare riavvicinare i ragazzi che si erano smarriti ad avere un punto di riferimento e fare delle cose costruttive, cose che tanti hanno fatto, qualcuna/o di loro anche oggi trasmette in radio importanti, presenta spettacoli grazie all’ insegnamento acquisito nella struttura.
Radio Amica nel 1997 ha ceduto le proprie frequenze a Radio Maria, radio nazionale a spunto religioso che ancora oggi è presente sul nostro territorio.
In altre occasioni, se ci sarà la possibilità, vo

Pippo Gullotto, Michele La Rosa e Pippo Anzalone – Randazzo

glio parlare della socializzazione e di tanti anche frivoli episodi che avvenivano all’interno della radio e della televisione.
L’augurio è che questo patrimonio, a fruizione nostra e dei posteri, per far si che la nostra storia non venga dimenticata, rimanga attraverso le immagini reali che sono quelle televisive.
Concludo con i ringraziamenti all’amico di sempre Francesco Rubbino, (meglio conosciuto come Ciccio Rubbino) per avermi invitato a scrivere su questo sito da lui ideato ed è molto interessante per fare memoria assieme a personaggi molto illustri di questa bella Città.

 grazie Ciccio.       

 Randazzo 19 luglio 2017

 

Trasmissioni Televisive

    Giuseppe Anzalone intervista l’on.le Rino Nicolosi Presidente della Regione Sicilia.

A cura di Francesco Rubbino

Giuseppe Patania

     Giuseppe Patania nasce a Palermo il 20 gennaio 1780 ed è il più noto e popolare pittore palermitano della prima metà dell’800. Della scuola di Giuseppe Velasco diviene il miglior rappresentante della pittura neo-classica e della pittura romantica della Sicilia. Si dedicò anche all’incisione, alla miniatura, alla scenografia.

Giuseppe Patania

San Basilio

Tra le sue opere più significative  La consegna della Città da parte dei Musulmani, affresco, opera realizzata nella Sala Gialla del Palazzo dei Normanni di Palermo  e Ciclo, affreschi, opere realizzate nella Sala Pompeiana del Palazzo dei Normanni di Palermo.

 Da noi si possono ammirare: nella chiesa del Collegio San Basilio il quadro ” La trasfigurazione “, nella chiesa di Santa Maria Sacra Famiglia ” mentre nella chiesa di San Martino due sue opere “ Il San Benedetto” ed  “Il Martirio di San Bartolomeo“. 

 Morì il 23 febbraio 1852 a Palermo ed è sepolto al San Domenico.

Martirio di San Bartolomeo

San Basilio

Sacra Famiglia

 

FRANCESCO FISAULI

Note biografiche di  FRANCESCO FISAULI

 

Francesco Fisauli a Villa Queta – Randazzo

Mantello della Confraternitàdelle Anime del Purgatorio – Chiesa S. Nicola Randazzo

     Francesco Fisauli nacque a Randazzo nel 1914, quarto figlio di Gualtiero Fisauli (1870/1955) (ultimo discendente del barone Giuseppe e di Antonina Vagliasindi del Castello) che trasmise la sua profonda cultura e l’appassionata onestà intellettuale anche al suo erede più piccolo, nato dall’unione con una borghese, Angela Alia, sposata disattendendo i protocolli delle famiglie nobiliari.
    Sulle orme del padre Gualtiero (che aveva studiato presso l’Istituto salesiano di Valselice, dove il fondatore della congregazione, San Giovanni Bosco, ne aveva favorito il ritorno alla fede e che si era laureato giovanissimo in giurisprudenza presso l’università di Bologna), Francesco Fisauli ebbe a disposizione la documentazione e le ricerche sulla storia di Randazzo, di cui Gualtiero Fisauli aveva compilato preziosi regesti, forniti al salesiano don S. Calogero Virzì.
    Quest’ultimo ne tracciò una biografia, apparsa nella rivista “Randazzo Notizie” e se ne giovò in larga misura per i suoi studi.Rimasero inediti i volumi Le Confraternite in Randazzo e Notizie storiche sulle chiese parrocchiali di Randazzo perché l’interesse per la politica e la vita civile del suo territorio spinsero Gualtiero Fisauli  a partecipare all’agone politico per buona parte della sua vita, con prestigiose cariche di deputato provinciale (1910) di sindaco e commissario prefettizio, mettendo da parte la passione bibliografica.
    Alle sue teorie e ricerche può considerarsi un omaggio la tesi di laurea in Diritto Ecclesiastico, finora inedita, discussa dal figlio Francesco presso l’Università di Bologna dal titolo “Le confraternite di Randazzo nella storia e nel diritto ecclesiastico” (1937), che è oggetto della presente pubblicazione per volontà della di lui  figlia Angioletta e del nipote Francesco.
    In essa traspare lo spirito laico e la volontà di fare chiarezza con i documenti, rigorosamente trascritti insieme alle fonti notarili, sui rapporti complessi che hanno caratterizzato la vita delle confraternite in Randazzo, (ma anche in altri territori siciliani da Regalbuto a Biancavilla, a Paternò da altri indagati).
    La loro funzione, non solo religiosa ma assistenziale, è sentita dal giovane Fisauli con spirito partecipe e critico, non privo di interrogativi insoluti su alcuni passaggi di proprietà.

Francesco Fisauli con la moglie Stella Fiammenghi


Per tornare alle note sull’autore, tratte dai documenti familiari, confermate dalla biografia di Gaetano Scarpignato su Gualtiero Fisauli, è utile precisare il suo rapporto affettivo con il territorio natale: Francesco aveva studiato al Collegio Salesiano San Basilio in Randazzo e conseguito nel  ’33 la licenza liceale al Liceo Cutelli di Catania, attuale Convitto.
    Per completare gli studi aveva frequentato presso l’Università di Bologna la Facoltà di Giurusprudenza, laureandosi con il prof. Cesare Magni con la tesi che viene oggi pubblicata, poiché, anche a causa dell’inizio della seconda guerra mondiale, il Fisauli orientò le sue scelte in ambito diverso.
    Francesco Fisauli  infatti dopo la laurea intraprese la carriera militare a Torino come Ufficiale di Complemento nel corpo automobilistico militare nel ’38.
    

Fisauli con la moglie Stella e i figli Emma, Claudio e Angela.

Nel Capoluogo emiliano aveva intanto conosciuto la sua futura moglie, l’affascinante Stella Fiammenghi, che gli avrebbe dato tre figli, Emma, Claudio e Angela.
    Tornato a Randazzo, a cui era molto legato, si dedicò all’amministrazione dei beni, alla cura della famiglia, dimorando nella patriarcale villa Queta di Montelaguardia, praticando anche uno sport elegante come il tennis e vari interessi culturali.
    Francesco Fisauli continuò inoltre nell’ambito della confraternita la sua generosa cooperazione di volontariato che suppliva all’assistenza dei più deboli, con l’importante carica di rettore, lavorando a beneficio della cittadinanza anche presso l’Eca e come giudice conciliatore per circa un trentennio.
     Morì il 3 maggio 1997.

Come ha sottolineato lo studioso  Salvatore Agati, nella sua prefazione, oggi che le confraternite sono regolate dal Codice di Diritto Canonico del 1983, ripercorrerne le vicende intricate in Randazzo, grazie alle ricerche del Fisauli, è un importante dono alla comunità etnea tutta e un ricordo dell’operato dei suoi figli migliori, da costituire un esempio per continuare l’opera nella valorizzazione delle memorie, come autentico bene culturale, che distingue ogni paese, ed evita l’omologazione di nodi storici interessanti sul piano religioso e civile.

  Concetto Greco Lanza     

 

                                                                                                            

A cura di Lucio Rubbino

ERASMO MAROTTA

ERASMO MAROTTA (1576 – 1641)

 

                                               Nacque a Randazzo (presso Catania) da Francesco e da Salvuzza Svendroli il 24 febbr. 1576 e fu battezzato il giorno seguente nella chiesa parrocchiale di S. Nicolò (Policastro, p. 113).
Ancora adolescente si trasferì a Roma dove condusse gli studi musicali e ricevette gli ordini sacerdotali.
Secondo Aguilera (p. 393) le doti vocali e musicali gli valsero una fama precoce, grandi onori e un posto di rilievo tra i musicisti della città papale. Ad ambienti romani sono legate le sue prime composizioni musicali conosciute: il Marotta, infatti, contribuì con una coppia di madrigali (Son le risa e Non sono risa) alla raccolta curata da un altro giovane musicista siciliano, Gioan Pietro Flaccomio di Milazzo, Le risa a vicenda (Venezia, G. Vincenzi, 1598).
Due anni dopo il Marotta pubblicò la sua prima raccolta a stampa, l’Aminta musicale… Il primo libro di madrigali a cinque voci, con un dialogo a otto (Venezia, A. Gardano, 1600), dedicandola, da Roma il 1° genn. 1600, al cardinale Girolamo Mattei, celebre collezionista di pitture e appassionato di musica.
Nella dedica di questa raccolta di madrigali, quasi tutti su versi tratti dall’Aminta di T. Tasso, il Marotta, dopo aver ringraziato il cardinale Mattei per averlo «fatto degno del suo servitio […] tutt’il tempo di mia vita», dichiarava di aver «preso ardire di dargli luce sotto ’l nome di V.S. Illustrissima […] per esser nati [questi madrigali] in casa sua».
È probabile, quindi, che il Marotta fosse entrato al servizio di Mattei in giovanissima età e che all’epoca vivesse nel palazzo romano (poi Caetani) del cardinale.
Della raccolta, pervenutaci in un solo esemplare privo di alcuni libri-parte, si conosce un solo madrigale che fu ripubblicato dall’editore P. Phalèse nell’antologia Il Helicone (Anversa 1616).
La notorietà dell’Aminta musicale sembra testimoniata anche da un dipinto d’impronta caravaggesca, attribuito a Bartolomeo Cavarozzi (per le figure) e al maestro della natura morta Acquavella.

Banda Musicale “Erasmo Marotta” – Randazzo


Esso raffigura un suonatore di flauto a becco, incoronato di foglie, insieme con un altro personaggio appoggiato a un tamburello con aria mesta.
Sul tavolo, dinanzi a loro, un tralcio di vite con dei grappoli d’uva, un violino di scorcio e un libro di musica di cui sono visibili le pagine contenenti il madrigale Dolor che sì mi crucii (Tasso, Aminta, vv. 1417-1438) tratto appunto dall’Aminta musicale del Marotta. L’identificazione del brano ha permesso di precisare il soggetto del quadro, che raffigurerebbe Aminta insieme con la ninfa Dafne o Tirsi, in questo caso con riferimento ai versi 1319-1320 del testo tassiano, nei quali si ricorda l’abitudine di Aminta di «raddolcir gli amarissimi martiri al dolce suon de la sampogna chiara» (Colin Slim, p. 250).
Restano tuttora ignoti il committente e le circostanze d’esecuzione del dipinto, che è stato datato al 1614-15 (Cottino).
Nel 1603 il M. partecipò col madrigale Cede a vostri zaffiri il vago azzurro onde s’adorna il cielo alla raccolta Infidi lumi  stampata a Palermo quale omaggio a donna Giovanna, figlia di Giovanni d’Austria, in occasione delle sue nozze con Francesco Branciforte Barresi, principe di Pietraperzia e marchese di Militello; ma il volume, cui parteciparono 18 compositori siciliani oltre allo spagnolo Sebastián Raval, è purtroppo andato perduto.
L’8 dicembre 1603 morì il cardinale Mattei e Erasmo Marotta, pur senza il suo protettore, rimase probabilmente a Roma fino a quando, il 10 maggio 1612, fu ammesso al noviziato dei gesuiti di Palermo.
Nel marzo 1613 si trasferì in quello di Messina, contribuendo a introdurre in questa città la pratica della monodia su basso continuo.
Nella Pasqua di quell’anno, infatti, per la prima volta il Passio secundum Iohannem fu cantato in musica a tre voci soliste dal M. e altri cantori (Aguilera, p. 34).
Dopo qualche tempo il Marotta ritornò al collegio gesuitico di Palermo dove si mise in luce per le proprie capacità musicali: le sue esecuzioni divennero presto un richiamo per il popolo e le autorità cittadine, tanto che un nuovo organo fisso fu installato nella chiesa, fino ad allora fornita soltanto di un organo portatile.
Nel 1618 il Marotta  fu incaricato di comporre le musiche, oggi perdute, per la tragedia Pelagius martyr, commissionata al gesuita Fabrizio de Spuches dal viceré Francesco Castro duca di Tauresana, e poi rappresentata nel collegio gesuitico.
È stato inoltre ipotizzato che i madrigali dell’Aminta siano stati eseguiti come intermedi, quando l’omonima favola pastorale di Tasso fu rappresentata allo Spasimo, al tempo del viceré duca d’Ossuna (1611-16).
La corrispondenza tra il padre generale dei gesuiti e i confratelli siciliani rende manifesto che i superiori della Compagnia non vedevano di buon occhio le esecuzioni di musica del Marotta, malgrado valessero più di qualunque predica «ad efficiendos enim pios et salutares animi motus» (Aguilera, p. 393).
In particolare, veniva deplorato ch’egli suonasse e cantasse avvalendosi di musicisti esterni e che nei collegi fossero eseguiti «dialoghi vulgari con balli et moresche» (lettere del 26 marzo 1616: cit. in Calagna, p. IX).
Di nuovo nel 1618 e ancora nel 1619, il padre generale ribadiva la proibizione di far musica con musicisti esterni e si rifiutava di dispensare il Marotta da alcuni esami di teologia.
Nel febbraio 1620 il generale della Compagnia permetteva tuttavia l’esecuzione di musiche del Marotta, a patto che quest’ultimo non vi prendesse parte, considerato che si trattava di opere «spirituali e che caggionano consolatione e divotione» (ibid., p. X).
In conseguenza di questo clima di ostilità, nell’ottobre 1620 il Marotta  fu trasferito a Mineo, presso Catania, come rettore del locale collegio dei gesuiti, restandovi per il consueto triennio, sino al novembre 1623.
Anche la sua permanenza a Mineo lasciò traccia di alcune attività musicali: documenti contabili attestano, infatti, spese per esecuzioni di musiche in occasione delle feste di S. Francesco Saverio e di S. Ignazio, per l’acquisto di carta rigata e di un organetto.
Rientrato a Palermo, il Marotta vi fu accolto calorosamente, ma con ogni probabilità si astenne per qualche tempo dal partecipare in prima persona all’attività musicale.
All’epoca riuscì a guadagnarsi la fiducia di Antonio Aragona Moncada, duca di Montalto, e di sua moglie Juana de la Cerda, divenendo confessore di entrambi.
In tale veste, nel 1628, il Marotta  fu coinvolto nella fondazione a Palermo del nuovo monastero Carmelitano dell’Assunta, di cui la duchessa divenne priora nel 1633, col nome di madre Teresa dello Spirito Santo.
Sempre nel 1628 il Marotta  si recò a Randazzo per fondarvi un collegio ma l’iniziativa andò avanti fra molte difficoltà e nel 1638 il collegio fu chiuso.
Negli ultimi anni di vita il Marotta ritornò a dedicarsi alla musica.
Nel 1635 un suo parente, Agapito Marotta, curò la stampa a Palermo dell’unica opera del Marotta pervenutaci integralmente: la Raccolta dei mottetti. Libro primo, a due, tre, a quattro, cinque con il basso continuo et un salmo a tre et una litania a cinque o a sei, dedicata a una figlia dei duchi di Montalto, carmelitana scalza col nome di suor Antonia Gertrude.
Sempre a Palermo nel 1636 pubblicò una raccolta di Madrigaletti a tre e due voci, oggi perduti, così come un’altra sua opera menzionata in un inventario soltanto come «musica cum quatuor vocibus» (Federhofer).
I documenti contabili del collegio gesuitico di Palermo mostrano il Marotta  sovrintendere di nuovo alla musica della chiesa negli anni 1638-40; e nel 1638 due noti organari palermitani, Antonio e Raffaele La Valle jr., lo interpellavano come perito circa la costruzione dell’organo della chiesa madre di Caltanissetta.

Erasmo Marotta morì a Palermo il 6 ottobre 1641

 

ERASMO MAROTTA (1576 – 1641), UN GESUITA CHE AMÒ LA MUSICA – Eliade Maria Grasso

ERASMO MAROTTA (1576 – 1641), UN GESUITA CHE AMÒ LA MUSICA

Eliade Maria Grasso

Erasmo Marotta nasce a Randazzo nel 1576 da una nobile famiglia originaria di Capua arrivata in Sicilia sotto gli aragonesi.
Già dalla più tenera età mostra un innato talento  musicale e, giunta anche la vocazione sacerdotale, viene mandato a Roma  per completare gli studi e prendere i voti nella Compagnia del Gesù.
Musicista e compositore in un’epoca in cui si va delineando la forma musicale del  mottetto, una composizione polifonica vocale che dal ‘500 ricalca il modello compositivo di tradizione fiamminga.
 Anche Marotta muove i suoi passi di compositore nell’ambiente musicale del tempo i cui  nomi più illustri della scuola italiana sono Orlando di Lasso, Pierluigi da Palestrina, e i veneziani  Andrea e Giovanni Gabrieli.
In seguito, in pieno ‘600,  il mottetto, pur conservando il rigore contrappuntistico assume carattere più libero o, meglio dire, “concertato” in cui, fermo restando la presenza del testo religioso, la sua esecuzione elude l’esclusiva dell’ambito liturgico.
Marotta, dopo aver accuratamente studiato e applicato il contrappunto,  si libera da ogni rigida costrizione formale donando alle sue composizioni una maggiore aderenza tra musica e testo a favore di una maggiore cantabilità.
 A Roma Erasmo Marotta  era in servizio come musico presso il Cardinal Mattei a cui dedicò L’Aminta, la sua prima raccolta di composizioni musicali pubblicata a Venezia nel 1600.
Nel 1612 ritorna in Sicilia per essere ammesso al Noviziato Gesuita di Casa Professa.
Il motto Gesuita non cantat non si confà di certo al nostro Erasmo, la cui attività musicale lo mette in cattiva luce con gli alti gradi dell’Ordine dei Gesuiti,  tanto che nel 1616 il Padre generale di Roma scrive al Padre Provinciale di Messina una missiva con la quale lo esorta  a proibire a Padre Marotta di esibirsi durante le feste con musicisti esterni all’Ordine religioso: <<… mi dica chi l’ha permesso per farne la debita dimostrazione et Voscenza Reverendissima da qui avanti non permetta simil cosa>>.
La battaglia musicale di Padre Marotta non si ferma qui, egli riesce a far acquistare alla Casa Professa un organo stabile, che sostituiva un fatiscente strumentino a tastiera portatile usato, e anche di rado,  durante le celebrazioni più solenni.
Successivamente, nel 1620, viene trasferito a Mineo per ricoprire la carica di Rettore dove, oltre agli adempimenti imposti dall’Ordine,  continua ad acquistare strumenti e a  finanziare numerose attività musicali organizzando concerti e messe cantate.
Detto così sembrerebbe che avesse le “mani bucate”  invece era anche un ottimo amministratore e il collegio di Mineo, sotto la sua guida, conobbe un periodo assai florido.
Il Padre Generale, sconfitto ormai nel tentativo di stroncare le iniziative musicali di Padre Marotta scrive nel febbraio del 1620 un’altra lettera al Provinciale di Messina in cui proibiva a Erasmo di esibirsi personalmente ma non proibiva la sua musica: <<… Mi è stato rappresentato che l’opere del P. Marotta sono tutte spirituali e che cagionano consolatione e divotione e però mi è parso bene che si cantino e sonino […] purchè il Padre non canti e non suoni...>>.
La battaglia musicale di Erasmo è vinta!
Erasmo Marotta finisce i suoi giorni terreni a Palermo nel 1641. Siamo certi che in un angolo del Paradiso stia cantando ancora.                                                                                                           

Bibliografia:

Marotta E. Mottetti concertati a 2,3,4,5 voci -1635 a cura di P.E.Carapezza – Collezione Musiche rinascimentali siciliane, Leo S.Olchki, 1993, Firenze

 

Erasmo Marotta

 

Nacque a Randazzo da Francesco e da Salvuzza Svendroli il 24 febbr. 1576 e fu battezzato il giorno seguente nella chiesa parrocchiale di S. Nicolò (Policastro, p. 113).

Associazione Erasmo Marotta – Randazzo.

Ancora adolescente si trasferì a Roma dove condusse gli studi musicali e ricevette gli ordini sacerdotali. Secondo Aguilera (p. 393) le doti vocali e musicali gli valsero una fama precoce, grandi onori e un posto di rilievo tra i musicisti della città papale. Ad ambienti romani sono legate le sue prime composizioni musicali conosciute: il M., infatti, contribuì con una coppia di madrigali (Son le risa e Non sono risa) alla raccolta curata da un altro giovane musicista siciliano, Gioan Pietro Flaccomio di Milazzo, Le risa a vicenda (Venezia, G. Vincenzi, 1598). Due anni dopo il M. pubblicò la sua prima raccolta a stampa, l’Aminta musicale… Il primo libro di madrigali a cinque voci, con un dialogo a otto (Venezia, A. Gardano, 1600), dedicandola, da Roma il 1° genn. 1600, al cardinale Girolamo Mattei, celebre collezionista di pitture e appassionato di musica. Nella dedica di questa raccolta di madrigali, quasi tutti su versi tratti dall’Aminta di T. Tasso, il M., dopo aver ringraziato il cardinale Mattei per averlo «fatto degno del suo servitio […] tutt’il tempo di mia vita», dichiarava di aver «preso ardire di dargli luce sotto ’l nome di V.S. Illustrissima […] per esser nati [questi madrigali] in casa sua». È probabile, quindi, che il M. fosse entrato al servizio di Mattei in giovanissima età e che all’epoca vivesse nel palazzo romano (poi Caetani) del cardinale. Della raccolta, pervenutaci in un solo esemplare privo di alcuni libri-parte, si conosce un solo madrigale che fu ripubblicato dall’editore P. Phalèse nell’antologia Il Helicone (Anversa 1616).

