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Etna 1981

 

 

 

 

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 Randazzo Notizie – Febbraio 1983.  

 

 

Vent’anni fa la colata lavica che minacciò Randazzo  

Cominciò verso mezzogiorno e mezzo, con una folata di vento fortissimo. Il balcone, che era socchiuso, si spalancò violentemente, alcuni soprammobili si rovesciarono, eppure non sentii oscillare il suolo, perché mi trovavo in movimento. Seppi soltanto dopo che si era trattato di una violenta scossa di terremoto.
Era il 17 marzo 1981, venti anni fa.

Maristella Dilettoso

Solo nel primo pomeriggio, quando cominciarono i boati, sordi, incessanti, comprendemmo che ‘a Muntagna ci stava dichiarando la guerra. Affluivano già le prime notizie: “Si è aperta una bocca a 1800 metri… a 1500… a 1200… c’è una colata imponente in corso…”. Mentre i boati si facevano più cupi, più frequenti, più snervanti, cominciavamo a diventare tutti più nervosi, a scrutarci in faccia, esprimendo solo con gli occhi la domanda che ci premeva dentro, ed ognuno temeva di formulare: “E se…?”. Ma no, via, l’Etna ci voleva bene, ci aveva sempre risparmiati, per secoli, non avrebbe potuto mai…

Eppure l’inquietudine cresceva in noi, all’imbrunire cominciammo a salire sulle terrazze, sulle alture, per vedere, per capire, ma si era levata la nebbia, e in quella foschia si distingueva solo un rossore diffuso, poi più nulla. Forse non c’era pericolo, magari la lava si era arrestata – l’aveva fatto tante volte in passato – e potevamo tornare alle nostre case. Poi qualcuno disse: “È a un chilometro da Montelaguardia, scende come un fiume!”. E saltò la corrente.

Si seppe in seguito che il magma aveva travolto i tralicci della luce. Prendemmo a girare per il paese sulle auto, c’erano anche alcuni abitanti di Montelaguardia, muti e con gli occhi fissi. Per noi era cominciata veramente la paura.

Quella notte non si dormì, ci si assopiva sfiniti sulle sedie, a intervalli, per svegliarsi di soprassalto, con il cuore sempre più piccolo, si telefonava, si cercavano notizie, si usciva, si rientrava… e intanto – anche questo per fortuna lo sapemmo molto tempo dopo – si stava disponendo di suonare le campane a martello.
Giungevano altre notizie: Montelaguardia era stata risparmiata dal passaggio della colata, ma era rimasta tagliata dal paese; la lava, scendendo come un liquido, vorticoso fiume rosso, aveva attraversato la SS 120, la SP 89. Attraversato si fa per dire, il fronte che aveva tagliato le due arterie misurava dai 1500 metri ai 2 Km. Praticamente, dal lato di Fiumefreddo Randazzo era isolata, se fossimo dovuti scappare, sfollare, si poteva prendere soltanto la direzione di Bronte.
Quel che la lava aveva incontrato sul suo cammino, investendoli, ricoprendoli, erano boschi, terreni, vigneti, oliveti, masserie, villette… anni, secoli di lavoro, spese, sacrifici, una zona fertilissima, amena.
Si pianse molto, dopo, per questo, ma allora si temeva per l’abitato, per le nostre case, ma anche per le nostre chiese, i nostri monumenti, i pochi lasciati in piedi dalle bombe del ’43. E venne l’alba, livida e grigia, si accesero radio e televisori, era strano, seppure con la lava a breve distanza, si ascoltavano i notiziari che giungevano da lontano, che davano i brividi: “Randazzo, il paese che rischia di scomparire, di essere cancellato…” esordì la radio quella mattina. Ci trovavamo sospesi, nessuno pensò alle incombenze quotidiane, stavamo vivendo l’eccezionalità, qualcuno già aveva lasciato il paese, raffazzonando alla meglio qualche oggetto di valore, qualche indumento, qualche ricordo, altri vagavano per il paese su macchine cariche all’inverosimile, senza decidersi.
Erano arrivati i mezzi della protezione civile, dell’Esercito, dei Vigili del fuoco, schierati in fila sulle piazze, pronti a caricare e partire, militari e uomini in divisa dappertutto, sembravamo in guerra.

Andammo a vedere la lava: più lenta e solida della sera prima, superata ormai la fase parossistica, avvicinandosi si sentiva un rumore metallico, agghiacciante, e un odore acre e soffocante di zolfo, l’odore dell’Inferno. Mi ritrovai di fronte ad una sorta di muraglia nera e rosseggiante, orribile.

La tranquillità per il nostro tormentato paese era di là da venire. Quella sera del 18 marzo un’altra bocca prese ad alimentare una nuova colata, che questa volta scendeva diritta verso Randazzo, ci salvò solo il fatto che la prima furia del vulcano s’era ormai esaurita.
La mattina del 19, l’inclemenza del tempo portò anche una nevicata, mentre ai militari, ai soccorsi, si aggiungevano ora liete comitive di gitanti, brigate di curiosi: c’erano compagnie di ragazzi che, a pochi metri dalla lava, cantavano allegramente tenendosi per mano, qualcuno pensò pure di allestire una grigliata, mettendo ad arrostire le salsicce sul magma incandescente, buscandosi un’esemplare quanto memorabile intossicazione.

In paese, invece, quella sera ci si ricordò dei Santi. Già il pensiero era andato alla Madonna – la leggenda, come ricordato dall’affresco della Madonna del Pileri, dalla tavoletta di Girolamo Alibrandi, e dalla statuetta marmorea posta sulla porta di mezzogiorno della Basilica di S. Maria, voleva Randazzo edificata su sette strati di lava, ma comunque salvata più volte dall’intervento della Vergine, nel 254 forse (?), di sicuro nel 1536, 1614, 1624 – ma era la ricorrenza del compatrono S. Giuseppe, e la gente uscì in processione e in preghiera, con le fiaccole, fino al punto in cui era giunto il fronte lavico.

L’eruzione andò a rallentare nei giorni successivi, fino a esaurirsi e fermarsi, il 23 marzo.

Restò una nera muraglia, altissima e minacciosa, una distesa immensa di sciara, ancora calda, sotto la quale erano rimasti sepolti per sempre 740 ettari di terreno, di case; da quella distesa si levò, dopo qualche mese, alle prime piogge, una densissima nebbia e un pungente odore di zolfo.

L’economia del paese era in ginocchio, eppure i randazzesi cominciarono a leccarsi le ferite, a ristabilire e delimitare le antiche proprietà, irriconoscibili ormai, a trasportarvi terra, senza attendere che il suolo ridiventasse fertile – si dice che, perché la sciara torni a produrre, ci vogliono 500 anni! – hanno dissodato, piantato, seminato, si sono riappropriati della loro terra, sottraendola alla lava, chiesero aiuti e sussidi, non sempre ottenendoli, per ricostruire, per tornare a vivere, perché il ciclo della vita deve continuare. A un anno da quei tragici eventi, sulla collinetta di S. Pietro fu posta una statua di S. Giuseppe, interamente sbozzata in pietra lavica (!) dallo scultore Gaetano Arrigo, una statua che sembra guardare dritto verso il vulcano. Sul basamento poche semplici parole:

Nei giorni della prova, come allora, proteggici”.

