Enzo Maganuco nella sua attività di critico d’arte ha scritto molti articoli alcuni riprodotti qui di seguito:
ENZO MAGANUCO (1896-1968)
Il 4 febbraio 1968 si è spento a Catania il Professore Enzo Maganuco, figura eminente di umanista che vivrà sempre ne ricordo di quanti lo ebbero come Maestro e come collega.
Enzo Maganuco nacque ad Acate il 10novembre 1896, compì i suoi studi a Genova, dove si laureò in Letteratura Italiana; specializzandosi poi a Firenze in Storia dell’Arte. Insegnò Storia dell’Arte nei licei statali di Catania (Cutelli e Spedalieri) per molti anni.
In questo periodo pubblicò pregevoli saggi artistici.
Impegnato nell’insegnamento medio, iniziò l’attività universitaria dopo aver conseguito la docenza nel 1938.
Fu Accademico d’Italia nel 1939.
Gli fu conferito l’incarico di Storia dell’Arte Medioevale e Moderna presso l’Università di Messina, che mantenne per venti anni; contemporaneamente insegnava presso l’Università di Catania in un primo tempo Storia della Musica e Storia delle Tradizioni Popolari ed in seguito Stria dell’Arte Musulmana e Copta.
Dal 1950 in poi e fine alla fine insegnò Storia dell’Arte Medioevale e Moderna presso l’Istituto di Magistero di Catania.
Suoi argomenti preferiti di ricerca furono i problemi relativi all’Arte Siciliana.
Nel 1962 conseguì anche per questo la Medaglia d’Oro al merito della Cultura e dell’Arte.
Diresse con appassionata cura il Museo Civico del Castello Ursino fino alla morte.
Fra le sue pubblicazioni notevole risonanza ebbero gli studi sui problemi di datazione e sui pittori Pietro Novelli e Giuseppe Paladino.
Grande è il vuoto che Enzo Maganuco ha lasciato nel mondo della Cultura. Particolarmente in quello Siciliano, che aveva trovato in Lui il Maestro sempre aperto ad ogni entusiasmo, sempre pronto ad esaltare la generosità della sua terra di Sicilia.
Egli, irridendo la vita, insegnò ad amarla perché della vita fece intendere i valori eterni e, sprezzante di ogni conformismo sociale, rivelò i veri ideali umani per i quali vale la pena di vivere.
OPERE:
– Lineamenti e motivi di storia dell’arte siciliana, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, 1932
– Architettura plateresca e del tardo cinquecento in Sicilia, Catania 1939
– Problemi di datazione nell’Architettura Siciliana del Medioevo, Catania 1940
– Icòne di Antonello Gagini in Roccella Valdemone, Catania 1939
– Cicli di affreschi medioevali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, Catania 1939
– Opere d’Arte catanesi inedite o malnote in Catania, Catania aprile 1933
– La pittura a Piazza Armerina, Siciliana, agosto 1923
– Artigianato e piccole industrie, 1932
– Le decorazioni dei carri e delle barche, 1945
– Motivi d’Arte Siciliana, 1957
– Bibliografia: Salvatore Nicolosi, Enzo Maganuco, in “La Sicilia”, 6 febbraio 1968, p. 3.
Enzo Maganuco nella sua attività di critico d’arte ha scritto molti articoli alcuni riprodotti qui di seguito:
Libri:
Alcuni articoli sulla figura umana, professionale, artistica, storica del prof. Enzo Maganuco.
L’amore per la Sicilia
Quel pendolare
Cagini e Roccella Valdemone
La lucerna
Enzo Maganugo era solito venire a Randazzo accompagnato da alcuni dei suoi alunni e scendendo dalla stazione della CircumEtnea saliva lungo il corso Umberto I. Si fermava quasi sempre davanti alla sua parruccheria ad ammirare una colonnina di marmo bianco che Santino aveva collocato nella vetrina su un piccolo piedistallo. Il negozio allora si trovava quasi all’angolo del corso Umberto I con piazza Municipio.
La colonnina era quello che restava della casa paterna in quanto negli anni cinquanta del novecento era stata completamente distrutta da un incendio.
La casa si trovava quasi accanto il Castello Svevo dove ora vi è ubicato il Museo Archeologico Vagliasindi .
Osservando con quanto ammirazione il Maganuco guardava la colonnina Santino gli fa la proposta che l’avrebbe regalata al Comune, per metterla nella via degli Archi, se avesse fatto ottenere un finanziamento dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali di Catania.
E così fu.
Le foto sottostante dimostrano questa piccola e bella curiosità.
La prossima settimana pubblicheremo alcuni articoli dedicati a Randazzo alla sua Architettura, alla Pittura, alla Miniatura, e al libro di preghiere di Giovannella De Quatris scritte da Enzo Maganuco nella rivista “Panorami di Provincia – Randazzo” . (1937/1938).
TESTIMONIANZE
Una figura eccezionale. Dovevo dare con lui un esame ma lui guardava il mio libretto universitario e poi guardava me: ah, lei è di Randazzo! Bene, per giudicarla mi basterà sentire quel che mi dirà del suo paese e come lo dirà.
Naturalmente Randazzo non era nel programma.
Foti Olga
Collegio Salesiano S. Basilio esami V° Ginnasio 1955 Enzo Maganuco presidente della commissione. Una persona austera che incuteva non soggezione, ma terrore a vederlo. Si dimostrò un’animo gentile e disponibile mettendoci a nostro agio. Ci disse che eravamo fortunati a vivere a Randazzo che, si capiva, amava moltissimo.
Nino Calcagno
Enzo Maganuco era innamorato di Randazzo e ha fatto innamorare anche me, al punto che ,dopo 40 anni di vita nella metropoli ho avuto il coraggio di tornare a vivere qui. Ricordo con quanto amore ci portava in giro per le vie dei vecchi quartieri in compagnia di Don Virzi ,del prof. Edoardo Bonaventura o del prof. Pietro Virgilio. Si entusiasmava nel descrivere i monumenti o le vie come via dell’Agonia a parer suo la strada più bella di Randazzo assieme a via degli Archi . Un uomo non bello in viso ma intelligente, cordiale e semplice. Mi ha fatto piacere rivedere la sua foto.
Avv. Vittorio Nunzio Zappalà.
Ho conosciuto Enzo Maganuco al Santuario di Valverde nel 1947. Ero lì per gli esercizi spirituali. Lui si aggirava nella chiesa ammirando i dipinti. Il parroco lo chiamò presentandolo come il migliore critico dell’Arte Siciliana. Una persona di gran fascino.
Don Santino Spartà
Enzo Maganuco fu il presidente della commissione degli esami di V° ginnasio nel 1952 al Collegio Salesiano S. Basilio. Una persona che non passava inosservata e lo si incontrava fuori fra le stradine del centro storico.
Avv. Nando Camarata
Si ringrazia Maria Cristina Maganuco per il materiale letterario che ci ha messo a disposizione e la signora Paola Fisauli Appassionata di Arte e Storia di Randazzo che gentilmente ci ha messo in contatto.
Uno storico municipalista del XIX secolo
Giuseppe Plumari, uomo di chiesa e di cultura, era nato a Randazzo il 17 agosto del 1770.
Il padre, don Candeloro, faceva il notaio, e la madre, Paola Emmanuele, discendeva da un’antica famiglia locale. Nonostante appartenesse alla media borghesia, egli dovette sempre fare i conti con le ristrettezze economiche della famiglia, e se già il padre si vedeva costretto, per arrotondare i suoi magri proventi, a far l’organista nelle chiese, lui si trovò sempre a lottare da solo per raggiungere quei risultati che il censo non gli aveva dato già per scontati, e rinunciare nel corso della sua vita, a tante aspirazioni.
Aveva, per esempio, fatta istanza al Re per essere assunto come Cappellano Militare, e, forse dopo un accoglimento sfavorevole, dovette adattarsi all’ambiente del paese.
Ambiente che inevitabilmente doveva andargli piuttosto stretto, sia per le naturali ambizioni dell’uomo, consapevole delle sue doti, sia per le invidie e ostilità in mezzo alle quali si trovò sempre costretto a vivere.
Compì i primi studi presso il Convento dei Basiliani, e in particolare, per la retorica e le lettere, sotto la guida dall’Abate Giovanni Romeo.
Fu proprio un episodio avvenuto in gioventù, un viaggio a Napoli nel corso del quale ebbe modo di visitare palazzi e musei, a risvegliare in lui l’amore per la storia e per le “cose antiquarie”. A 18 anni si recò a frequentare il Seminario di Messina, dove completò gli studi laureandosi in Teologia e Diritto. Fu ordinato sacerdote nel 1795.
Dopo un periodo di tirocinio a Palermo, ritornato nel paese natale, fu associato al clero della chiesa di Santa Maria, in qualità di Canonico della Collegiata.
Nel 1814, alla morte dell’Arciprete Don Alberto Salleo, partecipò al concorso per l’Arcipretura, vincendolo: “questo – dice lo storico don Salvatore Calogero Virzì – fu l’inizio di tutte le traversie della sua vita perché, contestata da uno degli sfortunati concorrenti, Don Antonino Vagliasindi dei baroni del Castello, la sua nomina ad Arciprete, fu tradotto davanti ai Tribunali”.
Ma fu anche la molla che, involontariamente, fece scattare nel Plumari nuovi interessi, dandogli al tempo stesso la possibilità di assecondarli.
Infatti dovette trasferirsi a Palermo per due anni, dal 1815 al 1816, per seguire la causa, che poi avrebbe vinto in pieno, a seguito di tre diverse sentenze successive, ma la permanenza nel capoluogo gli offrì anche l’opportunità ed il tempo di frequentare archivi e biblioteche, di spulciare libri e documenti, scoprendo così la sua vocazione di storico, nonché di avvicinare dotti e studiosi del tempo, quali D. Vincenzo Castelli e D. Giovanni D’Angelo, che lo aiutarono ad affinare ed approfondire la già latente passione per la storiografia.
Da queste frequentazioni, da questi studi, che D. Giuseppe Plumari integrò con la lettura degli storici municipali, quali Pietro Oliveri, Antonino Pollicino, Pietro Di Blasi, Pietro Rotelli, il notaio Prospero Ribizzi e Onorato Colonna, doveva scaturire l’enorme mole degli scritti su Randazzo, la sua storia, i suoi figli più illustri.
Di ritorno in patria, avrebbe potuto finalmente dedicarsi alla vita parrocchiale, preparando i giovani al catechismo, pronunciando orazioni e sermoni, e facendosi così apprezzare per le sue doti di oratore.
Ma per l’Arciprete Plumari la tranquillità era ben lungi dall’arrivare: entrò subito in contrasto con gli Amministratori dell’Opera De Quatris – l’azienda costituita da lasciti e beni immobili assegnati alla chiesa di S. Maria dalla defunta baronessa Giovannella De Quatris – che in seno alla comunità randazzese costituivano una vera e propria potenza economica, e, per di più, dovette vedere sempre minacciata e messa in forse la sua stessa dignità ed autorità di Arciprete.
Infatti, sulla scorta di una certa teoria, ormai da tempo consolidata, stando alla quale le chiese di Randazzo fossero ricettizie, ovvero istituzioni spontanee dove i vari membri godevano di parità assoluta, esercitando a turno, per esempio, le mansioni di parroco, la figura dell’Arciprete sarebbe venuta a ricoprire così un titolo privo di autorità giurisdizionale su tutto il resto del clero, e di conseguenza il Plumari dovette subire non poche angherie ed umiliazioni, specie da chi mal aveva digerito la sua nomina.
Di fatto egli riuscì, soltanto nel 1839, alla morte del Decano D. Antonino Vagliasindi, a sedersi tranquillo sulla sospirata poltrona di Arciprete, e ad assumere i pieni e reali poteri, nonché la dignità, che tale carica comportava: “assommando le due dignità nell’unica sua persona, non ha più da tribolare per il riconoscimento dei suoi diritti e delle sue ambizioni cui tanto sensibile era il suo carattere”’ (Virzì).
Si era anche fatto promotore dell’idea di creare una sede vescovile a Randazzo (la città allora, e fino al 1872, faceva parte della Diocesi di Messina), benché su questa sua proposta sarebbe poi prevalsa quella delle Autorità di Acireale.
Non è da escludere che egli accarezzasse il sogno segreto di poter indossare per primo, e in patria, le insegne di Vescovo…
Morì il 1° ottobre 1851. Probabilmente fu seppellito in S. Maria, tuttavia, sicuramente a seguito dei vari rifacimenti della pavimentazione della basilica, e allo smantellamento delle pietre tombali già esistenti, della sua tomba non vi è oggi alcuna traccia. Strano destino, questo, per un uomo che lasciò un’opera immortale, e cui la città deve tanto!
Don Virzì, che è la fonte più dotta, esauriente e attendibile, che ne conobbe e studiò per esteso l’opera, e che a tutt’oggi ne è considerato il più degno erede e successore, così lo descrive:
“carattere ardente, fattivo, in parte intrigante e ambizioso… Il suo agire in parte ingenuo, fu quello di certi uomini che pensano di essere chiamati a raddrizzare le cose storte… a riformare il mondo con uno spirito di intransigenza che rivela la loro personalità”.
A ciò va aggiunta, da un lato, la perenne condizione di ristrettezza economica in cui il Plumari versò per tutta la vita, e dall’altro la costanza, l’accanimento con cui egli si batté, per tanti anni e con ogni mezzo, per raggiungere il traguardo del pieno riconoscimento di quella dignità dell’Arcipretura che con tanta ostinazione e spirito di ripicca gli fu osteggiata per lunghi anni.
Troppo complesso sarebbe descrivere le diatribe, i colpi bassi, le battaglie che caratterizzarono la rivalità col Decano Vagliasindi (si tratta di Paolo Vagliasindi Basiliano che nel “Discussione Storica e Topografica” confuta la tesi del Plumari sulla origine di Randazzo F:R.) e altri esponenti influenti del clero locale, ma la chiave di lettura di questa vicenda si potrebbe trovare forse inquadrandola nello scontro fra due classi sociali, un’aristocrazia titolata, fortemente aggrappata ai propri appannaggi e privilegi, cui era restia a rinunziare, ed una borghesia che, fattasi strada con i soli propri mezzi, vedeva negli studi una sorta di affrancamento e di riscatto sociale: a tal proposito non può sfuggire come Giuseppe Plumari non mancasse mai di aggiungere, al proprio nome, il titolo raggiunto con studio e sacrificio “Dottore in Sacra Teologia“, “Canonico in Sagra Teologia Dottore”, e finalmente “Unico Parroco Arciprete di Randazzo”.
Abbondante la sua bibliografia, almeno a giudicare dai titoli pervenutici, a testimoniare un impegno pastorale e culturale notevole e continuo.
Fu grande oratore, convinto e infiammato, tant’è che pubblicò le sue omelie “animato, per non dire obbligato, dai buoni cittadini, che ascoltate le aveano con tanto piacere, e che avean veduto dalle stesse raccolto un frutto universale” come ebbe ad affermare con un pizzico di vanità, o piuttosto consapevolezza delle proprie capacità e dei propri meriti.
– È del 1821 l’Omelia nel giorno natalizio ed onomastico del Re Ferdinando I,
– del 1822 la Felicità dei popoli sotto la Religione Cristiana e sotto il Governo Monarchico, e la Infelicità dei popoli sotto le segrete società tendenti a distruggere la Religione e il trono,
– una Orazione funebre in morte di Ferdinando I (1825).
Altri scritti ancora furono dettati dall’intendimento di affermare le proprie tesi, come :
– Le Ragioni in difesa del diritto dell’Arciprete di Randazzo (1813),
– Sulla elezione dell’Amministrazione dell’Opera De Quatris, fatta dai parrocchiani di S. Maria ai quali s’appartiene (1815),
– una Allocuzione in difesa dei beni ecclesiastici appartenenti alla Collegiata di S. Maria.
Altri gli sono stati attribuiti:
– Orazione fatta al consiglio civico di Randazzo al 25 agosto 1813,
– Poche idee sopra talune leggi da farsi ai termini dello statuto politico per la Sicilia (1848).
Ma la mole più cospicua è costituita dagli scritti su Randazzo, opera cui Plumari dedicò l’impegno di una vita.
La Storia di Randazzo fu redatta in varie stesure, ne esiste pure un’edizione condensata presso la Biblioteca Zelantea di Acireale, depositatavi dall’Autore nel 1834.
Come egli stesso afferma, fu incoraggiato nelle stesura dell’opera dall’amico acese Lionardo Vigo:
“Avendo io nelle ore dell’ozio raccolte alcune memorie relative alla Storia di Randazzo, mia Patria, queste un tempo legger volle il Cavaliere Lionardo Vigo della Città di Acireale, qui venuto per curiosare… mi animò… Egli stesso a scrivere un Sunto della Storia mia municipale, con avermi incaricato di doverlo poi trasmettere ali Accademia de’ Zelanti di Scienze, Lettere ed Arti di essa Città di Aci-Reale. Tanto io praticai nello stesso anno 1834″.