La notorietà dell’Aminta musicale sembra testimoniata anche da un dipinto d’impronta caravaggesca, attribuito a Bartolomeo Cavarozzi (per le figure) e al maestro della natura morta Acquavella. Esso raffigura un suonatore di flauto a becco, incoronato di foglie, insieme con un altro personaggio appoggiato a un tamburello con aria mesta. Sul tavolo, dinanzi a loro, un tralcio di vite con dei grappoli d’uva, un violino di scorcio e un libro di musica di cui sono visibili le pagine contenenti il madrigale Dolor che sì mi crucii (Tasso,Aminta, vv. 1417-1438) tratto appunto dall’Aminta musicale del Marotta. L’identificazione del brano ha permesso di precisare il soggetto del quadro, che raffigurerebbe Aminta insieme con la ninfa Dafne o Tirsi, in questo caso con riferimento ai versi 1319-1320 del testo tassiano, nei quali si ricorda l’abitudine di Aminta di «raddolcir gli amarissimi martiri al dolce suon de la sampogna chiara» (Colin Slim, p. 250). Restano tuttora ignoti il committente e le circostanze d’esecuzione del dipinto, che è stato datato al 1614-15 (Cottino).

Nel 1603 il M. partecipò col madrigale Cede a vostri zaffiri il vago azzurro onde s’adorna il cielo alla raccolta Infidi lumi stampata a Palermo quale omaggio a donna Giovanna, figlia di Giovanni d’Austria, in occasione delle sue nozze con Francesco Branciforte Barresi, principe di Pietraperzia e marchese di Militello; ma il volume, cui parteciparono 18 compositori siciliani oltre allo spagnolo Sebastián Raval, è purtroppo andato perduto. L’8 dic. 1603 morì il cardinale Mattei e il M., pur senza il suo protettore, rimase probabilmente a Roma fino a quando, il 10 maggio 1612, fu ammesso al noviziato dei gesuiti di Palermo. Nel marzo 1613 si trasferì in quello di Messina, contribuendo a introdurre in questa città la pratica della monodia su basso continuo. Nella Pasqua di quell’anno, infatti, per la prima volta il Passio secundum Iohannem fu cantato in musica a tre voci soliste dal M. e altri cantori (Aguilera, p. 34).

Dopo qualche tempo il M. ritornò al collegio gesuitico di Palermo dove si mise in luce per le proprie capacità musicali: le sue esecuzioni divennero presto un richiamo per il popolo e le autorità cittadine, tanto che un nuovo organo fisso fu installato nella chiesa, fino ad allora fornita soltanto di un organo portatile. Nel 1618 il M. fu incaricato di comporre le musiche, oggi perdute, per la tragedia Pelagius martyr, commissionata al gesuita Fabrizio de Spuches dal viceré Francesco Castro duca di Tauresana, e poi rappresentata nel collegio gesuitico. È stato inoltre ipotizzato che i madrigali dell’Aminta siano stati eseguiti come intermedi, quando l’omonima favola pastorale di Tasso fu rappresentata allo Spasimo, al tempo del viceré duca d’Ossuna (1611-16). La corrispondenza tra il padre generale dei gesuiti e i confratelli siciliani rende manifesto che i superiori della Compagnia non vedevano di buon occhio le esecuzioni di musica del M., malgrado valessero più di qualunque predica «ad efficiendos enim pios et salutares animi motus» (Aguilera, p. 393). In particolare, veniva deplorato ch’egli suonasse e cantasse avvalendosi di musicisti esterni e che nei collegi fossero eseguiti «dialoghi vulgari con balli et moresche» (lettere del 26 marzo 1616: cit. in Calagna, p. IX). Di nuovo nel 1618 e ancora nel 1619, il padre generale ribadiva la proibizione di far musica con musicisti esterni e si rifiutava di dispensare il M. da alcuni esami di teologia. Nel febbraio 1620 il generale della Compagnia permetteva tuttavia l’esecuzione di musiche del M., a patto che quest’ultimo non vi prendesse parte, considerato che si trattava di opere «spirituali e che caggionano consolatione e divotione» (ibid., p. X).

In conseguenza di questo clima di ostilità, nell’ottobre 1620 il M. fu trasferito a Mineo, presso Catania, come rettore del locale collegio dei gesuiti, restandovi per il consueto triennio, sino al novembre 1623.

Anche la sua permanenza a Mineo lasciò traccia di alcune attività musicali: documenti contabili attestano, infatti, spese per esecuzioni di musiche in occasione delle feste di S. Francesco Saverio e di S. Ignazio, per l’acquisto di carta rigata e di un organetto. Rientrato a Palermo, il M. vi fu accolto calorosamente, ma con ogni probabilità si astenne per qualche tempo dal partecipare in prima persona all’attività musicale. All’epoca riuscì a guadagnarsi la fiducia di Antonio Aragona Moncada, duca di Montalto, e di sua moglie Juana de la Cerda, divenendo confessore di entrambi. In tale veste, nel 1628, il M. fu coinvolto nella fondazione a Palermo del nuovo monastero carmelitano dell’Assunta, di cui la duchessa divenne priora nel 1633, col nome di madre Teresa dello Spirito Santo. Sempre nel 1628 il M. si recò a Randazzo per fondarvi un collegio ma l’iniziativa andò avanti fra molte difficoltà e nel 1638 il collegio fu chiuso.

Negli ultimi anni di vita il M. ritornò a dedicarsi alla musica. Nel 1635 un suo parente, Agapito Marotta, curò la stampa a Palermo dell’unica opera del M. pervenutaci integralmente: la Raccolta dei mottetti. Libro primo, a due, tre, a quattro, cinque con il basso continuo et un salmo a tre et una litania a cinque o a sei, dedicata a una figlia dei duchi di Montalto, carmelitana scalza col nome di suor Antonia Gertrude. Sempre a Palermo nel 1636 pubblicò una raccolta di Madrigaletti a tre e due voci, oggi perduti, così come un’altra sua opera menzionata in un inventario soltanto come «musica cum quatuor vocibus» (Federhofer). I documenti contabili del collegio gesuitico di Palermo mostrano il M. sovrintendere di nuovo alla musica della chiesa negli anni 1638-40; e nel 1638 due noti organari palermitani, Antonio e Raffaele La Valle jr., lo interpellavano come perito circa la costruzione dell’organo della chiesa madre di Caltanissetta.

Il M. morì a Palermo il 6 ott. 1641.

Oltre alle opere citate si conserva manoscritta la parte del tenore di alcuni brani appartenenti alla raccolta Miserere e Motteti per li venerdì di Quaresima (Palermo, Arch. della Casa professa dei gesuiti: Calagna) e il mottetto in dialogoAve quae est ista. Salutatio angelica a due con ripieni attribuito al M. (Mdina, Museo della cattedrale, Mss., Mus.155a-b).

Anna Tedesco

La lapide nel cortile del Municipio 

 

Un grande musicista gesuita siciliano: Erasmo Marotta (prima parte)

 

Nasce a Randazzo (Catania) il 24 febbraio 1576 (alcune fonti riportano il 1578), da Francesco e Salvuzza Svendroli ed è battezzato il giorno seguente nella chiesa parrocchiale di S. Nicolò. Ancora giovanissimo, per le sue spiccate qualità musicali, viene inviato a Roma dove, infatti, compone le sue prime opere musicali. G.P. Flaccomio lo include tra i nove compositori che a gara mettono in musica il doppio madrigale Le risa a vicenda, raccolta dedicata nel 1598 al card. F.M. Del Monte, e la composizione del giovanissimo Marotta è tra le migliori. 

Antonino Lo Nardo – Il lamento di Aminta

A Roma è al servizio del card. G. Mattei, quando il 1° gennaio 1600 gli dedica l’Aminta Musicale: il primo libro di madrigali a cinque voci, con un dialogo ad otto tutti su versi della favola pastorale di T. Tasso.
È già sacerdote nella curia romana, quando nel 1610 chiede di entrare nella Compagnia di Gesù, e viene ammesso nel noviziato dei gesuiti di Palermo il 10 maggio 1612. Nel 1613 è trasferito in quello di Messina, dove introduce l’uso di cantare la Passione a voci sole su basso continuo, ed egli stesso fa la parte del Cristo.
Torna spesso a Palermo, ma i superiori della Compagnia non vedono di buon occhio le sue esecuzioni musicali che si avvalgono anche di musicisti esterni. Dopo una lunga corrispondenza tra il Generale e i suoi confratelli siciliani, viene permessa l’esecuzione di musiche di Marotta a condizione che questi non vi prendesse parte.
E per tre anni (1620-1622), forse a causa di questa atmosfera ostile, viene inviato a Mineo come rettore di quel Collegio. Torna a Palermo nel 1623, da dove si allontana per missioni diplomatiche a Roma e Napoli (1627-1628); Randazzo fonda un Collegio. Muore a Palermo il 6 ottobre 1641. A suo ricordo, vi sono a Randazzo una lapide commemorativa nel chiostro del palazzo comunale, il titolo della Scuola musicale ed del corpo bandistico; a Catania vi è un viale a lui intitolato. 
Marotta fu un raffinato musicista caduto a poco a poco nell’oblio. L’Aminta musicale raggiunse una certa notorietà come ci testimonia il quadro Il lamento di Aminta dipinto nella ii metà del sec. xvii probabilmente da B. Cavarozzi (Collezione privata).
Non si conosce per (conto di) chi il dipinto sia stato prodotto ma, considerando la sua impronta caravaggesca, non è da escludere che possa essere stato qualche personaggio dell’
entourage del card. Del Monte. L’identificazione, nel contenuto del dipinto, del madrigale Dolor, che sì mi crucii, uno di quelli composti da Marotta e basato sull’opera di Tasso ha permesso di comprendere il contenuto del dipinto; si tratta di due giovani: l’uno, un pastore (Aminta?) che triste suona il flauto, e l’altro, possibilmente, la ninfa Dafne o Tirsi, che si appoggia pensierosa su un tamburino.

 

Erasmo Marotta – Sancta Maria sopra un aria siciliana (mottetto a due voci) – Elaborazione musicale: Giulio Nido

 

Erasmo Marotta – Si vis perfectus (mottetto a tre voci) Elaborazione musicale : Giulio Nido

 

Erasmo Marotta – Sancta Maria (mottetto a quattro voci) Elaborazione musicale  di Giulio Nido 

 

Rubrica a cura di Giulio Nido 

FRANCESCO SGROI

FRANCESCO SGROI  nato a Catania il  16/10/1970

ATTIVITA’ LAVORATIVA – Imprenditore Agricolo

CARICHE SOCIALI – Segretario Regionale FENAPI comparto Agricoltura dal 16/01/2016 ad oggi

Consigliere Comunale dal 1998  al 2013                         

Presidente del Consiglio Comunale     DAL  2003  AL  2008

RANDAZZO NOTIZIE

                              

Nel marzo del 1982 l’Amministrazione di Randazzo,  Sindaco Francesco Rubbino,  delibera la pubblicazione di una Rassegna Periodica Trimestrale della vita politico-amministrativa e degli aspetti culturali ed artistici  della nostra Città..

   Tutto ciò nasce da un bisogno,  largamente sentito dalla popolazione e dagli organismi politici, economici e sindacali  di essere messa a conoscenza dell’operato dell’Amministrazione e soprattutto di coadiuvarla attraverso i meccanismi della partecipazione.

   Dal tra parte l’Amministrazione sentiva la necessità di uno strumento che le permettesse di parlare con i Cittadini e informarli dell’operato del Sindaco, della Giunta e del Consiglio Comunale.

   Un altro aspetto importante era quello di far conoscere la storia di Randazzo e valorizzarne  le bellezze artistiche ed architettoniche coinvolgendo quanti con grande passione si interessavano a questi temi .

   Per la pubblicazione del Periodico fu incaricato il dr Rosario Talio, ideatore del progetto,  che diviene Direttore Responsabile.

   Il primo numero esce il il mese di maggio 1982 e viene distribuito gratuitamente a tutta la popolazione randazzese. In seguito viene spedito anche a moltissimi nostri concittadini residenti in altra parte dell’Italia o all’estero. Ottiene da subito un  insperato successo e gradimento.

   Per la redazione di questo sito, molte notizie sono state attinte da questo Periodico.

Di seguito sono state pubblicate le copertine .

 

   
   
   
 
   
   
   
 
 
   
 
   
   
   
   
   
   

 A cura di Francesco Rubbino

 

 

  

Biblioteca Autori Randazzesi

       

 

 Elenco pubblicazioni di Autori Randazzesi 

  Titolo Autore Editore Note
Detti Sentenze Proverbi Storielle
Modi di Dire Anedotti e Usanze  Siciliane
Un Viaggio nell’Universo Randazzese
Maristella Dilettoso Armando Siciliano Editore
2008
Introduzione.
“Questo lavoro è nato quasi per gioco, appuntando proverbi e modi di dire, man mano che tornavano alla mente, o che si sentivano citare, a casa o fuori, a proposito o a sproposito, così, tanto per la mera curiosità di sapere quanti ne possedevamo…” 
Un Beato che Unisce
  Randazzo e Montecerignone 

Maristella Dilettoso
   
Randazzo
La Cassino di Sicilia
Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto e danneggiato negli anni della seconda guerra mondiale
Lucia Lo Presti
 Il Convivio Editore
via Pietramarina-Verzella, 66
Castiglione di Sicilia
febbraio 2016
….essere a conoscenza di quel patrimonio che non esiste più significa ricostruire una parte della nostra memoria collettiva; scoprire le bellezze che l’architettura e l’arte ci avevano regalato e che la guerra ha cancellato.”
L’autrice 
 Le Confraternite di Randazzo
nella storia e nel diritto ecclesiastico
Francesco Fisauli  Edizioni Greco  
 Randazzo Segreta
Astronomia, Geometria Sacra e Misteri tra le sue pietre
Angela Militi  Gruppo Editoriale srl
Acireale
settembre 2012
Sin dalla sua comparsa sulla Terra l’uomo ha sempre avuto un legame particolare con il cielo e le stelle; fin dai tempi più remoti esso per il bisogno Profondo di unire la Terra con il Cielo ha edificato i suoi edifici sacri a immagine della volta celeste, dando inizio a una “religione stellare”. 
A.Militi
L’epigrafe della Basilica Minore di Santa Maria in Randazzo.
Esegesi di una data
 Angela Militi Litostampa Veneta s.r.l.
Venezia-Mestre
dicembre 2010 
Presentazione
Questo lavoro non si propone di fare esibizione di eloquenza, ma nasce dall’esigenza di fare chiarezza sulla data riportata nell’epigrafe di una delle due lapidi della basilica minore di Santa Maria di Randazzo, riguardante l’edificazione della stessa.
A.Militi 
 Orazione Funebre per Ferdinando

1. Re del Regno delle Due Sicilie

Giuseppe Plumari    
La felicità politico-cristiana Omelie dell’uomo Giuseppe Plumari    
 Gli Ultimi Giorni di Don Piddu
e altri racconti Siciliani
Giuseppe Severini  Armando Siciliano Editore  
 RANDAZZO
una città medievale
SALVATORE AGATI   GIUSEPPE MAIMONE
EDITORE 
(Sintesi molto documentata sull’evoluzione storica, artistica e sociale del paese, notevole
l’iconografia a colori e in bianco e nero).

NEI GIORNI DEL CROLLO ANTONIO PETRULLO Editrice Ciranna – Roma  Prefazione di Arnaldo Di Serio 

RANDAZZO E LA VALLE DELL’ALCANTARA FEDERICO DE ROBERTO Istituto di Arte Grafiche Editore – Bergamo 
1909
147 Illustrazioni e 1 Tavola  
Breve Guida Attraverso i Monumenti Artistici della Città di Randazzo  DON SALVATORE CALOGERO VIRZI’  Scuola Salesiano del Libro  

Alcantara:
Randazzo, Gole-Valle e dintorni

DON SALVATORE CALOGERO VIRZI’ Plurigraf  Totalmente illustrato con 105 foto a colori 
Randazzo e il suo Territorio:
storia, arte, turismo, paesaggio e natura incontaminata
VINCENZO CRIMI Grafiche la Rocca 
Riposto 
…un intrigante viaggio attraverso il territorio naturalistico di Randazzo, passando per i tesori artistici e culturali che esso custodisce. 
Sogni Vissuti e Figurati
Verso un Dinamismo Cosmico
NUNZIO TRAZZERA Litografia Bracchi
Giarre 
Maggio 2008 
Profilo dell’Autore e catalogo con Opere di Pittura e Scultura Cosmico Dinamiche. 
  Via Crucis Cosmico-Dinamico NUNZIO TRAZZERA Il Convivio Editore 
marzo 2016
Via Crucis con a lato poesie di:
Salvatore Agati
Alessandra Di Stefano
Rosanna Gulino
Mario Gullo
Angelo Manitta
Giuseppe Manitta
Ivana Trazzera. 
  Paesi di Sicilia
RANDAZZO 
Don Salvatore Calogero Virzì    
   Il Metodo Educativo Salesiano
L’Eredità di Don Bosco
Don Gino Corallo
Salesiano
   
ERESIA 
(La bancarotta della lotta di classe)
TOMMASO VAGLIASINDI
(1866/1929)
Cav Nicolò Giannotta
Editore 
Libraio della Real Casa
Catania 1923
Polemica Epistolare con Filippo Turati
  CONOSCERE RANDAZZO 
Storia, arte, natura, tradizione.
Istituto Paritario San Basilio
con la partecipazione della Scuola paritaria Santa Caterina 
Stampe. Full Service
Randazzo 
 
  I Piaceri della conversazione  GIUSEPPE GIGLIO  Salvatore Sciascia Editore  Da Montaigne a Sciascia: appunti su un genere antico 
  Guida Turistica
alla CITTA’ DI RANDAZZO
cenni storici, itinerario artistico, tradizioni.
Agnese Castorina
coadiuvata da:
Maristella Dilettoso
Giuseppe Portale
Marcello Proietto di Silvestro
Edi.Bo. s.r.l. di Catania
maggio 2002  
Guida Turistica di Randazzo in Italiano ed Inglese  
   FLORA, FAUNA E ASPETTI NATURALISTICI DEL TERRITORIO DEL GAL ETNA  VINCENZO CRIMI    
  FLORA, FAUNA E ASPETTI NATURALISTICI DEL TERRITORIO DI BRONTE  VINCENZO CRIMI     
   UN POETA AUTORE- CANTAUTORE POVERO E SCONOSCIUTO 
POESIE
 SALVATORE SGROI  MA.GI. Editore
Patti
Dicembre 2016 
Associazione Teatro-Cultura
“Beniamino Joppolo”
Patti
Poeti della Misericordia 
   CITTA’ di RANDAZZO
GUIDA AL MUSEO CIVICO DI SCIENZE NATURALI 
RANDAZZO NOTIZIE
n.28 – febbraio 1989
AUTORI VARI 
Tipolitografia
F.lli Zappalà
Gravina di Catania
1989 
 
  PROMETEO AL CIBERMONDO  MARIA PIA RISA  Bonanno Editore 
luglio 2010
 Formazione e Società
  TONI delle
ANTENNE
MARIO SCALISI  E-QUA 
EDITRICE
Nascita e sviluppo delle televisioni commerciali.Da “mani pulite” a Berlusconi: 
il dilemma politico e morale dei cattolici italiani, fra romanzo e realtà.
 