Venti anni sono passati, eppure da quel giorno i miei rapporti con l’Etna si sono incrinati, anche quelli dei miei concittadini, credo. Fino allora c’era stato un rapporto reciproco amore-odio, si era sempre creduto, o sperato, che a Muntagna, madre provvida e matrigna nefasta al tempo stesso, mai avrebbe fatto sul serio, che si sarebbe limitata tutt’al più a qualche scossa, un pennacchio, una fumata, una spolverata di ginisi ogni tanto, giusto per imbrattare i panni stesi e sporcare le vie, ma avrebbe mantenuto le colate sempre ad alta quota. Ora che il nostro termostato s’è alterato, da quel fatidico 17 marzo di venti anni fa, anche se l’abitato non fu provvidenzialmente colpito, ogni fenomeno eruttivo ci allarma, ed i nostri sonni non sono più tranquilli come un tempo.

Maristella Dilettoso
(Gazzettino di Giarre, n. 10 del 17 marzo 2001)

 

A 40 anni dall’evento, ti raccontiamo gli attimi di quella spettacolare e spaventosa eruzione dell’Etna che per giorni tenne tutti col fiato sospeso. Ecco per te, i racconti degli abitanti di Randazzo.

                                                          

 

                      Eruzione Etna marzo 1981: 40 anni dopo che “Idda” minacciò Randazzo                                                                           

 

Chi c’era lo sa cosa vuol dire restare impotenti davanti alla furia della nostra Etna; chi non c’era, come me e tutto lo staff di Tripnacria, può solo immaginarlo grazie a racconti da brivido.
Siamo sicuri che queste storie l’avrai sentite anche tu, ma noi vogliamo fartele raccontare da chi quei fatti li ha vissuti in prima linea, dai nostri genitori, zii, nonni e compaesani randazzesi.

Leggi un po’ questa storia!

17 marzo 1981

Una nuova alba dà colore al cielo di Randazzo. La primavera è alle porte e tutti gli abitanti si impegnano nelle loro faccende in una giornata qualunque di fine inverno, inconsapevoli di tutto ciò che sta per accadere.
La signora Concetta si alza presto al mattino, stende i panni e canticchia una canzone. Non inizia mai la giornata senza aver dato un’occhiata alla sua Etna, che da un po’ sembra volersi far notare.
“Si sa” – pensa fra sé e sé – “le donne amano essere al centro dell’attenzione di tanto in tanto!”
Rosaria, che abita a Passopisciaro, sta invece andando in stazione, deve prendere la littorina per andare a scuola a Randazzo. La scuola la odia proprio; ama invece il tragitto che la porta fino a lì. E come darle torto: l’Etna sullo sfondo e un trenino che corre lento attraversando vigneti e tanta vegetazione è un’immagine di sicuro più piacevole di una lezione incomprensibile di matematica!
Giuseppe, uomo devoto alla sua terra, va come ogni mattina al suo piccolo pezzo di terreno. La vigna e gli ulivi sono la sua vita. È impossibile per un uomo, ormai in pensione, starsene a casa con le mani in mano.

 

Eruzione Etna 1981 Randazzo, Eruzioni dell'Etna

                                                                             Eruzione Etna marzo1981- Randazzo


La campagna è il suo luogo d’evasione bucolica.
Ma qualcosa silenziosamente sta per abbattersi a pochi passi dal paese: l’Etna comincia ad avvertire tutti della sua incombente furia con tremori e scosse, inizialmente impercettibili agli abitanti.
Ore 11:30 circa. Ecco la prima scossa. Boati, tremori ed una cappa di fumo nero avvolge la montagna, ma questo non desta particolare preoccupazione: i randazzesi lo sanno che vivono sotto un vulcano e l’Etna non è mai stata un pericolo per loro. Qualcuno, però, presto inizia a provare strane sensazioni: i boati si intensificano e dei venti hanno cominciato a soffiare forte, come a presagire un terribile evento. Che succede?
Una folata di vento fortissima, verso le 12.30, scosse impetuosamente gli alberi e fece cadere tanti piccoli oggetti posati sui mobili.
Ore 13:37. Nancy viaggia sulla littorina di ritorno verso casa. Ma quel giorno il suo solito tragitto non è tranquillo come gli altri.

Andavo alle Magistrali e viaggiavo sulla Circumetnea. Ricordo il rombo dell’Etna che superava lo sferragliare del trenino e incuteva terrore.
Ore 18 circa. È adesso che la paura ha la meglio su tutti, quando l’eruzione vera e propria ha inizio. Si aprono bocche a 2.500 e a 1.900 metri e da quota 1.500 l’Etna sputa fuori un fiume di lava così fluido e veloce da ricoprire enormi distanze in pochissimo tempo. È inevitabile (ed anche comprensibile): i randazzesi si allarmano e alla paura si aggiungono panico e apprensione mentre girano le prime notizie.

Tra i boati cupi, incessanti, e quel bagliore rossastro nel cielo, cominciavano ad arrivare notizie concitate: “è ‘a Muntagna!”, “Si è aperta una bocca nuova, un’altra, un’altra ancora a quota 1200 m.”, “La lava scende velocissima, sembra un fiume rosso.”

 

                                                           La colata lavica raggiunge i terreni. Foto di repertorio dal web

Tutti scendono per le strade, ammirando – con spavento e meraviglia – l’essenza furiosa della loro Etna. Il sindaco e l’amministrazione iniziano a pensare ad uno sfollamento del paese.

     Ricordo il macigno sul cuore quando ci dissero che Randazzo doveva essere pronta all’evacuazione e che “a chiazza”, il salotto della mia cittadina, poteva sparire sotto il fiume incandescente della lava. Ricordo le mie lacrime e la grande fiducia di mio padre che mi ripeteva che la Madonna e San Giuseppe, in Paradiso, erano alla ricerca di Gesù per chiedere il suo intervento miracoloso. Ricordo il cielo fumoso e l’odore di zolfo sulle nostre teste e i militari dappertutto.

Montelaguardia è il primo centro abitato ad essere travolto dal terrore di una ipotetica distruzione, ma per un pelo è salvo. Una piccola montagnola, infatti, ha deviato il corso di lava verso il fiume Alcantara salvandolo. Molte ville, case di campagna e terreni tuttavia sono distrutti; solo pochissimi beni e costruzioni, frutto dei sacrifici di una vita intera, riescono ad essere salvati in tempo sulla SS 120.
La disperazione di chi sta perdendo tutto è immensa.
Mio zio, saputo della perdita del suo terreno con all’interno una bella casa, ebbe una febbre altissima per molti giorni e passò un periodo che somigliava alla depressione molto lungo.

