Dall’Etna alle piramidi
Nostra intervista esclusiva con l’egittologo Maurizio Damiano, randazzese.
Egittologo, archeologo, Maurizio Damiano è oggi in Italia e all’estero un’autorità in materia, un nome associato a numerosi scritti, a tante spedizioni, organizzate e dirette in prima persona, un’attività scientifica ad alto livello intrapresa con la caparbietà e la passione che soltanto i siciliani possiedono, quelli che sentono scorrere nelle vene il fuoco dell’Etna, e fin da piccoli sono avvezzi ad inerpicarsi per i suoi impervi sentieri.
Nasce a Randazzo nel 1957, i genitori sono due medici, l’ambiente familiare piuttosto aperto e stimolante, non mancano i viaggi ed i riferimenti culturali, e poi c’è il nonno, Antonio Petrullo, con i suoi ricordi dell’Africa, a gettare inconsapevolmente un seme destinato a germogliare con gli anni.
Né va dimenticato lo zio materno, Alfio Petrullo, geniale scrittore, poeta e ricercatore del Tutto che pone i semi di un’apertura mentale, all’epoca di certo inusuale, nella mente del giovanissimo Maurizio.
Quest’ultimo frequenta la scuola statale, le medie al San Basilio, ed il Liceo, dove incontra, come professore di Storia dell’Arte, don Virzì, ed ha modo di affinare, nei lunghi colloqui con lui, la già grande passione per l’archeologia, nata probabilmente dalla fascinatio esercitata su di lui da bambino dagli spettacoli al Teatro Greco di Siracusa che vedeva assieme ai genitori; una passione per l’archeologia indirizzata e resa più solida dalla preparazione con don Virzì, e che Maurizio esterna esplorando con gli amici il territorio circostante.
A quel tempo coltiva anche l’hobby della pittura.
Poi la svolta: a 17 anni, assieme alla famiglia, lascia Randazzo, si iscrive a Medicina sotto la pressione dei genitori, ma poi la lascerà per Scienze naturali all’Università di Pavia, ma si laurea nell’88, perché nel frattempo premono altri interessi: la scintilla scocca quando visita il Museo Egizio di Torino, e ne incontra il direttore, Silvio Curto, poi sovrintendente per le Antichità Egizie in Italia, sotto la cui guida inizia gli studi di Egittologia.
Da quel momento ha incontrato la sua vocazione e la sua strada.
Si specializza in Archeologia Egizia; poi in Storia ed Archeologia Nubiana, tiene corsi e seminari, diventa collaboratore del Museo Egizio di Torino, e dal 1998 inizia l’attività di docente all’Università Aperta di Imola.
A quella teorico scientifica si affianca un’attività pratica frenetica ed incessante: fonda e coordina il Progetto Nubia (1979-1988), finanziato negli anni da vari sponsor, tra cui il ministero per gli Affari Esteri e l’istituto Italo-Africano, lavora in Sudan con varie agenzie dell’ONU; dal 1979 effettua ricerche nei deserti d’Egitto e Nubia.
La Nubiologia diviene la sua prima specializzazione, il «Progetto Nubia», infatti, è un progetto esplorativo e di catalogazione delle antichità della Nubia sudanese, grazie al quale si è resa possibile la creazione del primo archivio fotografico delle antichità nubiane e delle civiltà limitrofe (ad oggi uno dei più grandi archivi al mondo: oltre 1.000.000 di immagini dell’Egitto, Libia, Giordania, Israele, Libano, Siria, ecc., e una vastissima cartografia archeologica computerizzata).
Al nome di Maurizio Damiano sono legate scoperte e rinvenimenti di interesse storico: numerose necropoli meroitiche, un tempio dello stesso periodo, necropoli dell’epoca di Kerma e centinaia di siti preistorici.
Tra l’altro è ideatore e coordinatore generale del «Progetto Prometeo», di ricerca nei deserti d’Egitto e Sudan, in seno al quale ha esplorato per primo le aree più lontane del Deserto Occidentale egiziano, realizzandone la cartografia; ha scoperto l’oasi di Zerzura (quella cercata invano dal protagonista del film II paziente inglese), la «pista di Alessandro Magno», un villaggio minerario egizio, cave, miniere, fortezze romane… colmando inoltre varie lacune storiche.