  IL CASTELLO DELLA CITTA’ DI RANDAZZO
Studio storico-artistico.
1960
SALVATORE CALOGERO VIRZI’  Tipografia Galatea
Acireale
ottobre 1996 
A don Salvatore Calogero Virzì  nel decimo anniversario della sua scomparsa.
21° Distretto Scolastico Randazzo  
   MARIA
Madre di Misericordia
“Sotto il tuo manto c’è posto per tutti”
 ANTONINO GRASSO  Edizioni Segno
marzo 2016 
Un libro che risponde in modo chiaro ai tanti perché su Maria. 
  Apparizioni, malati e guarigioni a LOURDES  ANTONINO GRASSO   Edizioni Segno
aprile 2015 
La “prodigiosa” guarigione di Delizia Cirolli il “miracolo” n.65 di Lourdes riconosciuto dalla Chiesa 
  L’OINOCHOE
COL MITO DEI BOREADI
(Il gioiello del Museo di Randazzo) 
 SALVATORE AGATI  Tringale Editore
Catania
Ottobre 1982 
 Pregevole presentazione di Don Salvatore Calogero Virzì
   LE CONFRATERNITE
di RANDAZZO
nella storia e nel diritto ecclesiastico
FRANCESCO FISAULI  Edizioni Greco 
2007
Origine, Scopo, Patrimonio 
  LA MAMMA DEI SACERDOTI  GIUSEPPINA DILETTOSO VAGLIASINDI 
(da religiosa, suor MariaAddolorata)
e curatori anonimi.
Legatoria Industriale Siciliana 
dicembre 1994
Storia della Fondatrice dell’Opera Betania Ancelle di Gesù Sacerdote 
  RANDAZZO 
IERI E OGGI
IMMAGINI A CONFRONTO
 ANTONINO PORTARO  EUROSELECT – Roma
2014  
Un suggestivo viaggio a ritroso nel tempo attraverso le foto d’epoca 
  RANDAZZO
17 GIUGNO 1945

ANATOMIA DI UNA STRAGE 
SALVO BARBAGALLO  “EDIGRAF”
Maggio 1976  
Associazione Nuovo Mondo Teatro “ERWIN PISCATOR” 
  LA UMANA COMMEDIA  ALFIO PETRULLO  Editrice – Mondo Letterario
marzo 1969 
A Mò Di Prefazione

“L’abuso della forza dell’ingegno, che torna ad oppressione morale degli ignoranti,  va legalmente represso, con non minore fermezza che l’abuso della forza materiale a danno dei deboli”.
   STORIA – ARTE – FOLKLORE  in
RANDAZZO – CASTIGLIONE – LINGUAGLOSSA
SALVATORE CALOGERO VIRZI’
Salesiano 
Tipolitografia F.lli Zappalà 
Gravina di Catania
gennaio 1985  
 21^ Distretto Scolastico
Randazzo
Assessorato Regionale ai Beni Culturali e alla P.I.
   RANDAZZO  e le sue opere d’arte
Volume II
SALVATORE CALOGERO VIRZI’
Salesiano 
Tipolito Dell’Erba
Biancavilla
maggio 1989  
 21^ Distretto Scolastico
Randazzo
Assessorato Regionale ai Beni Culturali e alla P.I. 
  Patrimonio Artistico e Culturale  di
Randazzo
Castiglione di Sicilia
Linguaglossa 
 Salvatore Agati
Angelo Manitta
Antonio Cavallaro
“La nuova Grafica” di
Proietto Antonio
settembre 1997 
21^ Distretto Scolastico
Randazzo
Assessorato Regionale ai Beni Culturali e alla P.I.  
  STORIA 
Della Città di
RANDAZZO 
Sac. Salvatore Virzì
Salesiano 
Tipografia Pantano
Messina 
1972 
Presentazione
“La seguente pubblicazione, in edizione ridotta, è destinata prevalentemente ai giovani delle scuole, perchè possano apprendere, fin dai loro primi anni nelle aule scolastiche, la storia della loro cittadina, amarla ed apprezzarne le cose belle e antiche che ancora conserva”. 
  RANDAZZO
e il 
MUSEO VAGLIASINDI 
PIETRO VIRGILIO  Catania 1969    Introduzione
“Questo nostro lavoro vuole avere lo scopo di far sentire una voce amica di incoraggiamento e di sprono alle nostre Autorità affinchè operino in modo effecace, concorde e razionale per riportare Randazzo nel ruolo che le compete, ripristinandone l’intero suo patrimonio artistico e attivandone validamente il turismo”.
   ETNA
UN VULCANO UNA CIVILTA’
S.Agati – M.La Greca – G.M.Licitra – P.Maenza – A.Messina – R.Romano – G.A.Ronsisvalle – E.D.Sanfilippo – G.Sperlinga.  Giuseppe Maimone Editore
Catania marzo 1987   Amministrazione Provinciale di Catania
Storia del vulcano Etna, le eruzioni, le grotte, il paesaggio vegetale, la fauna, il paesaggio antropico, il parco, i vini, i castelli, i miti.  
  VI RASSEGNA DI POESIE DIALETTALI
“Versi e parole nelle parlate galloitaliche di Sicilia” 
Introduzione
Vito Claudio Dilettoso
Prefazione
Domenico Di Martino 
Proloco Randazzo
UNITRE sez. Randazzo
dicembre 2010
 
  VII RASSEGNA DI POESIE DIALETTALI
“Versi e parole nelle parlate galloitaliche di Sicilia” 
Introduzione
Vito Claudio Dilettoso
Prefazione
Domenico Di Martino 
Proloco Randazzo
UNITRE sez. Randazzo
dicembre 2011
 
  LA CONCIMAZIONE DEGLI ORTAGGI:
per l’orticoltura della Sicilia
 
GUSTAVO VAGLIASINDI   Società anonima Arte della Stampa
Roma

1 gennaio 1937
A cura del Comitato Nazionale per l’incremento delle concimazioni.
Roma 
  PIANTE DA PROFUMERIA  GUSTAVO VAGLIASINDI   Francesco Battiato-Editore
via Androne, 48 Catania
1913 
 Biblioteca d’Agricoltura ed Industrie Affini
   CALENDARIO DELL’ORTOLANO GUSTAVO VAGLIASINDI  Cassone Carlo Tipografia

Casale Monferrato
1 gennaio 1911 

 
  LA CHIESA DI SANTA MARIA DI RANDAZZO  SALVATORE CALOGERO VIRZI’- SALESIANO   Supplemento al “Randazzo Notizie” n. 10
agosto 1984
” Nel ricordo di mio fratello Vito col rimpianto di un grande affetto immaturamente stroncato”.
Don Virzì 
  PER L’INCREMENTO DELLA NOSTRA FLORICOLTURA  GUSTAVO VAGLIASINDI  Nicola Zanichelli Editore
Bologna 1920 
 
    ORTICOLTURA  E GIARDINAGGIO  GUSTAVO VAGLIASINDI  Editore ETNA
gennaio 1939  
Manuali tecnici per i corsi di Istruzione Professionale ai Rurali. 
   POESIE -PREGHIERE
da San Francesco ad oggi
 MARIA PIA RISA Editore AGORA’  ” E’ una raccolta antologica di poesie-preghiere scritte dal ‘200 ai giorni nostri, che abbraccia ben oltre otto secoli; composta da 209 poesie-preghiere, 58 autori, per un totale di 360 pagine.”  
   Una Vita dedicata a Randazzo:
Salvatore Calogero Virzì e le sue opere
SALVATORE AGATI   Edito a cura del Comune di Randazzo in occasione del conferimento della Cittadinanza Onoraria ( 2 febbraio 1979)
10 agosto 1979  
“Una carrellata attraverso gli scritti di don Virzì sintetizzando le opere  e citandole alla lettera quanto più è stato possibile”.
   “AL QUA’NTARH”
La valle incantata
 VINCENZO CRIMI Azienda Regionale Foreste Demaniale 
Regione Siciliana
 
  “RAHAB”
 
 VINCENZO CRIMI Azienda Regionale Foreste Demaniale 
Regione Siciliana 
 
   MARIA MADRE DELLA SPERANZA ANTONINO GRASSO    Donna di Legalità 
  MARIA di NAZARETH  ANTONINO GRASSO    Saggi Teologici 
   Associazione Turistica Culturale
I Venti di EOLO
UN’IDEA CHE CRESCE 
Autori vari partecipanti al concorso 
“GIOVANI SCUOLA CITTA'”
 
Realizzazione: 
Beppe Petrullo 
Daniele Sindoni
Tipolitografia A.La Rocca

Giarre – giugno 1992 
“L’Associazione Turistico Culturale
“I Venti di Eolo”  
fondata nel gennaio 1991 è apolitica, non ha scopo di lucro ed ha per oggetto la divulgazione della storia, della cultura e della bellezze architettoniche di Randazzo, mediante pubblicazioni di libri, periodici, l’organizzazione di conferenze e promozione turistica”.
  Il Sogno dei
FARAONI NERI
Alta Nubia: 
Una terra tra due imperi 
MAURIZIO DAMIANO-APPIA  Editore GIUNTI   
  Dizionario enciclopedico dell’antico EGITTO
e delle civiltà nubiane 
 MAURIZIO DAMIANO-APPIA Mondadori  
  Randazzo
Città d’Arte
Guida turistica della città 
 Maristella Dilettoso  A cura del Comune di Randazzo La documentazione fotografica è della Cooperativa 
“Cooptour EtnaMare”. 
  Istituto Tecnico Commerciale Statale
“ENRICO MEDI” di Randazzo
DIECI ANNI DI VITA
1971/72 – 1981/82 
Prof. Salvatore Pappalardo
Presidente Comitato di Redazione 
Galatea Editrice
1982 
Articoli di:
Santo Di Guardi
Giuseppe Alessi
Vincenzo Foti
Gerardo Fisauli
Maria Albanese
Paolo Parlavecchio
Salvatore Calogero Virzì
Salvatore Agati 
  ERESIA ?
(La bancarotta della lotta di classe) 
 TOMMASO VAGLIASINDI
1866/1929
Cav  Nicolò Giannotta – Editore
Libraio della Real Casa
Catania 1923
 Appendice
Polemica Epistolare con Filippo Turati.
   ESTATE RANDAZZESE 
A VARA
Il carro trionfale dell’Assunzione
 ETTORE PALERMO Edito a cura della
Grafiche Palermo RandazzoVia Roma 48 – tel.921120 
 Un gioiellino sui festeggiamenti di Ferragosto
Dipinti di:Maristella Dilettoso
Gloria Rasano
Elio Fallico
Foto Andrea
Salvatore Lazzaro
 

RANDAZZO e le sue opere d’arte 
vol. I 
ARCHITETTURA

SALVATORE CALOGERO VIRZI’
Salesiano  
Stampa: F.lli Chiesa
Nicolosi
febbraio 1987 
 Distretto Scolastico
Randazzo
Assessorato Regionale ai Beni Culturali e alla P.I. 
Hanno collaborato:Concetta Auria
M.Cristina Fioretto
Gaetano Modica
Rosario Talio 
  Novecento Teologico
Marie-Dominique CHENU 
 ANTONINO FRANCO Editrice Morcelliana
Brescia febbraio 2003
la teologia è una scienza. E’ una sapienza.
La teologia è la scienza di Dio. 
Il Collegio Salesiano 
S.Basilio di Randazzo
nel suo centenario
1879 – 1979 
 I Salesiani Tipografia Scuola Salesiana del Libro di Catania Barriera
30 ottobre 1979
Don Bosco a don Guidazio scoraggiato per la sua partenza  alla volta della Sicilia:
“Sta tranquillo, non inquietarti di nulla; va dove l’ubbidienza ti Manda, non temere, tu arriverai a Randazzo e lì farai tante belle cose ! “.
  L’EGYPTE
DICTIONNAIRE ENCYCLOPEDIQUE
DE L’ANCIENNE EGYPTE ET DES CIVILISATIONS NUBIENNES 
 MAURIZIO DAMIANO-APPIA    
  IL CARABINIERE
ed altri racconti 
ANNAMARIA VAGLIASINDI  Armando Siciliano Editore   
  LA FATINA  EUGENIO PERALTA  Edizione del Testimone
novembre 1993 
 
  POESIE DEDICATE ALLA MADONNA DI FAVOSCURO   DEMETRIO SGROI  Magi Editore   Associazione Teatro-Cultura “Beniamino Joppolo” – Patti
   LA TEOLOGIA E’ SAPIENZA
Conversazioni e lettere
 M.-D. CHENU  –  
ANTONINO FRANCO 
Editrice Morcelliana
Gennaio 2018  
 
‘I MARRUNATI
DI
PINOCCHIU
Traduttore:
 Mario Grasso
Illustratore o Matitista:

 Maria Paola Fisauli
Editore:
Provad’Autore
01.01.1990
Edizione integrale de ” Le Avventure di Pinocchio ” di Carlo Collodi
  PROCEDERE PARALLELI   MARIA PAOLA FISAULI Prova d’Autore
ottobre 1989  
Introduzione di Rocco Giudice 
   ed i sogni restano là
1960
ALESSANDRA DISTEFANO  ALETTI EDITORE 
gennaio 2018 
Prefazione di
Alessandro Quasimodo 
  HOTEL PENSION COSMOPOLITA  ALESSANDRA DISTEFANO   Edizioni Arianna 
dicembre 2017  
Prefazione di
Vincenzo Caruso 
  GLI ANZIANI A RANDAZZO:
Analisi e prospettive 
 VINCENZO CARUSO  Edizione
Comune di Randazzo
1983
Supplemento al n.3 di
“Randazzo Notizie” 
  IL TROFEO  FEDERICO DE ROBERTO   INEDITI E RARI
gennaio – marzo 1974
 A cura e con introduzione di Piero Meli
  “ATTESA”
(raccolta di versi) 
IGNAZIO SORBELLO   ISCRE
Catania – 1983 
Alla cara memoria di mio padre,
umile grazie per la vita donatami,
a mamma
che l’ha protetta, soffrendo;
a Mariuccia
che la continua;
a Danilo e Tecla
eredi della vita che non muore.
  PER CONTINUARE A VIVERE  SALVATORE  AGATI Pubblicart
via San Giovanni,12 Vizzini
novembre 1990  
 Prefazione di 
Nicolò Mineo
  ECCOMI 
(primo incontro)
SALVATORE AGATI  Edizioni della SSC
via Etnea, 248 – piano nobile
Catania
giugno 1972  
 
  LA MIA TERRA   SALVATORE AGATI  Carmelo Tringale Editore
CT dicembre 1982  
Randazzo
Tre chiese
tre quartieri
tre parlate
(oggi una sola)Groviglio di case
torri e palazzoni
ancora recintato dalle mura
tra l’Alcantara a nord
e Vulcano a mezzogiornoE’ il mio paese
 
  ANONIMA  MANUELA MANNINO  Casa Editrice
Wattpad
 
  DE QUADRO
Una storia prende vita 
EMANUELE MOLLICA  Authorpublishing
Randazzo 2015 
L’autore riesce a documentare e dimostrare quali siano le antiche origini di questa famiglia e alcuni avvenimenti importanti che la riguardano, soprattutto in riferimento alla baronessa Giovannella De Quatris, rifacendosi sia alle diverse interpretazioni storiche e sia alle nuove fonti scoperte.

 

  Il Castello della Ducea di Maniaci 
Storia e Guida
Salvatore Calogero Virzì   Giuseppe Maimone Editore  
  Racconti Sparsi
Nel Tempo 
OLGA FOTI  Robin Edizioni
luglio 2010  
Una raccolta di dodici racconti, “confortevoli e figurativi”, differenti declinazioni di unico conduttore: il tempo.
  SANTINA GULLOTTO Poesie… dialettali…
Dialetto randazzese
Stampato in  Italia
agosto 2016
 
  Trattato dell’honor vero et del vero dishonore   M. Girolamo Camerata
da Randazzo Siciliano, 

Dottor dell’Arti
In Bologna per Alessandro Benacci
 1567

Trattato dell’honor vero, et del vero dishonore. Con tre questioni qual meriti più honore, o’ la donna, o’ l’huomo. O’ il soldato, o’ il letterato. O’ l’artista, o’ il leggista. Di M. Girolamo Camerata da Randazzo siciliano… 
by Girolamo Cammarata

 

  Il Tacco sotto le Ballerine Sebastiano Grasso ES   
  Sinfonietta For Juliana   Sebastiano Grasso    
  Sul Monte di Venere    Sebastiano Grasso ES   
Tu, in agguato sotto le palpebre  Sebastiano Grasso ES  
  Randazzo Ebraica  Giuseppe Campagna Aracne Editrice   
       
         

 

 

A cur

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a cura di Francesco Rubbino

Libri: Presentato a Randazzo “Maria Madre di Misericordia”, del teologo Antonino Grasso. Meditazioni per riscoprire la figura della Madonna (25.05.2016)

(Articolo pubblicato su La Voce dell’Jonio, periodico quindicinale della Diocesi di Acireale, edizione online, consultabile sul sito La Voce dell’Jonio | www.vdj.it in data 25.05.2016)

 

E’ stato presentato a Randazzo il 16 maggio scorso, presso la chiesa del Sacro Cuore, l’ultimo libro di Antonino Grasso, Maria Madre di Misericordia:  Sotto il tuo manto c’è posto per tutti, appena pubblicato per i tipi delle Edizioni Segno.

Antonino Grasso, nato a Randazzo, è vissuto per oltre vent’anni in Germania. Rientrato in Italia, ha insegnato per alcuni anni alle scuole elementari della sua città. Nel 2001 ha conseguito il Dottorato in S. Teologia con specializzazione in Mariologia presso la Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” di Roma. Insegna Mariologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Luca” di Catania, aggregato alla Pontificia Facoltà di Teologia di Sicilia – Palermo. Inoltre è socio corrispondente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (Città del Vaticano), socio ordinario dell’Associazione Mariologia Interdisciplinare Italiana di Roma, ed è autore e gestore del portale scientifico di Mariologia più conosciuto d’Italia: http://www.latheotokos.it

Numerosissime le sue opere, articoli di mariologia pubblicati su riviste specializzate, e libri, tra i quali ricordiamo Maria, con te: meditazioni, esperienze, preghiere, con prefazione di René Laurentin (Ancilla 1994), E la Vergine distese le mani: per riscoprire un dono della Madonna. Caterina Labouré e la medaglia miracolosa (Ancilla 1995), Guadalupe: le apparizioni della perfetta Vergine Maria (Gribaudi, 1998 e 2004).

E ancora: La prodigiosa guarigione di Delizia Cirolli il Miracolo N. 65 di Lourdes riconosciuto dalla Chiesa, che è anche la sua Tesi di Licenza in S. Teologia con specializzazione in Mariologia, del 2001, La Vergine Maria e la Pace nel magistero di Paolo VI (2008), fino ai recenti Perché appare la Madonna (Ancilla, 2012) e Apparizioni, malati e guarigioni a Lourdes (Segno, 2015)

L’ultima pubblicazione, Maria Madre di Misericordia, un agile volumetto che consta di undici capitoli con ricca bibliografia, si propone come un testo di meditazione e teologia sulla Madonna e la sua relazione con la misericordia, che spiega e affronta il tema nei suoi vari aspetti, per concludersi con una sorta di “antologia” di preghiere composte da Santi, Pontefici e Padri della Chiesa.

A introdurre l’incontro è stato il parroco del Sacro Cuore, don Santo Leonardi. Dopo aver brevemente presentato la figura dell’autore, ha riportato alcuni passaggi iniziali del testo, che si configura in continuità con quanto espresso da Papa Francesco nella Bolla d’indizione del Giubileo in corso, la Misericordiae vultus, e con l’Enciclica del Santo Papa Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, ravvisando la chiave di lettura del libro proprio nella misericordia e maternità di Maria, citando il Concilio di Efeso (431): “Il Figlio nato dal Padre ci creò, nato dalla Madre ci ricreò”. Dopo una breve disamina delle varie parti dell’opera, dove si analizza la relazione di Maria quale Madre di Misericordia con le sue più importanti attribuzioni, ha concluso con una preghiera, presente sul libro, e composta da Papa Benedetto XVI, cedendo la parola all’autore.

Antonino Grasso ha spiegato alcuni punti nodali del testo, soffermandosi sull’importanza di riscoprire la figura di Maria quale “Madre di Misericordia”, secondo il desiderio del Santo Padre, innanzitutto in quanto, come Madre del Signore, ne condivide la mentalità, le aspirazioni, e siccome – come afferma S. Paolo – Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati, la funzione di Maria, oltre che darci il Salvatore, è quella di condurci tutti alla salvezza. Maria ha sempre costituito col Figlio un tutt’uno, soprattutto condividendone la sofferenza, ed è quindi Madre di Misericordia perché sul Golgota è diventata anche madre nostra. In quest’ottica l’autore ha proposto una lettura analitica della “Salve Regina”, la preghiera che i cristiani recitano ogni giorno, e che oltre a contenere gli attributi materni della Santa Vergine, riassume tutte le aspirazioni e le sofferenze degli uomini: quindi Maria madre di misericordia perché consolatrice degli afflitti, delle infinite pene che affliggono l’umanità, perché la sua dolorosa maternità, sperimentata ai piedi della croce, la predispone a tutto ciò, ma madre di misericordia anche perché “speranza nostra”, come colei che interviene per dirci di non farci abbagliare dalle cose illusorie del mondo, e additarci la vera strada.

Sollecitato infine da un quesito posto da don Leonardi, il prof. Grasso ha affermato che la “disponibilità” di Maria, che si manifesta nell’episodio esemplare e significativo del mistero della Visitazione, episodio che, secondo gli esegeti biblici è simbolicamente correlato al percorso dell’Arca dell’Alleanza, con le relative analogie, configurandola come la “nuova Arca”, le conferisce anche la caratteristica di “madre dei sacerdoti”, in quanto il sacerdote è chiamato a dare Gesù al mondo, proprio come Maria.