Spiegherà poi che, trattandosi di un sunto, omise per brevità di citare gli autori consultati, offrendo così automaticamente il destro ad altri, in particolare all’altro storico dell’epoca, l’Abate Paolo Vagliasindi, di contestare le sue tesi, in particolare la teoria della pentapoli. Secondo questa teoria, Randazzo sarebbe stata originata, a detta del Plumari, dalla fusione di cinque città, Tiracia, Alesa, Triocala, Tissa e Demena.
Di fatto nella Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale di Sicilia, in 2 volumi, iniziata nel 1847 e conclusa nel 1851, l’anno stesso della morte, egli innesta la storia della Città sul ceppo della storia dei popoli e delle genti che abitarono la Sicilia e il Mediterraneo, fin dai tempi più antichi, attingendo agli autori greci e romani. La sua descrizione si fa via via più serrata e documentata, quanto più lo scrittore si avvicina ai tempi moderni.
L’opera è corredata anche da disegni e schizzi, di mano dello stesso Plumari, d’indubbio valore documentario, per ricostruire monumenti non più esistenti o la topografia della città.
Degno di menzione il Codice diplomatico, la Storia delle famiglie nobili di Randazzo, la Storia dei personaggi illustri di Randazzo che fiorirono per fama dì santità, concepita come un terzo volume della Storia.
Proprio questo volume, per volontà dello stesso autore, non sarebbe stato depositato presso l’Archivio di Palermo, ma lasciato alla città di Randazzo, nel caso si fosse reso necessario attingere notizie utili alla causa di beatificazione o canonizzazione di qualcuno dei suoi figli più meritevoli.
“Gloria primaria ed unica della storiografìa randazzese” definisce l’Arciprete Giuseppe Plumari, in un eccesso di modestia, don Salvatore Calogero Virzì, e prosegue: “Egli è stato l’unico fra tutti gli storici della città a lasciarci una storia manoscritta che è, per l’enorme quantità di documenti consultati e che in parte trascrive e riporta, la fonte più attendibile e più informata degli avvenimenti del passato di Randazzo”.
La sua importanza risiede anche, per noi moderni, nel potere attingere a piene mani, attraverso i suoi scritti, a fonti ormai perdute. Gli è stato rimproverato un eccesso di municipalismo, e qualche ingenuità storica.
Ma Plumari è, e si dichiara egli stesso, storico municipale, e, quanto al resto, lo stesso Virzì, pur riconoscendogli una certa ridondanza e qualche carenza di critica storica, giustifica tali pecche spiegando come la sua opera vada comunque valutata all’interno del contesto in cui si è generata, alla luce della storiografia del tempo. A noi non resta che inchinarci di fronte ad un impegno così costante, protrattosi fino alla morte.
Da quelle pagine manoscritte, in una grafia elegante, ordinata, trabocca tutto l’amore per la sua città, “un tempo celeberrima, a nessun ‘altra Città del Regno seconda”, ma anche per la ricerca e per la storia. Come si legge nella dedica della Storia di Randazzo, Diruta dum patriae numeras monumenta vetusta, tum patriae surgit gloria nobilior, c’è un moto di ambizione, naturale in chi si accinge a un’opera grande, ma c’è anche spirito di servizio.
E come sottovalutare tante descrizioni della Randazzo del suo tempo, quelle così puntuali di opere d’arte, edifici, le cronologie, le citazioni d’archivio, gli elenchi di chiese, di porte, beni in massima parte ormai inesistenti, distrutti o smarriti, e riscontrabili solo attraverso la sua testimonianza.
Maristella Dilettoso
(Articolo pubblicato su Cultura e Prospettive n. 23, Supplemento a Il Convivio n. 57, Aprile – Giugno 2014)
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UNA GLORIA DELLA CITTA’: L’ARCIPRETE D. GIUSEPPE PLUMARI
Gloria primaria ed unica della storiografia randazzese è il famoso Arciprete Giuseppe Plumari, vissuto a cavallo dei Sec. XVIII e XIX. Ed è giusto che noi, moderni cultori delle glorie patrie, diamo il dovuto tributo di riconoscenza a quest’uomo che, ignorato del tutto nel passato, da studiosi e non studiosi, ci ha lasciato una grande opera, che ci parla di tutte le glorie della nostra cittadina.
Dico ignorato, perché in verità ben poco la cittadinanza randazzese ha fatto per lui.
Mentre, infatti, si sono giustamente onorati i caduti della grande guerra, intitolando al loro nome un intero viale (Viale dei caduti sulla Via Regina Margherita) e non poche strade del paese, purtroppo, col risultato di cancellare irrimediabilmente nomi tradizionali e popolari, ancora in parte vivi nel gergo popolare, con tanto danno dell’antica toponomastica urbana, che non ha lasciato traccia nemmanco negli Atti Ufficiali del Comune.
Nulla si è fatto in Randazzo per l’Arciprete Plumari, che ha lasciato manoscritta la sua opera, ma solamente intitolando, non so in quale tempo al suo nome un vicoletto ignorato del quartier di S. Martino.
Cosi per lui, cosi per tanti altri nomi prestigiosi della storia cittadina, facendo eccezione soltanto per il nome del deputato del principio del secolo, on. Paolo Vagliasindi, per cui si affisse al cantonale della casa di famiglia una candida lapide che ebbe la ventura di essere stata dettata dal grande Federico De Roberto ed inaugurata col concorso di tutto il popolo e di tutte le autorità, come ci testimoniano le fotografie del tempo.
Grande personaggio arciprete Giuseppe Plumari ed Emmanuele, uomo di cultura e di abilità.
Egli è stato l’unico fra tutti gli storici della città a lasciarci una Storia manoscritta che è, per l’enorme quantità di documenti consultati e che in parte trascrive e riporta, la fonte più attendibile e più informata degli avvenimenti del passato di Randazzo.
Opera enorme in due grossi volumi che fu da lui compilata sulle memorie di cultori di storia patria e di notai che, purtroppo, noi non possediamo più, ma che egli ebbe la fortuna di avere in mano e sfruttare nella sua trattazione.
In tale opera abbiamo un documento del suo impegno indefesso di ricerca che lo ricerca che lo spinse ad una immane fatica che solo chi ne è addestrato può valutare, del suo ardente amore per la patria, della sua gioia nel portare alla luce le sue glorie del passato, unica soddisfazione dello studioso e del compilatore.
Ce lo riferisce egli stesso rivelandoci che il suo interesse crebbe a dismisura allorquando, nello studio dei documenti, trovava citato continuamente il nome della sua Randazzo e degli avvenimenti che la riguardavano.
Tutto questo trasparisce da tali pagine. Stato d’animo, purtroppo, questo, che costruisce il punto più debole del suo lavoro, aggravato dalla sua complessità e spesso pletoricità. Mende, queste, di una certa gravità che sminuiscono il valore dell’opera, ma che non sono da imputare del tutto all’autore che, nato nel settecento, il cosiddetto secolo dei lumi, non poteva non risentire di quelle manchevolezze che la storiografia ancora registrava nella sua evoluzione.
Per tali deficienze, più che personali, dovute al manchevole manchevole sviluppo scientifico del tempo, non seppe valutare con disinteressato discernimento le notizie raccolte e non seppe fare uso di quella storica che fa la vera storia.
Dico ignorato, perché in verità ben poco la cittadinanza randazzese ha fatto per lui.
Mentre, infatti, si sono giustamente onorati i caduti della grande guerra, intitolando al loro nome un intero viale (Viale dei caduti sulla Via Regina Margherita) e non poche strade del paese, purtroppo, col risultato di cancellare irrimediabilmente nomi tradizionali e popolari, ancora in parte vivi nel gergo popolare, con tanto danno dell’antica toponomastica urbana, che non ha lasciato traccia nemmanco negli Atti Ufficiali del Comune.
Nulla si è fatto in Randazzo per l’Arciprete Plumari, che ha lasciato manoscritta la sua opera, ma solamente intitolando, non so in quale tempo al suo nome un vicoletto ignorato del quartier di S. Martino.
Cosi per lui, cosi per tanti altri nomi prestigiosi della storia cittadina, facendo eccezione soltanto per il nome del deputato del principio del secolo, on. Paolo Vagliasindi, per cui si affisse al cantonale della casa di famiglia una candida lapide che ebbe la ventura di essere stata dettata dal grande Federico De Roberto ed inaugurata col concorso di tutto il popolo e di tutte le autorità, come ci testimoniano le fotografie del tempo.
Grande personaggio arciprete Giuseppe Plumari ed Emmanuele, uomo di cultura e di abilità.
Egli è stato l’unico fra tutti gli storici della città a lasciarci una Storia manoscritta che è, per l’enorme quantità di documenti consultati e che in parte trascrive e riporta, la fonte più attendibile e più informata degli avvenimenti del passato di Randazzo.
Opera enorme in due grossi volumi che fu da lui compilata sulle memorie di cultori di storia patria e di notai che, purtroppo, noi non possediamo più, ma che egli ebbe la fortuna di avere in mano e sfruttare nella sua trattazione.
In tale opera abbiamo un documento del suo impegno indefesso di ricerca che lo ricerca che lo spinse ad una immane fatica che solo chi ne è addestrato può valutare, del suo ardente amore per la patria, della sua gioia nel portare alla luce le sue glorie del passato, unica soddisfazione dello studioso e del compilatore.
Ce lo riferisce egli stesso rivelandoci che il suo interesse crebbe a dismisura allorquando, nello studio dei documenti, trovava citato continuamente il nome della sua Randazzo e degli avvenimenti che la riguardavano.
Tutto questo trasparisce da tali pagine. Stato d’animo, purtroppo, questo, che costruisce il punto più debole del suo lavoro, aggravato dalla sua complessità e spesso pletoricità. Mende, queste, di una certa gravità che sminuiscono il valore dell’opera, ma che non sono da imputare del tutto all’autore che, nato nel settecento, il cosiddetto secolo dei lumi, non poteva non risentire di quelle manchevolezze che la storiografia ancora registrava nella sua evoluzione.
Per tali deficienze, più che personali, dovute al manchevole
sviluppo scientifico del tempo, non seppe valutare con disinteressato discernimento le notizie raccolte e non seppe fare uso di quella storica che fa la vera storia.
Molte, infatti, delle sue conclusioni storiche non reggono alla critica moderna, avvalorata dai ritrovamenti archeologici e documentari. Ciò non toglie che egli ci ha lasciato una fonte preziosissima di tutto ciò che riguarda la storia della città, elegante, ben leggibile, due copie dell’ultima stesura della “ Storia di Randazzo” e ne depositò una nella Biblioteca Comunale di Palermo, ancora esistente e consultabile e ne regalò una al Comune di Randazzo, purtroppo da tempo scomparsa.
Notizia recentissima di questi giorni è che, nel clima instauratosi da qualche tempo nella nostra città per merito delle Autorità cittadine attuali,, ad ovviare al danno subito dalla comunità tutta con la scomparsa della copia manoscritta originale, il Comune è stato dotato del “Microfilm” dell’opera del Plumari, giacente nella sopradetta Biblioteca di Palermo, a servizio degli studiosi.
IL PLUMARI, come egli stesso ci rivela in un breve profilo lasciatoci nella sua opera “Uomini Illustri di Randazzo”, nacque il 17 Agosto 1770 dal notaio D. Candeloro e da Paola Emmanuele.
Giovanetto fu alunno, per i primi elementi di lettere e retorica, del basiliano Don Giovanni Romeo, Abate allora del Monastero di recente costruzione, il cui fabbricato diventò in seguito il “Collegio S. Basilio”.
A 18 anni fu inviato dal Seminario di Messina dove compi i suoi studi e si addottorò in Teologia e Diritto, alla scuola di illustri professori che lo informarono all’amore dello studio.
Ordinato sacerdote nel 1795, fece un breve tirocinio ministeriale a Palermo, dove si distinse per la scienza e la sua abilità di oratore, ritornò, quindi, a Randazzo e fu associato al Clero della Chiesa di Santa Maria.
Morto il degno arciprete, D. Alberto Salleo (1783-1814), assieme ad altri quattro, fu ammesso al concorso per l’Arcipretura e vinse (1814), ma questa vittoria fu l’inizio di tutte le traversie della sua vita perché, contestata la sua elezione ad Arciprete da uno degli sfortunati concorrenti, fu tradotto davanti ai Tribunali.
Egli per difendere validamente il suo diritto e il beneficio ecclesiastico vinto, dovette trasferirsi per due anni (1815-1816) a Palermo dove ottenne con tre sentenze diverse una piena vittoria e un pieno riconoscimento del diritto.
Un avvenimento particolare della sua giovinezza apri un nuovo orizzonte alle sue innate disposizioni e lo portò ad una scelta che avrebbe indirizzato il suo giovane animo alla cultura storica. Ce lo fa sapere egli stesso.
“All’età di 18 anni, ritrovandosi in Messina in compagnia di alcuni cavalieri randazzesi (…) passa con li medesimi a vedere la capitale di Napoli e tutte le magnificenze della bella Partenope non esclusa la grande gala di corte solita farsi l’8 Settembre nella Festa di S. Maria di Piedigrotta.
Dalla visita fatta alle antichità di Pozzuoli e al celebre Museo Borbonico, cominciò a prendere gusto allo studio delle cose antiquarie…”.
Questa passione si sviluppo negli anni e raggiunse la massima efficacia nel periodo, non poco lungo, che egli passò a Palermo dove frequentò archivi, biblioteche, persone della cultura, come un D. Vincenzo Caselli, principe di Torremuzza, grande studioso delle antichità della Sicilia, ed il can. D. Giovanni d’Angelo, che lo avviarono agli studi storici ed alla ricerca di documenti nella celebre Biblioteca del Senato ed in vari Archivi della Capitale.
Di tutto questo materiale che, man mano, andò raccogliendo, integrato dalle memorie scritte dei randazzesi Pietro Oliveri, Antonio Pollicino, Pietro di Blasi, Pietro Rotelli, notaio Prospero Ribizzi e del benedettino Onorato Colonna, egli compilò una serie di volumi riguardanti la storia della città delle sue famiglie e delle persone illustri di essa, come si può vedere dal lungo elenco delle sue opere, che segue:
Carattere ardente e fattivo si rivelò il Plumari fin dal primo momento in cui egli fece parte della “comunità” della Chiesa di S. Maria, cui si aggregò non appena fu ordinato sacerdote (1795).
Ritiratosi da Palermo ove, come si è detto, passò i primi anni del suo sacerdozio aggiudicandosi tanta stima, si immise in pieno nella vita parrocchiale della Chiesa con una grande dose di entusiasmo ad impartire lezioni di catechismo ai giovanetti, a pronunziare discorsi di circostanza e orazioni sacre che furono tanti apprezzati dai fedeli e dalla comunità ecclesiastica che, nello stesso 1795, dal R. Amministratore dell’Opera de Quatris, cui competeva il diritto, D. Giacinto Dragonetti, fu eletto canonico della Collegiata al diciottesimo stallo e scelto come curatore della “Festa della Vara”.
Problema gravissimo che angustiò tutta la sua vita, furono le ristrettezze economiche della famiglia (il padre, notaio, per arrotondare le entrate faceva l’organista nelle Chiese) e perciò domanda al Re per essere assunto come Cappellano Militare e, forse in seguito ad una risposta negativa, si decise di adattarsi alla vita del paese anche in mezzo alle difficoltà che gli derivarono dalla famiglia e dall’ambiente. Non pochi, infatti, furono gli invidiosi ed i nemici dichiarati intorno a lui, suscitati dalle sue buone doti che lo facevano spiccare su tutti e, purtroppo, anche dal suo carattere deciso e non facilmente malleabile, quando si trattava della difesa dei diritti suoi e della Chiesa o di opporvi alle prepotenze, da qualunque parte venissero specialmente da parte degli Amministratori dell’Opera de Quatris che, essendo a capo di questa grande e ricca azienda, la più grande del paese, si sentivano investiti di autorità e strapotere cui tutto e tutti dovevano piegarsi.
Anche in seno al Clero, in questo periodo torbido della storia della nazione, egli ebbe a soffrire ed a combattere le sue battaglie alla difesa dell’Autorità di Arciprete.
Le teorie sovversive del tempo, il fermento politico che aveva portato in Randazzo l’istituzione di alcune vendite della carboneria, l’inquietitudine rivoluzionaria lasciata dalla invasione francese nel napoletano e dal regno murattiano, avevano disposto gli spiriti al sovvertimento delle vecchie istituzioni ed alla scelta delle novità più singolari.
Tra queste una estrosa teoria che toccava direttamente il Plumari nella sua qualità di Arciprete, sostenuta da gente malevola ed illusa, proprio in questo scorcio di secolo, imperversò per tutto il periodo successivo facendo maturare, negli anni ’50 del secolo passato ed oltre, risultati distruttivi.
Intendo accennare alla teoria pseudo-storica che sosteneva, senza documenti di appoggio valevoli, che le chiese di Randazzo erano “chiese ricetti zie”, cioè chiese formatesi nei secoli come istituzione spontanea il cui clero si era in esse raccolto senza istituzione canonica, per cui i membri godevano di una parità assoluta e di diritti uguali, esercitando il ministero sacramentale a turno con le specifiche mansioni, volta per volta, il parroco “ad tempus”.