Ha contribuito a fondare il CISE (Centro Italiano Studi Egittologici) di Imola e fondato il CRE (Centro Ricerche Egittologiche) di Verona, organismo tutt’oggi da lui diretto che, fra l’altro, si occupa di realizzare la ricostruzione in realtà virtuale di intere aree archeologiche, e che ha ricevuto la concessione per la missione permanente di ricerca e scavo nel deserto presso la Valle dei Re e la costruzione di una sede a Tebe, poi mutata nell’ampia concessione per l’intero Deserto Occidentale egiziano, in cui le ricerche sono state portate avanti sino al 2011 e poi interrotte per le vicende politiche e la proibizione da parte dei militari a qualsiasi accesso nell’area, ritenuta pericolosa per la situazione libica.
Nel frattempo Maurizio Damiano, che è membro di varie associazioni culturali internazionali, organizza mostre, come quella del 1984-85 nella Galleria del Sagrato a Milano, tiene cicli di conferenze, partecipa a convegni, prende parte a servizi radiofonici e televisivi per la Rai e le Tv private, scrive libri, relazioni ed articoli.
Ne ha pubblicato circa un centinaio, per riviste italiane ed estere, quali Archeologia Viva, Historia, Farmacia Naturale, Nigrizia.
Fra le pubblicazioni, che ad oggi contano 21 volumi in Italia e all’estero, ricordiamo:
Oltre l’Egitto: Nubia (Electa, 1985), Il sogno dei faraoni neri (Giunti, 1994), Egitto e Nubia (Mondadori, 1995), Dizionario enciclopedico dell’antico Egitto e delle civiltà nubiane (Mondadori, 1996), la grande opera divulgativa Egitto.
L’avventura dei faraoni fra storia e archeologia, in quattro volumi, edita anche a fascicoli per la Fabbri, la realizzazione di due Cdrom: I tesori del Nilo (1998) e La Valle ‘dei Re (1999), e i due DVD di 150 minuti: Le meraviglie d’Egitto. (2004).
Nell’immaginario collettivo l’archeologo è sempre stato una figura affascinante, che vive esperienze ed avventure misteriose.
Ma oggi il nostro personaggio, oltre alla vanga, usa anche il computer, e per condurre le sue ricerche e realizzare le sue opere si avvale di tecnologie moderne e sofisticate.
A dispetto di quanti, nell’era di Internet, vorrebbero mandare in soffitta tutte le discipline «antiche», l’archeologia oggi ha avuto un nuovo impulso, e sembra potere registrare ancora notevoli progressi proprio grazie al sussidio delle scienze informatiche e multimediali. Sposato dal 1987 e separatosi nel 2014 per il ritorno della ex moglie nella città natale (Parigi; e come non comprendere la nostalgia del paese natìo?), è padre di Louise e Colette. Abbiamo sentito di recente Maurizio Damiano, che oggi vive a Verona, abbiamo avuto modo di chiedergli della «sua» Africa, delle sue scoperte, dei suoi progetti, ma anche delle sue radici, di ascoltarlo raccontare e raccontarsi con quella colloquialità, scioltezza e disponibilità che contraddistingue le persone di una certa levatura.
– Com’è nato l’interesse per l’archeologia e per l’Egitto? Ci sono state figure determinanti per le sue scelte, o che abbiano contato in maniera speciale nella sua vita e nella sua formazione?
Per l’archeologia mi sembra di averlo sempre avuto dentro. Mio padre aveva nella sua biblioteca molti libri di archeologia, che io sfogliavo. A 6 anni chiedevo di portarmi qua e là, al teatro greco di Siracusa, di Taormina, a Paestum…. Sono stati determinanti i miei senza volerlo, poi don Virzì.
Conoscere don Virzì è stato fondamentale: questa passione “selvaggia” lui ha saputo incanalarla, andavamo in giro insieme a fare fotografie per Randazzo e come mi diceva sempre avrebbe voluto che io continuassi la sua opera; ma la vita ha deciso diversamente. Poi, quando sono andato al Nord, il prof. Curto è stato un Maestro e un padre spirituale per me.
– Negli ultimi anni si è assistito ad una sorta di revival, di riscoperta di massa dell’Egitto, attraverso viaggi organizzati, servizi televisivi, pubblicazioni a carattere scientifico e divulgativo, o best-seller come quelli di Wilbur Smith e Christian Jacq. Cosa ne pensa e che valore dà a questo fenomeno?