 

La notte di certo non trascorre meno terribile del giorno. Qualcuno dalla paura non chiude occhio fino a quando non sorge il sole, pensando al peggio.
Fu una notte di paura, nessuno andò a dormire, si restò in piedi, sulle sedie, coi vestiti addosso, finché di prima mattina qualcuno accese la radio.
Il Giornale Radio diceva: “Randazzo, il paese che sta rischiando di venire sepolto dalla lava…” e qui le lacrime partirono da sole.

18 Marzo 1981

Ore 10:30 circa. Il giorno seguente, alle notizie di certo non rassicuranti dei media, un gruppo di fedeli si raccoglie in preghiera, ma proprio in questo momento una seconda colata lavica prende piede da 1150 metri, anche lei minacciando Randazzo e scorrendo verso la zona del Cimitero Comunale.
Randazzo è adesso in una morsa di fuoco dalla quale sembra impossibile scappare; la strada statale è già stata bloccata e con essa anche i binari della ferrovia circumetnea. Forze dell’ordine, vigili del fuoco e militari tutti si mobilitano per venire in soccorso; la gente impaurita non sa cosa fare né tanto meno dove rifugiarsi. Fortunatamente, la seconda colata è meno fluida e veloce della prima. Nel frattempo gli abitanti trovarono la forza ed il coraggio di andare a vedere con i propri occhi cosa sta accadendo.
Il 18 la vidi, la lava, in contrada Arena: si muoveva più lenta, con un rumore ferrigno, agghiacciante, era altissima ed emanava un forte odore di zolfo che mi fece pensare subito all’inferno.
Tra gli spettatori c’è anche qualche stolto che “regala” alla lava quello che non si è portata via di sua iniziativa.
Io andai a vedere la lava più da vicino con i miei genitori ed altri parenti: la lava rotolava e si sentiva una forte puzza di zolfo. I meno previdenti lasciarono l’auto parcheggiata lungo quello che sarebbe stato il percorso della lava; le macchine furono inevitabilmente travolte. Molta altra gente arrivò da fuori e ricordo che qualcuno intelligentemente venne ad arrostirsi la salsiccia sulla lava finendo in ospedale.

 

                                                                     La colata lavica presso Randazzo. Foto di repertorio dal web

19 Marzo 1981

Gli abitanti, sempre più impauriti, ricorrono ad una seconda preghiera. Portano in processione la statua di San Giuseppe, oggi santo patrono, per le vie del paese. Ad un tratto il cielo inizia a piovere nevischio ed una lieta notizia inizia a spargersi: la lava ha rallentato la sua corsa e si è quasi fermata a pochi passi dalle prime case del paese! Forse la natura, forse qualcosa di divino ha mandato questi candidi fiocchi di neve come a spegnere il fuoco altrimenti inarrestabile. E la gioia vince sul dramma.
Adesso la lava avanzava appena, in prossimità di case sulle quali nessuno allora avrebbe scommesso, mentre cadevano i fiocchi di neve… E il resto lo sappiamo tutti, ma confesso una cosa: da quel momento in poi il mio rapporto con la Montagna si è guastato, irrimediabilmente.

 

                                                                          Le case distrutte dalla colata lavica a Randazzo

 

Da quel giorno l’Etna non si è di certo fermata.
È un vulcano e come tale continua periodicamente a riempire i nostri occhi di stupore e meraviglia.

Quel che è sicuro è che il rapporto con Lei per molti degli abitanti è cambiato radicalmente: al sentimento di devozione si è aggiunto anche quello di timore e di rispetto, come verso ad una madre severa, ma giusta.
Nessuno ad oggi può dimenticare quegli attimi drammatici e inimmaginabili.

L’Etna intanto è ancora lì, austera e potente, con la sua cima che sembra sfiorare il cielo e la sciara nera ai suoi piedi.
Lei, che è inferno e paradiso insieme, che ha dimostrato ancora una volta a tutti gli uomini che la natura dona e toglie, che è benevola e tempestosa, che nella sua apparente contraddizione non smette mai di affascinarci.

Lei che in fondo si ama sempre e si odia talvolta, o meglio, si teme.

Noi di Tripnacria vogliamo ringraziare tutti gli abitanti di Randazzo che ci hanno raccontato sui social le memorie di quei terribili giorni, in giorni altrettanto difficili come quelli durante l’epidemia da Coronavirus.

Un grazie particolare ai miei genitori Rosaria e Antonio, alla mia zia lontana Silvana, a Nino, Nancy, Maristella, Rosa, Valeria, Antonio, Manuela, Enrico, Antonino, Concetta, Giuseppe e a tutti coloro che ci hanno regalato i loro racconti.

Chiara Proietto

Carmelo Carmeni

Carmelo Carmeni nasce a Randazzo il 29 luglio 1972. Sposato con Maria Rita Giacca ha due figli Fabiana (10 anni) e Antonio (5 anni) che sembra voler seguire le orme paterne. 
Fin da piccolo ha una passione per la forgia,  il fuoco, il martello, l’odore del metallo fuso,  insomma tutto ciò che fa diventare un bravo fabbro artigiano. La sua passione lo porta sempre più a migliorarsi e perfezionarsi in questa non facile attività. Frequenta assiduamente la scuola di Stia (Arezzo) dove ha modo di apprendere i segreti del mestiere.


A Stia (oggi Pratovecchio Stia)  ogni due anni dal 1976 si svolge la Biennale Europea d’Arte Fabbrile che  è la più tradizionale manifestazione sul ferro battuto che si tenga con regolare cadenza in Italia e la più antica delle mostre d’artigianato artistico del ferro forgiato che con continuità si tengono in tutto il mondo. 
Nel 2013 nel  sesto campionato del mondo che si è disputato a Stia nell’ambito della XX Biennale Europea d’Arte Fabbrile il “nostro” Carmelo Carmeni vince  il titolo di Fabbro Campione del Mondo di Forgiatura” con l’opera dal titolo “Uno, Nessuno, Centomila” . ha preceduto nella classifica individuale l’austriaco Peter Reisinger e l’italiano Fabrizio Boccingher.
Dal titolo dell’Opera premiata si comprende il Suo profondo amore per la Sicilia. A nessuno penso sia sfuggito che il Carmeni ha voluto ricordare il capolavoro di Luigi Pirandello.
 
La gara,  ha visto la partecipazione di 200 fabbri provenienti da 20 paesi stranieri ed aveva come tema la “Plasticità”.