 

 Maristella Dilettoso

TITTY,  LA VOLPE (di E. Crimi)

Titty è un’amabile volpe (vulpes vulpes) che vive con la sua famigliola tra i pulvini di Astragalo e gli arbusti di Ginepro emisferico, all’interno del bellissimo betuleto dei Monti Sartorius, tra i comuni di Piedimonte Etneo e Linguaglossa. La nostra amicizia dura oramai da almeno 10 anni, mi ricordo che la incontrai per la prima volta durante un’escursione didattica con una scolaresca e lei attratta dal vociare dei bambini, si avvicinò a noi in modo furtivo ma senza paura. Da allora, anno dopo anno, rafforzammo la nostra amicizia e reciproca fiducia. Ella sembra oramai abituata alla mia voce e alla mia presenza, ogni volta che torno a trovarla, sembra aspettarmi con apprensione e con qualche abbaio di gioia. Spero di trovarla per molto tempo ancora, anche se sono consapevole che questa amicizia non potrà durare a lungo, dato che la durata della vita delle volpi non supera in media i 12 anni. Ad ogni modo io andrò a trovarla lo stesso, nella convinzione che troverò almeno i suoi piccoli che non ho avuto ancora modo di conoscere personalmente. Infatti, le volpi, per protezione, tendono sempre a celare i propri cuccioli e quando si recano a caccia o a gironzolare per il territorio, li tengono ben al riparo all’interno di sicure tane. Non porto mai del cibo con me, al massimo qualche frutto, perché gli animali selvatici devono procurarselo, pertanto, consiglio a tutti voi che leggete, se vi capitasse di incontrare sulla vostra strada un animale selvatico, non date mai da mangiare, se non volete che esso si prenda l’abitudine di ottenere cibo facile dall’uomo e scordi come cacciare le sue prede, ciò è contro natura e lo porterebbe sicuramente a morire di fame, quando l’uomo non lo rifornirà più. La catena alimentare è una gerarchia, una piramide spietata soccombono i più deboli, forse ciò é crudele ma certamente necessario e inevitabile, può anche non piacere ma é la natura che si autoseleziona. Come tutte le volpi, Titty è posizionata ai primi posti della catena alimentare del nostro territorio, che è quell’insieme di rapporti di nutrizione e predazione, all’interno di un ecosistema. Le sue straordinarie capacità di adattamento, le permettono la colonizzazione di ampi territori pedemontani ostici, che potrebbero risultare scomodi per altri animali selvatici.
Come ho potuto notare da alcuni resti di prede, Titty, oltre a cibarsi di uccelli, piccoli mammiferi come conigli e roditori, non disdegna altresì una dieta a base di frutta, bacche e verdura selvatica, dunque, la volpe può considerarsi un animale onnivoro. Quando questo cibo manca, sotto lo sguardo incuriosito dei gitanti, riesce a procurarsi il cibo raggiungendo l’area turistica di Piano Provenzano, dove “fa provvista” di frutta, rimanenze di cibo dei ristoranti e persino di qualche malcapitato animale domestico… poi via verso la sua tana dove i cuccioli aspettano. La volpe ha l’abitudine di fare scorta di cibo nei periodi di abbondanza, seppellendolo in tante piccole buche, per utilizzarlo in seguito nei periodi di ristrettezze. Le volpi hanno una lunghezza testa-corpo tra i 60-70 cm, la coda è lunga circa 40-50 cm, un’altezza di 35-45 cm e un peso che a volte sfiora i 10 kg. Il colore predominante è il fulvo tendente al rossastro che copre quasi interamente il corpo dell’animale, con una caratteristica macchia biancastra presente sulla gola e sul petto, il carattere distintivo per eccellenza invece è la coda con pelame folto. Come dicevamo sopra, il regime alimentare della volpe, che caccia in modo solitario, è molto vario ma anche utilissimo ai fini della selezione naturale, ai fini del controllo della diffusione di specie dannose per l’agricoltura e per il mantenimento in buona salute di varietà oggetto di predazione, contribuendo a frenare il diffondersi di epidemie infettive. Infatti, recenti studi hanno permesso di appurare che le volpi si nutrono anche di selvaggina morta, malata o difettosa e persino di topi, cavallette e altri insetti, dannosissimi per l’agricoltura. L’habitat naturale della Volpe è rappresentato da superfici boscose dove può trovare rifugio, ma non disdegna zone vicino ai coltivi, i centri abitati e persino alle abitazioni dove non ci sia forte disturbo. La volpe non attacca mai e solo se disturbata dalla presenza dell’uomo reagisce primariamente con la fuga. La volpe è attiva prevalentemente nelle ore notturne, mentre nelle ore diurne riposa nella sua tana che costruisce nei fitti cespugli, tronchi o all’interno di vecchie tane di altri animali. Durante il periodo degli amori, maschio e femmina si ricercano attraverso segnali olfattivi e abbai. Il periodo degli accoppiamenti va da gennaio a marzo e la gestazione dura circa 60 gg. I piccoli vengono alla luce in aprile-maggio in numero di 3-8 e l’emancipazione si ha intorno a 3-4 mesi di vita.

GINO CORALLO

 Gino Corallo (1910-2003) e la pedagogia della libertà       

                                 Gino Corallo, salesiano, docente e insigne pedagogista, era nato a Randazzo (CT) l’11 ottobre 1910, ottavo di nove figli, da Antonino, un provetto artigiano del marmo, ed Angela La Piana.

Il padre venne a mancare quando Gino aveva solo 14 anni, e da quel momento iniziò una storia di stenti e fatiche comune a tante famiglie del sud: i fratelli maggiori emigrarono in Canada dove ben presto li avrebbe raggiunti anche la madre. Sarebbe tornata soltanto nel ’36, per l’ordinazione sacerdotale del figlio. Gino studiò all’Istituto San Basilio, la prima casa salesiana fondata in Sicilia, non siamo in grado di affermare se questa frequentazione abbia influito sulla sua futura vocazione religiosa – anche tre sorelle sarebbero entrate a far parte delle Figlie di Maria Ausiliatrice – : la sua prima Professione avvenne il 28.09.1927, e l’ordinazione sacerdotale il 9 agosto 1936, nella natia Randazzo.

In questo periodo alternava agli studi curricolari ed a quelli religiosi, com’era consuetudine, l’insegnamento nelle scuole salesiane. Dopo gli studi di Teologia, conclusi alla Pontificia Università Gregoriana, frequentò il Pontificio Istituto Biblico di Lingue Orientali di Roma, dove studiò l’arabo, il siriano, l’ebraico, e la Facoltà di Lettere, presso l’Università Statale di Roma, dove tra l’altro studiò le lingue moderne (pare avesse una particolare predisposizione all’apprendimento delle lingue, sia antiche che moderne) e dove conseguì la laurea nel 1938 col massimo dei voti. Aveva avuto, tra i suoi insegnanti, il filosofo Giovanni Gentile. Conseguita l’abilitazione, passò ad insegnare lettere classiche  in vari istituti scolastici salesiani.

Fra i suoi tratti caratteristici, una statura piuttosto minuta, occhi mobilissimi e attenti, movimenti scattanti, quasi fosse sempre animato da grande fretta, era dotato di un’eloquenza concisa ma inarrestabile e densa di concetti.

Dopo la guerra, nel 1947, si era trasferito a Catania, e, obbedendo a precise indicazioni dei suoi superiori, non troppo volentieri agli inizi, per la verità, si dedicò allo studio della Pedagogia, dopo essersi trasferito a Milano sotto la guida di P. Gemelli dell’Università Cattolica, rivolgendo il suo interesse ai nuovi indirizzi della scuola americana, e particolarmente a John Dewey: la sua prima pubblicazione (La pedagogia di John Dewey, 1950), è infatti dedicata all’esposizione critica del pensiero del grande pedagogista americano, ancora poco noto in Italia, e che Corallo, dopo averne letto tutti gli scritti in lingua originale, contribuì a far conoscere. In quegli anni fu negli USA, e pubblicò poi nel 1955 i risultati del suo studio sulle scuole americane. Nel 1954 divenne libero docente di Pedagogia, ottenendo incarichi negli Atenei di Roma, Salerno, Bari e Lecce.

Nel 1963 vinse il concorso a cattedra e fu nominato Ordinario di Pedagogia all’Università di Bari, dove per primo diresse l’Istituto di Pedagogia. Intanto aveva già delineato, ed esposto nei primi scritti, il nucleo essenziale della sua pedagogia della libertà. Successivamente, nel 1965, sviluppando e arricchendo quella riflessione iniziale, pubblicò il primo volume del suo trattato, che costituisce una pietra miliare nella storia della pedagogia italiana, ed a breve distanza, nel 1967, il secondo volume (Pedagogia: I. Problemi di pedagogia generale, II. L’atto di educare, Torino S.E.I.): è questa la sua opera principale, “opera sistematica e documentata, in cui il discorso pedagogico sviluppa le proprie premesse teoriche e si estende alle implicazioni e conseguenze metodologiche, con ampi riferimenti alle scienze psicologiche oltre che alla storia della pedagogia occidentale. Su questo trattato hanno studiato molte generazioni di studenti universitari, a Bari e a Catania” (Moscato).

Gino Corallo sosteneva che “l’educazione consiste nel portare l’uomo alla conquista della piena forma umana, nel convincimento che l’uomo è pienamente uomo solo quando è capace di agire moralmente con autentica libertà interiore, e che pertanto il processo educativo consiste nel rendere l’uomo capace di agire con libertà o moralità, perché non ci può essere un’azione libera che non sia morale e un’azione morale che non sia libera” (Zanniello). Per quanto attiene poi all’affermazione della pedagogia come scienza, offrì un contributo originale alla determinazione dell’oggetto specifico e del metodo della ricerca pedagogica.

Nel contempo, e fino al 1968, continuò a insegnare presso il Pontificio Ateneo Salesiano di cui fu anche Rettore. Dal 1° novembre 1970 fu chiamato a reggere la cattedra di Pedagogia (e poi anche quella di Didattica) presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania, incarico che ricoprì fino al 1985, data in cui si ritirò per sopraggiunti limiti di età. L’Ateneo catanese volle dedicargli un volume di scritti, presentato nel corso di una solenne cerimonia svoltasi nell’aula magna della Facoltà di Lettere e Filosofia l’anno successivo al suo ritiro dall’insegnamento.

Fu un periodo di intenso e proficuo lavoro, quello svolto all’Istituto di Pedagogia in Palazzo S. Giuliano, dal prof. Corallo e dallo staff dei suoi collaboratori: decine le tesi di laurea prodotte, seguite con “precisione puntigliosa”. Così lo ricorda M. Teresa Moscato, al tempo sua assistente: “Don Corallo era parco di complimenti, non faceva promesse, non chiedeva obbedienza o appartenenza: esigeva studio, impegno, stesure accurate e scritture rigorose”, ma, ben lo sanno quanti sono arrivati sotto la sua guida al momento conclusivo, allora ti sorprendeva per la passione, che fino allora non avresti mai sospettato, con cui presentava e sosteneva il “prodotto finito” davanti alla commissione, sottolineandone ogni possibile pregio.

Fra le varie cariche e riconoscimenti conseguiti da Gino Corallo, ricordiamo la presidenza dell’IRRSAE (Istituto Regionalele di Ricerca, Sperimentazione e Aggiornamento Educativi) Sicilia (1979), e, dopo la celebrazione del suo ottantesimo compleanno, l’intitolazione della biblioteca dell’ Istituto di Pedagogia di Bari, che lui stesso aveva fondato anni prima.

 Dopo lunga malattia, caratterizzata da rari momenti di lucidità, strano destino per un uomo dotato di memoria straordinaria, si spegneva il 12 dicembre 2003 nella casa salesiana di Pedara. L’IRRE (Istituto Regionale di Ricerca Educativa) Sicilia, ha voluto istituire in sua memoria il Premio “Gino Corallo”.

Tra i numerosi studi e saggi pubblicati, vanno ricordati: Libertà e dovere nel problema della vocazione, Torino : SEI, 1949; Idee e fatti nelle scuole d’America, Salerno : Hermes, 1955; La didattica moderna negli USA (Brescia, 1958), Educazione e libertà nella società contemporanea (Brescia, 1965) Il lavoro scientifico : fondamenti e metodi (Bari, 1966), una guida al metodo per la stesura della Tesi di laurea (e furono davvero tanti gli studenti che lessero ed applicarono questi precetti), Strumentalismo e funzionalismo in Dewey, Claparède e Piaget (Brescia).

C’è stata anche un’attività meno nota, più intimistica, in Gino Corallo, quella di poeta, appartenuta agli anni giovanili e costituita da diverse composizioni inedite, in latino e in lingua. Tra gli scritti inediti, Alla ricerca del significato della virtù dell’umiltà, e La letteratura per l’infanzia tra arte ed educazione, Bari, La Vallisa, 2008, pubblicato postumo: l’autore, che già aveva insegnato a Bari, primo in Italia, la storia della letteratura per l’infanzia, in questo scritto rimasto inedito metteva a fuoco le linee principali di una epistemologia della letteratura per l’infanzia, il rapporto tra etica ed estetica, pedagogia e letteratura. Copiosa la bibliografia su Corallo, la sua figura ed il suo pensiero, costituita da articoli, saggi, raccolte e monografie, difficile menzionarli tutti, tra i tanti: Scritti in onore di Gino Corallo, (Catania, Facoltà di Lettere, 1988), tra gli scritti in sua memoria due si devono ai collaboratori d’un tempo, come Maria Teresa Moscato (Moscato, “Fare la verità” : don Gino Corallo pedagogista salesiano, Elledici 2008), un profilo abbastanza completo, a 360°, dal punto di vista umano e scientifico, ed una raccolta di scritti di autoritari selezionata e curata da Giuseppe Zanniello (Zanniello, Educazione e libertà in Gino Corallo, Armando 2005).

Maristella Dilettoso

(Articolo pubblicato su Il Convivio n. 38, Luglio – Settembre 2009)

 PRODUZIONE LETTERARIA

Don Gino Corallo
“Fare la verità”

Don Gino Corallo
“Fare la verità”
Don Gino Corallo
“L’Atto di Educare”
Don Gino Corallo
“Educazione e Libertà”
       
 

Don Gino Corallo
“Educare la Libertà”

 

Don Gino Corallo
“Il mondo educativo salesiano”

 

Don Gino Corallo
“L’Educazione”

 

Don Gino Corallo
“L’atto di educare”

      

HANNO SCRITTO DI LUI

DON GINO CORALLO: SALESIANO, EDUCATORE E PEDAGOGISTA

di CARLO DE NITTI

Per chi, come l’autore delle righe che seguono, opera da circa trenta anni nella scuola, è un vero piacere intellettuale ripensare a significativi momenti della pedagogia e della storia della scuola italiane del secondo dopoguerra (1950 – 1970), leggendo il recente agile volume di Luigi Lafranceschina, La Pedagogia Italiana del Secondo Dopoguerra e la Proposta Pedagogica di Don Gino Corallo(Bitonto Arti Grafiche Cortese 2014, pp. 89), presentato da Vittoriano Caporale e prefato da Daniele Giancane.

Attraverso i tre capitoli che lo compongono, l’Autore rivolge la sua attenzione ad educatori ‘rivoluzionari’ nel loro tempo di ispirazione ideale diversa: da don Lorenzo Milani a Mario Lodi, da Alberto Manzi al Movimento Cooperazione Educativa.

In tutte le loro esperienze, tanto quelle ispirate dallo spiritualismo e dal personalismo cristiano, quanto quelle ispirate dalla pedagogia materialista marxista, faceva premio: a) la ricerca di nuovi compiti e nuove frontiere per l’educazione che consentissero al Paese di superare gli anni della pedagogia gentiliana, idealista ed, in ultimo, fascista; b) un’incisiva lotta al persistente analfabetismo che interessava il Paese soprattutto al Sud e nelle zone rurali (cfr. p. 12).

Nell’ambito del quadro di riferimento testé brevemente tracciato, si staglia, la figura di don Gino Corallo, nel capitolo a lui dedicato, che occupa circa metà del volume, dal titolo “Don Gino Corallo (1910 – 2003) e la ‘poesia’ dell’educazione alla libertà morale”. E’ in esso che l’Autore effonde se stesso e la sua storia intellettuale e professionale: infatti, egli, studente universitario presso l’allora facoltà di Magistero dell’Università degli studi di Bari, è stato un discepolo diretto del Professore dal 1965 in poi. Lafranceschina, con un approccio deferente e rispettoso, ricostruisce la bio – bibliografia del Pedagogista, delineando le intuizioni principali ed il lascito culturale migliore

Don Gino Corallo, siciliano di Randazzo (CT), divenne sacerdote salesiano nel 1936; nel 1938 si laureò in lettere ed insegnò lettere classiche per circa un decennio nei Seminari salesiani: “La sua formazione intellettuale e culturale molto ampia nel campo teologico, linguistico-letterario (dimestichezza con il mondo classico e conoscenza di molte lingue) e filosofico trovò completamento oin quello pedagogico, quando ‘in obbedienza’ a una precisa richiesta dei superiori, dal 1957 al 1953, si dedicò allo studio della Pedagogia, pubblicando nel 1950 il suo primo volume pedagogico di oltre 500 pagine” (p. 48). Si trattava del volume La pedagogia di Giovanni Dewey, edito a Torino dalla SEI: la prima monografia su John Dewey, che fece conoscere il pensatore americano in Italia dopo l’ostracismo fascista ed idealistico.

Tra il 1952 ed il 1953, don Gino Corallo ebbe l’opportunità di verificare il pensiero di Dewey nelle pratiche delle scuole statunitensi, soggiornando per nove mesi negli Stati Uniti d’America. “Ebbe così la possibilità di visitarne le scuole e di studiare l’attivismo, la didattica, il metodo educativo e i risultati conseguiti” (Ibidem).

Anni di ricerche fondamentali e di lavoro, i primissimi anni ’50, che consentono a don Gino Corallo di mettere a punto il nucleo fondamentale del suo originale pensiero pedagogico. Partendo dall’idea che la pedagogia è scienza – e come tale non può non utilizzare il metodo scientifico nell’approccio ai suoi problemi teoretici – ed in particolare scienza filosofica, il suo oggetto di studio non è l’uomo ma la sua educazione (cfr. p. 57), ovvero l’acquisizione da parte dell’uomo di un ‘abito mentale’: “La pedagogia riceve il contributo di quasi tutte le scienze umane […] senza, però, integrarsi o sostituirsi agli altri saperi scientifici” (p. 58). Il fulcro intorno al quale deve ruotare la pedagogia è la libertà dell’uomo quale acme della formazione dell’uomo attraverso le cinque educazioni – fisica, intellettuale, morale, sociale religiosa – che don Gino Corallo individua quali articolazioni dell’educazione intesa come “processo unitario, armonico, integrale e il cui fine ultimo è l’agire rettamente e liberamente” (p. 65).

La libertà, insieme al principio di valorizzazione, è la cifra profonda della pedagogia corallina, attenta alla metodologia dell’educazione. Non vi è chi non vede in essa “la tradizione e l’esperienza salesiana, tesa alla pratica e ricca di indicazioni e suggestioni” (p. 67): il principio della valorizzazione fa sì che l’uomo conosca ed interiorizzi i valori, riconoscendoli come tali. Il veicolo dei valori non può che essere, in concreto, l’educatore: il vero e proprio archetipo dell’educando attraverso il principio della “causalità esemplare della testimonianza dell’educatore, che deve motivare e sostenere la volontà dell’educando, avere il carisma di direzionare la sua ‘crescita’ al meglio, lasciandolo libero” (p. 69).

In questa prospettiva, si situa anche la concezione coralliana della Didattica come scienza autonoma, con una sua epistemologia di riferimento: per don Gino Corallo, non vi può essere didattica che non consideri “l’alunno soggetto attivo nel processo di apprendimento, protagonista nella costruzione e nell’acquisizione delle sue conoscenze da socializzare e condividere con gli altri” (p. 79). E’ la grande lezione innovativa e di libertà dell’attivismo pedagogico perché esprime “le tre esigenze fondamentali di ogni iter didattico ed educativo, ossia la conoscenza dell’alunnol’individualizzazione del trattamento, l’interesse” (p. 80): l’educazione – ‘scienza della vita’ – non può non formare uomini liberi, nella migliore realizzazione della pedagogia salesiana.

Una lettura euristica, quella del volume qui recensito, per tutti gli educatori – come postula, nella sua Presentazione, Vittoriano Caporale – affinchè essi possano “alimentare il loro entusiasmo nell’affrontare la difficile ’arte di educare’ le nuove generazioni in un tempo di ‘crisi globale’” (p. 6). E di entusiasmo ce ne vuole proprio tanto!

Leggere le pagine che, da Discepolo a Maestro, Luigi Lafranceschina ha dedicato al pensiero di don Gino Corallo è stato un piacere: particolare per chi, come chi scrive, ha ritrovato in esse uno spaccato della propria storia di vita familiare, perché le lezioni del prof. Corallo le frequentava – quando poteva, essendo uno studente lavoratore – anche mio padre.