Questo fenomeno, in realtà, a livello internazionale è sempre esistito, in Francia ed in Inghilterra, fin dai tempi della Rivoluzione francese, e in Francia non è mai smesso.
Napoleone teneva dei racconti di viaggi sul comodino, e portò in Egitto i soldati ma anche i “savants”: studiosi, cartografi, archeologi. Anche se militarmente la spedizione è stata un fallimento, dal punto di vista scientifico non lo è stata. Quanto a Jacq, ha smesso di fare l’egittologo per scrivere romanzi.
Non è un grande romanziere, ma i suoi libri hanno due meriti: poiché è un egittologo, il 60% delle cose che dice, l’ambiente che ricostruisce, sono abbastanza corretti, e ha il merito poi di aver fatto conoscere l’Egitto, mentre prima se ne occupavano solo le fasce medio-alte. Dopo Jacq c’è stata un ’impennata delle vendite dei libri più scientifici. Smith è un grande romanziere, un ottimo professionista, ma ciò che scrive non ha alcun valore egittologico. Purtroppo non sono corrette neppure le cose più elementari, ma la gente pensa di imparare leggendo i romanzi, falsando tutto.
– Indubbiamente quello degli antichi Egizi è un mondo affascinante, anche per i profani. Lei che, essendo un esperto in materia, ha potuto conoscere da vicino e a fondo questa civiltà, che lezione ne ha ricavato?
Tante. Gli Egizi erano più avanti di noi in molti campi: nel rapporto uomo-donna erano più avanti, non solo rispetto agli arabi, ma anche rispetto a noi. A certe conquiste noi ci siamo arrivati oggi, loro ci erano arrivati già. La donna era l’altra metà del cielo, c’era un rapporto paritario.
Dall’operaio al faraone, la donna era sullo stesso piano dell’uomo, sempre. Il dio creatore ha una parte femminile in sé, il Faraone non è completo se accanto non ha la regina. La dualità per noi è contrapposizione, per loro completamento e armonia. Un’altra grande lezione in campo sociale (che non poteva essere separato da quello religioso): l’umanità era il “gregge di Dio”, quindi andava rispettato. Gli Egizi avevano per tutti molta considerazione, anche per chi era in fondo nella scala sociale. Non c’erano gli schiavi. Questa convinzione è derivata da due fonti: la Bibbia, e la cultura greca, che sono le nostre basi.
La Bibbia doveva dare identità al popolo ebraico, e gli Ebrei sentivano come una cosa forzata le corvée obbligatorie che effettuavano gli egizi durante le piene del Nilo, quando non si lavoravano i campi, facendo tutti i lavori pubblici, ingaggiati dal Faraone.
L’altra fonte furono i Greci, in particolare Erodoto, che scrisse dopo 2000 anni circa, nel V sec. a.C.: poiché in Grecia, anche nell’Atene di Pericle, c’erano gli schiavi, per lui era ovvio che i templi e le piramidi li avessero costruiti loro.
– Oltre che come studioso, cosa le ha insegnato l’Egittologia come uomo? Pensa che dopo millenni i Faraoni abbiano ancora qualcosa da dire e da dare all’uomo del 2000?
Rispetto per l’essere umano, di qualsiasi categoria, sesso, razza. Era una società multirazziale, ma contavano quelli che si erano inseriti nella società, i prigionieri di guerra potevano anche far carriera. Quando disprezzavano il nemico, era per ragioni di guerra, non razziali. Il nubiano lo disprezzavano perché non egiziano, non integrato, mai perché nero. Il nubiano che, trasferitosi in Egitto si integrava, era un egiziano che poteva divenire poliziotto, ufficiale, generale. Per me il fatto di vivere lì con quella gente, parlando la loro lingua, mangiando assieme, mi ha formato, è stato parte integrante della mia vita.
– Quali lingue conosce?
L’italiano – posso dire anche il siciliano? -, il francese, l’inglese, l’arabo, lo spagnolo, naturalmente l’egizio antico, poi ho conoscenze di ebraico, greco antico e moderno, latino.
– Parliamo delle sue esperienze: che emozione si prova a penetrare in luoghi inaccessibili da secoli, da millenni, a scoprire una tomba, antiche tracce di esistenza? Può descrivercelo?