 

 

 

Carmelo Carmeni, il fabbro campione con il fuoco dell’Etna che gli arde nel cuore
La storia di un artigiano randazzese insignito del titolo mondiale di forgiatura nel 2013.
«Un mestiere/arte che consiglio ai giovani»

 

Carmelo Carmeni, il fabbro campione con il fuoco dell'Etna che gli arde nel cuore

Carmelo Carmeni

  
 

Il ribollente fuoco dell’Etna, sulle cui pendici vive, gli scorre nelle vene e nutre la sua passione, il suo mestiere e la sua vena artistica.
E come faceva il mitologico Efesto nel cuore del vulcano, Carmelo Carmeni,  47enne fabbro d’arte di Randazzo, campione del mondo di arte fabbrile nel 2013, batte e forgia il metallo piegandolo ai suoi voleri nella sua officina che, non per nulla, si chiama appunto “La fucina di Efesto”.
Un fuoco interiore che da sempre arde nel cuore di Carmelo Carmeni: «Sono stato contaminato dal vulcano – spiega con un sorriso -. La mia passione per il ferro battuto e la forgiatura nasce dalla mitologia. Finite le scuole dell’obbligo, ho iniziato a lavorare come apprendista fabbro a 14 anni. Ma in realtà già in precedenza avevo manifestato una certa attrazione per il fuoco, non perché fossi un piromane, ma perché l’energia del fuoco mi ha sempre attratto: così, sin da bambino giocavo costruendo oggetti con le aste degli ombrelli, che rendevo incandescenti forgiandole con le candele e battendole utilizzando un martello molto piccolo su una mazzetta da muratore senza manico che usavo come incudine».
Una passione, peraltro, non da figlio d’arte: «Mio padre di mestiere faceva il carbone. Io, con la mia forgia tradizionale a carbone, invece lo brucio».

Da apprendista fabbro, Carmelo Carmeni faceva soprattutto il saldatore, ma questa attività non lo soddisfaceva: decide quindi di mettersi in proprio, sorretto dalla passione e da una certa manualità innata. «Basta poi una scintilla per fare nascere una passione.
Ho iniziato a frequentare fiere e mostre e così ho scoperto altre realtà. In particolare, in Repubblica ceca ho assistito a una manifestazione sulla forgiatura e lì ho capito che esisteva un mondo assai diverso rispetto al mio».
Da autodidatta come era stato fino ad allora, Carmelo Carmeni comincia così nel 2004 a frequentare corsi di forgiatura: dapprima in Sicilia tramite l’Associazione Fabbri d’Arte, poi a Stia, nell’Aretino, dove esiste una scuola molto importante e si tiene la biennale di arte fabbrile, oltre che il campionato mondiale di forgiatura, una estemporanea durante la quale, in tre ore, i fabbri devono forgiare le loro sculture.
A Stia Carmelo Carmeni ha seguito la maggior parte dei corsi e, siccome non si finisce mai di imparare, tuttora, pur da campione del mondo 2013, continua a seguirne. Campionato mondiale al quale ha partecipato una sola volta, appunto nel 2013, quando ha vinto sbaragliando la concorrenza internazionale di circa 250 partecipanti, con una scultura denominata “Uno, nessuno e centomila” in onore di Luigi Pirandello.
«Per me è stata una bella esperienza, perché a fare la differenza non è il titolo, ma il confronto con altre realtà da tutto il mondo, quindi con tecniche, sensibilità, etnie e mentalità diverse. Il titolo è una soddisfazione, ma non si arriva mai a una meta, non significa nulla essere campione del mondo. Anzi, quello è solo un motivo in più per continuare a superarsi sempre».
L’idea di intitolare la scultura vincitrice “Uno, nessuno e centomila” è stata un omaggio a Pirandello ma anche dettata dal fatto che, «guardandola e riguardandola, mi sono reso conto che in quel pezzo c’erano tanti particolari e varie sfaccettature a seconda dell’angolazione dalla quale si guardava».

Un mestiere o un’arte della quale Carmelo Carmeni non potrebbe fare a meno perché la passione arde dentro di lui: «Io ritengo di essere un artigiano, non un artista. Questo lavoro a me dà la grande soddisfazione di essere libero di pensare, di fare, di costruire, di esprimermi senza vincoli. Per me non è un lavoro: io arrivo in officina la mattina, inizio a lavorare e, quando arriva la sera, mi sembra che siano passati appena cinque minuti, per me l’orologio corre troppo veloce, perché lavoro con una tale passione che non mi pesa».
E, considerato che Carmeni fa questo lavoro da 30 anni, non è una fortuna da poco né così comune…

 

Carmelo Carmeni

Un lavoro che Carmeni consiglia fortemente ai giovani, perché offre tante opportunità: «Gli artigiani stanno scomparendo, i giovani sono sempre meno. E di questo attribuisco la colpa alle istituzioni: lo Stato ha praticamente eliminato gli istituti professionali, mentre all’estero i miei colleghi hanno in officina giovani che provengono dagli istituti professionali e che hanno una certa formazione.
Qui in Italia, invece, non hanno nulla, qui studiano tutti per diventare avvocato o medico, ma non tutti lo possono essere. Purché qualcuno impari questo lavoro che oggi si sta perdendo, ho addirittura proposto al Comune di Randazzo di tenere corsi gratuitamente per trasmettere agli altri il mio sapere»
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Ma gli unici interessati, in linea di massima, sono gli stranieri:
«Ogni tanto ne ospito qualcuno, perché gli stranieri sono abituati a fare esperienze da vari artigiani, in modo da tornare a casa con un nutrito bagaglio di idee, in quanto da ciascuno prendono il meglio. È la cosa che faccio ancora io stesso: vado talvolta all’estero a lavorare nelle officine di altri fabbri. Gli italiani, invece, la prima cosa che chiedono è: “Quanto mi dai?”. “E tu che sai fare?”, è la mia risposta. “Prima impari e poi ti pago”. È giusto che un ragazzo che lavora percepisca uno stipendio, però prima deve imparare a lavorare».

Ecco che quindi ai giovani Carmeni consiglia di «imparare a lavorare, perché sporcarsi le mani lavorando non è vergogna. E poi bisogna avere fame di conoscenza: io ogni giorno ho sempre più voglia di imparare, la ricerca è bella».

Tra le difficoltà che incontra un artigiano/artista, Carmeni mette al primo posto il fatto che «le istituzioni non fanno nulla per garantire gli artigiani, le tasse ci distruggono». Di contro, la soddisfazione è essere «libero di esprimermi e di fare quello che voglio».
Perché, per Carmeni, per fare questo lavoro in fin dei conti «non occorre nulla, solo la volontà di lavorare. C’è soltanto un segreto per avere successo, anzi sono tre: il primo è lavorare, il secondo è lavorare, il terzo è lavorare. Fine».
Anche per le donne: «Nei Paesi esteri ce ne sono tante, soprattutto nell’Est Europa, ma anche in Germania, Austria e negli Usa. Donne fabbro che fanno tutto: forgiano, battono il ferro, realizzano il lavoro e poi lo montano. D’altronde, quale dovrebbe essere la differenza tra uomo e donna?».