 Pedagogista, sacerdote nella Congregazione religiosa dei Salesiani. Attento e critico conoscitore della cultura americana, ha compiuto studi negli Stati Uniti, dove ha tenuto conferenze ed effettuato ricerche presso prestigiose istituzioni culturali ed università. Ha insegnato nell’Istituto superiore di Magistero di Salerno e in quello “Maria SS. Annunziata” di Roma, e presso la Facoltà di Magistero di Bari dove ha diretto l’Istituto di Pedagogia, creando un cenacolo di ricerca da cui sono transitati molti degli attuali docenti universitari di questa disciplina. Ha insegnato anche nella Università di Lecce e presso il Pontifico Ateneo Salesiano di Roma, di cui ha ricoperto anche la carica di Rettore. Dal 1970 ha tenuto la cattedra di Pedagogia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Catania. In un periodo in cui si diffonde in Italia l’attenzione alla pedagogia deweyana e l’Attivismo dilaga nelle scuole, C. costruisce un panorama della scuola americana come “laboratorio sperimentale” e ne affronta la valutazione critica che, senza voler obliare i difetti, rileva i valori di una educazione per tutti aderente ai bisogni dei singoli (Idee e fatti nelle scuole d’America). La riflessione sui metodi mette a fuoco il problema del rapporto personagruppo e tematizza il processo di “valorizzazione”, come principio del metodo educativo, che consente di superare la tradizionale antinomia autorità-libertà e lo scoglio della causalità educativa con il concetto “efficacia valorizzante”(Pedagogia, voll. I e II). La figura dell’educatore è delineata negli aspetti professionali di sapere scientifico e di competenza metodologica sempre in riferimento ad un processo di “strettissima relazione personale” che tocca la dimensione profonda della persona e postula l’attenzione alla direzione e al ritmo dell’orientamento personale e alla pro-attività oltre che alla esemplarità della guida educativa. L’orientamento personalista e cristiano sottende l’intera produzione dell’Autore e si esprime, persino negli studi sul Dewey (La pedagogia di J Dewey) e sulla esperienza educativa americana, come matrice di riferimento nella indagine sui valori: la democrazia, la libertà, l’autonomia di giudizio, il rispetto della persona e delle idee altrui segnano per l’Autore “la distanza fra barbarie e civiltà” e fondano una prospettiva educativa che mira a costruire la comunità e ad estendere la cittadinanza.
    A cura di Lucio Rubbino

 

 

Museo Archeologico Paolo Vagliasindi

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IL CASTELLO SVEVO 

 

Teresa Magro Archeologa curatrice Museo Vagliasindi – Randazzo

Castello Svevo e campanile di San Martino – Randazzo

Al centro di Randazzo, di fronte allo splendido campanile della chiesa di San Martino, sorge il cosiddetto castello-carcere di età normanna,vestigia delle mura che circondavano la città e degno contenitore della collezione archeologica .
Il castello in realtà era la torre più poderosa, il cosidetto maschio, delle mura che circondavano per circa tre km la città di Randazzo raggiungendo l’altezza di tre metri con dodici porte e sette torri, adesso visibili a tratti ed inserite nelle strutture moderne. Le mura di cinta furono costruite durante il regno di Federico II che dimorò nella città insieme alla giovane regina per qualche mese nel 1210 per sfuggire alla peste che imperversava a Palermo, insieme al Palazzo Reale e alla Chiesa di San Martino.
Nel 1282 le mura e probabilmente anche il Castello furono restaurate quando si stanziò in contrada Re con le sue truppe Pietro I D’Aragona nella lotta contro gli Angioini .
Una delle storie più interessanti che si svolsero a Randazzo è l’arrivo il 3 giugno del 1411 della Regina Bianca di Navarra, vedova di Re Martino . Proprio re Martino nel 1406 avevano ordinato che le mura di Randazzo fossero rimesse in piedi e la Vicaria Bianca con il suo corteo le attraversò per entrare nella città che aveva scelto come sede del Parlamento Generale affinchè la Sicilia potesse scegliere autonomamente il suo re. Tale avvenimento è rievocato ogni anno con un corteo fastoso di dame e cavalieri con sontuosi abiti e ha il suo nucleo all’ombra del Campanile di San Martino ed in tutto il quartiere attorno alla piazza con feste e musica che immergono il.paese in un clima di altri tempi.
Il 17 ottobre 1535 dall’arco della porta di San Martino entrava a Randazzo  l’imperatore Carlo V con un corteo solenne accolto festosamente dalla popolazione e da che soggiornò nel Palazzo Reale dalla cui finestra proclamò tutti cittadini di Randazzo cavalieri del regno.
Il Castello divenne Carcere della città sotto il regno di Filippo II ma divenne Palazzo ducale sotto il Vicerè Conte di Melle che lo restaurò e lo trasformò, nel 1630 fu venduto alla famiglia Romeo che lo trasformarono in fortezza prendendo il nome di Baroni del Castello , un secolo dopo venduto dagli stessi alla famigia Vagliasindi , che a loro volta lo affittarono al Municipio per essere trasformato in carcere .
Lo scrittore Leonardo Vigo lo descrive come luogo spaventevole e tetro, citando la stanza dei teschi ( o meglio di li crozzi), i pozzi dove erano dimenticati i prigionieri e le teste mozzate dei giustiziati appese alla torre centrale .

 

Sede del Museo Vagliasindi – Randazzo

IL MUSEO

 

Il museo è dedicato a Paolo Vagliasindi , proprietario del fondo, dove alla fine dell’Ottocento furono rinvenuti i reperti che fanno parte della collezione Vagliasindi, tutt’ora di proprietà privata , concessi al Comune di Randazzo dagli eredi affinchè fossero esposti per essere conosciuti e ammirati dai visitatori .
I reperti della collezione, in numero di mille, furono spostati dalle due sale della Casa di riposo per anziani, dove erano stati custoditi dal 1967, ed esposti nel piano superiore del Castello nel 1998, dopo un lungo lavoro di catalogazione e ricomposizione, voluto dal Comune di Randazzo in collaborazione con la Soprintendenza di Catania.
Il Museo si svolge nelle sale superiori del castello, diviso in cinque sale secondo una esposizione tipologica del materiale, diviso per classi ed epoche,in quanto non è stato possibile ricostruire i corredi tombali. Disegno museo
Nella prima sala centrale è esposto l’ esemplare piu’ pregevoli della collezione: la splendida Oinochoe a figure rosse con il mito dei Boreadi, mito poco conosciuto e rappresentato dai ceramisti greci .
Sul lato sinistro della vetrina sono esposti degli oggetti di oreficeria : si tratta di due coppie ad elice in lamina d’oro ornate con teste di ariete alle estremità a cui si aggiunge un medaglione in lamina d’oro raffigurante la testa di Eracle con la leontè e un cammeo in sardonica con la raffigurazione di un satiro che suona la cetra. 
Dall’altra parte della vetrina è esposta la base di una statua, di cui rimangono solamente i piedi.

Oinochoe – Museo Vagliasindi Randazzo

Le due vetrine ai lati della sala contengono numerosi oggetti di bronzo appartenenti alla collezione, nella vetrina di sinistra sono conservate due anse orizzontali decorate da due teste di cigno appartenenti ad una grande hydria di bronzo purtroppo perduta, foto anse allo stesso vaso apparteneva un’altra ansa verticale decorata da protomi leonine, da confrontarsi con una pregevole hydria proveniente da Randazzo e conservata allo Staatlische Museum diBerlino dove giunse tramite il mercato dell’ottocento. Altri oggetti sempre di bronzo conservati sono un colum ed uno strigile.
La vetrina contiene anche la ricca raccolta numismatica raccolta dal Barone Vagliasindi e costituita nell’ordine da monete greche e romane d’argento, monete greche di bronzo delle piu’ importanti colonie siceliote e delle città greche, monete di bronzo romane dal periodo della repubblica a quella imperiale, monete bizantine e arabe d’oro, monete arabe in vetro, monete medievali e moderne fin quasi al secolo scorso che mostrano il carattere antiquario del collezionista.
E’ possibile che il nucleo piu’ antico di età greca fosse costituito da un tesoretto rinvenuto nel feudo del Vagliasindi.
Sull’altro lato della sala sono raccolte in una vetrina altri oggetti in bronzo di uso quotidiano come grattugie , applique di mobili , specchi , ami da pesca di eta’ greca e oggetti di eta’ medievale come una statuetta di soldato che fungeva da manico , fibbie , grattugie.
Il percorso museale continua nelle due sale a destra, la prima contiene i reperti piu’ antichi della collezione costituite dalle importazioni corinzie e ioniche.
La prima vetrina contiene gli esemplari piu’ famosi della collezione costituiti dal gruppo di balsamari configurati a corpo di animali come il ratto, il delfino e il cavallo , decorati con tralci di foglie d’edera in vernice nera sul colore dell’argilla.
Tra i balsamari spicca il cosiddetto centauro che presenta l’inserzione di un busto umano.
Nello spazio successivo è esposto il gruppo delle importazioni di fabbrica corinzia datati al Corinzio Recente costituiti da kotylai miniaturistiche, oinochoai , aryballoi , pissidi cilindriche e hydrie miniaturistiche e ancora dopo le importazioni ioniche costituite da coppe ioniche, gli stamnoi e un’anforisko. Da notare sono certamente le importazioni fenicie costituite da una collana di trentatre vaghi in faience ed un aryballos in faience , unico esemplare rimasto di un gruppo numeroso attestato nella collezione .L’ultima parte della vetrina contiene alcuni esemplari di ceramica indigena evidentemente rinvenuti insieme ai reperti di importazione , tra le forme presenti possiamo citare l’oinochoe a bocca trilobata .
La sala successiva contiene i numerosi esemplari di fabbrica attica coperti interamente da vernice nera, divisi per tipologie vascolari. La sala presenta un aspetto particolarmente affollato ma al momento dell’esposizione si è scelto di esporre tutto il materiale della collezione affinché il visitatore potesse avere un’idea anche numerica della consistenza dei ritrovamenti . Le forme presenti sono costituite dagli skyphoi che presentano un excursus cronologico dagli inizi del V secolo a.c. al IV secolo a.c., le pissidi con coperchio, i gutti , le coppette sia su alto piede che basso , gli attingiti monoansati ed infine le lucerne normalmente presenti nelle tombe greche .In un incavo del muro è stata ricavata un piccola vetrina in cui sono esposte forme meno presenti numericamente come un askos configurato ad astragalo, un askos ad anello e alcune oinochoai di bella fattura interamente coperte da vernice nera.
Il percorso prevede che si ritorni nella sala centrale per visitare l’altra parte del Museo costituito da altre due sale dedicate alla ceramica attica figurata e alla ceramica di produzione ellenistica. La sala in fondo al corridoio presenta una notevole rassegna di esemplari decorati nelle due tecniche a figure nere e a figure rosse. La prima vetrina presenta le due belle oinochoai a configurate a testa femminile purtroppo mutile databili al 480 a.c. di indubbio valore artistico. Tra le lekythoi a figure rosse sono da citare la lekythos decorata con il suonatore alato di cetra e la lekythos con una fanciulla coperta da chitone che volge indietro la testa.Nella stessa vetrina sono esposte due lekythoi purtroppo mutile di maggiori dimensioni, la cui vasca è coperta da un fondo bianco farinoso e con una decorazione sovra-dipinta in colore paonazzo per lo piu’ scomparsa ; tale classe di esemplari, rinvenuti in contesti strettamente tombali, fa ipotizzare la presenza nel centro di Randazzo di un gruppo di immigrati ateniesi di una certa rilevanza sociale che hanno conservato le usanze funerarie tipiche della madrepatria.
Al centro della vetrina è esposto un gruppo di vasi di notevoli dimensioni e particolare raffinatezza , si tratta di un gruppo di quattro pissidi coperte da una bella vernice lucida interrotta solamente da una fascia di fitto puntinato, che dovrebbero appartenere alla stesso corredo tombale . Le ultime due vetrine sono riempite degli esemplari di lekythoi di piu’ piccole dimensioni. , Nella prima sono esposti gli esemplari decorati a figure nere, che presentano una decorazione meno raffinata di quelle a figure rosse e di tipo piu’ corrente con la raffigurazione del corteo dionisiaco o la scena di partenza di un giovane armato , nell’altra sono esposte le lekythoi decorate solamente da motivi vegetali. In una piccola vetrinetta laterale sono conservate alcuni esemplari di statuette, tra cui le statuette di pithos di età greca con iscrizione offerenti ed altri esemplari di coroplastica del V sec. a.C.
La quarta sala è dedicata alla ceramica della fine del V sec. e di età ellenistica che sono presenti nella collezione con esemplari di squisita fattura. La prima vetrina presenta dei reperti di grandi dimensioni come l’hydria della II metà del V secolo a.C. in cui campeggiano al centro della vasca due grandi figure appartenenti ad una scena mitologica , insieme ad altri reperti dello stesso ambiente in parte frammentari. Nella vetrina successiva sono esposte delle pissidi con coperchio anch’esse decorate con scene figurate . E’ da notare la pisside decorata con una scena legata al mondo femminile, in cui un eros alato offre un piatto rituale ad una donna elegantemente abbigliata, sia per l’accesa policromia che per le scena è stato attribuita al pittore di Lipari .Un altro gruppo della stessa tipologia vascolare presenta una decorazione costituita da teste femminili ,appartenente al cosiddetto Gruppo dell’Etna. Nella stessa sala sono esposti reperti appartenenti alla stesso periodo ma di produzione piu’ corrente come le lekythoi dette Pagensteicher decorate con piccoli animali e numerosi esempi di pissidi strigliate coperte da vernice nera. Anche in questa sala in una piccola vetrina laterale sono esposti alcuni esempi di coroplastica ellenistica appartenenti al mondo della commedia come la statuetta di satiro stante , insieme ad altri oggetti della vita quotidiana.

Ritornando nella sala centrale è possibile visitare la sala superiore dove sono esposti altri reperti appartenenti alla collezione, che, per il loro stato frammentario, sono stati considerati quasi una seconda scelta .Come si è già accennato, lo stato frammentario dei reperti è stato causato da avvenimenti recenti della nostra storia e, in alcuni casi, non è stato possibile ricomporre i numerosi frammenti conservati dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, cosicché, avendo a disposizione un altro spazio espositivo, è sembrato opportuno renderli comunque fruibili da parte del visitatore.

Le vetrine contengono gli stessi esemplari delle sale del piano inferiore ma fanno rendere conto anche dell’aspetto numerico dei ritrovamenti. In una vetrina laterale sono esposte numerose punte di lance di ferro particolarmente interessanti , purtroppo ancora in attesa di restauro .
Al piano terra la sala a destra, nota come la sala de li crozzi, è stata allestita nel luglio del 2012 per esporre il pithos di età preistorica rinvenuto in contrada Donna Bianca. A causa delle grandi dimensioni del reperto, del suo stato frammentario ma anche dei precedenti tentativi di incollaggio il restauro del grande contenitore è stato particolarmente complesso ed ha richiesto un lasso di tempo abbastanza prolungato. Accanto è stato esposto un altro pithos di minore dimensioni di età greca proveniente da contrada Feudo interessante per la presenza di un ‘ iscrizione in caratteri greci probabilmente del IV secolo.

Quadro dei siti d’interesse archeologico :

 

Salvatore Agati, il Maresciallo Fargnioli, il sindaco Francesco Rubbino, Salvatore D’Amico assistono al ritrovamento del pithos.

1)C.da Donna Bianca 
In questa contrada situata a circa 50 metri dall’odierno bivio di Santa Caterina nel giugno del 1972 durante i lavori di costruzione della strada denominata Quota Mille, che tagliando le pendici dell’Etna attraverso i boschi avrebbe unito i paesi del versante settentrionale etneo,emerse il bordo di un grande vaso.

Il grande pithos venne liberato dalla terra in stato frammentario e consegnato a Don Salvatore Calogero Virzì, fino alla sua ricomposizione e restauro avvenuto nel 2012 .
Nel luglio dello stesso anno è stato esposto nella sala inferiore del Museo Archeologico Paolo Vagliasindi .
Il pithos di età castellucciana probabilmente apparteneva ad un insediamento stabile o stagionale del quale non sappiamo nulla poiché non furono fatti scavi scientifici ma alcuni frammenti di ceramica dipinta della stessa epoca furono trovati nei dintorni del luogo di rinvenimento durante una ricognizione degli anni ottanta.

2)c.da Santa Anastasia fig
La più conosciuta in letteratura è contrada Santa Anastasia , a circa 6 km dal paese,nota anche come contrada Feudo ,dove è stata rinvenuta alla fine dell’ottocento una vasta necropoli di età greca . I sepolcri furono scavati senza alcuna tecnica scientifica ed i reperti divennero la collezione personale di Paolo Vagliasindi. , a cui segiurono scavi archeologici effettuati dalla Soprintendenza di Palermo che inviò l’architetto Patricolo nel luogo e in questa occasione vennero alla luce numerose tombe con ricchi corredi vascolari, conservati da allora presso il museo Antonio Salinas ed esposti solo in piccola parte. Infine, nel 1906, una terza campagna di scavi viene effettuata dalla Soprintendenza di Siracusa, che rinviene sessanta tombe, di cui viene data una breve comunicazione scientifica nelle Notizie degli scavi di Antichità da Paolo Orsi, ma i reperti sono tuttora conservati nei depositi del museo di Siracusa.

pithos di età greca con iscrizione

Dalla stessa contrada proviene probabilmente un’hydria bronzea con manico antropomorfo rinvenuta alla fine dell’ottocento e rivenduta tramite il mercato antiquario allo Staatliche Museum di Berlino (inv. 8467) ed uno splendido elmo bronzeo decorato a rilievo acquistato da Paolo Orsi conservato presso il Museo Archeologico di Siracusa ..fig
Altro rinvenimento casuale consiste in tesoretto monetale di età romana consegnato alla Soprintendenza di Catania nel 2005.
3) c.da Inbischi – Acquafredda fig
In questa contrada a metà tra il comune di Randazzo e quello di Castiglione sono stati effettuati degli scavi negli anni novanta a cura della Soprintendenza di Catania che mise in luce alcuni settori di abitato molto danneggiati da scavi clandestini . I saggi hanno accertato l’esistenza di un abitato regolare con almeno due fasi tra il IV e il III secolo a.C. La presenza di un sito di tale importanza fa ipotizzare che il sito sia legato ad un phrourion greco avamposto di Naxos, verso l’interno. Alla identificazione con Tissa citata da Cicerone, più recentemente è prevalsa l’ipotesi di Piakos o ancora meglio Callipolis
Nel 1980 fu rinvenuto da scavatori di frodo un tesoretto di monete comprendente 539 tetradrammi d’argento di Siracusa e Messina disperso nel mercato clandestini.

iscrizione nel pithos.

4) c.da Zita Vecchia –
Il toponimo ricorda nell’area un’antica città. La contrada, vicinissima al paese, è nota per i rinvenimenti archeologici di cui ci danno notizia gli scrittori locali tra cui il Plummari che vi localizzavano un’ipotetica Pentapoli . Oggetto di numerose ricognizioni in terreni privati di difficile accesso lungo le rive di Alcantara, mostra tutt’ora di essere interessata ad una vasta area di frammenti ceramici di età greca a vernice nera di V e IV secolo a. C. ma non è stata mai oggetto di scavi sistematici

 

5)c.da Ciarambelli
Altro toponimo legato alla presenza di una vasta area di frammenti ceramici detti ciarambelli nel linguaggio locale. Alcuni saggi sono stati compiuti dalla Soprintendenza di Catania i cui risultati sono in corso di studio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

STORIA E ILLUSTRAZIONE DEL MUSEO PAOLO VAGLIASINDI DEL CASTELLO – RANDAZZO 

Considerazioni sui vasi plastici siciliani presenti nella collezione Vagliasindi di Randazzo 
di Maria Teresa Magro 

A cura di Lucio Rubbino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ETICA NICOMACHEA: LA CULTURA DEL NULLA (di E. Crimi)

 

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Come ho scritto altre volte, secondo me se si dovesse definire con un’etichetta l’epoca in cui viviamo, essa andrebbe indubbiamente archiviata con l’appellativo di epoca della dissacrazione e dell’effimero. Stiamo assistendo impassibili alla sconfitta della società civile e le cause sono sotto gli occhi di tutti. Stiamo vivendo un contesto socio-economico di grande conflittualità e insicurezza sul futuro, di mancanza di valori forti e di punti di riferimento stabili ed autorevoli, la condizione sociale generale e quella giovanile in particolare, non possono che esprimere un chiaro disagio, che, se ripreso e ben gestito da chi ne ha responsabilità, conduce ad una reale consapevolezza di quanto importante sia la moderatezza sociale. Ma se non saputo gestire, sfocia invece in decadentismo culturale più o meno grave, che a volte non si può porre rimedio, o comunque non a breve termine. Numerosi sono infatti i valori, come ad esempio l’amicizia, la religione, la morigeratezza, nei quali i nostri padri credevano, oggi contestati e messi definitivamente in crisi. Che dire della famiglia, un tempo ritenuta il nucleo della società e cardine dell’esistenza umana, oggi vive una crisi profonda, ha perso persino alcuni valori educativi e affettivi fondamentali. Oggi la famiglia si occupa sempre meno dei figli, presa da altre problematiche, più delle volte effimere: non è certamente normale, come capitato in questi giorni in provincia di Arezzo, che una mamma “dimentichi” in auto e fa morire sotto il sole la propria figlia di un anno e mezzo. Ma anche l’insubordinazione dei figli e un’educazione consumistica ed effimera, sta riducendo la nostra società a un deserto culturale. Non parliamo del teatrino della politica, priva di etica e valori, tutto è diventato spettacolo, finzione, ipocrisia, effimero, ben rappresentato in queste ore dalla politica nazionale, in cerca di accordi di potere, che pongano attenzione solo ai propri interessi e a quelli della casta, l’intoccabile casta che prende e mai dà. Questa formazione intellettuale, ci rende tutti culturalmente e socialmente, un pò più poveri nello spirito e nell’anima. Oggi ci propongono dei modelli, noi viviamo oggi dei modelli. I modelli di vita squilibrati, la rincorsa al successo economico da ottenere senza troppe remore etiche e la vita vissuta all’insegna del divertimento sfrenato, portano l’uomo moderno allo sfinimento, a provare penosi sentimenti di solitudine, di noia, di insicurezza, di vuoto esistenziale, di profondo disorientamento morale, di abbandono dei valori umani per cedere il posto alla cultura del Dio denaro. Questo fatto è paradossalmente acuito, anziché lenito, dalla libertà di cui gode l’uomo contemporaneo, dalla molteplicità di opzioni fra cui è chiamato a scegliere, in assoluta solitudine, senza riferimenti certi, senza guide che non siano il profitto economico e l’interesse personale. Dunque, un vortice decadentista e chi crede ancora nei sani valori, non si trova pienamente a suo agio in questa società del nulla, priva di regole e dove il durevole diventa labile e il fugace quasi incontrovertibile. Invero, in ognuno di noi, a volte, emergono delle forme comportamentali non necessariamente illegali, che una volta poste in essere, creano disagio perché contrari alla liceità di un’etica formalizzata che lascia spazio alla soggettività dell’individuo. Per recuperare la speranza e il rapporto con la propria identità esistenziale, l’uomo deve fare un poderoso tentativo di risvegliare le coscienze addormentate di una società sottomessa all’apatìa che si è installata nelle nostre menti, prendendone possesso assoluto. Ad ogni modo, nulla è irreversibile e ciascuno ha la sua parte in questa nostra società contemporanea… un grande e gravoso compito di pervenire ad un modello di vita equilibrato e incentrato sul rispetto dei veri valori etici. Tuttavia, nessun cambiamento radicale è privo di sofferenza ed a volte dolore ma la capacità di sostenere obiettivi di alto profilo, anche al costo di sofferenze è ciò che rende l’Uomo realmente nobile.