Continuo a rimanere un adolescente entusiasta, penetrare in una tomba, vedere che non è vuota, che ci sono ancora delle mummie, mi dà quell’emozione, quel batticuore, tutte le cose che potrebbe provare un profano. Magari il profano vuole toccare, mentre lo scienziato non tocca niente, fotografa, disegna, rileva, documenta tutto. Ma questa attesa, questa necessità di distacco aumenta la gioia della scoperta. Ma questo è vero anche per la scoperta di un sito preistorico nel deserto, o per l’emozione di scoprire una pittura rupestre o un graffito preistorico di 10.000 anni fa.
– Qual è la scoperta che le ha dato più soddisfazione? E quale ritiene la più importante?
La più importante forse è l’oasi di Zerzura, nel ‘92 – Rai 3 allora ha fatto un bel servizio – e poi la pista di Alessandro. È stato bello perché sono state scoperte ragionandoci a casa, studiando le cartine, mettendo assieme gli elementi del puzzle. Ho teorizzato, sono andato a vedere, ed è stata una soddisfazione, mentre altre cose sono state più “casuali”, benché l’esplorazione programmata a tappeto di aree vastissime non abbia nulla di casuale. Venendo ai nostri giorni, la “scoperta” è nella mente e nel lavoro di 37 anni che dà i suoi frutti: la creazione del “Velo di Iside”, la prima grande enciclopedia sull’Egitto, in 30 volumi. L’emozione non muore mai.
– Oggi che è un nome nel campo dell’archeologia, è soddisfatto? Si sente «arrivato»?
Non si è mai soddisfatti. Essere soddisfatti vuol dire fermarsi, stagnare. Non è solo per la fama: ho rifiutato degli inviti in TV quando mi accorgevo che non erano cose serie.
Non mi sento arrivato, spero di non sentirmici neanche a 90 anni. E in ogni caso,molti colleghi accademici (ovviamente italiani) mi guardano come qualcuno che non è affatto “arrivato” poiché ho dedicato una parte della mia vita alle pubblicazioni divulgative; la divulgazione è più difficile della specializzazione; Einstein diceva che per comprendere se sappiamo davvero qualcosa dobbiamo saperla spiegare anche a un bambino. Uno di questi colleghi mi ha detto che lui “non scrive per la piazza”; io si: ne sono fiero ed io stesso sono “la piazza”.
– Programmi per il futuro, progetti in cantiere da realizzare? A cosa sta lavorando?
Dopo la missione tebana, conclusa dopo pochi anni per la riapertura del Deserto Occidentale alle nostre ricerche sino al 2011, dopo il Cd-rom “I tesori del Nilo” e i DVD, dopo i 21 volumi, ho pensato che fosse tempo di pubblicare il frutto di una vita di lavoro e di scoperte, il mio archivio; ciò si concretizza nel “Velo di Iside”, l’Enciclopedia in 30 volumi cui ho accennato; ho interrotto tutte le mie attività, salvo l’insegnamento, per dedicarmi a quest’opera, la prima al mondo di questo tipo, che spero di finire entro un paio d’anni, anche perché usufruisco del valido aiuto nella grafica di mia figlia Colette che, nonostante i suoi 17 anni, è una “figlia dei computer” ed è bravissima nell’allegerirmi da questa parte di lavoro.
– Se permette una domanda più personale, ad un certo punto ha aggiunto al suo il nome di sua moglie, «incontrata nella libertà dei deserti di Nubia». Potrebbe spiegarcelo meglio?
L’ho preso “per amore”, altro insegnamento degli Egizi.
Lei aveva piacere che prendessi il suo cognome, Appia è un nome molto antico, romano, con delle tradizioni.
Per un periodo ho firmato come Damiano-Appia; poi, dopo 27 anni felici, ha vinto la nostalgia della patria natia e la nostra storia si è chiusa, lasciando due figlie meravigliose, un ricordo splendido e un immenso affetto.
D’altronde, come dicevo prima, io, siciliano lontano dalla mia terra, come potrei mai non comprendere quello struggente canto di sirena, quel desiderio immenso di tornare “a casa?”.
La sua casa è lì, ma la mia è qui, in un’Italia piena di difetti ma pur sempre meravigliosa.
E la mia opera deve essere italiana, deve vedere la luce qui; dovranno essere gli altri paesi, una volta tanto, a prendere qualcosa di italiano.