 

Carmelo Carmeni

Prendendo forza da una terra, dalla sua Randazzo che, ammette Carmeni, «non riuscirò mai a lasciare: ci sono legato, io mi nutro da questa terra, il suo fuoco ce l’ho nel Dna e, quando sono fuori, magari anche per lavoro, mi manca il paese, l’Etna, l’officina, la forgia. Persino la domenica vengo qui in officina almeno 5-10 minuti, ne respiro l’odore e poi torno a casa. E, in qualsiasi parte del mondo vado, cerco sempre un’officina dove entrare, perché devo sentire l’odore del carbone, della forgia».
Impossibile, di fronte a tanta passione, avere quindi rimpianti, pur con la consapevolezza che altrove magari Carmeni avrebbe avuto maggiori opportunità:
«Però quello che fa la differenza tra una persona e un’altra è la tenacia, il credere nei progetti. È la perseveranza che premia. E io sono così».

 Maria Ausilia Boemi    
“La Sicilia” 30 settembre 2019

Di recente ha realizzato la targa per la intitolazione della piazzetta antistante il ristorante “La Bifora” davanti all’ingresso di quello che fu il Cinema Centrale di proprietà dell’avvocato Matteo Vagliasindi.
 Si chiamerà “Slargo Spartà” in ricordo di Antonio 57 anni, Vincenzo 26 anni e Salvatore 19 anni, che il 22 gennaio 1993 divennero “vittime di mafia”. 

 

      a cura di Lucio Rubbino                                                                     

NUNZIO TRAZZERA

Nunzio Trazzera,  pittore e scultore  nasce a Randazzo nel 1948.
E’ stato docente di educazione artistica a Corsico, Rozzano, Milano, Linguaglossa, Castiglione di Sicilia, Maletto e Randazzo.
Fin dal 1966 ha partecipato a varie manifestazioni artistiche con mostre personali, collettive, rassegne e fiere in varie città italiane ed estere.

Nunzio Trazzera

Sue sculture in bronzo, ceramica, legno e pittoriche sono presenti in varie collezioni e arredi pubblici e privati.

Insignito di vari premi e riconoscimenti, figura con biografia, opere e articoli in numerosi libri, riviste specializzate, giornali ecc.

Nunzio Trazzera si presenta

NunzioTrazzera

 Non è un’impresa agevole riannodare i fili di un cammino nell’arte figurativa, nato da una naturale inclinazione e vissuto in continua evoluzione. E forse è per questo che, anche oggi, nonostante le mete raggiunte, il mio animo non si sente appagato.

I miei sentimenti e affetti, la mia terra, la mia immaginazione creativa, i problemi dell’uomo, della società nel suo complesso e nel suo specifico, i contrasti etnici e religiosi, mi ispirano e mi sollecitano a nuovi impegni.

E’ un’agitazione interiore che mi punge e mi assilla e che non troverà quiete se non nel parto di nuovi lavori. Ma troverà mai quiete il mio animo?

Spero di no, perché quando un animo si sente appagato è orto, quando l’immaginazione e la fantasia si sono spente non si vive, quando l’ardore creativo si è esaurito la vita, intendo quella artistica (ma non solo) è finita.

Io non vorrei giungere a tale giorno, perché ciò vorrebbe dire che né la natura che ci circonda, né il calore degli affetti più belli parleranno più al mio cuore. Tutto questo ha animato e guidato, nel tempo, la mia attività e il mio impegno nel campo dell’arte.

Nunzio Trazzera

Nunzio Trazzera

La presente raccolta, pertanto, serve a documentare, da una parte, quanto fin qui realizzato: sogni vissuti e realizzati con le varie tecniche raffigurative; dall’altra vuole essere un omaggio ai miei familiari, agli amici ed estimatori, che, da sempre, con atti concreti e sinceri, mi sono stati e mi sono discreti sostenitori e pungolo per la mia attività.
Vuole infine essere l’occasione per ringraziare quanti – e sono veramente moltissimi – hanno onorato e reso possibile la collocazione e l’esposizione delle mie opere, sia in Italia che all’estero; quanti le hanno richieste per utilizzare nella pubblicazione di libri o in riviste a carattere artistico-culturale e in giornali.

Questo consenso, accompagnato sempre da continui riconoscimenti ed autorevoli attestati, ha favorito e favorisce la crescita, l’evoluzione, la maturazione, l’autonomia culturale e ispirativa per la realizzazione dei miei sogni.

Ed in questo stato fortunato perché nato, formato e vissuto in quella parte della Sicilia orientale che si specchia nell’azzurro del mare Ionio, ricco di storia e civiltà; in quella parte dove maestoso si erge il vulcano etna con la sua mole cangiante, con i suoi sussulti ora lievi ora minacciosi, con le sue strade incandescenti tra zone ora aride ora innevate, sempre presente e vivo; in quella parte resa famosa per la bellezza e varietà delle sue coste e insenature, per i suoi pendii fertili e variamente colorati e profumati da estesi agrumeti e frutteti, da una lussureggiante vegetazione di boschi e sottoboschi.

Qui, ai piedi dell’Etna, sono nato, qui la mia mente si è dischiusa alla conoscenza del vero e del bello, qui il mio cuore ha cominciato a palpitare e a commuoversi. Loro nutrimento sono stati la natura aspra ma avvolgente, i contrasti cromatici, la purezza e il profumo dell’aria, la varietà della fauna e della flora, l’operosità e la calda sensibilità della gente, gli usi, i costumi, le tradizioni, le lotte, le sconfitte e le vittorie.

Nunzio Trazzera – Randazzo

Qui, in questa zona della Sicilia Ionica, mi sono formato, qui dove fin dall’antichità si sono avvicendati popoli diversi, Greci, Latini, Arabi, Normanni ed altri, lasciando mirabilissime testimonianze architettoniche, scultoree  e pittoriche.

Qui in questa gemma dello Ionio, sono nati o vissuti artisti e pensatori la cui fama è universalmente nota ed onorata, quali Archimede, Pitagora , Antonello da Messina, Giovanni Verga, G. Sciuti, Domenico Tempio, Vincenzo Bellini, Santo Calì, Francesco Messina, S. Fiume.
In questo grandioso scenario culturale ed artistico, la natura ha giocato un ruolo di vera protagonista.
Essa infatti di continuo genera, ispira, stimola, apre la mente e il cuore di coloro che sono dotati da natura ed educazione a quella particolare sensibilità che abilita a creare o ricreare nuove espressioni d’arte in tutti i campi, sia poetiche che letterarie e artistiche , in particolare figurative.
Questa realtà, questo patrimonio naturale ed umano bastano da soli a mantenere viva e sempre attuale una tradizione di artisti e opere apprezzati presso tutti coloro cui stanno a cuore i più alti valori della cultura, del pensiero e del bello.