Ciò colpiva direttamente la posizione dell’Arciprete che, in conseguenza di ciò non godeva di beneficio ecclesiastico istituito dall’Autorità canonica, ma soltanto di un titolo spoglio di autorità giurisdizionale sugli altri preti, per cui il detentore del titolo di Arciprete, secondo tale teoria, era un semplice sacerdote come tutti gli altri, un “unus inter pares” senza diritti giurisdizionali di sorta.
Conseguenza di tale teoria, che ebbe gli assertori più accaniti tra il clero di Randazzo, fu la contestazione dell’Autorità arcipretale del Plumari che, nonostante la sua difesa a base di documenti, dovette subire affronti e clamorose ripulse che arrivarono a formali disubbidienze ed opposizioni.
Eppure, a leggere anche ora i documenti della fondazione della Collegiata, diventata con gli anni l’arbitra della Chiesa di S. Maria ed in seno alla quale si trovavano i più accaniti suoi oppositori, ben altre erano le disposizioni arcivescovili emanate nell’atto della fondazione, concedeva tutto ai Cappellani, ma chiaramente ribadiva la intoccabilità dei diritti dell’Arciprete sia nel Coro, sia nelle processioni, sia in tutte le azioni liturgiche e di rappresentanza, sia ancora nelle sue facoltà giurisdizionali.
Grosso imbroglio, dunque, questo, che condizionò e tormentò la vita del Plumari che potè avere un po’ di pace soltanto quando egli fu eletto, nel 1840, Decano della Collegiata e che fu risolto soltanto alla sua morte dai Tribunali ecclesiastici ad opera del suo successore, il battagliero ed energico Arciprete D. Vincenzo Cavallaro, proprio nel decennio degli anni cinquanta dell’Ottocento.
Nonostante gli assilli derivategli da ciò, che fu il cruccio della sua vita, il problema economico, cioè, ed ancora dalla difesa strenua dei suoi diritti di Arciprete, egli continuò ad esercitare il suo ministero di buon sacerdote e zelante Arciprete; non solo, ma anche a coltivare la sua occupazione preferita di indefesso studioso e, perciò, è opera dell’ultimo decennio della sua vita, anzi addirittura degli ultimi anni, la definitiva stesura dell’Opera sulla storia di Randazzo, come ci rivela la data segnata nella copia ancora esistente (1849), tempo in cui erano già sedate tutte le diatribe e le opposizioni alla sua persona e alla sua giurisdizione, perché erano venuti meno i suoi più acerrimi oppositori e si erano assommate nell’unica sua persona le due dignità del Clero di Arciprete e di Decano della Collegiata (1840).
Moriva nell’ottobre del 1851 e probabilmente fu seppellito nella Chiesa di S. Maria, ma della sua tomba si è perduto ogni ricordo.
Commossi, pertanto, e riconoscenti, rendiamo omaggio a questo degno figlio della nostra città, il quale nella sua opera ci ha lasciato la testimonianza più viva e veritiera di ciò che significa amore della patria e della scienza congiunti in un unico nobile scopo.
Quali ricordi di questo grande personaggio ci restano a Randazzo?
In verità ben pochi: un vicolo – come abbiamo già detto – vicino alla sua casa di abitazione, nel quartiere di S. Martino, intitolato al suo nome; un libro che porta di suo pugno il nome; una qualche lettera nell’archivio della Chiesa, con intestazione a stampa dei suoi titoli e col bollo personale con il suo stemma; ed ancora, forse una statuetta della Madonna Addolorata, che apparteneva al clan. Caldiero, che l’avrà potuta ereditare da lui.
Non un ritratto, non alcuna carta dei suoi numerosissimi appunti; non memorie dei contemporanei che ci facessero conoscere la personalità di quest’uomo tanto benemerito della sua patria.
A lui, vada, pertanto, il nostro tardivo ricordo riconoscente; e questo profilo, da questa rivista, espressione divulgativa dei problemi e delle glorie della città, nel mio intento è l’omaggio di uno studioso che tanto gli deve ed una spinta a che i cittadini tutti, con a capo le autorità civili e religiose, rendano il dovuto tributo di riconoscenza con iniziative che possano far conoscere i grandi meriti di chi ha innalzato alla sua città con monumento “più duraturo del bronzo” (aere perennius).
Sac. Salvatore Calogero Virzì. Articolo pubblicato su “Randazzo Notizie” n.9 maggio 1984
(Forse non è inutile ricordare a noi tutti che, ahimè, l’esortazione di Don Virzì di rendergli i dovuti onori all’Arciprete Giuseppe Plumari, è rimasta fino ad ora totalmente inascoltata). Francesco Rubbino
Qui di seguito riportiamo le copertine ed alcuni dipinti e disegni dei tre volumi della “STORIA DI RANDAZZO ” :
Di seguito alcune pubblicazioni del Plumari. Li puoi trovare anche nella sezione LIBRERIA.
Storia di Randazzo: Primo Volume diviso in tre libri.
Codice Diplomatico della Città di Randazzo .
Orazione Funebre per Ferdinando I Re del Regno delle Due Sicilie.
Nunzio Trazzera, pittore e scultore nasce a Randazzo nel 1948.
E’ stato docente di educazione artistica a Corsico, Rozzano, Milano, Linguaglossa, Castiglione di Sicilia, Maletto e Randazzo.
Fin dal 1966 ha partecipato a varie manifestazioni artistiche con mostre personali, collettive, rassegne e fiere in varie città italiane ed estere.
Sue sculture in bronzo, ceramica, legno e pittoriche sono presenti in varie collezioni e arredi pubblici e privati.
Insignito di vari premi e riconoscimenti, figura con biografia, opere e articoli in numerosi libri, riviste specializzate, giornali ecc.
Nunzio Trazzera si presenta
Non è un’impresa agevole riannodare i fili di un cammino nell’arte figurativa, nato da una naturale inclinazione e vissuto in continua evoluzione. E forse è per questo che, anche oggi, nonostante le mete raggiunte, il mio animo non si sente appagato.
I miei sentimenti e affetti, la mia terra, la mia immaginazione creativa, i problemi dell’uomo, della società nel suo complesso e nel suo specifico, i contrasti etnici e religiosi, mi ispirano e mi sollecitano a nuovi impegni.
E’ un’agitazione interiore che mi punge e mi assilla e che non troverà quiete se non nel parto di nuovi lavori. Ma troverà mai quiete il mio animo?
Spero di no, perché quando un animo si sente appagato è orto, quando l’immaginazione e la fantasia si sono spente non si vive, quando l’ardore creativo si è esaurito la vita, intendo quella artistica (ma non solo) è finita.
Io non vorrei giungere a tale giorno, perché ciò vorrebbe dire che né la natura che ci circonda, né il calore degli affetti più belli parleranno più al mio cuore. Tutto questo ha animato e guidato, nel tempo, la mia attività e il mio impegno nel campo dell’arte.
La presente raccolta, pertanto, serve a documentare, da una parte, quanto fin qui realizzato: sogni vissuti e realizzati con le varie tecniche raffigurative; dall’altra vuole essere un omaggio ai miei familiari, agli amici ed estimatori, che, da sempre, con atti concreti e sinceri, mi sono stati e mi sono discreti sostenitori e pungolo per la mia attività.
Vuole infine essere l’occasione per ringraziare quanti – e sono veramente moltissimi – hanno onorato e reso possibile la collocazione e l’esposizione delle mie opere, sia in Italia che all’estero; quanti le hanno richieste per utilizzare nella pubblicazione di libri o in riviste a carattere artistico-culturale e in giornali.
Questo consenso, accompagnato sempre da continui riconoscimenti ed autorevoli attestati, ha favorito e favorisce la crescita, l’evoluzione, la maturazione, l’autonomia culturale e ispirativa per la realizzazione dei miei sogni.
Ed in questo stato fortunato perché nato, formato e vissuto in quella parte della Sicilia orientale che si specchia nell’azzurro del mare Ionio, ricco di storia e civiltà; in quella parte dove maestoso si erge il vulcano etna con la sua mole cangiante, con i suoi sussulti ora lievi ora minacciosi, con le sue strade incandescenti tra zone ora aride ora innevate, sempre presente e vivo; in quella parte resa famosa per la bellezza e varietà delle sue coste e insenature, per i suoi pendii fertili e variamente colorati e profumati da estesi agrumeti e frutteti, da una lussureggiante vegetazione di boschi e sottoboschi.
Qui, ai piedi dell’Etna, sono nato, qui la mia mente si è dischiusa alla conoscenza del vero e del bello, qui il mio cuore ha cominciato a palpitare e a commuoversi. Loro nutrimento sono stati la natura aspra ma avvolgente, i contrasti cromatici, la purezza e il profumo dell’aria, la varietà della fauna e della flora, l’operosità e la calda sensibilità della gente, gli usi, i costumi, le tradizioni, le lotte, le sconfitte e le vittorie.
Qui, in questa zona della Sicilia Ionica, mi sono formato, qui dove fin dall’antichità si sono avvicendati popoli diversi, Greci, Latini, Arabi, Normanni ed altri, lasciando mirabilissime testimonianze architettoniche, scultoree e pittoriche.
Qui in questa gemma dello Ionio, sono nati o vissuti artisti e pensatori la cui fama è universalmente nota ed onorata, quali Archimede, Pitagora , Antonello da Messina, Giovanni Verga, G. Sciuti, Domenico Tempio, Vincenzo Bellini, Santo Calì, Francesco Messina, S. Fiume.
In questo grandioso scenario culturale ed artistico, la natura ha giocato un ruolo di vera protagonista.
Essa infatti di continuo genera, ispira, stimola, apre la mente e il cuore di coloro che sono dotati da natura ed educazione a quella particolare sensibilità che abilita a creare o ricreare nuove espressioni d’arte in tutti i campi, sia poetiche che letterarie e artistiche , in particolare figurative.
Questa realtà, questo patrimonio naturale ed umano bastano da soli a mantenere viva e sempre attuale una tradizione di artisti e opere apprezzati presso tutti coloro cui stanno a cuore i più alti valori della cultura, del pensiero e del bello.
Questa atmosfera, questa specificità della mia terra, ha forgiato la mia sensibilità, ha caratterizzato la mia arte nel suo divenire, ha generato le mie opere.
Ancora giovanetto ho sperimentato una forte quanto fantastica sensazione: nel silenzio vivo della natura, con lo sguardo fisso nella cangiante atmosfera, fui attratto da una nuvoletta che candida si stagliava nell’azzurro del cielo.
Quasi giocando, la nuvoletta lentamente si dissolveva e si ricomponeva stuzzicando dolcemente la mia immaginazione, si sfibrava e lacrimava sulla terra, sugli alberi, sulle cose.
Questa semplice e fortuita visione ha segnato l’inizio di una ininterrotta riflessione sul ciclo perenne della vita, sul motto di Eraclito, sull’arte corinzia, su Buonarroti, sul dinamismo barocco, sui macchiaioli, sui futuristi e le varie avanguardie.
Inizia così quell’avventura esistenziale e artistica che solo in parte trova posto in queste pagine. Nell’opuscolo, infatti, sono presenti solo alcuni dei momenti di impegno e di confronto sereno con la natura, e questi mai statici ma sempre e in continuo divenire, dove protagonista è l’uomo, col suo impasto di sentimenti, passioni, desideri, vizi, virtù: tutto l’uomo, capace di condizionare in positivo o in negativo la realtà in cui vive ed opera.
NUNZIO TRAZZERA
Hanno scritto di Nunzio Trazzera
Artisti contemporanei alla ribalta di Salvatore Calogero Virzì
Nunzio Trazzera – E nato a Randazzo (CT) dove vive e lavora in via Portali 31. Pittore – scrittore.
Se l’arte è tale quale fu definita “passaporto di libertà”, dobbiamo dire che Trazzera è definitivamente avviato verso questa libertà che raggiunge l’estasi della contemplazione in tutti i campi della sua creatività d’artista.
Egli infatti si rivela vero artista sia come pittore, sia come scultore, come ceramista e fonditore.Il suo innato talento creativo rivela un tocco di disegno incisivo, una tavolozza cromatica varia, palesemente efficace che, vivificando il disegno e l’idea assoluta del soggetto, si innalza a dimensioni di vita che si avviano verso un cosmico dinamico.
Questo del dinamismo delle linee e della scelta del soggetto più opportuna e atta ad esprimerlo per me sono le caratteristiche più immediate del Trazzera: movimento, ridda di colori sgrananti intramezzati da chiaroscuri evanescenti, movimento convulsivo che esprime un idea, una vita nuova che agita le sue rappresentazioni, di una efficacia talmente efficace che ci porta nel sogno e nello sbalordimento.
Opera vasta questa ed espressiva che trova la sua completa espressione in soggetti presi dalla vita giornaliera visti con occhio d’artista cui si associa l’irreale e il cosmico pervaso tutto non da cerebralismo ma da un sentimento che parte dal cuore, da una esperienza vissuta da una realtà che ci colpisce momento per momento , raggiungendo vette di dolcezza, di soddisfazione, di rimpianto del momento che fugge. Paternità dunque cosmica, pervasa da una esperienza che diventa conquista e messaggio di vita: disegno incisivo., il colore astratto o a chiazza dai contorni netti o sfumati, il movimento convulso ma sempre contenuto e sempre pervaso dall’idea che vuole esprimere, fanno del Trazzera uno degli artisti più rappresentativi tra i giovani siciliani che hanno già raggiunto la loro identità e la loro personalità artistica.
Salvatore Calogero Virzì
Il dinamismo cosmico
Le opere di Nunzio Trazzera di Giusy Paratore
Novara – Che Novara amasse l’arte del dipingere era già noto; a far riscuotere numerosi consensi, però ha contribuito il numero impressionante di visitatori, che ha dedicato tante ore ad apprezzare le numerose mostre preparate con cura dall’Amministrazione Comunale Novarese.
Le vie del centro storico, in questo caldo mese d’agosto, pullulano di artisti che, con l’esposizione dei quadri, stanno facendo rivivere le antiche tradizioni di Novara. Per rendere più surreale la mostra, oltre ad alcuni locali privati ed al palazzo <<Stancanelli>>, sono state messe a disposizione degli artisti alcune chiese.
Nel tempio di S. Francesco, fra luci soffuse, ha esposto dall’11 al 18 agosto le sue pregiate opere lo scultore e pittore di Randazzo, Nunzio Trazzera.
Il successo ottenuto dall’artista etneo con la mostra dal tema; <<il dinamismo cosmico>> le sue opere, infatti, sono state lungamente ammirate dagli amanti della pittura. Tutti sono rimasti colpiti e meravigliati dell’espressione artistica che Nunzio Trazzera riesce a trasmettere attraverso i suoi quadri.
<<La sua pittura brilla di una luce interiore che evidenzia la luminosità dei colori – afferma Rosalba Buemi – vivifica l’espressività dei personaggi, anima la natura e le cose, trasportandoci in una dimensione cosmica, in una vitalità piena in un trionfo di luce e colori che ci fanno volteggiare nell’infinito come solo i grandi sanno fare. Nelle sue tele – prosegue Rosalba Buemi – l’armonia dei colori da origine alla linearità ed all’essenzialità delle forme.
Il trionfo cromatico ci trascina nell’interiorità del sentimento: l’amore, la gioia di vivere, gli affetti familiari, i problemi sociali, il dinamismo delle sue opere in ceramica, l’esempio più alto è sicuramente l’abside della chiesa di Montelaguardia di Randazzo, dove il Cristo muove le gambe e le braccia verso gli uomini per accoglierli nella sua infinitezza e le figure umane s’innalzano verso l’alto>>.
Nunzio Trazzera, nella storica chiesa di S. Francesco, ha esposto opere che riguardano i vari campi della figurazione.
Lo scultore, nelle sue creazioni vere o fantasiose, è riuscito ad imprimere una forte personalità, le sue opere sono in continua trasformazione nella cromia, nei volumi e nelle masse senza corposità e peso.
L’artista di Randazzo è riuscito a fare sprigionare dalle sue <<magiche>> mani soluzioni originali di un particolare equilibrio, che portano al sogno, alla riflessione ed alla contemplazione.
Le sue opere riescono, con naturalezza, a rendere partecipe il fruire degli eventi instabili con quali è destinato a convivere con altri eventi moderni.
L’arte di Trazzera, attraverso lo sfocare volontariamente le figure, assume una funzione ludica; il pittore <<gioca>> per raggiungere una profondità psicologica, che porta a soddisfare le sue esigenze emotive.
Questi <<ingredienti>> hanno fatto conoscere ed apprezzare Nunzio Trazzera ed i consensi ottenuti saranno da stimolo per realizzare altre opere poliedriche di pittura e di scultore in terracotta ed in bronzo.
Giusy Paratore
Angelo Manitta: libertà e sublimità nell’arte di Nunzio Trazzera.
L’uomo, con i suoi problemi, i suoi affetti e i suoi sentimenti di gioia, di coerenza, di amore e soprattutto di impegno sociale, sta al centro della composizione del Trazzera.
L’espressione “l’uomo misura di tutte le cose” in pochi pittori e scultori contemporanei è forse cosi vera come in lui, che parte dal passato, si forgia nel presente e approda nel futuro. In questa evoluzione l’emozione interiore si oggettiva e si solidifica in una visione unitaria e complessa che emerge da un sottofondo realistico e dinamico per giungere al “sublime”.