La foto allegata rappresenta i due principali filosofi dell’antichità, Platone che regge il suo libro “Timeo” e solleva il dito in alto, ad indicare il bene (sinistra ) e Aristotele, che regge il suo libro “Etica Nicomachea”, ad indicare l’etica, come realtà più vicina all’ideale dell’uomo (destra), raffigurati in una delle opere pittoriche più rilevanti dello Stato della Città del Vaticano, visitabile all’interno del percorso dei Musei Vaticani, il famoso affresco “Scuola di Atene”, di Raffaello Sanzio, databile 1509-1511.

Giuseppe Russo

Giuseppe Russo 
Consigliere Comunale dal 1994 al 1998
Consigliere della Provincia Regionale di Catania  dal 1998 al 2003 

Eroi dimenticati: la tragedia dei soldati italiani a Kos (sott.ten.Gaetano Vagliasindi)

Beato quel popolo che non ha bisogno d’eroi” .   ( Bertold Brecht) 

 

Maristella Dilettoso al Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari

L’armistizio firmato l’8 settembre 1943 non segnò soltanto l’inizio della Resistenza e della lunga strada che portò l’Italia alla democrazia, ma anche della tragedia di tante migliaia di soldati italiani sorpresi in terra straniera, che in quell’evento invece avevano visto l’imminenza di un ritorno alla loro patria e alle loro case.

Kos – foto Roberto Santangelo

Nel settembre 2001 l’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, forse per la prima volta, volle commemorare presso Porta San Paolo gli oltre 500, tra militari e civili, che persero la vita nella cosiddetta battaglia di Roma, nell’intento di fermare l’ingresso dei nazisti nella capitale. Il gesto del Capo dello Stato non era che il seguito di una sorta di viaggio nella storia di quegli eventi, dolorosi e controversi, che drammaticamente si susseguirono dopo l’8 settembre 1943, senza limitarsi alle sole vittime cadute durante la Resistenza, ma ricordando anche quegli 87mila appartenenti alle forze armate che caddero durante la guerra di liberazione, e particolarmente «gli eroi di Cefalonia, Corfù, delle isole dell’Egeo, i marinai della “Roma” e tanti altri che non vollero cedere le armi».
Infatti, il 1° marzo dello stesso anno il Presidente Ciampi si era recato a Cefalonia, ridente isola dello Ionio, per commemorare i soldati italiani della divisione Acqui fucilati dai tedeschi nei tragici avvenimenti che seguirono all’armistizio, una delle pagine più amare e dolorose del 2° conflitto mondiale, ancor più perché dimenticata per decenni dalla storia ufficiale, tenuta viva soltanto nel ricordo dei familiari, e dei pochi sopravvissuti.
Grazie a quel gesto del Presidente parve che finalmente qualcosa si fosse mosso, seguirono infatti una puntata della trasmissione radiofonica Radio anch’io, un reportage televisivo, una puntata di Novecento di Pippo Baudo, il tutto in concomitanza all’uscita sugli schermi di due film, I giorni dell’amore e dell’odio, per la regia dell’esordiente Clever Salizzato, che sembra però essere passato inosservato nelle sale cinematografiche, e Il mandolino del capitano Corelli, di Madden, tratto dall’omonimo romanzo di Louis de Berniéres, in cui, come spesso avviene nella cinematografia straniera, gli italiani sono rappresentati con la solita immagine stereotipata di gente intenta solo a suonare il mandolino.

Kos – foto Roberto Santangelo

  Di là da tutto questo, e dei giudizi in merito, l’importante è che se ne sia cominciato a parlare, e che dopo decenni di un silenzio, non del tutto incolpevole, si sia aperto uno spiraglio su quei fatti. Purtroppo però ai fatti analoghi verificatisi sul fronte dell’Egeo non fu riservata la stessa diffusione dalla stampa e dai media.
Quando, l’8 settembre 1943, Badoglio firmò l’armistizio, pur prevedendo che avrebbe potuto conseguirne un’aggressione da parte tedesca, lo Stato Maggiore contava di avvertire i comandi periferici solo dopo qualche giorno.
Poiché gli Alleati anticiparono la proclamazione, e i tedeschi ne vennero subito a conoscenza, i più impreparati a fronteggiare gli eventi erano proprio gli italiani: nei Balcani, in Grecia e nell’Egeo le truppe italiane e tedesche erano frammischiate, e le nostre, inferiori numericamente, furono, in pratica, lasciate allo sbaraglio; gli ordini centrali furono così tardivi, confusi e contraddittori da far sì che i militari italiani cadessero nelle braccia dei tedeschi.
Essi infatti, appena avuto notizia dell’armistizio, iniziarono contro l’esercito italiano una serie di rappresaglie, occupazioni, combattimenti, deportazioni. Messi sempre più alle strette, e «traditi» dai loro alleati, dovevano punirli: nei Balcani, in Grecia, nell’Egeo, non vi furono che eccidi e deportazioni in massa. Si volle poi colpevolizzare i comandi periferici, ma, di fatto, l’esercito ricevette ordini contraddittori, quando ci furono, e si trovò abbandonato al proprio destino, in balia dell’alleato del giorno prima, ora nemico acerrimo assetato di vendetta.
Fra le cronache, fuggevoli e frammentarie, di queste vicende, spiccano, perché circostanziati, precisi, ricchi di nomi, testimonianze e densi di pathos, i memoriali di due cappellani militari, due “preti con le stellette” sopravvissuti alle stragi, quello di P. Romualdo Formato[1], cappellano presso il 33° Artiglieria della divisione Acqui, e quello di P. Edoardo Fino[2], cappellano dell’Aeronautica a Rodi.

S.Ten. Gaetano Vagliasindi con altri Ufficiali

La resistenza di Cefalonia iniziò il 13 settembre. In un primo momento fu dato l’ordine di consegnare le armi ai tedeschi, che dovevano impegnarsi a rimpatriare gli italiani… Il generale Gandin, comandante della divisione Acqui, volle interpellare i suoi uomini, sottoponendo loro uno strano referendum: «contro i tedeschi con i tedeschi – cessione delle armi»; la truppa si espresse per la resistenza, che durò fino al 22. Non giunsero i richiesti rinforzi alleati, invece dal cielo e dal mare arrivano rifornimenti ai tedeschi, il cielo si ricoprì di stukas, la lotta fu impari e feroce.
Il 24 settembre i tedeschi comunicarono al mondo che gli uomini della «ribelle» divisione Acqui avevano in parte deposto le armi, in parte erano stati «annientati in combattimento».
Era una menzogna. Lo stesso giorno gli ufficiali furono condotti presso la penisola di S. Teodoro, vicino a una villetta, la «casetta rossa», per essere interrogati; invece furono fucilati in massa.
I superstiti, disarmati, furono imbarcati per essere avviati ai campi di concentramento su due navi che affondarono appena raggiunsero il largo dopo aver urtato contro delle mine.
Le salme della «casetta rossa» furono gettate in mare. Cefalonia, l’isola della morte, era piena di cadaveri. Scrive Padre Formato nel suo racconto drammatico, terribile, eppure profondamente pervaso di spirito cristiano, proprio lui che assolse tutti, e raccolse l’ultimo saluto degli ufficiali: «Ho scritto trepidando… molte volte piangendo». E ancora: «Le vittime di Cefalonia… chiedono qualche cosa alla Patria, per il cui onore esse si immolarono. Chiedono che il loro sacrificio non venga dimenticato. Le gloriose gesta della divisione Acqui dovranno essere tramandate alle future generazioni come uno dei più puri esempi di sacrificio collettivo affrontato per un alto sentimento di obbedienza e di dovere».
Nella vicina Corfù l’ordine di resa fu respinto, i soldati si rifiutarono di consegnare le armi senza dignità e senza garanzie, si resisté con l’appoggio della popolazione, ma il 25 l’isola era in mano ai tedeschi, gli ufficiali uccisi.

Kos – foto R.Santangelo

Maristella Dilettoso al sacrario dei Caduti d’Oltremare – Bari

Questo sul versante ionico. Dall’altro lato, sull’Egeo, la tragedia si replicò, una due, tre, tante volte quante erano Rodi e le isole del Dodecaneso, tragedia quasi ignorata, presto dimenticata, questa, rievocata dal libro parallelo di Padre Edoardo Fino.
Rodi, l’isola delle rose, fulcro di tutto il Dodecaneso, sede dell’Ordine dei Cavalieri di S. Giovanni, caduta in mano turca, fu riconquistata dall’Italia nel 1912, durante la Guerra di Libia. Dal 1923, col il Trattato di Losanna, l’Italia vantava il Possedimento delle Isole Italiane nell’Egeo, 14 in tutto: Rodi, Castelrosso, Calchi, Piscopi, Scarpanto, Caso, Simi, Nisiro, Coo (patria di Ippocrate, la più importante dopo Rodi), Calino, Lero, Lisso, Patmo, Stampalia. Non colonie, ma Possedimenti, alle dirette dipendenze del Ministero Affari Esteri, con uno speciale ordinamento giuridico, rette da un Governatore e dai Podestà. Vi erano state realizzate scuole, edifici, strade, ospedali, eseguiti restauri.
A Rodi c’era una missione, e un Cappellano militare per ogni campo. Gli uomini di truppa presenti nell’Egeo prima dell’8 settembre erano oltre 30.000, della divisione Cuneo e Regina, la base navale era a Lero, per l’inadeguatezza del porto di Rodi.
II comando di Roma si preoccupava poco di Rodi e dell’Egeo; sapendo che gli italiani vi erano in maggioranza, l’ammiraglio Campioni fu autorizzato a regolarsi discrezionalmente, ma gli alleati suggerivano di contrastare i tedeschi. Questi occuparono subito gli aeroporti, fecero prigionieri all’improvviso ufficiali italiani, cominciarono a bombardare le caserme, mentre le comunicazioni venivano interrotte, e dall’Italia non arrivavano né notizie, né disposizioni, né rinforzi. Si combatté con sorti alterne, con molte perdite di uomini, fino all’11 settembre.
I soldati che resistettero furono uccisi, mentre, dopo la resa di Rodi, i tedeschi si spostavano verso le isole minori per continuarvi la guerra.
A Coo vi era un ospedale, una Missione cattolica, circa 4000 uomini e pochi tedeschi, fino all’8 settembre l’isola era stata tranquilla.
Dall’11 al 2 ottobre ci furono 30 attacchi aerei, il 3 ottobre arrivarono anche i mezzi navali tedeschi, dapprima scambiati per inglesi.
. Gli inglesi che erano sbarcati precedentemente si defilarono, gli italiani rimasero a combattere da soli, e, sopraffatti dovettero rassegnarsi alla resa.
Gli ufficiali italiani, concentrati nelle saline di Linopoti il 5 ottobre, interrogati sommariamente e avviati verso il porto – per imbarcarli, si disse – lungo il percorso furono mitragliati alle spalle.
Erano un centinaio, 103 probabilmente, ma solo 66 di loro furono riconosciuti nel marzo 1945 quando, grazie al cappellano militare padre Michelangelo Bacheca ed alla pietas e collaborazione degli abitanti dell’isola, greci e civili italiani, rinvenute in fosse comuni, le loro spoglie non furono raccolte e traslate nel cimitero cattolico di Kos, dove una lapide ricorda tuttora il loro sacrificio e i loro nomi. Solo a guerra finita, nel 1954, furono trasportate in Italia e tumulate nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari.

Dopo Kos, i tedeschi si spostarono a Lero, che resistette eroicamente, ma inutilmente, fino a novembre.

Kos – foto R.Santangelo

Sacrario dei Caduti d’Oltremare – Bari

Col trattato di Cassibile Rodi e le isole dell’Egeo vennero assegnate alla Grecia.
Pagina amarissima, questa, e tuttavia trascurata dalla storiografia ufficiale, dimentica che i martiri ci furono dappertutto, non soltanto alle Fosse Ardeatine e a Marzabotto, partigiani ma anche militari, italiani essi pure, che avevano lasciato la loro terra ed i loro affetti più cari, avevano indossato la divisa, avevano imbracciato le armi, ragazzi di appena vent’anni che con i loro sogni finirono in fosse comuni, o in fondo al mare, senza nome né gloria.
L’oleografia ufficiale della Resistenza, assieme del resto ai tanti governi che si sono avvicendati in quasi sessant’anni, si è resa autrice di un ingeneroso “distinguo”, quasi che, rispetto a quegli italiani che lottarono sulle montagne, questi altri fossero cittadini di serie B.
Ricordiamo anche un’intervista, alquanto sconvolgente, rilasciata dal senatore a vita P. Emilio Taviani[3] dove si dichiarava che nel 1956 non si vollero perseguire i tedeschi responsabili di quegli eccidi perché allora, in tempi di guerra fredda, mentre l’URSS stava invadendo l’Ungheria, e la Germania tentava a fatica di risollevarsi, e di riarmarsi per assumere un ruolo importante in seno alla NATO, prevalse la ragion di stato, per il timore delle eventuali ripercussioni che questi fatti avrebbero potuto avere nell’opinione pubblica. Basti pensare al gravissimo e sconcertante episodio del cosiddetto “armadio della vergogna”.
Quando nel 2001, durante la commemorazione dei morti delle Fosse Ardeatine, e per la prima volta, ad essi furono accostati, e nobilitati nel ricordo, i martiri di Cefalonia, sul fronte ionico, in molti restò ancora una punta di rammarico, un po’ d’amaro in bocca, per la dimenticanza dei caduti dell’Egeo, a Rodi, Kos, Lero, italiani e martiri anch’essi, in quell’estremo guizzo d’orgoglio che fece loro alzare la testa per difendere il nome d’una patria, seppure ridotta in ginocchio e a brandelli.
Era ora che se ne parlasse, di questi morti, ritenuti forse per troppo tempo imbarazzanti, dacché un certo modo di fare storia, manicheo e farisaico, ne aveva relegato in soffitta la memoria, ignorando come «la storia può essere maestra solo a coloro che non hanno troppa fretta di dimenticare».
Sicuramente non hanno dimenticato tanti congiunti, madri, spose, figli, discendenti, molti dei quali hanno visto questi uomini solo in fotografia, ma anche gente tenace, che si è battuta e continua a battersi, contro tante difficoltà, prima tra tutte l’oblio, e poi il disinteresse, l’imbarazzo forse, affinché queste vittime avessero il giusto riconoscimento, anche da parte delle istituzioni. 
Poco alla volta, sono nate iniziative, comitati, associazioni, e, dato il forte impatto delle nuove tecnologie, sono apparsi anche dei blog e dei gruppi sui social network, gruppi dove gli interessati hanno potuto conoscersi, comunicare a distanza e prendere e condividere iniziative attraverso il web.
Sull’argomento sono stati pubblicati libri, che hanno squarciato, purtroppo ancora solo in parte, il velo della generale indifferenza, com’è stato nel 2002 per quello del giornalista Ettore Vittorini [5], sulla tragedia delle isole egee in generale, ma, in maniera più circoscritta e dettagliata riguardo ai fatti di Kos, nel 2008 è stata la volta della pubblicazione del colonnello Liuzzi[6], personaggio cardine in questa vicenda, e nel 2010 di quella della professoressa Isabella Insolvibile [7].

Kos – foto Roberto Santagelo

Pietro Giovanni Liuzzi, ex colonnello dell’Esercito Italiano, si batte da anni tenacemente, con gli scritti ma anche con le azioni concrete, perché sia riconosciuta dignità a quanti versarono il proprio sangue innocente per mantenere fede a una promessa e a un ideale di patria.
L’aveva già fatto anni prima occupandosi del massacro dei militari italiani perpetrato dai nazisti sull’isola di Cefalonia all’indomani dell’Armistizio dell’8 settembre 1943[8] e adesso, dedicandosi a Kos, da qualcuno definita “la piccola Cefalonia”, per la gravità e l’efferatezza dei crimini consumati, in qualità di Presidente del Comitato per i Caduti di Kos, ha promosso numerose iniziative, volte ad ottenere risultati tangibili, scrivendo ai comuni di provenienza dei caduti, al fine di individuare e contattare i familiari, collaborando e creando gruppi sul web, promuovendo petizioni alle massime autorità istituzionali, organizzando o presenziando a mostre e conferenze che potessero tenere desta la memoria, intervenendo, il 6 ottobre 2013, a Kos, con numerosi congiunti delle vittime, alla cerimonia per il 70° anniversario dell’eccidio degli Ufficiali del 10° Reggimento “Regina”.
Scrive Ugo Sbisà: “A quella pagina oscura della storia italiana si è appassionato in Italia Pietro Giovanni Liuzzi, un colonnello in congedo di origini tarantine, promotore di una petizione al presidente Napolitano per il riconoscimento storico e la commemorazione dell’eccidio di Kos[9] e autore di Kos. Una tragedia dimenticata (…), un volume … nel quale la vicenda viene ricostruita anche attraverso documenti ufficiali rimasti fin troppo a lungo negletti. Nelle intenzioni di Liuzzi, che ha promosso varie conferenze e iniziative e ha ottenuto che nel 2010 e nel 2011 venissero celebrate a Kos commemorazioni ufficiali in onore dei 103 caduti, c’è l’inserimento di Kos negli itinerari della memoria insieme a Cefalonia, El Alamein, Sant’Anna di Stazzena… “ .[10]

Ultimamente lo stesso Liuzzi, si è indirizzato alla ricerca delle fosse comuni mancanti, e di quelle 37, su 103 salme, non ancora recuperate:  nonostante le oggettive difficoltà dovute al tempo trascorso, alla natura acquitrinosa del suolo di Linopoti, agli eventi atmosferici (alluvioni, ecc.), alle trasformazioni avvenute nel terreno, ottenuto l’interessamento del ministro Gentiloni, e delle autorità locali di Kos, grazie al contributo materiale ed economico di sostenitori, di operatori italiani e greci, è partita, nella prima settimana del luglio scorso, la cosiddetta “operazione Lisia”[11] . Gli scavi, effettuati nei luoghi dell’eccidio, hanno dato i loro frutti: sono infatti stati rinvenuti oggetti e ossa umane (ancora da identificare attraverso esami istologici e definizione del DNA) di quella che doveva essere una delle fosse comuni.

S.Ten. Gaetano Vagliasindi

Pare che le autorità di Kos siano intenzionate a proseguire le ricerche nel tempo, e che gli oggetti ritrovati saranno esposti nel Museo di Storia della II guerra mondiale in allestimento a Kos.

Gaetano Vagliasindi era nato nel 1921, era un ragazzo che amava la famiglia, gli amici, gli scherzi, quando vestì la divisa frequentava il 3° anno di Ingegneria all’Università di Messina, la sua breve vita finì in un giorno di ottobre (il 6, forse) … fu ritrovato nel 1945, assieme a tre dei suoi infelici compagni, in una fossa comune a Linopoti (Kos), grazie alla pietà di un cappellano coraggioso e dei generosi abitanti di quell’isola ridente. Dal 1954 i suoi resti riposano nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari.

 Era mio zio, sì, ma non l’ho mai conosciuto se non in fotografia, e non voglio certo dire che fosse speciale o diverso dagli altri, tutti i morti sono un po’ speciali per i loro congiunti. Allora voglio dedicare questo scritto alla memoria di Gaetano e degli altri 102 ufficiali suoi compagni d’arme e di sventura, che videro prematuramente la fine troppo presto e in un luogo troppo bello.

 A cura di Maristella Dilettoso

(Articolo pubblicato su Cultura e Prospettive n. 28, Supplemento a Il Convivio n. 62, Luglio – Settembre 2015)

 

[1]  P. Romualdo Formato, L’eccidio di Cefalonia (Mursia, 1968)

[2]  P. Edoardo Fino, La tragedia di Rodi e dell’Egeo (EICA, 1957)

[3]  L’Espresso (n. 45 del 9 novembre 2000)

[4]  Dal libro di Franco Giustolisi,, L’Armadio della vergogna (Nutrimenti, 2004): un armadio, rinvenuto nel 1994 in un locale di palazzo Cesi-Gaddi (sede di vari organi giudiziari militari) in via dell’Acquasparta a  Roma. Vi erano contenuti centinaia di fascicoli e registri, relativi a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazifascista. Tra i fascicoli, atti riguardanti le più importanti stragi naziste, fra le quali l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, l’eccidio delle Fosse Ardeatine, l’eccidio di Monte Sole (più noto come strage di Marzabotto), di Monchio e Cervarolo, di Coriza, di Lero, di Kos, di Scarpanto, la strage del Duomo di San Miniato e altri ancora…

[5]) Ettore Vittorini, Isole dimenticate: Il Dodecaneso da Giolitti al massacro del 1943  (Le Lettere, 2002)

[6] ) Pietro Giovanni Liuzzi, KOS una tragedia dimenticata, settembre 1943 – maggio 1945 (Taranto, 2008)

[7] ) Isabella Insolvibile, Kos 1943-1948. La strage, la storia (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2010).

Isabella Insolvibile, di Napoli, già borsista della Scuola Superiore di Storia Contemporanea dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, ricercatrice presso l’Università “Federico II” e consulente tecnico della Procura Militare di Roma per l’indagine relativa ad alcune stragi naziste, collabora alle attività didattiche e di ricerca della cattedra di Storia Contemporanea della Seconda Università di Napoli; è membro del Consiglio Direttivo dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, componente del gruppo di ricerca che sta lavorando all’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia, e molto altro ancora, si occupa da tempo in maniera specialistica di storia militare, con ricerche relative alle stragi naziste contro soldati italiani e alla prigionia di guerra.