Nunzio Trazzera

Questa atmosfera, questa specificità della mia terra, ha forgiato la mia sensibilità, ha caratterizzato la mia arte nel suo divenire, ha generato le mie opere.
Ancora giovanetto ho sperimentato una forte quanto fantastica sensazione: nel silenzio vivo della natura, con lo sguardo fisso nella cangiante atmosfera, fui attratto da una nuvoletta che candida si stagliava nell’azzurro del cielo.

Quasi giocando, la nuvoletta lentamente si dissolveva e si ricomponeva stuzzicando dolcemente la mia immaginazione, si sfibrava e lacrimava sulla terra, sugli alberi, sulle cose.

Questa semplice e fortuita visione ha segnato l’inizio di una ininterrotta riflessione sul ciclo perenne della vita, sul motto di Eraclito, sull’arte corinzia, su Buonarroti, sul dinamismo barocco, sui macchiaioli, sui futuristi e le varie avanguardie.

Inizia così quell’avventura esistenziale e artistica che solo in parte trova posto in queste pagine. Nell’opuscolo, infatti, sono presenti solo alcuni dei momenti di impegno e di confronto sereno con la natura, e questi mai statici ma sempre e in continuo divenire, dove protagonista è l’uomo, col suo impasto di sentimenti, passioni, desideri, vizi, virtù: tutto l’uomo, capace di condizionare in positivo o in negativo la realtà in cui vive ed opera.

NUNZIO TRAZZERA

 

Porta San Martino, Randazzo – Il San Cristoforo opera di Nunzio Trazzera.

   

 Hanno scritto di Nunzio Trazzera                  

Artisti contemporanei alla ribalta di Salvatore Calogero Virzì  

Nunzio Trazzera  – E nato a Randazzo  (CT) dove vive e lavora in via Portali 31. Pittore – scrittore.

Opere di Pittura: Maternità cosmica. Sacro e Profano. Simbiosi. Mediterranietà di Nunzio Trazzera

Se l’arte è tale quale fu definita “passaporto di libertà”, dobbiamo dire che Trazzera è definitivamente avviato verso questa libertà che raggiunge l’estasi della contemplazione in tutti i campi della sua creatività d’artista.
Egli infatti si rivela vero artista sia come pittore, sia come scultore,  come ceramista e fonditore.Il suo innato talento creativo rivela un tocco di disegno incisivo, una tavolozza cromatica varia,  palesemente efficace che, vivificando il disegno e l’idea assoluta del soggetto, si innalza a dimensioni di vita che si avviano verso un cosmico dinamico.
Questo del dinamismo delle linee e della scelta del soggetto più opportuna e atta ad esprimerlo per me sono le caratteristiche  più immediate del Trazzera: movimento, ridda di colori sgrananti intramezzati da chiaroscuri evanescenti, movimento convulsivo che esprime un idea, una vita nuova che agita le sue rappresentazioni, di una efficacia talmente efficace che ci porta nel sogno e nello sbalordimento.
Opera vasta questa ed espressiva che trova la sua completa espressione in soggetti presi  dalla vita giornaliera visti con occhio d’artista cui si associa l’irreale e il cosmico pervaso tutto non da cerebralismo ma da un sentimento che parte dal cuore,  da una esperienza vissuta da una realtà che ci colpisce momento per momento , raggiungendo vette di dolcezza, di soddisfazione, di rimpianto del momento che fugge. Paternità dunque cosmica, pervasa da una esperienza che diventa conquista e messaggio di vita: disegno incisivo., il colore astratto o a chiazza dai contorni netti o sfumati, il movimento convulso ma sempre contenuto e sempre pervaso dall’idea che vuole esprimere, fanno del Trazzera uno degli artisti più rappresentativi tra i giovani siciliani che hanno già raggiunto la loro identità e la loro personalità artistica.

Salvatore Calogero Virzì 

 

Il dinamismo cosmico 

Le opere di Nunzio Trazzera di Giusy Paratore 

Novara – Che Novara amasse l’arte del dipingere era già noto; a far riscuotere numerosi consensi, però ha contribuito il numero impressionante di visitatori, che ha dedicato tante ore ad apprezzare le numerose mostre preparate con cura dall’Amministrazione Comunale Novarese.
    Le vie del centro storico, in questo caldo mese d’agosto, pullulano di artisti che, con l’esposizione dei quadri, stanno facendo rivivere le antiche tradizioni di Novara. Per rendere più surreale la mostra, oltre ad alcuni locali privati ed al palazzo <<Stancanelli>>, sono state messe a disposizione degli artisti alcune chiese.
Nel tempio di S. Francesco, fra luci soffuse, ha esposto dall’11 al 18 agosto le sue pregiate opere lo scultore e pittore di Randazzo, Nunzio Trazzera.
Il successo ottenuto dall’artista etneo con la mostra dal tema; <<il dinamismo cosmico>> le sue opere, infatti, sono state lungamente ammirate dagli amanti della pittura. Tutti sono rimasti colpiti e meravigliati dell’espressione artistica che Nunzio Trazzera riesce a trasmettere attraverso i suoi quadri.
<<La sua pittura brilla di una luce interiore che evidenzia la luminosità dei colori – afferma Rosalba Buemi – vivifica l’espressività dei personaggi, anima la natura e le cose, trasportandoci in una dimensione cosmica, in una vitalità piena in un trionfo di luce e colori che ci fanno volteggiare nell’infinito come solo i grandi sanno fare. Nelle sue tele – prosegue Rosalba Buemi – l’armonia dei colori da origine alla linearità ed all’essenzialità delle forme.
Il trionfo cromatico ci trascina nell’interiorità del sentimento: l’amore, la gioia di vivere, gli affetti familiari, i problemi sociali, il dinamismo delle sue opere in ceramica, l’esempio più alto è sicuramente  l’abside della chiesa di Montelaguardia di Randazzo, dove il Cristo muove le gambe e le braccia verso gli uomini per accoglierli nella sua infinitezza e le figure umane s’innalzano verso l’alto>>.
Nunzio Trazzera, nella storica chiesa di S. Francesco, ha esposto opere che riguardano i vari campi della figurazione.
Lo scultore, nelle sue creazioni vere o fantasiose, è riuscito ad imprimere una forte personalità, le sue opere sono in continua trasformazione nella cromia, nei volumi e nelle masse senza corposità e peso.

La Donazione – Bronzo a c.p. di Nunzio Trazzera

L’artista di Randazzo è riuscito a fare sprigionare dalle sue <<magiche>> mani soluzioni originali di un particolare equilibrio, che portano al sogno, alla riflessione ed alla contemplazione.
Le sue opere riescono, con naturalezza, a rendere partecipe il fruire degli eventi instabili con quali è destinato a convivere con altri eventi moderni.
L’arte di Trazzera, attraverso lo sfocare volontariamente le figure, assume una funzione ludica; il pittore <<gioca>> per raggiungere una profondità psicologica, che porta a soddisfare le sue esigenze emotive.
Questi <<ingredienti>> hanno fatto conoscere ed apprezzare Nunzio Trazzera ed i consensi ottenuti saranno da stimolo per realizzare altre opere poliedriche di pittura e di scultore in terracotta ed in bronzo.