Il sublime è un’estasi laica, una contemplazione della vita nelle sue varie sfaccettature. Il sublime trascina il fruitore dell’opera d’arte “non alla persuasione – come afferma l’autore greco nel saggio “Il sublime”, ma all’estasi, perché ciò che è meraviglioso s’ac-compagna sempre ad un senso di smarrimento e prevale su ciò che è solo convincente e grazioso”.
La scultura “Danza” è espressione di questa sublimità e soprattutto di quella libertà interiore dell’uomo, espressa attraverso i movimenti agili e snelli delle due figure.
Nunzio Trazzera, nato a Randazzo (CT) nel 1948, insegna Educazione Artistica nelle scuole statali. Pittore e scultore, ha esposto i varie città italiane e all’estero con personali e collettive.
Molti critici si sono interessati alle sue opere, tra cui F. Sofia, S. Modica, S. Correnti, S. Mazza, O. Solipo, G. Gullo, G. Trabini, Insignito di vari riconoscimenti, le sue opere figurano in numerose collezioni pubbliche e private. Il suo percorso artistico, collocato nell’ambito del post-modernismo, ma volto verso il futuro, giunge ad una soluzione originale dell’arte, che affascina il lettore sia per il contenuto che per la forma.
La sua arte comunque ha sapore di classico e universale, ed è punto d’incontro tra l’interiorità che scorre ed opera nell’uomo (funzione soggettiva) e l’esteriorità che scorre ed opera nella vita quotidiana (funzione oggettiva).
ANGELO MANITTA
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Dall’Etna alle piramidi
Nostra intervista esclusiva con l’egittologo Maurizio Damiano, randazzese.
Egittologo, archeologo, Maurizio Damiano è oggi in Italia e all’estero un’autorità in materia, un nome associato a numerosi scritti, a tante spedizioni, organizzate e dirette in prima persona, un’attività scientifica ad alto livello intrapresa con la caparbietà e la passione che soltanto i siciliani possiedono, quelli che sentono scorrere nelle vene il fuoco dell’Etna, e fin da piccoli sono avvezzi ad inerpicarsi per i suoi impervi sentieri.
Nasce a Randazzo nel 1957, i genitori sono due medici, l’ambiente familiare piuttosto aperto e stimolante, non mancano i viaggi ed i riferimenti culturali, e poi c’è il nonno, Antonio Petrullo, con i suoi ricordi dell’Africa, a gettare inconsapevolmente un seme destinato a germogliare con gli anni.
Né va dimenticato lo zio materno, Alfio Petrullo, geniale scrittore, poeta e ricercatore del Tutto che pone i semi di un’apertura mentale, all’epoca di certo inusuale, nella mente del giovanissimo Maurizio.
Quest’ultimo frequenta la scuola statale, le medie al San Basilio, ed il Liceo, dove incontra, come professore di Storia dell’Arte, don Virzì, ed ha modo di affinare, nei lunghi colloqui con lui, la già grande passione per l’archeologia, nata probabilmente dalla fascinatio esercitata su di lui da bambino dagli spettacoli al Teatro Greco di Siracusa che vedeva assieme ai genitori; una passione per l’archeologia indirizzata e resa più solida dalla preparazione con don Virzì, e che Maurizio esterna esplorando con gli amici il territorio circostante.
A quel tempo coltiva anche l’hobby della pittura.
Poi la svolta: a 17 anni, assieme alla famiglia, lascia Randazzo, si iscrive a Medicina sotto la pressione dei genitori, ma poi la lascerà per Scienze naturali all’Università di Pavia, ma si laurea nell’88, perché nel frattempo premono altri interessi: la scintilla scocca quando visita il Museo Egizio di Torino, e ne incontra il direttore, Silvio Curto, poi sovrintendente per le Antichità Egizie in Italia, sotto la cui guida inizia gli studi di Egittologia.
Da quel momento ha incontrato la sua vocazione e la sua strada.
Si specializza in Archeologia Egizia; poi in Storia ed Archeologia Nubiana, tiene corsi e seminari, diventa collaboratore del Museo Egizio di Torino, e dal 1998 inizia l’attività di docente all’Università Aperta di Imola.
A quella teorico scientifica si affianca un’attività pratica frenetica ed incessante: fonda e coordina il Progetto Nubia (1979-1988), finanziato negli anni da vari sponsor, tra cui il ministero per gli Affari Esteri e l’istituto Italo-Africano, lavora in Sudan con varie agenzie dell’ONU; dal 1979 effettua ricerche nei deserti d’Egitto e Nubia.
La Nubiologia diviene la sua prima specializzazione, il «Progetto Nubia», infatti, è un progetto esplorativo e di catalogazione delle antichità della Nubia sudanese, grazie al quale si è resa possibile la creazione del primo archivio fotografico delle antichità nubiane e delle civiltà limitrofe (ad oggi uno dei più grandi archivi al mondo: oltre 1.000.000 di immagini dell’Egitto, Libia, Giordania, Israele, Libano, Siria, ecc., e una vastissima cartografia archeologica computerizzata).
Al nome di Maurizio Damiano sono legate scoperte e rinvenimenti di interesse storico: numerose necropoli meroitiche, un tempio dello stesso periodo, necropoli dell’epoca di Kerma e centinaia di siti preistorici.
Tra l’altro è ideatore e coordinatore generale del «Progetto Prometeo», di ricerca nei deserti d’Egitto e Sudan, in seno al quale ha esplorato per primo le aree più lontane del Deserto Occidentale egiziano, realizzandone la cartografia; ha scoperto l’oasi di Zerzura (quella cercata invano dal protagonista del film II paziente inglese), la «pista di Alessandro Magno», un villaggio minerario egizio, cave, miniere, fortezze romane… colmando inoltre varie lacune storiche.
Ha contribuito a fondare il CISE (Centro Italiano Studi Egittologici) di Imola e fondato il CRE (Centro Ricerche Egittologiche) di Verona, organismo tutt’oggi da lui diretto che, fra l’altro, si occupa di realizzare la ricostruzione in realtà virtuale di intere aree archeologiche, e che ha ricevuto la concessione per la missione permanente di ricerca e scavo nel deserto presso la Valle dei Re e la costruzione di una sede a Tebe, poi mutata nell’ampia concessione per l’intero Deserto Occidentale egiziano, in cui le ricerche sono state portate avanti sino al 2011 e poi interrotte per le vicende politiche e la proibizione da parte dei militari a qualsiasi accesso nell’area, ritenuta pericolosa per la situazione libica.
Nel frattempo Maurizio Damiano, che è membro di varie associazioni culturali internazionali, organizza mostre, come quella del 1984-85 nella Galleria del Sagrato a Milano, tiene cicli di conferenze, partecipa a convegni, prende parte a servizi radiofonici e televisivi per la Rai e le Tv private, scrive libri, relazioni ed articoli.
Ne ha pubblicato circa un centinaio, per riviste italiane ed estere, quali Archeologia Viva, Historia, Farmacia Naturale, Nigrizia.
Fra le pubblicazioni, che ad oggi contano 21 volumi in Italia e all’estero, ricordiamo:
Oltre l’Egitto: Nubia (Electa, 1985), Il sogno dei faraoni neri (Giunti, 1994), Egitto e Nubia (Mondadori, 1995), Dizionario enciclopedico dell’antico Egitto e delle civiltà nubiane (Mondadori, 1996), la grande opera divulgativa Egitto.
L’avventura dei faraoni fra storia e archeologia, in quattro volumi, edita anche a fascicoli per la Fabbri, la realizzazione di due Cdrom: I tesori del Nilo (1998) e La Valle ‘dei Re (1999), e i due DVD di 150 minuti: Le meraviglie d’Egitto. (2004).
Nell’immaginario collettivo l’archeologo è sempre stato una figura affascinante, che vive esperienze ed avventure misteriose.
Ma oggi il nostro personaggio, oltre alla vanga, usa anche il computer, e per condurre le sue ricerche e realizzare le sue opere si avvale di tecnologie moderne e sofisticate.
A dispetto di quanti, nell’era di Internet, vorrebbero mandare in soffitta tutte le discipline «antiche», l’archeologia oggi ha avuto un nuovo impulso, e sembra potere registrare ancora notevoli progressi proprio grazie al sussidio delle scienze informatiche e multimediali. Sposato dal 1987 e separatosi nel 2014 per il ritorno della ex moglie nella città natale (Parigi; e come non comprendere la nostalgia del paese natìo?), è padre di Louise e Colette. Abbiamo sentito di recente Maurizio Damiano, che oggi vive a Verona, abbiamo avuto modo di chiedergli della «sua» Africa, delle sue scoperte, dei suoi progetti, ma anche delle sue radici, di ascoltarlo raccontare e raccontarsi con quella colloquialità, scioltezza e disponibilità che contraddistingue le persone di una certa levatura.
– Com’è nato l’interesse per l’archeologia e per l’Egitto? Ci sono state figure determinanti per le sue scelte, o che abbiano contato in maniera speciale nella sua vita e nella sua formazione?
Per l’archeologia mi sembra di averlo sempre avuto dentro. Mio padre aveva nella sua biblioteca molti libri di archeologia, che io sfogliavo. A 6 anni chiedevo di portarmi qua e là, al teatro greco di Siracusa, di Taormina, a Paestum…. Sono stati determinanti i miei senza volerlo, poi don Virzì.
Conoscere don Virzì è stato fondamentale: questa passione “selvaggia” lui ha saputo incanalarla, andavamo in giro insieme a fare fotografie per Randazzo e come mi diceva sempre avrebbe voluto che io continuassi la sua opera; ma la vita ha deciso diversamente. Poi, quando sono andato al Nord, il prof. Curto è stato un Maestro e un padre spirituale per me.
– Negli ultimi anni si è assistito ad una sorta di revival, di riscoperta di massa dell’Egitto, attraverso viaggi organizzati, servizi televisivi, pubblicazioni a carattere scientifico e divulgativo, o best-seller come quelli di Wilbur Smith e Christian Jacq. Cosa ne pensa e che valore dà a questo fenomeno?
Questo fenomeno, in realtà, a livello internazionale è sempre esistito, in Francia ed in Inghilterra, fin dai tempi della Rivoluzione francese, e in Francia non è mai smesso.
Napoleone teneva dei racconti di viaggi sul comodino, e portò in Egitto i soldati ma anche i “savants”: studiosi, cartografi, archeologi. Anche se militarmente la spedizione è stata un fallimento, dal punto di vista scientifico non lo è stata. Quanto a Jacq, ha smesso di fare l’egittologo per scrivere romanzi.
Non è un grande romanziere, ma i suoi libri hanno due meriti: poiché è un egittologo, il 60% delle cose che dice, l’ambiente che ricostruisce, sono abbastanza corretti, e ha il merito poi di aver fatto conoscere l’Egitto, mentre prima se ne occupavano solo le fasce medio-alte. Dopo Jacq c’è stata un ’impennata delle vendite dei libri più scientifici. Smith è un grande romanziere, un ottimo professionista, ma ciò che scrive non ha alcun valore egittologico. Purtroppo non sono corrette neppure le cose più elementari, ma la gente pensa di imparare leggendo i romanzi, falsando tutto.
– Indubbiamente quello degli antichi Egizi è un mondo affascinante, anche per i profani. Lei che, essendo un esperto in materia, ha potuto conoscere da vicino e a fondo questa civiltà, che lezione ne ha ricavato?
Tante. Gli Egizi erano più avanti di noi in molti campi: nel rapporto uomo-donna erano più avanti, non solo rispetto agli arabi, ma anche rispetto a noi. A certe conquiste noi ci siamo arrivati oggi, loro ci erano arrivati già. La donna era l’altra metà del cielo, c’era un rapporto paritario.
Dall’operaio al faraone, la donna era sullo stesso piano dell’uomo, sempre. Il dio creatore ha una parte femminile in sé, il Faraone non è completo se accanto non ha la regina. La dualità per noi è contrapposizione, per loro completamento e armonia. Un’altra grande lezione in campo sociale (che non poteva essere separato da quello religioso): l’umanità era il “gregge di Dio”, quindi andava rispettato. Gli Egizi avevano per tutti molta considerazione, anche per chi era in fondo nella scala sociale. Non c’erano gli schiavi. Questa convinzione è derivata da due fonti: la Bibbia, e la cultura greca, che sono le nostre basi.
La Bibbia doveva dare identità al popolo ebraico, e gli Ebrei sentivano come una cosa forzata le corvée obbligatorie che effettuavano gli egizi durante le piene del Nilo, quando non si lavoravano i campi, facendo tutti i lavori pubblici, ingaggiati dal Faraone.
L’altra fonte furono i Greci, in particolare Erodoto, che scrisse dopo 2000 anni circa, nel V sec. a.C.: poiché in Grecia, anche nell’Atene di Pericle, c’erano gli schiavi, per lui era ovvio che i templi e le piramidi li avessero costruiti loro.
– Oltre che come studioso, cosa le ha insegnato l’Egittologia come uomo? Pensa che dopo millenni i Faraoni abbiano ancora qualcosa da dire e da dare all’uomo del 2000?
Rispetto per l’essere umano, di qualsiasi categoria, sesso, razza. Era una società multirazziale, ma contavano quelli che si erano inseriti nella società, i prigionieri di guerra potevano anche far carriera. Quando disprezzavano il nemico, era per ragioni di guerra, non razziali. Il nubiano lo disprezzavano perché non egiziano, non integrato, mai perché nero. Il nubiano che, trasferitosi in Egitto si integrava, era un egiziano che poteva divenire poliziotto, ufficiale, generale. Per me il fatto di vivere lì con quella gente, parlando la loro lingua, mangiando assieme, mi ha formato, è stato parte integrante della mia vita.
– Quali lingue conosce?
L’italiano – posso dire anche il siciliano? -, il francese, l’inglese, l’arabo, lo spagnolo, naturalmente l’egizio antico, poi ho conoscenze di ebraico, greco antico e moderno, latino.
– Parliamo delle sue esperienze: che emozione si prova a penetrare in luoghi inaccessibili da secoli, da millenni, a scoprire una tomba, antiche tracce di esistenza? Può descrivercelo?
Continuo a rimanere un adolescente entusiasta, penetrare in una tomba, vedere che non è vuota, che ci sono ancora delle mummie, mi dà quell’emozione, quel batticuore, tutte le cose che potrebbe provare un profano. Magari il profano vuole toccare, mentre lo scienziato non tocca niente, fotografa, disegna, rileva, documenta tutto. Ma questa attesa, questa necessità di distacco aumenta la gioia della scoperta. Ma questo è vero anche per la scoperta di un sito preistorico nel deserto, o per l’emozione di scoprire una pittura rupestre o un graffito preistorico di 10.000 anni fa.
– Qual è la scoperta che le ha dato più soddisfazione? E quale ritiene la più importante?
La più importante forse è l’oasi di Zerzura, nel ‘92 – Rai 3 allora ha fatto un bel servizio – e poi la pista di Alessandro. È stato bello perché sono state scoperte ragionandoci a casa, studiando le cartine, mettendo assieme gli elementi del puzzle. Ho teorizzato, sono andato a vedere, ed è stata una soddisfazione, mentre altre cose sono state più “casuali”, benché l’esplorazione programmata a tappeto di aree vastissime non abbia nulla di casuale. Venendo ai nostri giorni, la “scoperta” è nella mente e nel lavoro di 37 anni che dà i suoi frutti: la creazione del “Velo di Iside”, la prima grande enciclopedia sull’Egitto, in 30 volumi. L’emozione non muore mai.
– Oggi che è un nome nel campo dell’archeologia, è soddisfatto? Si sente «arrivato»?
Non si è mai soddisfatti. Essere soddisfatti vuol dire fermarsi, stagnare. Non è solo per la fama: ho rifiutato degli inviti in TV quando mi accorgevo che non erano cose serie.
Non mi sento arrivato, spero di non sentirmici neanche a 90 anni. E in ogni caso,molti colleghi accademici (ovviamente italiani) mi guardano come qualcuno che non è affatto “arrivato” poiché ho dedicato una parte della mia vita alle pubblicazioni divulgative; la divulgazione è più difficile della specializzazione; Einstein diceva che per comprendere se sappiamo davvero qualcosa dobbiamo saperla spiegare anche a un bambino. Uno di questi colleghi mi ha detto che lui “non scrive per la piazza”; io si: ne sono fiero ed io stesso sono “la piazza”.
– Programmi per il futuro, progetti in cantiere da realizzare? A cosa sta lavorando?
Dopo la missione tebana, conclusa dopo pochi anni per la riapertura del Deserto Occidentale alle nostre ricerche sino al 2011, dopo il Cd-rom “I tesori del Nilo” e i DVD, dopo i 21 volumi, ho pensato che fosse tempo di pubblicare il frutto di una vita di lavoro e di scoperte, il mio archivio; ciò si concretizza nel “Velo di Iside”, l’Enciclopedia in 30 volumi cui ho accennato; ho interrotto tutte le mie attività, salvo l’insegnamento, per dedicarmi a quest’opera, la prima al mondo di questo tipo, che spero di finire entro un paio d’anni, anche perché usufruisco del valido aiuto nella grafica di mia figlia Colette che, nonostante i suoi 17 anni, è una “figlia dei computer” ed è bravissima nell’allegerirmi da questa parte di lavoro.