[8]) Pietro Giovanni Liuzzi , Leali ragazzi del Mediterraneo. Cefalonia Settembre 1943: viaggio nella memoria (Taranto, 2006)

[9]) Alla petizione avrebbero  aderito ben 4.162 firmatari

[10]) Ugo Sbisà su La Gazzetta del Mezzogiorno, Bari, 13 giugno 2015

[11] ) Ugo Sbisà, ibid. : “Un ultimo dettaglio di natura storico – letteraria: il nome dell’operazione, “Lisia” .. è stato mutuato dall’epitaffio scritto dal celebre giurista ateniese per i caduti in difesa dei Corinzi

          Vi segnaliamo alcuni libri che parlano di questa tragedia.

 

 

   A cura di Lucio Rubbino

Panissidi Giambattista Sapio

Giovambattista Panissidi

Giambattista Panissidi Sapio, nato a Randazzo il 14/01/1893 da Salvatore e Giovanna Sapio, morto il 20/08/1985.
Medico chirurgo, ufficiale sanitario, uomo integerrimo, promotore di iniziative culturali per il suo amato paese, corrispondente del quotidiano La Sicilia.
Si distinse con valore nella Grande Guerra, contribuendo, da ufficiale medico, alla salvezza di molte vite umane.
Per questo motivo gli fu concessa la onorificenza di: Cavaliere Dell’Ordine di Vittorio Veneto.
Fu uno dei primi, in quel tragico giorno del 17 giugno 1945,  ad accorrere a Murazzo Rotto – assieme il padre cappuccino Luigi Magro   ( autore del libro: ” Cenni Storici della Città di Randazzo ) per tentare di salvare la vita di  Antonio Canepa.
 

La famiglia del dr Giambattista Panissidi Sapio :

Dr. Panissidi al centro con il figlio Salvatore (Turillo),la nuora Maria Concetta La Piana ed i nipoti Giambattista ed Elisabetta Ausilia

Dr. Panissidi al centro con il figlio Salvatore (Turillo),la nuora Maria Concetta La Piana ed i nipoti Giambattista ed Elisabetta Ausilia

 

Nel n. 2 di ” Randazzo Notizie ” del mese di agosto del 1982, il dr.Panissidi rilasciò una  intervista a Luigi (Gigi) Stancampiano dal titolo:

FASCINO DI RANDAZZO

 

Taormina è come Roma: al primo giorno ci si sbigottisce, il secondo giorno ci si esalta; il terzo giorno ci si innamora.

Randazzo, malgrado mutilata nell’ultima guerra nei suoi tesori e nelle sue pregevoli opere d’arte, non è meno di Taormina; essa ha un fascino in graduale ascesa man mano che se ne conosce tutto il patrimonio artistico e naturale; essa è da tempo meta gradita del turista e del forestiero, che vi trovano tutto un mondo artistico e tutto un panorama etneo dai rilievi lunari di eccezionale bellezza: templi, opere architettoniche ed oggetti preistorici con esemplari di fama mondiale; insigni pitture e sculture dei migliori artisti della Sicilia.

Il viaggio Taormina-Randazzo diventa, pertanto, un godimento spirituale per gli studiosi dell’arte e della storia siciliana.

Il salesiano Don Salvatore Calogero Virzì, cittadino onorario di Randazzo, storico e critico d’arte di chiara fama, innamorato anche delle pietre di Randazzo, ed il compianto Prof. Enzo Maganuco, studiosi insigni della nostra millenaria civiltà, sono i vati ed i poeti della nostra storia leggendaria, sono i cultori appassionati di tutte le cose belle di Randazzo, avendone scoperto tutti i tesori che, dall’Era Avanti Cristo ad oggi, hanno pregevolmente arricchito il prezioso patrimonio artistico-architettonico della nostra meravigliosa città.

Randazzo, la cui primitiva popolazione proviene dai greci, dai latini e dai lombardi, ha sempre nei secoli fatta gara per il proprio predominio politico ed artistico ed ha conservato, nelle sue cattedrali, il geloso prestigio della propria civiltà e della propria bellezza.
Oggi che una amministrazione comunale, con a capo il sindaco democristiano Francesco Rubbino, ha in mano le redini e le sorti della nostra città, dopo la recente disastrosa colata lavica e la conseguente emergenza economica ed ha anche il preciso dovere e la sublime missione della valorizzazione di questo meraviglioso e splendido complesso di rara bellezza: Taormina-Randazzo.

Non mancano ora i relativi mezzi di comunicazione: i grandi torpedoni “granturismo”, che puntualmente arrivano da Taormina (grazie fortunatamente alla provvidenziale apertura della “Brunetto Viaggi – Promozione Turistica”, una agenzia turistica in collegamento con quelle internazionali, presso la quale ha anche sede, attualmente, l’Ufficio Informazioni della Pro Loco di Randazzo, di cui è nuovo valido commissario il concittadino Mario La Ruota, nostro caro amico), la ferrovia Taormina­ Giardini-Randazzo ed il giro turistico dell’Etna, organizzato dalla Ferrovia Circum Etnea e dall’Ente Provinciale per il Turismo di Catania, i mezzi privati, sempre in continua diffusione, sono adeguati per invogliare il turista ed il forestiero meno sprovveduto e le nostre genti al viaggio ideale fra il mare e la montagna.

Sono in piena attività alcuni confortevoli alberghi e ristoranti dove si possono gustare ottimi piatti locali. Randazzo diventa ogni giorno sempre più accogliente per le sue belle e grandi piazze ad ampio respiro e per il suo salubre clima estivo che nessun altro versante della Sicilia può ugualmente elargire.

Randazzo, Siena della Sicilia, ospitale e gentile al pari di essa, attende con vivo interesse che venga restaurato, almeno in parte, il suo patrimonio artistico distrutto dalla guerra: tra le opere andate perdute si annoverano i due portali Nord e Sud della Chiesa di S. Martino, il rosone pregiato della Chiesa di S. Stefano, difficilmente recuperabile, ed i primi due archi con bifore della Via degli Archi, di cui si attende il prossimo restauro. Questa Via degli Archi attirava un tempo l’attenzione dei forestieri, che la ritraevano e la

Via degli Archi prima della guerra – Randazzo

disegnavano per conservarla ed annoverarla tra i più bei ricordi turistici della Sicilia.

Il Conte Ruggero, Federico Il di Svevia, Alfonso I, Carlo V ed altri sovrani di passaggio da Randazzo, hanno lasciato le loro orme con oggetti preziosi di inestimabile valore artistico, che si conservano tra i tesori delle tre grandi cattedrali di Randazzo, che un tempo vantava 99 chiese e oggi ne conserva solo 14, tra cui: S. Martino, S. Nicolò e la stupenda Basilica Pontificia di S. Maria, che custodiscono un preziosissimo patrimonio artistico si scultura e pittura di grandi maestri siciliani, appartenenti alle varie scuole del Gaggini, del Velasques e di Antonello da Messina. S. Martino, il cui campanile fu definito dal Maganuco: “la più bella espressione musicale dell’arte gotica siciliana”, conserva nel suo interno un Polittico Antonelliano, una Pietà di autore ignoto ed un ricamo gotico marmoreo del ciborio del SS. Sacramento, di inestimabile valore. S. Maria, superba costruzione gotico-siciliana, è il tempio in cui la lava ed il calcare Siracusano sono stati colpiti nei loro più classici motivi ornamentali; nel suo interno, lavori del Velasques e di altri pregiati pittori. S. Nicola, la cui facciata severa o massiccia dà il senso del grandioso e della severità tipica delle costruzioni laviche, conserva gelosamente il capolavoro del Gaggini: S. Nicolò di Bari.

Bella e grande Randazzo! Bella e dolce Taormina! Il vostro fascino congiunto ed un auspicabile gemellaggio tra le due vicine cittadine dovrà rinsaldare i vincoli di amicizia e di civiltà antica e moderna, cui siete legate, e dovrà esaltare l’amore del bello nella nostra Sicilia Orientale.

La strada che Randazzo porterebbe sull’Etna, ad oltre 2.000 metri di altitudine (tra la “Faggeta”, Monte Nero e Monte S. Maria), sarebbe l’opera da realizzare con carattere ed impegno prioritario dall’Amministrazione cittadina; las

Il superstite campanile della Chiesa di San Martino com’era nell’anno 1925 – Randazzo

sù il primo bacio del sole ed il suo tramonto sono cose di sogno; lassù è grande la gioia del vivere ed immenso è l’amore di Dio e del Creato.
Un grande albergo costruito al margine del bosco “Faggeta” ed alimentato dalle dolci e fresche acque della “Grotta del Gelo” darebbe al forestiero ansioso di un po’ di pace, lontano dal trambusto della vita moderna, la sensazione di vivere in uno splendido angolo di paradiso.

Al Sindaco Francesco  Rubbino l’augurio per la realizzazione della più bella valorizzazione turistica di Randazzo.

Ma a tutto questo trionfo di arte e di natura si aggiungono anche i sontuosi festeggiamenti dell’Estate Randazzese, con la processione del 15 agosto della “Vara” di Randazzo, complesso cinquecentesco di rara bellezza, unico al mondo, meravigliosa espressione folkloristico-religiosa siciliana, rappresentante l’Assunzione della Madonna in Cielo. Il Carro Trionfale è costituito da ben 25 personaggi “viventi” circondati da uno sfolgorio di luci e riflessi d’oro, mentre innalzano le lodi a Maria Assunta con canti e motivi del ‘500.

Il turista in Sicilia, a Taormina come a Randazzo, avrà la sensazione di aver trovato un po’ di quella serenità terrena, tanto rara nei tempi moderni, e sentirà la nostalgia di restarci o di tornarci.

A cura di Francesco Rubbino 

FABIO BASILE – ARCHITETTO

 Architetto, Fabio Basile consegue la laurea presso l’Università di Roma nell’anno accademico 1963-’64.         

Proseguendo nell’attività di studio, inizia poco dopo esperienze didattiche nello stesso Ateneo romano, nella disciplina Disegno dal vero. Continua a collaborare nell’insegnamento di materie disegnative – con varie qualifiche di assistente – presso gli Istituti universitari di Catania e Reggio Calabria e, successivamente, presso l’Ateneo di Messina, dove viene nominato assistente ordinario, a seguito di concorso, e poi professore incaricato di Disegno, a partire dal 1973-74. Dal 17.2.1983 professore associato di Disegno, è professore ordinario del settore H11X dal 1986. Dal 1983 al 1992 Direttore dell’Istituto di Disegno, è stato dal 1993 al 1995 Direttore del Dipartimento di Rappresentazione e Progetto dell’Università di Messina.

Dall’1.11.1995 al 31.10.2004 è stato Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Messina.

Dall’1.11.2004 è Direttore del Dipartimento di Scienze per l’Ingegneria e per l’Architettura.

Dal primo anno di attivazione (XV ciclo) sino al XXI ciclo è Coordinatore del Dottorato di Ricerca in “Ingegneria Edile: Progetto del Recupero”

In prevalenza, l’attività didattica è diretta verso l’insegnamento agli studenti d’ingegneria edile, col proposito di dare ai corsi un’impostazione rispondente al collocamento della disciplina nel contesto delle materie contermini, alla formazione culturale dei giovani allievi e alle esigenze di una loro idonea preparazione.
I programmi svolti costituiscono, fra le altre materie del primo biennio d’ingegneria, tutte di natura matematica e teorica, un’opportuna prima presa di contatto dei giovani con gli studi a carattere prevalentemente applicativo. La pubblicazione su “L’insegnamento del Disegno nelle Facoltà d’Ingegneria e di Architettura” ha, appunto, per oggetto la metodologia e i contenuti dell’insegnamento impartito.
Gli interessi professionali di Fabio Basile investono molteplici temi di architettura e di urbanistica. Per elezione del Consiglio Comunale, dal 1974 al 1988 è stato componente della Commissione Edilizia di Messina. Su nomina dell’Assessore Regionale per i Beni Culturali, è stato componente della Commissione per la tutela delle bellezze naturali e panoramiche della provincia di Messina. E’ stato componente del Consiglio Regionale dell’Urbanistica (1994/98), rieletto per il quadriennio 2002/06. Su nomina dell’Assessore Regionale Territorio e Ambiente, è stato componente del Comitato tecnico-scientifico del Parco dei Nebrodi.

 

 

Fabio Basile nasce a Messina nel 1941 e studia presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Roma dove consegue la laurea nell’AA.1963-64.
La sua carriera didattica ha inizio nella stessa Università dove collabora come assistente all’insegnamento del Disegno dal vero. Trasferitosi in Sicilia continua le collaborazioni con gli istituti universitari di Catania e di Reggio Calabria.
A seguito di concorso è Assistente ordinario presso l’Università di Messina ed, a partire da 1973-74 Professore incaricato di Disegno.
Nel 1983 è Professore Associato di Disegno e nel 1986 è professore Ordinario di Disegno. Dal 1983 al 1992 è il Direttore dell’Istituto di Disegno dell’Università di Messina ed, a partire dal 1993 svolge le funzioni di Direttore del Dipartimento di Rappresentazione e Progetto dell’Università di Messina.
Dal 1995 al 2004 è Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Messina. Svolge funzioni di Coordinatore del Dottorato di Ricerca in “Ingegneria Edile: Progetto del Recupero” dal XV sino al XXI ciclo. Dal 1974 al 1988 è componente della Commissione Edilizia di Messina.
Su nomina dell’Assessore Regionale per i Beni Culturali, è componente della Commissione per la tutela delle bellezze naturali e panoramiche della provincia di Messina. E’ componente del Consiglio Regionale dell’Urbanistica nel quadriennio 1994/98, e rieletto per il quadriennio 2002/06.
Su nomina dell’Assessore Regionale Territorio e Ambiente, è componente del Comitato tecnico-scientifico del Parco dei Nebrodi.
La sua attività di docente è costantemente tesa alla formazione culturale dei discenti e alle esigenze di una loro idonea preparazione articolata tra discipline di natura matematica e studi a carattere prevalentemente applicativo la cui filosofia è ben esemplificata in una pubblicazione dal titolo “L’insegnamento del Disegno nelle Facoltà d’Ingegneria e di Architettura” che ha per oggetto la metodologia e i contenuti dell’insegnamento impartito. Da un punto di vista professionale gli interessi del Basile investono molteplici temi di architettura e di urbanistica.

Partecipazione a concorsi (in collaborazione)

– Primo premio al Concorso nazionale bandito dal Comune di Catania per il progetto di ristrutturazione urbanistica ed edilizia del quartiere “Cappuccini Nuovi” (1966).

– Terzo premio al Concorso nazionale bandito dall’Amministrazione Provinciale di Enna per il progetto del nuovo “Ospedale Psichiatrico” (1968).

– Primo premio al Concorso nazionale bandito dall’Università di Catania per il progetto della nuova sede della Facoltà di Matematica (1973).

– Primo premio al Concorso nazionale bandito dall’Università di Catania per il progetto della nuova sede della Facoltà di Lettere e Filosofia (1974).

– Primo premio al Concorso nazionale bandito dal Comune di Messina per il progetto di un complesso immobiliare per un “Centro di cultura polifunzionale” a Messina (1976).

– Primo premio al Concorso-appalto nazionale bandito dal Comune di Messina per il progetto della nuova sede del “Museo Nazionale” a Messina (1983).

– Primo premio al Concorso-appalto nazionale bandito dalla Regione Sicilia – U.S.L. n.45 – Barcellona P.G. (ME) per il completamento dell'”Ospedale Cutroni-Zodda” (1991).

L’attività scientifica si esplica:

1. in ricerche, seguite da pubblicazioni a stampa, che riguardano temi e aspetti diversi nel campo dell’architettura;

2. nella partecipazione a Commissioni e Convegni di studio in materia di Ingegneria, di Architettura, di Storia dell’architettura e di Urbanistica;

3. in rilievi e restauri di monumenti.

Svolge attività di ricerca nel campo del rilievo e del recupero dei beni architettonici e della storia dell’architettura meridionale.

  A cura di Francesco Rubbino

 

Pietro Vagliasindi

Don Giovanni Birelli

 

1928  27°  Mons. Arciprete  Don Giovanni Birelli  Canonico della collegiata di S. Nicolò.

           Con la rinunzia dell’Arciprete Germanà, dopo regolare concorso presso la Curia Diocesana e con l’approvazione della S. Sede, ebbe la Bolla che lo nominava Arciprete di Randazzo.
Venne contemporaneamente [nominato] dal Vescovo quale suo Vicario Foraneo. 
Per sua cooperazione fu rifatto in marmo il pavimento della Chiesa di S. Nicolò. É stato promotore di speciali Funzioni Sacre anche con l’intervento del Vescovo.  Con la divisione delle Parrocchie rimase Parroco della Parrocchia di S. Maria e si cooperò per l’erezione della nuova Parrocchia del S. Cuore, dopo di aver consolidata la fabbrica della Chiesa che, per difetto di costruzione, si era menomata nella consistenza.
Ha pensato anche a render autonoma la Chiesa di Cristo Re di Montelaguardia.
Promotore delle Vocazioni ecclesiastiche ha fatto entrare parecchi giovani in Seminario, avendo la consolazione di vederne alcuni già Sacerdoti.
  Fece rifare l’Organo di S. Maria rendendolo completamente liturgico mercè l’opera di Padre david dei Frati Minori Osservanti. 
Dopo i bombardamenti del 1943, rifece subito la tettoia della Chiesa di S. Maria che era stata distrutta dall’incendio; rifece l’aside centrale caduta per le bombe che la colpirono in pieno; spostò, arretrandolo, l’Altare Maggiore; dotò la Chiesa di un’artistica Via Crucis ed ha la buona volontà e l’intenzione di rifare l’Organo distrutto, rifondere le campane e rifare l’orologio. 
Noi gli auguriamo vita, energia e facilitazione nei suoi desideri con la benedizione di Dio.  Nel 25° di suo Sacerdozio fu insignito della Onorificenza di Cameriere di Onore di S. Santità. 
Arciprete Giuseppe Plumari ed Emanuele (Cenni Storia di Randazzo)

      Monsignore Arciprete Don Giovanni Birelli morì il 9 gennaio 1972 

                                                                                                                  

On. Giuseppe Mario Scalisi

GIUSEPPE MARIO SCALISI

Nato per caso ad Ozieri (Sassari, Sardegna) è attualmente residente a Giardini Naxos.
Medico chirurgo, Primario ginecologo 
presso l’ospedale S. Vincenzo di Taormina.
Sin da ragazzo appassionato di Poesia, Letteratura e Teatro.
E’ stato regista di numerose
rappresentazioni teatrali, tra le quali il ” Macbeth” di Shakspear , rappresentato presso l’oratorio San Domenico di Randazzo.
E’ stato consigliere comunale di Randazzo (MSI) e di Fiumefreddo di Sicilia.
E’ stato anche Deputato del Parlamento Nazionale Italiano. 
Dal 1962 in poi ha organizzato il premio itinerante nazionale di poesia: ” Il Tiracium”
Ha partecipato a numerosi premi di poesia, nazionali ed internazionali, ed è stato inserito in diverse Enciclopedie Culturali.

On. Casimiro Bonfiglio

Casimiro Bonfiglio (Randazzo, 28 settembre 192519 maggio 2013) è stato un sindacalista e funzionario italiano.

Fu deputato nell’ultima parte della sola VII Legislatura col partito della destra moderata Democrazia Nazionale. Subentrò esattamente il 21 aprile 1978 dopo la tragica scomparsa del collega Giovanni Andrea Borromeo d’Adda. Terminata l’esperienza politica nella DN tornò tra le file del Movimento Sociale Italiano ma non entrò più in parlamento. Nel 1993 venne candidato sindaco dall’MSI a Limbiate[1]

Salvatore Licari

 

     Salvatore Licari classe 1986 nasce e vive a Randazzo .

Salvatore Licari – caso Moro

Laureato un Scienze Storiche e Politiche e in Cultura dei Paesi Mediterranei, da sempre sensibile al sociale si impegna nella diffusione della cultura e dello sport fondando diverse associazioni nel proprio territorio e discutendo di attualità politica e società attraverso blog e web radio.

Salvatore Licari si occupa di tutela di aziende pubbliche e private. Questo è il suo primo libro ad essere pubblicato. 

Con questo libro  – CASO MORO  un Assassinio senza mandanti  –  intendo riepilogare e analizzare quanto del pensiero di Aldo Moro sia ancora presente negli ambienti politico sociale .

Lavorando su documenti, atti parlamentari, testimonianze delle varie Commissioni Parlamentari che hanno indagato sul caso, cercherò di capire, sciogliendo i vari intrecci e collegamenti tra personaggi più o meno potenti, chi fu il mandante che decise il destino dell’on.le Aldo Moro e del corso politico italiano di quegli anni. 
Chi ha assassinato Moro ?  Perchè ?  Chi si nasconde dietro le BR ? Chi ha tratto profitto di questa instabilità politica e di Governo ? 

 

                                                                Caso Moro, omicidio senza mandanti

 

Pensiero e strategia politica del Presidente

Salvatore Licari

   L’attualità del pensiero di Aldo Moro si rinnova, nonostante gli anni trascorsi, ancora negli atti e nella lotta di governo che il sistema bipartitico non è riuscito a risolvere, richiamando la genialità delle definizioni politiche basate sulla convergenza e non sullo scontro.

   Se Aldo Moro non fosse stato ucciso, come potrebbe essere stata la nostra società rimane soltanto un esercizio teorico ma di cui possiamo vedere e pensare, con la logica dei comportamenti, immaginando percorsi differenti.  