Giusy Paratore 

                          

 

 

 

 

Angelo Manitta: libertà e sublimità nell’arte di Nunzio Trazzera. 

Bronzi 2012- Randazzo

L’uomo, con i suoi problemi, i suoi affetti e i suoi sentimenti di gioia, di coerenza, di amore e soprattutto di impegno sociale, sta al centro della composizione del Trazzera.
L’espressione “l’uomo misura di tutte le cose” in pochi pittori e scultori contemporanei è forse cosi vera come in lui, che parte dal passato, si forgia nel presente e approda nel futuro. In questa evoluzione l’emozione interiore si oggettiva e si solidifica in una visione unitaria e complessa che emerge da un sottofondo realistico e dinamico per giungere al “sublime”.
Il sublime è un’estasi laica, una contemplazione della vita nelle sue varie sfaccettature. Il sublime trascina il fruitore dell’opera d’arte “non alla persuasione – come afferma l’autore greco nel saggio “Il sublime”, ma all’estasi, perché ciò che è meraviglioso s’ac-compagna sempre ad un senso di smarrimento e prevale su ciò che è solo convincente e grazioso”.
La scultura “Danza” è espressione di questa sublimità e soprattutto di quella libertà interiore dell’uomo, espressa attraverso i movimenti agili e snelli delle due figure.
Nunzio Trazzera, nato a Randazzo (CT) nel 1948, insegna Educazione Artistica nelle scuole statali. Pittore e scultore, ha esposto i varie città italiane e all’estero con personali e collettive.
Molti critici si sono interessati alle sue opere, tra cui F. Sofia, S. Modica, S. Correnti, S. Mazza, O. Solipo, G. Gullo, G. Trabini, Insignito di vari riconoscimenti, le sue opere figurano in numerose collezioni pubbliche e private. Il suo percorso artistico, collocato nell’ambito del post-modernismo, ma volto verso il futuro, giunge ad una soluzione originale dell’arte, che affascina il lettore sia per il contenuto che per la forma.
La sua arte comunque ha sapore di classico e universale, ed è punto d’incontro tra l’interiorità che scorre ed opera nell’uomo (funzione soggettiva) e l’esteriorità che scorre ed opera nella vita quotidiana (funzione oggettiva).

ANGELO MANITTA 

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Santina Gullotto

 

Santina Gullotto nata a Randazzo, paese magnifico ai piedi del maestoso Etna, situato nella valle dell’Alcantara tra i Nebrodi e i verdeggianti paesi Etnei, come un giardino fiorito i suoi panorami non deludono mai. Cittadina medievale ricca di storia e di chiese antiche, chiamata una volta il paese dalle cento chiese, alcune di esse costruite dai Saraceni con enormi blocchi di pietra lavica tagliata a mano, visitata da turisti di tutto il mondo. 
Con la passione di sempre per la pittura, ho riempito le pareti della mia casa, con dei miei dipinti olio su tela che rappresentano i vari paesaggi che mi circondano. 
Nei miei dipinti fa da protagonista la natura in tutte le sue infinite sfumature, L’Etna, il vulcano che sovrasta il mio paese nella sua maestosità con le sue eruzioni continue, è la mia musa ispiratrice sia dei miei quadri sia dei miei scritti, lei rappresenta la forza della natura pericolosa ma anche buona …con il suo materiale lavico rende fertili i terreni intorno dove ci sono vigneti e ulivi…
Amo la lettura e la poesia. Ho cominciato a scrivere alcune poesie all’età di trent’anni, il maggior numero in questi ultimi anni molto dolorosi della mia già travagliata vita.
Fino l’età di diciotto anni ho vissuto a Randazzo, Mi sono sposata con Franco Amato. Dopo di che mi sono trasferita per nove anni a Catania dove lavorava mio marito, lì sono nati i miei tre figli, Davide, Cinzia e Alessandro.
Sono tornata ad abitare a Randazzo nella stessa casa dove abitavo da ragazza e vi abito tutt’ora con la famiglia e la mia unica nipotina Miriam.
Ho svolto il mio lavoro di sarta sempre in casa, per seguire meglio la famiglia, ho confezionato abiti personalizzati disegnati da me anche da uomo e da sposa.
Amo cucinare e la buona cucina realizzando  alcune ricette e rivisitando le ricette della nonna modernizzandole.
La mia poesia nasce dalla mia vita intensa e piena di non poche sofferenze, che come un fiume in piena mi hanno travolto ma non mi hanno distrutto e che la fede in Dio mi ha fatto sempre superare; ho trasformato il mio dolore in versi senza perdere mai la speranza e l’ottimismo. 
Il mio percorso di scrittrice inizia circa 13 anni fa, dopo un grave incidente subito dal più piccolo dei miei figli. Il dolore provato in quella circostanza ha provocato in me il bisogno di esternare i miei sentimenti per meglio esorcizzare il dolore. Da quei giorni interminabili del Gennaio 2005, come travolta da un fiume in piena,  la mente comincia ad aprire quei cassetti della memoria che fino allora immersi nella nebbia sonnecchiavano senza accorgersi dell’impronta che avevano lasciato …come un nastro di un antico proiettore si riavvolge per tornare poi ad essere proiettato sul telo della vita che ti sta passando accanto….
Tutto quello che nella vita ci succede ha un senso anche se non umanamente spiegabile. 
La fede che mi accompagna da sempre e che nella più dura prova quando stavo per perdere mio figlio diviene più salda, è per me fonte di vita, ancora di salvezza, sostegno insostituibile…. la mia più grande ricompensa alla fatica (se così si può definire) del mio lavoro di scrittrice è stata quella che ha fatto si che io potessi con le mie parole trasmettere fede e speranza ad altre persone ….molti di quelli che hanno letto quello che scrivo mi hanno dato la conferma che la mia fede non è vana. 
In me c’è sempre stata la voglia di vivere e non di sopravvivere, con questo pensiero mi sono sempre creata un lavoro piacevole che mi desse soddisfazione, mi sono sempre creata degli spazi per non tralasciare le mie passioni che mi hanno riempito la vita con la prepotenza di chi non vuole soccombere nemmeno di fronte all’evidenza,
Apprezzo molto Pascoli e Carducci facendo  tesoro del loro insegnamento su argomentazioni come l’amore per la vita e la natura. 