– Se permette una domanda più personale, ad un certo punto ha aggiunto al suo il nome di sua moglie, «incontrata nella libertà dei deserti di Nubia». Potrebbe spiegarcelo meglio?
L’ho preso “per amore”, altro insegnamento degli Egizi.
Lei aveva piacere che prendessi il suo cognome, Appia è un nome molto antico, romano, con delle tradizioni.
Per un periodo ho firmato come Damiano-Appia; poi, dopo 27 anni felici, ha vinto la nostalgia della patria natia e la nostra storia si è chiusa, lasciando due figlie meravigliose, un ricordo splendido e un immenso affetto.
D’altronde, come dicevo prima, io, siciliano lontano dalla mia terra, come potrei mai non comprendere quello struggente canto di sirena, quel desiderio immenso di tornare “a casa?”.
La sua casa è lì, ma la mia è qui, in un’Italia piena di difetti ma pur sempre meravigliosa.
E la mia opera deve essere italiana, deve vedere la luce qui; dovranno essere gli altri paesi, una volta tanto, a prendere qualcosa di italiano.
Da qui la separazione, ma nella serenità e nella luce di nuove vite.
Anche questo insegnavano gli Egizi: la vita è cambiamento, e i piani degli Dèi sono misteriosi.
– Quasi tutti i suoi scritti sono dedicati ai familiari. Che ruolo ha la famiglia nei suoi studi? E come riesce ad organizzare la vita privata con tutti gli impegni scientifici ed accademici?
La mia fortuna è di lavorare in casa, ho il mio studio a casa, e benché lavori anche dalle 8 alle 3 di notte, ho avuto sempre il tempo di stare con la mia famiglia; oggi la mia ex moglie non c’è più e altri amori occupano il mio cuore; la figlia maggiore vive e lavora a Parigi, con successo, e la minore vive con me. Abbiamo la nostra libertà, ma sappiamo dedicarci il tempo del calore umano, che non dimentichiamo mai. Nelle spedizioni, cercavo di non stare via più di 20 giorni, poi ho sempre rielaborato a casa il materiale.
– I Latini dicevano «nemo propheta in patria», e un proverbio randazzese dice: «cu’ nesci, rinniesci». È il suo caso?
Non lo so, non posso dirlo io. Una cosa posso dire di sicuro: le possibilità culturali che ho trovato al Nord sono diverse, l’Egittologia un tempo non avrei potuto svilupparla, non fino a Napoli almeno. Comunque, devo dire che Randazzo per quanto mi riguarda smentisce il proverbio, perché ha sempre riconosciuto il mio operato.
– Qual è oggi il suo rapporto con la Sicilia, col suo paese d’origine, con le sue radici?
Non manco di venire ogni anno, gli amici che avevo a 4-5 anni li ho tuttora.
La Sicilia è sempre viva in me, l’amicizia è un sentimento cui do molto valore, qui al Nord c’è ovviamente il concetto dell’amicizia, ma non proprio come sentimento prossimo, o piuttosto come sfumatura, dell’amore, come io lo considero.
L’amicizia è la cosa più bella che mi abbia dato la Sicilia, oltre all’amore per la natura.
Allora uscivo sull’Etna a camminare, a correre fra i boschi; oggi ogni domenica vado con gli amici sulle splendide montagne del veronese, dal Baldo, che domina il Lago di Garda, alla Lessinia; sono fra i 16 e i 25 km in giornata (fra i 600 e i 1200 m di dislivello) e se faccio questo a 60 anni saltando (come dicono gli amici) come “uno stambecco dell’Etna” beh… lo devo alla mia Sicilia.
– Conta di stabilire ancora qualche legame con suoi luoghi d’origine?
Dipende da voi. Io il legame ce l’ho sempre. Sarebbe bello creare un bel museo didattico, questa è una cosa che mi piacerebbe fare per i giovani di Randazzo. Se vi sarà la volontà politica, le sale, i mezzi, io posso dare la disponibilità ed il materiale, queste cose posso farle per il mio paese.
Pensavo ad un museo dove si alternino testi, fotografie, modellini, reperti; vede molti anni fa organizzai a Milano una grande mostra; ebbi la gioia di vedere prendere appunti dai bambini, e dal mio professore, Silvio Curto: questo è il tipo di museo che io vorrei, un museo didattico che sapesse raccontare la storia della nostra cittadina parlando a tutti, dai bambini ai più colti.
Su un libro di Maurizio Damiano c’è una bellissima dedica (che qui l’autore aggiorna con l’aggiunta del nome della seconda figlia), che credo possa riassumere la sua vita, i suoi percorsi, le sue emozioni, i suoi affetti:
«A Noelle, Louise, Colette, cui devo la gioia profonda che illumina la mia vita. Ai viaggiatori dell’infinito, ai cercatori del passato, ai compagni di strada. A chi crede nei sogni e a chi sa renderli realtà, per avermi accompagnato, per avermi reso ciò che sono. Al vento e alla sabbia, per avermi mostrato un riflesso di Dio».
Maristella Dilettoso
Gazzettino n.23 del 17 giugno 2000, aggiornata con l’autore nel 2017
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Maurizio Damiano – “IL VELO DI ISIDE” – Enciclopedia d’Egitto e Nubia (30 volumi)
L’Autore ci ha fornito un estratto da poter visionare
segue
Incontri, Manifestazioni, Dibattiti Formativi.
LIBRI
Viaggi
Avv. GUALTIERO FISAULI
Da tempo desideravo scrivere dell’Avv. Gualtiero Fisauli, personaggio singolare e complesso: forte la sua personalità ed i suoi sentimenti, lucida la sua intelligenza, profonda la sua cultura e sofferta la sua vita.
Gualtiero Fisauli nacque in Randazzo il 7 dicembre 1870, ultimo di dieci figli del Barone Giuseppe e di Antonina Vagliasindi del Castello.
Molto c’è da dire su quest’uomo, sulla sua vita pubblica e, perché no?, privata, caratterizzata da un forte impegno civile e morale. Pertanto, egli va collocato senz’altro fra i personaggi maggiori della nostra città.
Amante dell’arte, della storia, aperto alle prime curiosità tecnologiche, la sua vita si è mossa attraverso fasi che lo hanno visto ora protagonista sicuro, tenace e dinamico, ora uomo solitario, chiuso nelle sue riflessioni, nei suoi ripensamenti , in una sorta di distacco illuminato di una fede sopravvenuta.
Nell’affermare ciò tengo anche in mente la sua villa-rifugio, in campagna, “Villa Queta” squisita creatura del suo amore per il bello, muta spettatrice dei suoi trionfi, delle scelte osate e di amarezze vissute con grande dignità.
La sua formazione giovanile fu liberal-anticlericale, malgrado gli studi fatti in Torino presso il nostro Istituto di Valsalice che gli permisero di conoscere personalmente il nostro Santo Fondatore, Don Giovanni Bosco.
Mi preme ricordare qui la tenerezza di questo incontro giovanile e la commozione sempre uguale nel ricordarlo.
Siffatta mentalità tardo-ottocentesca improntò la sua esperienza civile e di pubblico amministratore. Ciò è emerso nella reggenza degli affari comunali e in quell’annosa questione dell’Opera de Quatris, che lo vide artefice principale degli interessi civici.
Bisogna anche però onorare l’onestà e l’oculatezza nel maneggio della cosa pubblica e la sottile delusione dell’uomo impegnato che vede, sente e subisce gli ostacoli.
Sono sue queste parole, tratte da una memoria-diario:
“La mia psicosi sviluppata, nei primi anni della vera giovinezza, in mezzo ad idee di grandiosità auto suggestiva, di odii e di rancori personali, di gravi sacrifici pecuniari, di rammarico continuo … conseguenza principale la delusione”.
Ritornerà alla vita pubblica solamente in un momento di emergenza quale fu quello del vettovagliamento del periodo bellico (2° guerra mondiale) allorchè le Autorità Provinciali si valsero di Gualtiero Fisauli quale Commissario Prefettizio del Comune.
Ma se la sua partecipazione civile non fu costante, non fu tale la sua passione per gli studi che coltivò fino alla fine della sua vita. Egli fu veramente un uomo di cultura, come io personalmente, a principio del mio interesse per le cose di Randazzo, avevo potuto constatare. Sapevo infatti che l’unico che nella città aveva affrontato con criteri scientifici tali studi era l’avv. Fisauli.
Mi avvicinai a lui e rimasi veramente impressionato della vastità della sua preparazione: aveva letto e sunteggiato un numero di documenti enorme: manoscritti del Plumari, atti delle famiglie, delle Confraternite delle Chiese ecc. ecc. per cui aveva felicemente affrontato il problema della paleografia.
Le foto sono state gentilmente prestate dalla nipote Angela Fisauli.
Egli fu quindi un appassionato ricercatore delle radici sue e della sua terra, felice di scoprire dati e scritti che potessero far luce sul passato di Randazzo che amò con autentico sentimento.
Mi è doveroso affermare a questo punto per una più limpida comprensione di fatti sopra cennati che anche nella citata vertenza De Quatris, la molla del suo agire fu, più che un superficiale atteggiamento anticlericale, un profondo attaccamento per la sua città e per un problema vivo e persistentemente attuale della stessa: dare ossigeno all’economia del paese.
Amore per Randazzo che egli espresse anche con generosità discreta.
Infatti pochi sanno che se la Chiesa di Cristo Re in Montelaguardia esiste lo si deve a lui. Al fine di permetterne la costruzione, donò il terreno e le suppellettili senza mai farsi vanto di ciò, senza alcuna pubblicità.
Uomo di cultura, abbiamo detto. Esistono nell’archivio di famiglia due preziosi archivi da me ultimamente consultati: le Confraternite in Randazzo e le notizie storiche sulle Chiese parrocchiali di Randazzo. Validissimo è stato anche il lavoro certosino di sunteggiare i “Libri Rossi” delle Chiese e del perduto “Libro dei Privilegi” di Randazzo.
Il ritiro volontario dalla vita pubblica lo vide più impegnato in seno alla famiglia che gli affidò l’amministrazione familiare(1906), dopo la morte del fratello primogenito Benedetto.
E qui si innesta l’altra fase della sua vita piena di fascino e di sorprese: la sua storia privata, le scelte osate e le conseguenze gravi; ineluttabili o volute? Forse entrambi le soluzioni.
L’Avv. Fisauli era nato e cresciuto in una famiglia in cui erano radicate, assieme al raggiungimento di avanzati traguardi economici o al fine degli stessi, dure regole interne, alle quali difficilmente si poteva sfuggire.
Era una mentalità persistentemente feudale sino a tempo recente, che – per altro – aveva improntato l’ascesa economico . sociale della Famiglia Fisauli, comparsa in Randazzo nel sec. XVI allorchè due fratelli (originari di Gangi) Gioan Vincenzo ed Antonino si trasferirono nella nostra Città a seguito del loro matrimonio con due sorelle Romeo, Eleonora e Jacopella.
L’idea del patrimonio presso la famiglia era da generazioni qualcosa che trascendeva la stessa. Ogni evento della famiglia guardava al patrimonio, all’unicità e all’integrità dello stesso. Pertanto, solo il primogenito poteva contrarre matrimonio.
Era la dura e retriva “Legge del Maggiorasco”.
Anche l’Avv. Fisauli era stato cresciuto e nutrito da queste idee, ovvie ed indiscutibili. D’altra parte il rispetto per la famiglia, l’orgoglio del nome erano stati fino allora quasi la sua forza interiore, la sua ragione di esprimersi.
Non a caso ho parlato agli inzi di “Villa Queta”. Infatti, la ratio espressiva di questa poderosa e bella costruzione, immersa in uno stupendo parco di verde, di alberi secolari, di viali incrociantisi, era si rifugio suo personale, ma anche un “inno alla Famiglia Fisauli”.
Dall’iscrizione in lettere gotiche sul frontespizio della Casa: “Quietem ex incunabulorum loco vocaverunt me Didacus et Gualterius Fisauli, quorum memoriam nominis maiorum, gloria et armis aucti, pulchritudine et arte sacro. Opus Vincenti Fisauli 1900”; al famoso salone dove – assieme al “Mito di Amore e Psiche” – sono dipinti (tutta la villa è stata dipinta dal famoso Ciulla) i volti di tutti i familiari che troneggiano li, tristemente complici di una mentalità che di li a poco avrebbe schiacciato il nostro Gualtiero.
Preferisco, a questo punto, riportare un brano della citata memoria: “Io mi ero creato una famiglia, senza vincolo matrimoniale, ed avevo in fatto l’idea, derivata da tutte le precedenti ragioni di tradizione familiare che i miei figli non potessero partecipare alle ricchezze della Famiglia Fisauli come allora non partecipavano al nome nostro”.
Risale a quest’epoca all’incirca il ritorno alla fede, le riflessioni su quali fossero le priorità nella sua vita. La risposta non tardò: Dio e la Famiglia. Scelte osate, abbiamo detto agli inizi!
Ed infatti, essendo l’idea del patrimonio tale anche in lui, pensò di rinunziare ai legittimi diritti sullo stesso.
Ma leggiamo ancora le sue parole: “Accettai quest’ordine di idee, in quanto mi sembrava che non avendo più la mia famiglia di origine a temere per una possibile diminuzione di patrimonio mi sarebbe stato più facile legittimare finalmente i miei figli e sposare la mia compagna”.
Così la scelta della libertà morale ebbe il suo duro prezzo.
Sono pagine tanto belle! Sono lontani i tempi della “vera giovinezza”: la baldanza ha ceduto il passo alla compostezza, l’orgoglio alla dignità, l’agnosticismo alla Fede.
Gualtiero ed Angela Fisauli, dopo aver contratto regolare matrimonio, vissero una lunga vita serena, circondati dall’affetto dei loro figli. “Villa Queta” è ancora oggi piena di nipoti e pronipoti: le vetuste stanze sono gioiosamente popolate di bambini, di vita e di amore.
Prima di chiudere desidero ringraziare il nipote, mio carissimo ex-alunno e tanto vicino a me, Mimmo Fisauli, per le notizie fornitemi e per avermi messo in condizione di approfondire, attraverso la lettura di Diari personali l’aspetto umano ed intimo di suo nonno, uomo tanto da me stimato e tanto vicino alla mia propensione di studioso delle cose della nostra città.
Don Calogero Virzì
STORIA DELLA ” VARA” di Salvatore Calogero Virzì
Invitato a far seguito alla simpatica cerimonia svoltasi con una mia conversazione che si adattasse nello stesso tempo al momento mi è sembrato argomento consono e opportunissimo parlare della ”Storia della Vara”, espressione folcloristica di grande importanza, non solo per la nostra cittadina, che da secoli gode della sua celebrazione, ma anche per tutta la storia del costume della nostra Sicilia.
Essa, infatti, conserva ancora in tutte le sue espressioni un sapore inconfondibile di tempi e di età trascorsi, gelosamente conservato dal multiforme spirito delle innumerevoli generazioni che formano questa nostra cittadina, che vanta momenti di vero splendore nella sua storia e godette di grande importanza nelle travagliate traversie dell’Isola, come in quel periodo di esaltazione nazionale quale fu il “Vespro Siciliano” di cui l’anno scorso, in tutta la Sicilia, si è commemorato, con manifestazioni culturali, il settimo centenario della ricorrenza: 1282-1982.
Tutti sappiamo in che cosa consiste la festa della “Vara”, quali sono i suoi momenti, quali la caratteristiche, ma non tutti conoscono né le origini, ne la sua lunga storia, né quale sia stato lo svolgimento degli avvenimenti che la riguardano lungo i secoli trascorsi ed a noi ricordati da polverosi e marciti documenti d’archivio, che io ho avuto la fortuna di ritrovare ed il coraggio di compulsare, e che oggi mi danno la gioia di riferirne e notizie in questa mia conversazione.
A diradare, in parte, il mistero della situazione della Festa della “Vara”, ci viene in soccorso il ritrovamento di un documento originario che ci fa conoscere la data precisa di una manifestazione che fu l’occasione determinante della nascita della festa della Vara.
La istituzione cioè di una Fiera Franca che doveva celebrarsi nell’ambito del territorio della Chiesa di S. Maria.
La concessione è del 3 Agosto 1476 e fu data dal Re Giovanni d’Aragona: privilegio di grande importanza che rivoluzionò tutto il costume e tutta la vita economica e civile del paese.
Ma è necessario chiarificare in che cosa consiste tale privilegio.
Da tutti si conosce la grande importanza che ebbero la fiere nel Medioevo e l’efficacia economica di tale rilievo che ancora molti paesi, non più per privilegio speciale, ma per tradizione che si è perpetuata nei secoli più lontani della loro storia, ne conservato la celebrazione.
Cosi Mojo, Francavilla, Cesarò, Roccella, Troina, i cui paesi più lontani dell’Isola, e raccolgono animali d’ogni genere in numero veramente impressionante.
RANDAZZO, dunque, ebbe questo privilegio sollecitato dal Clero e dal Procuratore della Chiesa di S. Maria, perché allora era in tali strettezze economiche che non aveva la possibilità di portare a termine i lavori della fabbrica della stessa chiesa ancora, dopo tanti secoli, in costruzione.
Tale privilegio della Fiera Franca, infatti, devolveva una certa tassa da pagare alla Chiesa, mentre i commercianti erano esenti dal pagare le tasse allo stato ed alla dogana del Re.