   Aldo Moro è stato ucciso in nome della fermezza e del diritto di Stato. Dalle lettere del carcere ci viene consegnata l’immagine dell’uomo che torna con quella logica di pensiero e quell’idea della mediazione anche per salvarsi la vita ma soprattutto per continuare un percorso di alleanze diverse.
   Nonostante cercasse di salvarsi la vita, chiedendo ai colleghi di partito e di Stato la loro collaborazione in modo che questo potesse avvenire, il suo comportamento fu sempre dignitoso, come confermano i pentiti brigatisti. Moro subito dopo il rapimento, chiese una Bibbia, che ricevette. A suo modo, Moro si dichiarò prigioniero politico e non offrì alcun tipo di collaborazione alle brigate rosse.

Henry Kissinger

   Aldo Moro è stato sacrificato perché non si voleva fare uno scambio con alcuni detenuti politici o perché a qualcuno faceva comodo, o meglio per qualcuno era fondamentale che si interrompessero i “governi di solidarietà Nazionale”. Di certo con Moro è stato chiuso anche un percorso tra il mondo cattolico ed il mondo laico.

Giulio Andreotti

   Le forze brigatiste che si sono addossate l’incarico di assassinare Moro ancora oggi, che sono liberi di circolare per le vie di Roma, mantengono una nebbia sugli eventi, i personaggi ed i mandanti.  

   Le prime domande ovvie che vengono in mente sono come è possibile che uno Stato sovrano come il nostro non riesca a trovare uno dei propri uomini più di spicco? E poi ancora come hanno fatto le BR, considerando che gli appartenenti il più delle volte o quasi sempre erano studenti, operai, artigiani o comunque per la maggior parte individui di giovane età senza alcuna particolare esperienza o preparazione militare, a prendere il Presidente vivo uccidendo cinque uomini della scorta e nasconderlo per 55 giorni?
   Molte sono le perplessità che ancora oggi tormentano chi ha voglia di sapere e molte sono le cose che cercano spiegazione. Cosi come è da spiegarsi la ragione per cui le Brigate rosse, che dicevano di volere la trattativa, lo scambio, si siano scagliate contro il solo partito che sosteneva la necessità di trattare e di accedere allo scambio e abbiano stroncato questa possibilità, con l’assassinio dell’ostaggio, proprio nel momento in cui l’opinione di trattare del Partito Socialista si allargava a una parte della Democrazia Cristiana.

   Da parte dello Stato, quindi anche dei compagni di partito del Presidente, liberare Moro significava accettare le condizioni proposte dalle Brigate rosse ovvero lo scambio di prigionieri. Ma probabilmente il progetto delle BR era ancora più ambito.
   Le BR volevano il riconoscimento politico in modo da aggirare il partito comunista imborghesito da Berlinguer. All’interno dello Stato esistevano forze che volevano questo riconoscimento e si nascondevano dietro lo scambio di prigionieri.

   Il progetto di innovazione governativa che tentava di scavalcare il bipartitismo con il PCI, secondo partito in Italia, creando una maggioranza solida di governo con il famoso Stato di Solidarietà Nazionale, non andava più di tanto a genio a molti. Anzi sembra quasi che tale progetto piacesse solo a Moro.
   Dopo i primi due tentativi di governo con il centro-sinistra, entrambi presieduti da Moro ed entrambi finiti male, sarà il Presidente stesso incaricato dal partito a dover rimediare e far apparire la DC solida e forte cercando di riconquistare il potere.

Alberto Franceschini


   Il cosiddetto governo di non-fiducia, chiamato cosi perché si reggeva sulla astensione del partito comunista, è stato ciò che Moro e la sua DC riuscirono a tirar fuori dopo la caduta del secondo governo Moro con il centro sinistra.
   Tale governo fu affidato a Giulio Andreotti.

Il nodo della vicenda Moro sta nel capire chi non voleva lo Stato di solidarietà nazionale e perché.

Mario Moretti

   Moro fu più volte richiamato dal segretario di stato americano, Henry Kissinger ed invitato a smettere con il suo pericolosissimo progetto di solidarietà.    Avere i comunisti al governo, per gli americani sarebbe stata una perdita del loro potere sull’Italia che in caso di attacco sovietico, sarebbe stata la prima base disponibile e ben fornita per la difesa dell’Europa.
   D’altra parte nemmeno sull’altra sponda, ovvero alla Russia, piaceva che i comunisti italiani salissero al potere in maniera democratica e con un compromesso con il centro.
   Lo stesso Moro, indirizzando una lettera a Zaccagnini chiede se nella mancata volontà del governo di voler trattare con i brigatisti ci fosse la mano americana o tedesca.
   Per non parlare del legame che c’era tra Moretti e Franceschini, capi assoluti delle BR, con i servizi segreti israeliani tramite la scuola parigina l’Hyperion.
 

   Dal punto di vista politico-amministrativo durante il rapimento il ruolo del governo fu prevalentemente di stallo. La DC cercava di temporeggiare prendendo tempo, l’MSI non voleva contrattare con i brigatisti, per loro Moro ed il suo compromesso sarebbe significata opposizione al governo, i socialisti di Craxi volevano contrattare forse per darla vinta ai brigatisti facendo realizzare il progetto di riconoscimento aggirando Berlinguer, il PCI rimase fuori dai giochi astenendosi da qualsiasi presa di posizione e di parola.

   Obbiettivo del governo forse era darla vinta ai brigatisti dandogli il riconoscimento da parte della chiesa con la triplice richiesta di liberazione da parte di Paolo VI e sperare che liberassero Moro in nome del Papa che li aveva riconosciuti in quanto uomini delle Brigate Rosse.

Anche sul ritrovamento del corpo con addosso dei gettoni telefonici fa pensare che i brigatisti volessero liberare Moro ma che all’ultimo minuto qualcuno ha deciso di farlo fuori.

Sono molte le strade che portano ed inquinano i personaggi più di spicco della politica, della polizia, dei servizi segreti, della malavita nella vicenda Moro.

   Salvatore Licari

 

 

Giovan Battista Vaccarini

Il prelato che ricostruì il volto di Catania dopo il terremoto del 1693

Giovan Battista Vaccarini

Ore venti e tre quarti dell’11 gennaio 1693: un sisma catastrofico colpisce la Sicilia orientale, causando decine di migliaia di morti, e radendo quasi al suolo 77 città. A Catania, dove stando alle fonti perì oltre il 60 % degli abitanti, si salvarono solo le absidi del Duomo, il teatro greco e il castello Ursino.
Il Viceré di Sicilia don Francesco Paceco, duca di Uzeda, all’indomani del devastante evento inviò sui luoghi del disastro Giuseppe Lanza, duca di Camastra, con l’incarico di presiedere all’opera di ricostruzione, conferendogli pieni poteri. Questi concepì un asse principale rettilineo, “dal mare fino alla montagna”, la via Uzeda, oggi via Etnea, attraversato da assi perpendicolari, destinati in breve tempo a ripopolarsi di edifici.
Così Catania, all’alba del XVIII secolo, si era trasformata in un cantiere in fermento per la ricostruzione, voluta fortemente anche dal suo vescovo, mons. Andrea Riggio, che si era avvalso dell’opera di tutti gli architetti e delle maestranze del momento, come Girolamo Palazzotto (cui affidò il rifacimento della Cattedrale), Alonzo di Benedetto, gli Amato, i Battaglia, i Longobardo…

Proprio all’alba di quel secolo, il 3 febbraio 1702, da Gerlando, intagliatore, e da Francesca Mancialardo, vedeva i natali, nella lontana Palermo, l’artista che, più di tutti, avrebbe legato il suo nome alla rinascita di Catania: Giovan Battista Vaccarini.
Egli studiò teologia e scienze, acquistando una notevole competenza in campo idraulico, sì da essere nominato “architetto primario” dal Senato di Palermo.
Dopo un breve tirocinio in patria, chiamato a Roma dal cardinale Ottoboni, noto mecenate, vi frequentò l’Accademia di San Luca, studiò con Carlo Fontana, ed ebbe modo di conoscere l’opera del Bernini e del Borromini e, determinante per la sua produzione più tarda, del Vanvitelli, se, rifuggendo dagli eccessi e dalla “bizzarria” del barocco, si avviò a soluzioni più sobrie e prossime alla visione neoclassica. 

Nel 1729, a soli 27 anni, fu invitato dal suo concittadino, il vescovo palermitano Pietro Galletti, che si era appena insediato nella Diocesi di Catania, “… nominato dal Galletti canonico secondario della nostra cattedrale, gli veniva contemporaneamente conferita la docenza e la nomina di Sovraintendente delle fabbriche dell’Almo Studio, per cui aveva disegnato le piante della corte. Intanto, avendo egli elaborato già il superbissimo progetto di massima del prospetto della chiesa cattedrale, il vescovo Galletti volle gettare la prima pietra delle fondamenta (27 marzo 1731)”, riporta il Policastro.
Molti erano gli architetti presenti e operanti al momento nella città etnea, che tentava di risorgere dal disastro del sisma (Alonzo di Benedetto, Antonino Amato, ed altri ancora), e numerose le maestranze di intagliatori, ma nella loro visione perduravano ancora le suggestioni dell’ornato barocco, ed una concezione piuttosto provinciale, mentre l’avvento del Vaccarini, che portava con sé l’esperienza e la scuola romana, era destinato a dare una spinta di rinnovamento. 

Il suo nome è legato a molti tra gli edifici sacri e civili più rappresentativi della Catania settecentesca. Nella città etnea, divenuta sua patria d’adozione, trascorse ben trent’anni.
Scrive Lucio Sciacca: “Di animo nobile, mite di temperamento, pio e generoso, il Vaccarini conquistò la stima dei catanesi” (mentre la città natale lo aveva trattato con una certa indifferenza), tanto che il Senato cittadino, con delibera del 28 novembre 1735, gli conferì la cittadinanza onoraria, considerati “le virtù, l’ingegno, le facoltà artistiche delle quali il Rev.mo e ill.mo Don Giovanni Battista Vaccarini, palermitano canonico secondario di questa Cattedrale, è ornato…”.

I lavori per la Cattedrale furono lunghi e lenti, non privi di critiche, gelosie e contestazioni, da parte di chi ambiva all’incarico, tanto che a un certo momento l’architetto volle sottoporre il suo progetto all’Accademia di San Luca, ottenendone l’approvazione. Vaccarini lavorava contemporaneamente, con dinamismo, al Palazzo Senatorio.
Nel 1736 erigeva la Fontana dell’Elefante, creando così, una dopo l’altra, le quinte di quel magnifico scenario che è la Piazza del Duomo di Catania, e della quale il Duomo stesso costituisce il fondale, “… vera e propria opera di sistemazione urbanistica dell’edificio religioso nello schema viario circostante…” (Boscarino).

Proprio nel 1736 l’architetto decise di mettere radici nella città che l’ospitava, realizzando la sua casa alla marina, la Domus Vaccarini, dal 1941 dichiarata monumento nazionale.
L’aveva voluta nel suo quartiere prediletto, la Civita, vicino a quella chiesetta del SS. Salvatore, a picco sul mare, dove celebrava la Messa e sostava in preghiera con i suoi collaboratori, e all’ingresso vi aveva collocato un busto di S. Agata. Edificio singolare, dove il progettista poté esprimere più liberamente la propria genialità.
               “In contrada S. Francesco di Paola, piccola costruzione a due elevazioni attestata su tre fronti stradali, che riveste un particolare significato umano e civile, perché il Vaccarini … può dare un saggio delle sue preferenze. …Si apre sul mare in un elegante portichetto, che si trasforma in terrazza al primo piano, con la caratteristica transenna traforata al posto dei balaustrini” (Boscarino).

Nell’anno 1745 è nominato lettore alla cattedra di Matematica dell’Almo Studio, cattedra poi soppressa per lo scarso afflusso di studenti. Nel 1747 torna nel capoluogo, facendo solo saltuarie apparizioni a Catania, per attendere ad altre opere.
 Nel 1756 Vaccarini soggiornò per breve tempo a Napoli, dove frequentò Luigi Vanvitelli, collaborò con lui nella scelta dei marmi per la Reggia di Caserta, e poté aggiornarsi studiando le opere dello stesso Vanvitelli e di Ferdinando Fuga: gli effetti sono visibili nelle sue ultime architetture catanesi, di gusto più misurato e prossimo a quello neoclassico.
Poche e incerte le notizie circa il periodo trascorso a Palermo, sembra che curò un progetto di restauro del Duomo (1752) e prese parte ai lavori di restauro della Casa Grande del principe Alliata di Villafranca in piazza Bologni (1751-58), se si eccettua la partecipazione, con esito peraltro negativo, al concorso per l’Albergo dei Poveri di Napoli. Controverso è anche il giorno e la località della sua morte, avvenuta secondo alcune fonti a Milazzo il 12 febbraio, secondo altre nella stessa Palermo, l’11 di marzo dell’anno 1768.
Ma tornando alla produzione catanese, non è facile redigere un catalogo completo della sua intensa produzione artistica, perché alcuni progetti non furono completati da lui, mentre in altre opere intervenne parzialmente, rendendo opinabile l’individuazione dei vari contributi.

Per la Cattedrale, l’abate Vaccarini concepì un prospetto a tre ordini sovrapposti a piramide, inserendo specchi di pietra lavica e marmo, e movimentando le colonne in una rotazione verso l’interno: attento com’era a sfruttare e valorizzare i materiali esistenti nel territorio circostante, volle accoppiare calcare e pietra lavica. Suo è anche il prospetto della chiesa sul lato della via Vittorio Emanuele.

Palazzo Senatorio, poi degli Elefanti, sede istituzionale del Comune, all’arrivo del Vaccarini era già iniziato fino allo zoccolo: egli prolunga fino all’architrave le paraste bugnate, ma rendendole piatte, inserisce nel prospetto una notevole tribuna d’onore con balconata, pensata sopra l’ingresso centrale, e nelle cornici delle finestre al primo piano, alterna le “A” di Agata agli elefanti in bassorilievo, con evidente richiamo ai simboli della città. Il lato di tramontana, assai più fiacco, sarà completato da Carmelo Battaglia.

La Fontana dell’Elefante, simbolo della città, è posta al baricentro della piazza. Il liotru, sorta di nume tutelare per i catanesi, recuperato dalle macerie della Loggia (così si chiamava il Palazzo di città prima del terremoto), fu rimesso in sesto da Vaccarini, che vi inserì l’obelisco, il globo, le palme e la tavoletta di S. Agata. Pur con gli evidenti richiami che vi si sono voluti vedere con il “Pulcin de la Minerva” di Roma, in essa volle riassumere i simboli della città, della sua storia e della sua cultura, rappresentando tre civiltà: la cristiana (l’iscrizione agatina, il globo sormontato dalla croce), l’antica (l’obelisco con i geroglifici), la sicula (l’elefante).

Piazza Duomo, la platea magna, così riqualificata dall’architetto, è una felice soluzione di spazio urbano, sede di manifestazioni religiose e laiche, di eterno e di effimero, “polo di attrazione preferenziale sia nel tempo ordinario che in quello straordinario” (Nicolosi).
È il luogo deputato all’intersecarsi della Catania civile con la Catania della fede, per la compresenza degli edifici più rappresentativi del potere ecclesiale e di quello istituzionale, dove la comunità trovava la sua sede di rappresentanza e di aggregazione al tempo stesso.
Nell’impostazione della piazza l’architetto dovette certamente tenere a mente quanto aveva assimilato nella sua formazione romana, tant’è che in essa convergono tre grandi arterie come a Piazza del Popolo (il “Tridente”).
Spazio libero, ma elemento della struttura urbana, nucleo attorno a cui si è organizzata la ricostruzione della città, secondo l’illuminato “piano camastriano”, la piazza ha come fulcro il rapporto tra la cattedrale e il Palazzo senatorio, tra questi e lo “stradone di Uzeda”, la fontana materializza un centro e un punto di vista, mentre la continuità è data dai pieni dei palazzi e dai vuoti delle strade, e dall’uniformità decorativa (bugnato, modanature, elementi plastici).

Tra le tante realizzate a Catania, un’altra opera è il Palazzo S. Giuliano in piazza Università (1747), semplice nelle linee, ma con un notevole partito centrale, amplificato dal portale d’ingresso che reca il nome e la data 1745, ed ancora le corti del Palazzo dell’Università, il Siculorun Gymnasium (1730), di quello analogo del Convento dei Gesuiti (1747) e di quello più tardo, a pianta circolare, del convitto Cutelli, realizzato questo con Francesco Battaglia, con i loro portici a colonne e i cortili lastricati a ciottoli lavici con volute di marmo.

La chiesa di Sant’Agata alla Badia – CT

Per il Monastero dei Benedettini (1743) realizzò l’ala con il refettorio, il museo, la biblioteca. Progettò poi il Laberinto, per conto del principe Ignazio Biscari, nel giardino dei principi Paternò, che sul finire dell’800 sarà inglobato nella Villa Bellini, e la Chiesa Madre di Nicolosi.
Ma i suoi capolavori sono considerati il Palazzo Valle in via Vittorio Emanuele, dalla tribuna aggettante, con il bellissimo balcone centrale dall’elegante ringhiera, collegato al portone sottostante con cui fa tutt’uno mediante mensole articolate e colonne che partono da pilastri ruotanti, e la chiesa di S. Agata alla Badia.
La piccola chiesa, dove probabilmente sviluppò spunti borrominiani di S. Agnese a Piazza Navona, è un autentico gioiello, universalmente considerata la sua opera più riuscita e originale, per il gioco prospettico e la finezza stilistica, gli costò 32 anni di attività, dal 1735 al 1767.
Edificio destinato alle suore di clausura del contiguo monastero, in essa convergono e si fondono felicemente i divergenti echi berniniani e borrominiani.
La gelosia panciuta di ferro taglia il prospetto all’altezza dei capitelli, celando due vani da cui le suore assistevano alle processioni, le grate bronzee poggiano su frange berniniane, la decorazione della cantoria dall’interno irrompe all’esterno.
Vaccarini dà il meglio di sé, specie nei capitelli, dove adotta le palme e i simboli della martire Agata.
Il prospetto è giocato su un effetto di concavità e convessità che si alternano, all’ingresso e nei laterali, mentre nel parapetto il rapporto convesso-concavo si inverte; la pianta è centralizzata, la cupola si collega al tamburo poligonale mediante costoloni.
La Badia si raccorda al complesso di piazza Duomo di scorcio, come una quinta, in una soluzione tipicamente barocca.

Molte poi le opere attribuite:
Palazzo Asmundo, la Chiesa S. Giuliano, Palazzo Reburdone, Palazzo Serravalle, i portali delle chiese della SS. Trinità e dell’Indirizzo, Palazzo Villarmosa, oggi del Toscano; lo storico dell’arte Vito Librando gli attribuiva la Chiesa dell’Ogninella, e ravvisava suoi interventi nell’ingresso della Badia di S.Benedetto. Secondo altri studiosi, nella storica via dei Crociferi dev’esserci necessariamente la sua impronta.

Ma Vaccarini lasciò una traccia importante nell’assetto urbano della rinascente città, improntata ad una concezione degli spazi armonica, decorosa, stilisticamente coerente, senza prescindere dal contesto architettonico barocco, ma superandolo in una visione più sobria e composta.
Imprimendo alla città l’impronta del suo genio, l’opera sua segnò una svolta nell’architettura catanese, sprovincializzandola, e anche nel barocco locale, che diventò da allora “meno ampolloso e più contenuto”.

Lucio Sciacca, tracciandone il profilo nella pubblicazione “Il Palazzo degli Elefanti” (Palermo, 1983), così definisce il Vaccarini:
          “Un architetto di talento… al di sopra di questo, l’abate Giovan Battista Vaccarini … fu un puro di cuore.
Onesto fino allo scrupolo, generoso, dignitoso, aperto a tutte le sollecitazioni del sentimento, visse la sua vita amando Dio e il prossimo, ma non certo in contemplazione. Ecclesiastico, architetto, galantuomo per vocazione e temperamento…
I comportamenti, i fatti, gli episodi, le opere che caratterizzano il quasi trentennale servizio di quest’uomo in città, al di là d’ogni considerazione sulla validità artistica dell’arte sua, dimostrano innanzitutto una luminosa verità: prima del suo lavoro, prima di sé stesso, prima d’ogni altra cosa, egli amò Catania
” E ancora: “La mole del lavoro che portò avanti… fu tanto grandiosa da destare, ancora oggi, ammirazione e stupore insieme” Eppure si accontentò di in modesto salario, anche per quei tempi (2 onze al mese). “Quest’uomo chiude un capitolo e ne apre un altro, nel gran libro del barocco catanese”. Nella realizzazione del Palazzo “traspare non solamente il talento dell’architetto ma anche il calore dell’uomo” (ibid.), perché quello che legò Vaccarini con la città della martire Agata, con questa giovane città totalmente ricostruita dopo il terremoto, fu un rapporto preferenziale. Il Senato cittadino in vista di ciò gli conferì la cittadinanza onoraria.
Il suo nome va ad incastonarsi in quel processo coerente, armonioso, che fu la ricostruzione di Catania, e che diede alla città quell’impronta squisitamente e sobriamente barocca che la rende pregevole e che tuttora si può ammirare. Oltre che architetto egli fu anche, squisitamente, urbanista:
          Con animo puro, si calò nell’ambiente (veniva da Roma e di visioni romane aveva pieni gli occhi e l’anima), e in breve divenne, per spirito e mentalità, il più catanese degli architetti, il più geniale e fedele interprete delle esigenze, delle aspirazioni, delle ambizioni della rinascente città” (ibid.).

Maristella Dilettoso

(Articolo pubblicato su Cultura e Prospettive n. 25, Supplemento a Il Convivio n. 59, Ottobre – Dicembre 2014)

 

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