Da qui la separazione, ma nella serenità e nella luce di nuove vite.
Anche questo insegnavano gli Egizi: la vita è cambiamento, e i piani degli Dèi sono misteriosi.
– Quasi tutti i suoi scritti sono dedicati ai familiari. Che ruolo ha la famiglia nei suoi studi? E come riesce ad organizzare la vita privata con tutti gli impegni scientifici ed accademici?
La mia fortuna è di lavorare in casa, ho il mio studio a casa, e benché lavori anche dalle 8 alle 3 di notte, ho avuto sempre il tempo di stare con la mia famiglia; oggi la mia ex moglie non c’è più e altri amori occupano il mio cuore; la figlia maggiore vive e lavora a Parigi, con successo, e la minore vive con me. Abbiamo la nostra libertà, ma sappiamo dedicarci il tempo del calore umano, che non dimentichiamo mai. Nelle spedizioni, cercavo di non stare via più di 20 giorni, poi ho sempre rielaborato a casa il materiale.
– I Latini dicevano «nemo propheta in patria», e un proverbio randazzese dice: «cu’ nesci, rinniesci». È il suo caso?
Non lo so, non posso dirlo io. Una cosa posso dire di sicuro: le possibilità culturali che ho trovato al Nord sono diverse, l’Egittologia un tempo non avrei potuto svilupparla, non fino a Napoli almeno. Comunque, devo dire che Randazzo per quanto mi riguarda smentisce il proverbio, perché ha sempre riconosciuto il mio operato.
– Qual è oggi il suo rapporto con la Sicilia, col suo paese d’origine, con le sue radici?
Non manco di venire ogni anno, gli amici che avevo a 4-5 anni li ho tuttora.
La Sicilia è sempre viva in me, l’amicizia è un sentimento cui do molto valore, qui al Nord c’è ovviamente il concetto dell’amicizia, ma non proprio come sentimento prossimo, o piuttosto come sfumatura, dell’amore, come io lo considero.
L’amicizia è la cosa più bella che mi abbia dato la Sicilia, oltre all’amore per la natura.
Allora uscivo sull’Etna a camminare, a correre fra i boschi; oggi ogni domenica vado con gli amici sulle splendide montagne del veronese, dal Baldo, che domina il Lago di Garda, alla Lessinia; sono fra i 16 e i 25 km in giornata (fra i 600 e i 1200 m di dislivello) e se faccio questo a 60 anni saltando (come dicono gli amici) come “uno stambecco dell’Etna” beh… lo devo alla mia Sicilia.
– Conta di stabilire ancora qualche legame con suoi luoghi d’origine?
Dipende da voi. Io il legame ce l’ho sempre. Sarebbe bello creare un bel museo didattico, questa è una cosa che mi piacerebbe fare per i giovani di Randazzo. Se vi sarà la volontà politica, le sale, i mezzi, io posso dare la disponibilità ed il materiale, queste cose posso farle per il mio paese.
Pensavo ad un museo dove si alternino testi, fotografie, modellini, reperti; vede molti anni fa organizzai a Milano una grande mostra; ebbi la gioia di vedere prendere appunti dai bambini, e dal mio professore, Silvio Curto: questo è il tipo di museo che io vorrei, un museo didattico che sapesse raccontare la storia della nostra cittadina parlando a tutti, dai bambini ai più colti.
Su un libro di Maurizio Damiano c’è una bellissima dedica (che qui l’autore aggiorna con l’aggiunta del nome della seconda figlia), che credo possa riassumere la sua vita, i suoi percorsi, le sue emozioni, i suoi affetti:
«A Noelle, Louise, Colette, cui devo la gioia profonda che illumina la mia vita. Ai viaggiatori dell’infinito, ai cercatori del passato, ai compagni di strada. A chi crede nei sogni e a chi sa renderli realtà, per avermi accompagnato, per avermi reso ciò che sono. Al vento e alla sabbia, per avermi mostrato un riflesso di Dio».
Maristella Dilettoso
Gazzettino n.23 del 17 giugno 2000, aggiornata con l’autore nel 2017
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Maurizio Damiano – “IL VELO DI ISIDE” – Enciclopedia d’Egitto e Nubia (30 volumi)
L’Autore ci ha fornito un estratto da poter visionare
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