La Fiera comprendeva il commercio di panni, merci varie e bestiame. Gli animali prendevano posto ad “un tiro di balestra dalle mura” (nel Piano di S. Giuliano, penso); i mercanti di stoffe e generi vari nella Piazza di S. Maria dove l’amministrazione della Chiesa faceva costruire le “logge “, abitacoli provvisori di tavole, da affittare ai vari mercanti per un modico prezzo.
Commercio di primaria importanza era quello della seta grezza, di cui in Randazzo vi era una grande produzione, ricercata dai mercanti palermitani, specialmente, che venivano numerosi, per la sua buona qualità.
A tutte le operazioni di commercio presiedeva di turno per il quale, nel centro del mercato, si alzava una “loggia” su un podio a scalini, sulla quale sventolava la bandiera della Fiera Franca ed in cui prendevano posto l’assessore, il notaio per i contratti da stipulare, il pesatore ufficiale; un congruo numero di guardie prestavano servizio per la Fiera.
La Fiera durava 9 giorni: 4 prima del quindici Agosto e 4 dopo e tutte la Autorità (Sindaco, assessori, giudici, ecc.) dovevano essere presenti alla apertura e chiusura della Fiera Franca, simboleggiata dal grande gonfalone bianco, con in mezzo la immagine della Madonna che veniva innalzato sul pinnacolo più alto del Campanile.
Cerimonia suggestiva cui assisteva tutto il popolo che godeva, acclamava a gran voce la sfilata delle Autorità comunali, vestite con sontuosi paludamenti, che al suono di numerosi tamburi e di “bifferi”, sfilavano solennemente lungo la Piazza Soprana, fino al podio, per loro innalzato, davanti alla Chiesa.
Momento culminante della cerimonia era l’innalzamento del gonfalone, mentre scoppiettavano i mille petardi e suonavano a festa le numerose campane della Chiesa.
Il Privilegio di Re Giovanni coincideva con la “Corsa del Palio”.
Da tutti si conosce, o almeno si è sentito parlare, del ”Palio di Siena” , cioè la gara tra i vari quartieri della città che si disputa la vittoria con una corsa sfrenata di cavalli. A Siena ancora perdura tale manifestazione, diventata tanto famosa per tutta l’Italia; a Randazzo, purtroppo, è morta fin dalla metà del 1700.
In quel tempo le “Corse del Palio” erano una manifestazione famosa in tutta l’Italia e le città più importanti ne godevano il privilegio fin dai tempi remotissimi della Cavalleria Medievale, tanto che ce ne parla perfino Dante nella Cantica dell’Inferno (c. XV 122-123).
Randazzo, città allora di grande importanza, ottenne il privilegio di memorare questa singolare manifestazione che si articolava in cinque gare: corsa dei cavalli, corsa dei giumenti, dei muli, degli asini e dei buoi.
Gli animali che vi concorrevano non erano, almeno nei primi tempi, cioè nei sec. XV e XVI, né pochi né poco efficienti, in numero imprecisato.
Essi correvano la loro corsa a scaglioni, mentre musiche e canti, eseguiti da professionisti chiamati per l’occasione da vari paesi, echeggiavano nella Piazza di S. Maria, all’ombra di quel campanile ornato nella cuspide dallo stendardo della Fiera, che garriva al vento.
A dare il via alla corsa sono le Autorità dal loro palchetto sormontato dalla bandiera bianca.
La gara affannosamente cominciava tra le grida e gli incitamenti dei concorrenti, gli squilli di tromba e gli osanna del popolo: prima i cavalli con le loro bardature trapuntate, poi i giumenti, quindi i muli, gli asini, i buoi.
I vincitori delle varie gare ricevevano in premio delle stoffe pregiate, che cambiavano, nella qualità, secondo le varie gare: damasco d’oro per i cavalli; velluto cremisino per i giumenti; damasco verde per i muli ed un imprecisato “catalubbo” per asini e buoi.
Indagare sull’origine della “Vara”, non è cosa agevole, appunto perché ci mancano i documenti.
Chi, per primo, costruì la “Vara” in Randazzo? Quando e quale fu il primo progetto? Queste sono domande che possono ottenere una risposta solo, all’atto attuale, dalla intuizione storica e dalle deduzioni che si possono ricavare dalle poche notizie che abbiamo.
A mio parere l’invenzione della “Vara” di Randazzo si deve collocare verso la seconda metà del 1500 ed ha una derivazione diretta da quella similare di Messina.
Dagli storici municipali messinesi, quali sono il Bonfiglio e il Gallo, sappiamo che la “Vara” di Messina fu inventata nei primi del 1500.
Quale sia stata l’occasione immediata di questa invenzione, non ci viene da essi riferito ma è chiaro che ebbe derivazione dall’uso dei carri trionfali, allora tanto in auge a Palermo, a Catania e nelle altre città della Sicilia.
Così, dall’uso in Messina di portare in processione la statua della Madonna Assunta su una bardatura cremisi su un cavallo bardo in occasione della Festa del 15 Agosto, per opera di grandi maestri si passò, prima, ad un modesto carro con in alto la statua della Madonna Assunta e poi, man mano, col passare degli anni della prima metà del 1500, ad un carro talmente vistoso che comprendeva ben 500 personaggi ed era alto 50 palmi.
0Fu una tale meraviglia che in occasione del passaggio dalla città dell’imperatore Carlo V, nel 1535, i messinesi lo vollero onorare montando questa meraviglia di carro, che andò incontro all’illustre personaggio che ne rimase ammirato e compiaciuto.
Tappa precedente obbligata del viaggio di Carlo V fu Randazzo, ove arrivò il 18 Agosto del 1535. Egli pare vi si sia fermato per tre giorni, insignì Randazzo del Titolo di “Città”, suscitando tra la popolazione un entusiasmo indicibile e, quindi, partì per Messina, accompagnato da una lunga teoria di nobili della novella città, cioè di Randazzo che, in gran gala, formano un imponente corteo degno di un tanto personaggio, lungo la trazzera regia che attraversava la Valle dell’Alcantara.
I messinesi, come abbiamo detto, accolsero trionfanti il loro Imperatore, con manifestazioni mai viste, giacché per l’occasione gli andarono incontro, sulla via che conduceva al Duomo, due poderosi carri mobili splendenti di ori ed argenti.
Rimasero sbalorditi i componenti del corteo imperiale e tra essi anche i randazzesi che ne facevano parte i quali, a mio parere, recepirono nel loro cuore e nei loro propositi il messaggio che veniva loro da quello spettacolo mai visto.
Perché Messina sì, e Randazzo no?
Anche Randazzo era una gloriosa città. Anche Randazzo celebrava la festa dell’Assunta. Anche Randazzo, e specialmente la Chiesa di S. Maria, avrebbe potuto avere il suo carro trionfale.
Data la posizione economica florida della Chiesa, in seguito alla vistosa eredità di Giovannella De Quatris, che nel 1506 aveva devoluto ad essa i suoi due grandi feudi, si dà mano al progetto e si realizza un carro trionfale alto 18 metri che, in forma sintetica, rappresenti i tre misteri mariani della Dormizione o morte, dell’Assunzione e della Incoronazione di Maria Santissima, prendendo come esempio ispiratore così ci tramanda la tradizione ancora viva – il quadro del Caniglia, ancora esistente nella Chiesa, proprio nella Cappella del Crocifisso, che rappresenta i tre misteri sopraddetti, proprio forma ascensionale con cui sono rappresentati nella “Vara”.
Chi fu il primo inventore ed esecutore del progetto? Nulla sappiamo, solo possiamo azzardare l’ipotesi che sia stato ispiratore e consigliere della costruzione tecnica il grande architetto messinese Andrea Calamech, allora in Randazzo per attendere alla ristrutturazione della facciata della Chiesa di San Nicola, prima, e dell’interno della Chiesa di Santa Maria, poi.
Da ciò che sopra abbiamo riferito, però, possiamo, con forte probabilità, ricavare i termini del tempo della costruzione della “Vara”.
Carlo V venne in Sicilia nel 1535. il quadro del Caniglia porta la data del 1548. Perciò il lasso di tempo in cui fu creata la “Vara di Randazzo” è determinato da queste due date, cioè la metà del sec. XVI, anno più anno meno.
Che il periodo della costruzione sia proprio questo ci viene confermato, inoltre, dal fatto che i documenti più antichi che parlano di essa, uno del cosiddetto “LIBRO ROSSO” e l’altro dell’Archivio, risalgono proprio alla fine del sec. XVI
La struttura originaria della “Vara” sostanzialmente era quella che possiamo ancora ammirare: non si muoveva su ruote ma su scivoli, in un primo momento, e poi, su “rullari”, ed era tirata con entusiasmo da ogni ceto di persone che si prestavano volentieri per devozione, ma anche perché potevano essere avvantaggiati, per la vicinanza, nel salire sulla “Vara”, in occasione della sua spoliazione, per impossessarsi di qualche pezzo considerato preziosa reliquia da porre nei campi e in casa come buon antidoto contro il “malocchio”.
Il montaggio della “Vara” impegnava per mesi tutta la popolazione, operai, rivenditori, artigiani d’ogni specie, perfino boscaioli che dovevano tagliare anno per anno, nel più crudo inverno, e poi lasciarlo stagionare, il tronco della “Vara”, vero supporto portante cui era affidata la vita di tanti bambini e che in tutti i quattro secoli della esistenza della “Vara” cedette solo una volta, alla metà del sec. XVIII.
Col passare degli anni, affidata come fu, nella sua realizzazione strutturale, ad abili maestri ed artigiani, essa subì trasformazioni d’ogni genere e si ingrandì talmente che nel suo passaggio per la “Piazza Soprana” scuoteva pericolosamente le case.
La processione, come ai tempi nostri, si svolgeva lungo l’attuale Via Umberto sia perché era la strada principale ed era pianeggiante, e sia ancora perché, prospicienti ad essa, sorgevano i tre Monasteri di Benedettine (Santa Caterina, S. Giorgio, S. Bartolo), monache di clausura, che attraverso le fitte grate potevano seguire il suo svolgimento.
Alla semplice processione della “Vara”, col passare del tempo, si aggiunsero due altre manifestazioni di grande momento: il carro trionfale e la cavalcata.
La “Cavalcata” era una lunga teoria di cavalieri cui prendevano parte tutti i giovani più nobili della città che, all’occasione, sfoggiavano vistosi costumi alla spagnola dai molti colori, ricchi di trine e di ornamenti preziosi, che, su focosi cavalli, avanzavano accompagnati da alabardieri e scudieri, al seguito del signifero o portatore del gonfalone della città.
Precedeva la processione vera e propria, il “Carro Trionfale”, sontuoso podio mobile su cui prendevano posto i personaggi più importanti della festa e della città: le autorità, i suonatori, i cantanti, ecc.
La festa così diventò sempre più sontuosa, specialmente da quando la sua organizzazione fu assunta dall’Opera De Quatris (1676), che sopperì alle enormi spese richieste dall’illuminazione con accorgimenti speciali della Piazza Soprana, dal Campanile, della Facciata della Chiesa e all’addobbo di tutto l’interno della Chiesa che, in un anno particolare, richiese tanti drappi che per portarli da Linguaglossa, patria dell’impresario, richiese l’impiego di numerosi carri, dai fuochi pirotecnici.
Così la Festa della “Vara” diventò un momento di tripudio popolare in quel mese di Agosto assolato, in cui finalmente le braccia posavano dal lavoro dei campi ed i cuori speravano nel prossimo raccolto delle vigne.
Così la festa si svolse per secoli: nel 1600 non saltò un anno, nonostante la grossa spesa che comportava (onze 95).
La prima metà del 1700 incrementò la fiera, il Palio e la festa in sé, ma, col maturare degli anni nella seconda metà cominciarono a sorgerei primi contrasti esterni ed interni, che avviarono il tutto verso un deprecabile tramonto.
Gravissimo il contrasto con il vicino comune di Roccella Valdemone, detto allora “Roccella di Randazzo”, che durò per ben un secolo e mezzo e che concorse al declino della Fiera Franca, la Chiesa si premurò di avere altre concessioni, tra le quali quella che proibiva ai comuni viciniori entro trenta miglia, di celebrare fiere nel medesimo tempo in cui la celebrava Randazzo.
Ed ecco i fatti.
Ottenuto Randazzo da Re Giovanni il Privilegio della Fiera Franca, la Chiesa si premurò di avere altre concessioni, tra le quali quella che proibiva ai comuni viciniori entro trenta miglia, di celebrare fiere nel medesimo tempo in cui la celebrava Randazzo.
Le cose andarono bene per oltre un secolo e mezzo.
Tutti i paesi circonvicini erano dipendenti dal Capitano di Giustizia del Valdemone, che risiedeva a Randazzo e pertanto, volenti o nolenti, dovettero sottomettersi a scanso di rappresaglie.
Ma, col passare degli anni, il Capitano di Giustizia si trasferì a Barcellona e così non ci fu, per detti paesi, il pericolo delle temute rappresaglie e Roccella si ribellò all’imposizione e così, forte dei suoi diritti giusti o pretesi, in barba a tutti i privilegi che vantava Randazzo, celebrò la sua festa e la sua fiera dall’11 Agosto al 22, proprio nel tempo riservato alle celebrazioni randazzesi.
Il primo documento in nostro possesso, che ci parla della vertenza, è del 22 Aprile 1655 ed è un richiamo del Tribunale del Real Patrimonio ai roccellesi perché smettano di celebrare la loro festa e la loro fiera nel tempo riservato alla fiera di Randazzo.
Ma i roccellesi, sostenuti da non chiari documenti a loro vantaggio, dai loro potenti feudatari e da esperti avvocati, per anni ed anni, non si diedero per intesi, anzi presero tanto coraggio che, illegalmente, trasformarono la loro piccola fiera “pro maestri scarpari, frondinari e cacinari”, cioè di piccole mercanzie, in grossa fiera di animali.
Le vicende si susseguirono serrate su questa linea di acceso contrasto dall’una e dall’altra parte, per anni ed anni, con continui ricorsi ai Tribunali, che facevano la voce grossa, ma che non avevano la volontà dagli alti personaggi che proteggevano i roccellesi, che in tutte le controazioni randazzesi, come afferma il documento, non “volsero” ubbidire, anzi arrivarono al punto, avendo Randazzo mandato come messo un certo Francesco Paccione di 15 anni, inviato con intento così giovane perché, edotto dai fatti precedenti, si temevano delle violenze e giustamente si pensava che i roccellesi non avrebbero avuto il coraggio di infierire contro un ragazzo.
Ed ebbero ragione, perché il povero giovane se la vide brutta.
Egli, infatti, aveva l’incarico di notificare alle Autorità roccellesi le decisioni del Tribunale, che comandava loro di sospendere le celebrazioni della Fiera e li condannava a pagare i danni ed una grossa multa.
Non avesse mai comunicata la cosa, il povero messo perché, come egli stesso, ancora terrorizzato, riferì, scampò per un miracolo alla furia omicida di quel popolo inferocito: “ci visti fari a tutti di quel popolo etiam a femmini una conturbata grande… che voliano abbrugiare i randazzesi e, se non avesse stato picciotto lo voliano…appendere ad un albero e tagliare a mezzo…”.
Ma intanto altri contrasti più gravi, purtroppo, maturarono in seno alla comunità randazzese, che fecero dimenticare e trascurare i contrasti con Roccella, dando agio a quest’ultima di consolidare i suoi pretesi diritti: contrasti tra Autorità civiche e Autorità ecclesiastiche della Chiesa di S. Maria che, con alterne vicende, si trascineranno fino alla fine del sec. XVIII e che determineranno, per parte loro, il tramonto di questa grande istituzione che aveva procurato per diversi secoli tanta fama alla città e aveva apportato tanto benessere economico alla popolazione.
Ma andiamo con ordine esponendo i fatti e denunziando gli errori.
Malanimi, prepotenze, egoismi, competizioni personalistiche, invidie furono le cause del disastro non solo da parte dei responsabili ma anche dei signorotti del tempo, arbitrariamente protesi verso le prepotenze.
Non è questa una affermazione arbitraria mia perché è confermata da documenti inconfutabili e da esempi che mi permetto di riferirvi, solo qualcuno fra tanti.
E’ del 1765 la persecuzione del Capitano di Giustizia della Città contro mastro Francesco Emmanuele, impresario della “Vara”. La ragione? L’Emmanuele aveva litigato con un servo del Capitano. Solo l’aiuto e intervento del clero della Chiesa impedì il peggio.
Altro caso indicativo è quello di un assessore che fa mettere in carcere i giocolieri che avevano vinto due grani al figlio suo.
Casi questi caratteristici del clima che regnava in città, ma ben altri più gravi turbarono l’armonia della festa e della città.
La legge dava ai Giurati il diritto di imporre alle merci la meta, ed era costume, per accertarne la genuinità, da fare dei prelievi.
Nulla da eccepire! Ma perché doveva essere il solo degli assessori incaricato ad usufruire di questo diritto e privilegio e non tutti e quattro i Giurati?
E così, ecco, tutti i giurati, sindaco guardie e chiunque vantasse un briciolo di autorità, darsi da fare a rilevare prelievi a man salva con quanta gioia da immaginarsi dei vari commercianti!
Singolare il caso di un rivenditore di vetrerie, cui vengono prelevati, a titolo di mostre, i quattro più bei pezzi che aveva. E ancora più banale il caso di un rivenditore di “calia” a cui ne vengono richiesti, sempre a titolo di mostra, ben due mondelli.
Ben più gravi erano poi gli arbitri perpetrati dal Giurato preposto nella compilazione dei contratti, richiedendo indennizzi, ricompense arbitrarie, e spesso perpetrando prepotenze ed ingiustizie.
I commercianti ed i forestieri ne rimanevano sconcertati. I Procuratori della Chiesa reagivano, tempestando di esposti le Autorità centrali che intervennero con provvedimenti non piacevoli alle Autorità Comunali: così viene loro tolta la facoltà della meta alle merci. Indi ire e ripicche.
Usurpano il diritto di suonare il campanello nella processione.
Il clero reagisce e allora le autorità cittadine si intromettono con prepotenza nella assegnazione delle logge. Continuano le reazioni e naturalmente continuano prepotenze ed usurpazioni.
Sono in verità deludenti pettegolezzi di paese, ma incisero tanto nel buon andamento della Fiera e della Festa che allontanarono, anno per anno, forestieri e commercianti.
Infatti, è del 1770 l’assenteismo quasi completo dei mercanti alla Fiera.
Nel 1782 i disordini suscitati dai contrasti tra autorità religiose e comunali, tra gli stessi membri municipali per gelosie personali e irriducibili competizioni, sono così gravi, che il Governo Centrale, dietro denunzia dei Procuratori della Chiesa, ridusse i giorni della franchigia della Fiera da nove a tre.
La reazione dei Giurati non tardò a farsi sentire perché in risposta tentano addirittura di fare abolire la Fiera Franca di S. Maria a vantaggio della Fiera di San Giovanni.
Ma se per il momento non ci riuscirono, hanno in serbo un colpo decisivo.
Il colpo maturò nel 1794, anno in cui, col capitale maturato con la stessa tassa sulla carne, si pensa di pavimentare la “Piazza Soprana” con lastroni di basalto e contemporaneamente si avanza la proposta di abolire il passaggio della “Vara” così pesante da scuotere le case e consentire il lastricato.
La proposta suscita un immaginabile stupore e le proteste più violente da parte del clero e della popolazione tutta, ma il Consiglio Civico è tutto concorde e si abolisce la Festa, con immenso danno economico.
Né Palio, né Fiera risorgeranno mai più.
Troppo tardi si accorgono del danno che si è recato alla città.
Gli esposti di tutti i ceti della popolazione si avanzano incalzanti al Governo, all’Amministratore della Opera de Quatris, al Re.
Il popolo soprattutto è tanto inquieto da far temere violenze pubbliche perché nella abolizione della processione della “Vara” vede la ragione di tante cattive annate per il raccolto: “i castighi di Dio – dice un esposto al Re firmato da centinaia di persone – in questi anni non sono stati pochi: “grandine mai vista, terremoti, piogge eruttive, effusioni di ceneri vulcaniche” che tutto hanno brugiato…”.
Finalmente dopo tante insistenze esposti e pressioni nell’Agosto del 1815, 21 anni dopo, si ripristina la Festa della Vara, ma non il Palio.
Esso è morto verso la fine del secolo precedente, in quel periodo di contrasti.
Si riprende a celebrare la Fiera, ma con tanta fiacchezza che, non favorita dagli avvenimenti politici del principio del sec. XIX e dalla cessata produzione della seta, man mano andò esaurendosi fino alla completa estinzione.
Solo verso la metà del secolo, dopo vari tentativi e progetti di cui possediamo anche i disegni estrosi e irrealizzabili, si pensò alla riforma della “Vara”, in conformità alle proposte di alleggerimento di tutto l’apparato, avanzata dalle Autorità che avevano concesso la ripresa della Festa.
E così, tra alti e bassi, dovuti in gran parte ai momenti politici del tempo e ai momenti di disaccordo insanabile per la divisione dei beni dell’Opera de Quatris, si è perpetua fino ai nostri tempi e costituisce ancora il vanto e l’espressione più caratteristica della città.
Dico fra alti e bassi, perché ancora parecchie volte, per ragioni estranee alla volontà dei responsabili, ha dovuto essere sospesa, come in occasione del colera nel 1911, delle due guerre mondiali, la seconda delle quali così furibonda e funesta per il paese che solo nel 1962, quando in parte erano risanate le ferite inferte alla città dai feroci bombardamenti a tappeto del Luglio-Agosto 1943, potè con gioia di tutti essere ripristinata.
Essa è diventata ormai non soltanto una festa religiosa, ma una somma di manifestazioni che raccoglie aderenti in tutti i campi del progresso moderno: pittorico, sportivo, culturale, musicale, dando, purtroppo, a tutta la manifestazione piuttosto un aspetto mondano promosso dallo spirito moderno proteso verso altri valori che quelli della fede.
Essa è diventata un’occasione per evadere dalle preoccupazioni della vita ed una ricerca di obliterazione delle cure presenti senza quell’anelito spirituale che fu la molla di propulsione dei vecchi cittadini del sec. XVI.
Ora, infatti, si è tolto l’uso di collocare sul Carro Trionfale, ai piedi del fercolo, le sante reliquie, né il clero procede, come una volta, in abiti liturgici, mentre il suo posto è preso da squadre di sbandieratori vestiti alla medievale che, allo squillo di lunghe trombe ed al rullo di grossi tamburi, fanno piroettare le loro variopinte bandiere dai molti simboli, da teorie di danzanti majorettes, da sfilate storiche come il Corteo di Carlo V, ultimo Imperatore che dimorò a Randazzo e “dulcis in fundo”, da prestigiosi cantanti che salassano il bilancio della festa per allietare con le loro trite e ritrite canzonette, urlate senza grazia, accompagnate dagli strumenti rumorosi del jazz, gli esaltati animi della gioventù moderna che in essi vedono i loro nuovi santoni.
Ma la “Festa della Vara” è sempre, e per sempre rimane, un atto di fede del popolo e una testimonianza di quella civiltà cristiana che ha civilizzato i popoli, imprimendo nel loro cuore quelle virtù che fecero grandi i nostri padri e che sono sempre, anche in mezzo alle deviazioni moderne ed ai disastri terroristici del tempo, l’anelito del mondo e il miraggio dell’uomo onesto.
Un pregevole depliant sulla storia della “VARA” a cura di Ettore Palermo ed edito dalle Grafiche PALERMO di Randazzo
Un depliant del 1973
Il parroco don Domenico Massimino sulla festa dell’Assunta: “Profonda la devozione dei Randazzesi a Maria”
Quella del 15 agosto si è trasformata in una festa laica, ma i cattolici, non dimenticano il suo primo e autentico significato: celebrare l’assunzione di Maria Vergine in cielo. Per parlare di questo, abbiamo intervistato il parroco della Basilica di Santa Maria di Randazzo, padre Domenico Massimino, fine teologo oltre che sacerdote sempre dedito alla parrocchia.
– Padre Domenico, la Vara, il 15 agosto, mette in scena l’Assunzione di Maria al cielo. Ci spiega in parole povere cosa significhi questo?
“L’Assunzione sta a indicare come, pur essendo Maria morta, esattamente come moriamo tutti noi esseri umani, Gesù compreso, il suo corpo non abbia conosciuto la corruzione del sepolcro, la decomposizione. Maria è stata infatti assunta in cielo nell’interezza dell’identità umana, fatta di anima e corpo. Per la Chiesa ciò che è accaduto a Maria è ciò a cui andremo incontro tutti. Lo scopo della nostra vita terrena, ciò che le conferisce un senso è arrivare a questa risurrezione di vita. La resurrezione di vita comprende l’anima, che non muore mai, e il corpo. Per noi è impossibile immaginarci al di fuori dalle due categorie che conosciamo nella vita terrena: spazio e tempo. Eppure è questo che accadrà nella resurrezione di vita, o per esemplificare, nel Paradiso”.
– Perché la Madonna ha conosciuto immediatamente questa resurrezione di vita, essendo stata l’unica al di fuori di Gesù Cristo?
“L’esistenza terrena di Cristo è legata in maniera speciale a quella di Maria. Maria non ha conosciuto mai il peccato. La morte è l’espressione del peccato. Non avendo conosciuto peccato, Maria non ha sperimentato la corruzione del sepolcro. La sua, infatti, non è nemmeno da considerarsi una morte, ma è chiamata dalla Chiesa “dormizione”. Qui in Basilica abbiamo un quadro bellissimo di Giuseppe Velasquez, pittore palermitano vissuto tra il ‘700 e l’ 800. Egli raffigura il ritrovamento del sepolcro vuoto di Maria, da parte degli apostoli. Si tratta di un episodio narrato solo dai Vangeli apocrifi, che il quadro descrive in maniera perfetta: una parte degli apostoli volge lo sguardo al sepolcro vuoto, la rimanente parte volge lo sguardo al cielo. Non si tratta di due sguardi, ma di un unico sguardo, lo sguardo della Fede, che coglie i segni, ma va oltre”.
– Quando è diventato dogma l’Assunzione di Maria?
“ Nel 1950, sotto Papa Pio XII. Un dogma è una verità alla quale bisogna credere necessariamente se ci si professa cristiani. Non è che prima di quella data non si credesse all’Assunzione della Madonna. Al contrario, infinite sono le testimonianze, prima fra tutte la consacrazione di numerose chiese alla Madonna Assunta, che ci dimostrano come, a livello popolare, fosse già radicata la venerazione della Madonna Assunta. Quando parlo ai ragazzi io faccio sempre un esempio per spiegare loro il significato di dogma. Il dogma è come un indumento che hai in valigia, ma che non sai di avere. Nel momento in cui lo cerchi, scopri di averlo. Non si è materializzato nel momento in cui lo trovi, chiaramente è sempre stato lì, solo che prima non si era manifestata l’esigenza di cercarlo”.
– Crede che la Vara aiuti a ricordare il vero significato del 15 agosto, o che, al contrario, l’aspetto folkloristico che ha assunto, e che è proprio a tutte le feste, possa distrarci dal significato cattolico?
“Innanzi tutto, esiste, per celebrare la Madonna Assunta, un momento di assoluto raccoglimento in preghiera: è la Messa solenne del 14 pomeriggio, concelebrata da tutti i sacerdoti di Randazzo e presieduta da un Vescovo (quest’anno sarà monsignor Giombanco, vescovo di Patti). Questa Messa è seguita da una processione intima, intensa, partecipata dal paese e da tutte le confraternite”.
“La Vara rientra senza dubbio nelle manifestazioni folkloristico-religiose. Il folklore religioso, però, non è di per sé negativo. Gesù, Dio incarnatosi, ha parlato una lingua specifica, ha vissuto tradizioni, usi e costumi tipici del tempo e del luogo in cui ha vissuto. Certe feste folkloristico-religiose ci presentano i contenuti della fede cristiana in modalità tipiche di una certa cultura e tradizione.
La Vara dà il senso della verticalità, costituisce una sfida all’uomo prigioniero dell’orizzontalità di vita, incapsulato in una visione riduttiva rispetto al senso della vita.
La Vara induce l’uomo a guardare in alto, verso il cielo, fino a trovare l’aggancio che dà senso pieno, globale, eterno, al suo vivere sulla Terra”.
Annamaria Distefano
Elenco pubblicazioni di Autori Randazzesi
Titolo | Autore | Editore | Note | |
Detti Sentenze Proverbi Storielle Modi di Dire Anedotti e Usanze Siciliane Un Viaggio nell’Universo Randazzese |
Maristella Dilettoso | Armando Siciliano Editore 2008 |
Introduzione. “Questo lavoro è nato quasi per gioco, appuntando proverbi e modi di dire, man mano che tornavano alla mente, o che si sentivano citare, a casa o fuori, a proposito o a sproposito, così, tanto per la mera curiosità di sapere quanti ne possedevamo…” |
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Un Beato che Unisce Randazzo e Montecerignone |
Maristella Dilettoso |
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Randazzo La Cassino di Sicilia Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto e danneggiato negli anni della seconda guerra mondiale |
Lucia Lo Presti |
Il Convivio Editore via Pietramarina-Verzella, 66 Castiglione di Sicilia febbraio 2016 |
“….essere a conoscenza di quel patrimonio che non esiste più significa ricostruire una parte della nostra memoria collettiva; scoprire le bellezze che l’architettura e l’arte ci avevano regalato e che la guerra ha cancellato.” L’autrice |
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Le Confraternite di Randazzo nella storia e nel diritto ecclesiastico |
Francesco Fisauli | Edizioni Greco | ||
Randazzo Segreta Astronomia, Geometria Sacra e Misteri tra le sue pietre |
Angela Militi | Gruppo Editoriale srl Acireale settembre 2012 |
Sin dalla sua comparsa sulla Terra l’uomo ha sempre avuto un legame particolare con il cielo e le stelle; fin dai tempi più remoti esso per il bisogno Profondo di unire la Terra con il Cielo ha edificato i suoi edifici sacri a immagine della volta celeste, dando inizio a una “religione stellare”. A.Militi |
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L’epigrafe della Basilica Minore di Santa Maria in Randazzo. Esegesi di una data |
Angela Militi | Litostampa Veneta s.r.l. Venezia-Mestre dicembre 2010 |
Presentazione Questo lavoro non si propone di fare esibizione di eloquenza, ma nasce dall’esigenza di fare chiarezza sulla data riportata nell’epigrafe di una delle due lapidi della basilica minore di Santa Maria di Randazzo, riguardante l’edificazione della stessa. A.Militi |
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Orazione Funebre per Ferdinando
1. Re del Regno delle Due Sicilie |
Giuseppe Plumari | |||
La felicità politico-cristiana Omelie dell’uomo | Giuseppe Plumari | |||
Gli Ultimi Giorni di Don Piddu e altri racconti Siciliani |
Giuseppe Severini | Armando Siciliano Editore | ||
RANDAZZO una città medievale |
SALVATORE AGATI | GIUSEPPE MAIMONE EDITORE |
(Sintesi molto documentata sull’evoluzione storica, artistica e sociale del paese, notevole l’iconografia a colori e in bianco e nero). |
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NEI GIORNI DEL CROLLO | ANTONIO PETRULLO | Editrice Ciranna – Roma | Prefazione di Arnaldo Di Serio | |
RANDAZZO E LA VALLE DELL’ALCANTARA | FEDERICO DE ROBERTO | Istituto di Arte Grafiche Editore – Bergamo 1909 |
147 Illustrazioni e 1 Tavola | |
Breve Guida Attraverso i Monumenti Artistici della Città di Randazzo | DON SALVATORE CALOGERO VIRZI’ | Scuola Salesiano del Libro | ||
Alcantara:
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DON SALVATORE CALOGERO VIRZI’ | Plurigraf | Totalmente illustrato con 105 foto a colori | |
Randazzo e il suo Territorio: storia, arte, turismo, paesaggio e natura incontaminata |
VINCENZO CRIMI | Grafiche la Rocca Riposto |
…un intrigante viaggio attraverso il territorio naturalistico di Randazzo, passando per i tesori artistici e culturali che esso custodisce. | |
Sogni Vissuti e Figurati Verso un Dinamismo Cosmico |
NUNZIO TRAZZERA | Litografia Bracchi Giarre Maggio 2008 |
Profilo dell’Autore e catalogo con Opere di Pittura e Scultura Cosmico Dinamiche. | |
Via Crucis Cosmico-Dinamico | NUNZIO TRAZZERA | Il Convivio Editore marzo 2016 |
Via Crucis con a lato poesie di: Salvatore Agati Alessandra Di Stefano Rosanna Gulino Mario Gullo Angelo Manitta Giuseppe Manitta Ivana Trazzera. |
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Paesi di Sicilia RANDAZZO |
Don Salvatore Calogero Virzì | |||
Il Metodo Educativo Salesiano L’Eredità di Don Bosco |
Don Gino Corallo Salesiano |
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ERESIA (La bancarotta della lotta di classe) |
TOMMASO VAGLIASINDI (1866/1929) |
Cav Nicolò Giannotta Editore Libraio della Real Casa Catania 1923 |
Polemica Epistolare con Filippo Turati | |
CONOSCERE RANDAZZO Storia, arte, natura, tradizione. |
Istituto Paritario San Basilio con la partecipazione della Scuola paritaria Santa Caterina |
Stampe. Full Service Randazzo |
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I Piaceri della conversazione | GIUSEPPE GIGLIO | Salvatore Sciascia Editore | Da Montaigne a Sciascia: appunti su un genere antico | |
Guida Turistica alla CITTA’ DI RANDAZZO cenni storici, itinerario artistico, tradizioni. |
Agnese Castorina coadiuvata da: Maristella Dilettoso Giuseppe Portale Marcello Proietto di Silvestro |
Edi.Bo. s.r.l. di Catania maggio 2002 |
Guida Turistica di Randazzo in Italiano ed Inglese | |
FLORA, FAUNA E ASPETTI NATURALISTICI DEL TERRITORIO DEL GAL ETNA | VINCENZO CRIMI | |||
FLORA, FAUNA E ASPETTI NATURALISTICI DEL TERRITORIO DI BRONTE | VINCENZO CRIMI | |||
UN POETA AUTORE- CANTAUTORE POVERO E SCONOSCIUTO POESIE |
SALVATORE SGROI | MA.GI. Editore Patti Dicembre 2016 |
Associazione Teatro-Cultura “Beniamino Joppolo” Patti Poeti della Misericordia |
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CITTA’ di RANDAZZO GUIDA AL MUSEO CIVICO DI SCIENZE NATURALI |
RANDAZZO NOTIZIE n.28 – febbraio 1989 AUTORI VARI |
Tipolitografia F.lli Zappalà Gravina di Catania 1989 |
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PROMETEO AL CIBERMONDO | MARIA PIA RISA | Bonanno Editore luglio 2010 |
Formazione e Società | |
TONI delle ANTENNE |
MARIO SCALISI | E-QUA EDITRICE |
Nascita e sviluppo delle televisioni commerciali.Da “mani pulite” a Berlusconi: il dilemma politico e morale dei cattolici italiani, fra romanzo e realtà. |
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IL CASTELLO DELLA CITTA’ DI RANDAZZO Studio storico-artistico. 1960 |
SALVATORE CALOGERO VIRZI’ | Tipografia Galatea Acireale ottobre 1996 |
A don Salvatore Calogero Virzì nel decimo anniversario della sua scomparsa. 21° Distretto Scolastico Randazzo |
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MARIA Madre di Misericordia “Sotto il tuo manto c’è posto per tutti” |
ANTONINO GRASSO | Edizioni Segno marzo 2016 |
Un libro che risponde in modo chiaro ai tanti perché su Maria. | |
Apparizioni, malati e guarigioni a LOURDES | ANTONINO GRASSO | Edizioni Segno aprile 2015 |
La “prodigiosa” guarigione di Delizia Cirolli il “miracolo” n.65 di Lourdes riconosciuto dalla Chiesa | |
L’OINOCHOE COL MITO DEI BOREADI (Il gioiello del Museo di Randazzo) |
SALVATORE AGATI | Tringale Editore Catania Ottobre 1982 |
Pregevole presentazione di Don Salvatore Calogero Virzì | |
LE CONFRATERNITE di RANDAZZO nella storia e nel diritto ecclesiastico |
FRANCESCO FISAULI | Edizioni Greco 2007 |
Origine, Scopo, Patrimonio | |
LA MAMMA DEI SACERDOTI | GIUSEPPINA DILETTOSO VAGLIASINDI (da religiosa, suor MariaAddolorata) e curatori anonimi. |
Legatoria Industriale Siciliana dicembre 1994 |
Storia della Fondatrice dell’Opera Betania Ancelle di Gesù Sacerdote | |
RANDAZZO IERI E OGGI IMMAGINI A CONFRONTO |
ANTONINO PORTARO | EUROSELECT – Roma 2014 |
Un suggestivo viaggio a ritroso nel tempo attraverso le foto d’epoca | |
RANDAZZO 17 GIUGNO 1945 ANATOMIA DI UNA STRAGE |
SALVO BARBAGALLO | “EDIGRAF” Maggio 1976 |
Associazione Nuovo Mondo Teatro “ERWIN PISCATOR” | |
LA UMANA COMMEDIA | ALFIO PETRULLO | Editrice – Mondo Letterario marzo 1969 |
A Mò Di Prefazione “L’abuso della forza dell’ingegno, che torna ad oppressione morale degli ignoranti, va legalmente represso, con non minore fermezza che l’abuso della forza materiale a danno dei deboli”. |
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STORIA – ARTE – FOLKLORE in RANDAZZO – CASTIGLIONE – LINGUAGLOSSA |
SALVATORE CALOGERO VIRZI’ Salesiano |
Tipolitografia F.lli Zappalà Gravina di Catania gennaio 1985 |
21^ Distretto Scolastico Randazzo Assessorato Regionale ai Beni Culturali e alla P.I. |
|
RANDAZZO e le sue opere d’arte Volume II |
SALVATORE CALOGERO VIRZI’ Salesiano |
Tipolito Dell’Erba Biancavilla maggio 1989 |
21^ Distretto Scolastico Randazzo Assessorato Regionale ai Beni Culturali e alla P.I. |
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Patrimonio Artistico e Culturale di Randazzo Castiglione di Sicilia Linguaglossa |
Salvatore Agati Angelo Manitta Antonio Cavallaro |
“La nuova Grafica” di Proietto Antonio settembre 1997 |
21^ Distretto Scolastico Randazzo Assessorato Regionale ai Beni Culturali e alla P.I. |
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STORIA Della Città di RANDAZZO |
Sac. Salvatore Virzì Salesiano |
Tipografia Pantano Messina 1972 |
Presentazione “La seguente pubblicazione, in edizione ridotta, è destinata prevalentemente ai giovani delle scuole, perchè possano apprendere, fin dai loro primi anni nelle aule scolastiche, la storia della loro cittadina, amarla ed apprezzarne le cose belle e antiche che ancora conserva”. |
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RANDAZZO e il MUSEO VAGLIASINDI |
PIETRO VIRGILIO | Catania 1969 | Introduzione “Questo nostro lavoro vuole avere lo scopo di far sentire una voce amica di incoraggiamento e di sprono alle nostre Autorità affinchè operino in modo effecace, concorde e razionale per riportare Randazzo nel ruolo che le compete, ripristinandone l’intero suo patrimonio artistico e attivandone validamente il turismo”. |
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ETNA UN VULCANO UNA CIVILTA’ |
S.Agati – M.La Greca – G.M.Licitra – P.Maenza – A.Messina – R.Romano – G.A.Ronsisvalle – E.D.Sanfilippo – G.Sperlinga. | Giuseppe Maimone Editore Catania marzo 1987 Amministrazione Provinciale di Catania |
Storia del vulcano Etna, le eruzioni, le grotte, il paesaggio vegetale, la fauna, il paesaggio antropico, il parco, i vini, i castelli, i miti. | |
VI RASSEGNA DI POESIE DIALETTALI “Versi e parole nelle parlate galloitaliche di Sicilia” |
Introduzione Vito Claudio Dilettoso Prefazione Domenico Di Martino |
Proloco Randazzo UNITRE sez. Randazzo dicembre 2010 |
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VII RASSEGNA DI POESIE DIALETTALI “Versi e parole nelle parlate galloitaliche di Sicilia” |
Introduzione Vito Claudio Dilettoso Prefazione Domenico Di Martino |
Proloco Randazzo UNITRE sez. Randazzo dicembre 2011 |
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LA CONCIMAZIONE DEGLI ORTAGGI: per l’orticoltura della Sicilia |
GUSTAVO VAGLIASINDI | Società anonima Arte della Stampa Roma 1 gennaio 1937 |
A cura del Comitato Nazionale per l’incremento delle concimazioni. Roma |
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PIANTE DA PROFUMERIA | GUSTAVO VAGLIASINDI | Francesco Battiato-Editore via Androne, 48 Catania 1913 |
Biblioteca d’Agricoltura ed Industrie Affini | |
CALENDARIO DELL’ORTOLANO | GUSTAVO VAGLIASINDI | Cassone Carlo Tipografia
Casale Monferrato |
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LA CHIESA DI SANTA MARIA DI RANDAZZO | SALVATORE CALOGERO VIRZI’- SALESIANO | Supplemento al “Randazzo Notizie” n. 10 agosto 1984 |
” Nel ricordo di mio fratello Vito col rimpianto di un grande affetto immaturamente stroncato”. Don Virzì |
|
PER L’INCREMENTO DELLA NOSTRA FLORICOLTURA | GUSTAVO VAGLIASINDI | Nicola Zanichelli Editore Bologna 1920 |
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ORTICOLTURA E GIARDINAGGIO | GUSTAVO VAGLIASINDI | Editore ETNA gennaio 1939 |
Manuali tecnici per i corsi di Istruzione Professionale ai Rurali. | |
POESIE -PREGHIERE da San Francesco ad oggi |
MARIA PIA RISA | Editore AGORA’ | ” E’ una raccolta antologica di poesie-preghiere scritte dal ‘200 ai giorni nostri, che abbraccia ben oltre otto secoli; composta da 209 poesie-preghiere, 58 autori, per un totale di 360 pagine.” | |
Una Vita dedicata a Randazzo: Salvatore Calogero Virzì e le sue opere |
SALVATORE AGATI | Edito a cura del Comune di Randazzo in occasione del conferimento della Cittadinanza Onoraria ( 2 febbraio 1979) 10 agosto 1979 |
“Una carrellata attraverso gli scritti di don Virzì sintetizzando le opere e citandole alla lettera quanto più è stato possibile”. | |
“AL QUA’NTARH” La valle incantata |
VINCENZO CRIMI | Azienda Regionale Foreste Demaniale Regione Siciliana |
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“RAHAB” |
VINCENZO CRIMI | Azienda Regionale Foreste Demaniale Regione Siciliana |
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MARIA MADRE DELLA SPERANZA | ANTONINO GRASSO | Donna di Legalità | ||
MARIA di NAZARETH | ANTONINO GRASSO | Saggi Teologici | ||
Associazione Turistica Culturale I Venti di EOLO UN’IDEA CHE CRESCE |
Autori vari partecipanti al concorso “GIOVANI SCUOLA CITTA'” |
Realizzazione: Beppe Petrullo Daniele Sindoni Tipolitografia A.La Rocca Giarre – giugno 1992 |
“L’Associazione Turistico Culturale “I Venti di Eolo” fondata nel gennaio 1991 è apolitica, non ha scopo di lucro ed ha per oggetto la divulgazione della storia, della cultura e della bellezze architettoniche di Randazzo, mediante pubblicazioni di libri, periodici, l’organizzazione di conferenze e promozione turistica”. |
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Il Sogno dei FARAONI NERI Alta Nubia: Una terra tra due imperi |
MAURIZIO DAMIANO-APPIA | Editore GIUNTI | ||
Dizionario enciclopedico dell’antico EGITTO e delle civiltà nubiane |
MAURIZIO DAMIANO-APPIA | Mondadori | ||
Randazzo Città d’Arte Guida turistica della città |
Maristella Dilettoso | A cura del Comune di Randazzo | La documentazione fotografica è della Cooperativa “Cooptour EtnaMare”. |
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Istituto Tecnico Commerciale Statale “ENRICO MEDI” di Randazzo DIECI ANNI DI VITA 1971/72 – 1981/82 |
Prof. Salvatore Pappalardo Presidente Comitato di Redazione |
Galatea Editrice 1982 |
Articoli di: Santo Di Guardi Giuseppe Alessi Vincenzo Foti Gerardo Fisauli Maria Albanese Paolo Parlavecchio Salvatore Calogero Virzì Salvatore Agati |
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ERESIA ? (La bancarotta della lotta di classe) |
TOMMASO VAGLIASINDI 1866/1929 |
Cav Nicolò Giannotta – Editore Libraio della Real Casa Catania 1923 |
Appendice Polemica Epistolare con Filippo Turati. |
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ESTATE RANDAZZESE A VARA Il carro trionfale dell’Assunzione |
ETTORE PALERMO | Edito a cura della Grafiche Palermo RandazzoVia Roma 48 – tel.921120 |
Un gioiellino sui festeggiamenti di Ferragosto Dipinti di:Maristella Dilettoso Gloria Rasano Elio Fallico Foto Andrea Salvatore Lazzaro |
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RANDAZZO e le sue opere d’arte |
SALVATORE CALOGERO VIRZI’ Salesiano |
Stampa: F.lli Chiesa Nicolosi febbraio 1987 |
Distretto Scolastico Randazzo Assessorato Regionale ai Beni Culturali e alla P.I. Hanno collaborato:Concetta Auria M.Cristina Fioretto Gaetano Modica Rosario Talio |
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Novecento Teologico Marie-Dominique CHENU |
ANTONINO FRANCO | Editrice Morcelliana Brescia febbraio 2003 |
la teologia è una scienza. E’ una sapienza. La teologia è la scienza di Dio. |
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Il Collegio Salesiano S.Basilio di Randazzo nel suo centenario 1879 – 1979 |
I Salesiani | Tipografia Scuola Salesiana del Libro di Catania Barriera 30 ottobre 1979 |
Don Bosco a don Guidazio scoraggiato per la sua partenza alla volta della Sicilia: “Sta tranquillo, non inquietarti di nulla; va dove l’ubbidienza ti Manda, non temere, tu arriverai a Randazzo e lì farai tante belle cose ! “. |
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L’EGYPTE DICTIONNAIRE ENCYCLOPEDIQUE DE L’ANCIENNE EGYPTE ET DES CIVILISATIONS NUBIENNES |
MAURIZIO DAMIANO-APPIA | |||
IL CARABINIERE ed altri racconti |
ANNAMARIA VAGLIASINDI | Armando Siciliano Editore | ||
LA FATINA | EUGENIO PERALTA | Edizione del Testimone novembre 1993 |
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POESIE DEDICATE ALLA MADONNA DI FAVOSCURO | DEMETRIO SGROI | Magi Editore | Associazione Teatro-Cultura “Beniamino Joppolo” – Patti | |
LA TEOLOGIA E’ SAPIENZA Conversazioni e lettere |
M.-D. CHENU – ANTONINO FRANCO |
Editrice Morcelliana Gennaio 2018 |
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‘I MARRUNATI DI PINOCCHIU |
Traduttore: Mario Grasso Illustratore o Matitista: Maria Paola Fisauli |
Editore: Provad’Autore 01.01.1990 |
Edizione integrale de ” Le Avventure di Pinocchio ” di Carlo Collodi | |
PROCEDERE PARALLELI | MARIA PAOLA FISAULI | Prova d’Autore ottobre 1989 |
Introduzione di Rocco Giudice | |
ed i sogni restano là 1960 |
ALESSANDRA DISTEFANO | ALETTI EDITORE gennaio 2018 |
Prefazione di Alessandro Quasimodo |
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HOTEL PENSION COSMOPOLITA | ALESSANDRA DISTEFANO | Edizioni Arianna dicembre 2017 |
Prefazione di Vincenzo Caruso |
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GLI ANZIANI A RANDAZZO: Analisi e prospettive |
VINCENZO CARUSO | Edizione Comune di Randazzo 1983 |
Supplemento al n.3 di “Randazzo Notizie” |
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IL TROFEO | FEDERICO DE ROBERTO | INEDITI E RARI gennaio – marzo 1974 |
A cura e con introduzione di Piero Meli | |
“ATTESA” (raccolta di versi) |
IGNAZIO SORBELLO | ISCRE Catania – 1983 |
Alla cara memoria di mio padre, umile grazie per la vita donatami, a mamma che l’ha protetta, soffrendo; a Mariuccia che la continua; a Danilo e Tecla eredi della vita che non muore. |
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PER CONTINUARE A VIVERE | SALVATORE AGATI | Pubblicart via San Giovanni,12 Vizzini novembre 1990 |
Prefazione di Nicolò Mineo |
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ECCOMI (primo incontro) |
SALVATORE AGATI | Edizioni della SSC via Etnea, 248 – piano nobile Catania giugno 1972 |
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LA MIA TERRA | SALVATORE AGATI | Carmelo Tringale Editore CT dicembre 1982 |
Randazzo Tre chiese tre quartieri tre parlate (oggi una sola)Groviglio di case torri e palazzoni ancora recintato dalle mura tra l’Alcantara a nord e Vulcano a mezzogiornoE’ il mio paese |
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ANONIMA | MANUELA MANNINO | Casa Editrice Wattpad |
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DE QUADRO Una storia prende vita |
EMANUELE MOLLICA | Authorpublishing Randazzo 2015 |
L’autore riesce a documentare e dimostrare quali siano le antiche origini di questa famiglia e alcuni avvenimenti importanti che la riguardano, soprattutto in riferimento alla baronessa Giovannella De Quatris, rifacendosi sia alle diverse interpretazioni storiche e sia alle nuove fonti scoperte.
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Il Castello della Ducea di Maniaci Storia e Guida |
Salvatore Calogero Virzì | Giuseppe Maimone Editore | ||
Racconti Sparsi Nel Tempo |
OLGA FOTI | Robin Edizioni luglio 2010 |
Una raccolta di dodici racconti, “confortevoli e figurativi”, differenti declinazioni di unico conduttore: il tempo. | |
SANTINA GULLOTTO | Poesie… dialettali… Dialetto randazzese |
Stampato in Italia agosto 2016 |
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Trattato dell’honor vero et del vero dishonore | M. Girolamo Camerata da Randazzo Siciliano, Dottor dell’Arti |
In Bologna per Alessandro Benacci 1567 |
Trattato dell’honor vero, et del vero dishonore. Con tre questioni qual meriti più honore, o’ la donna, o’ l’huomo. O’ il soldato, o’ il letterato. O’ l’artista, o’ il leggista. Di M. Girolamo Camerata da Randazzo siciliano…
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Il Tacco sotto le Ballerine | Sebastiano Grasso | ES | ||
Sinfonietta For Juliana | Sebastiano Grasso | |||
Sul Monte di Venere | Sebastiano Grasso | ES | ||
Tu, in agguato sotto le palpebre | Sebastiano Grasso | ES | ||
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Randazzo Ebraica | Giuseppe Campagna | Aracne Editrice | ||
A cur
a cura di Francesco Rubbino