Sin dalla mia giovane età ho letto la Sacra Bibbia ed ho fatto della fede la mia ancora di salvezza e della preghiera mezzo fondamentale per superare tribolazioni e sofferenze.
La mia poesia comprende versi dedicati alla gioia, molto importante per vivere dignitosamente, come nella poesia “Il profumo della felicità” che mitiga il dolore di una vita vissuta per il bene;
la speranza che quasi mai manca, “Nel lago incantato” e “La vita comunque germoglia”;
la nostalgia degli anni andati e della fanciullezza, “La fontanella della mia strada”;
i sogni ai quali non bisogna rinunciare “Limpido e azzurro”, “E ti sogno”;
il quadro completo della lotta e la rivalsa sulla sofferenza nei versi “Quei pezzi di vita”  e “L’immensa forza della vita” 
 dedicati alla natura come nella poesia “Un cuore a metà” , “Vorrei sentire la primavera”, “Il sapore della vita vera”, “Incendio nel cielo”.
Versi dedicati alla dedizione verso il prossimo nella poesia “Come il petalo di un papavero”.

Pubblicazioni e premi.
La prima pubblicazione è stata con tre poesie, passando la selezione di un concorso “VERSI PER UN TERRITORIO” della GB editoria Roma

Aderendo a delle iniziative editoriali ha partecipato alla realizzazione di antologie come “ATTIMI” “Poeti contemporanei” della casa editrice “PAGINE” della stessa, sono state pubblicate diverse poesie tra gli otto Poeti scelti dallo scrittore  “ELIO PECORA” sulla rivista mensile “POETI E POESIA”

Con ALETTI EDITORE ha pubblicato per selezione delle poesie per diversi volumi, autori vari.

Ha partecipato alla realizzazione di una trilogia “CIO CHE CAINO NON SA” con poesie e brani, per la sensibilizzazione della lotta contro la violenza sulla donna ma anche in generale. Partecipazione anche nel volume “La poesia contro il femminicidio” Realizzata per La macina Onulus Editore

La poesia “MI RIFUGIO NEL SILENZIO” premiata con targa d’argento e pubblicata sull’antologia  “ALDA NEL CUORE” nell’omonimo concorso con la Casa editrice URSINI EDIZIONI

La poesia “IN OGNI DOVE” Vince il primo premio assoluto nel concorso Premio nazionale “OASI” MOTTA S. ANASTASIA, nello stesso concorso per la poesia dialettale il premio speciale poesia “STU NOSRU MARI”

Ha pubblicato sei sillogi di poesie in lingua italiana un libro di dialettali “Vernacolo”e tre libri di narrativa… un libro di favole e aforismi.

 

Michele Mangione, Angelo Manitta ,Antonino Portaro, Tina Sgroi, Santina Gullotto e Franco Amato.

 

2018 Premio Mediterraneo Oasy  VI edizione con la poesia “GUARDANNU ATTORNU” Premio Arte e poesie con la poesia “VA COL PENSIERO”

La poesia “CHE NE SAI “ Premiata Aci Castello Da “OMIA ARTE” Nel concorso Castelli di versi

DEDICA

Dedico questa silloge (raccolta) di poesie dialettali alla Sicilia perla del mediterraneo e ai siciliani che la amano e che non facilmente la lasceranno…
al fuoco dell’Etna che sta nel cuore della gran parte di noi …
a chi non dimentica di lottare ogni giorno per le proprie radici…
al mio paese anche se i miei concittadini non sempre apprezzano l’arte e il valore del proprio paese…
grazie di cuore Orgogliosa di essere Randazzese, Siciliana.
 

Santina Gullotto.

 

Sinossi ( riassunto della mia opera letteraria).
Scrivo le mie dialettali in Randazzese così come lo parlavano i miei genitori e mio nonno.
Il nostro dialetto ha delle origini storiche molto antiche, fa parte delle parlate Galloitaliche. Sono stata spesso apostrofata per errori a parere di chi conosce bene la grammatica della lingua Siciliana. Nei gruppi del social, troppo fiscali, non pubblico le mie dialettali perchè alcuni non accettano che chiami, nelle mie poesie, la Sicilia “Siciria”, così come è in uso nel mio paese tutt’oggi (Sicilia = Siciria).
Credo che quello che conti maggiormente sia il sentimento che si mette in quello che si scrive e nel parlare ancora in dialetto così come eravamo abituati… e poi alla poesia si perdona la forma che a volte anche se non perfetta nella sua imperfezione trasmette il senso…. figuriamoci nelle Dialettali ….. credo che se si svegliasse mio nonno amerebbe le mie dialettali e quelle di tutti quei siciliani che scrivono col cuore…

 

       Alcune belle poesie di Santina Gullotto.

” A VARA “

Si sta vara ‘no ci fussi
ogni agustu a Rannazzu

ri stu iornu ogni annu

no sappimu chi si facissi…

Stu paisi sempri chiù suru

chi nò cangia anzi peggiora

chi campa tantu pi no muoriri

e no si sappi dari ri verzu

pi turnari o so vecchiu splinturi…

Quannu campava me nonnu

c’era tanta povertà

ma u paisi ri Rannazzu

si dava aiutu e da sti feste

si facivuni tanti ri li cosi

pi fari sempri chiù bella figura

cu li forestieri chi rivavanu ri tutti li parti..

Cu passari ri li anni quannu

rivau allu splinduri

sempri arrieri si turnau….

ma sta vara sempri splendenti

ndo cuori ri ogni ranniazzisi

u so postu sempri avi….

 

Traduzione

Se questa vara non ci fosse ogni Agosto a Randazzo, di questo giorno ogni anno non si sa cosa si farebbe …
Questo paese sempre più solo che non cambia anzi peggiora che vive tanto per non morire e non si sa dare da fare per tornare al suo vecchio splendore…
 Quando viveva mio nonno c’era tanta povertà …ma il paese di Randazzo si dava d’animo e in queste feste si facevano tante di quelle cose per fare bella figura con i forestieri che arrivavano da tutte le parti.
Col passare degli anni quando è arrivato allo splendore sempre indietro si è tornati… ma questa vara sempre splendente nel cuore di ogni randazzese un suo posto sempre ha…

 

 

 

STU RANNAZZU SCURU SCURU.

Stà Rannazzu sutta a muntagna …
‘nta vallata ri l’arcantara …
ri lu sciummi ca a lattu ci scurri…
chi cantannu scenni e scenni…
stu Rannazzu mi ricordu …
riccu ri frumentu e ri ligumi…
pi li srati i sciccarelli …
cu condadinu passavunu a mattinata….
E lu suri u luminava,
u codiava l’amuri ra genti….
erunu tutti comu i frati e suoru…
si iutavanu e si capivunu ….
u paisi ri Rannazzu … avanti si purtava …
Prestu vinni u progressu
chi purtau i commorità …
i cristiani tutti spirtinu,
lunu e lautru si supraniau..
E si campa ri superbia …
i ricchizzi ormai si mirau si pirdinu i principi…
e lu Rannazzu paisi magnificu
scuru scuru divintau…
E paria un giardinu fioritu
chi ormai non pari chiui….

 

SOLA E MUTA, di Santina Gullotto

Dalla silloge “VERSI RIFLESSI”
nella foto un mio quadro olio su tela

SOLA E MUTA
Sola e muta…
la casetta dell’ulivo verdeggiante…
non si senton più le voci
di allegri commensali…
Ne vocii di bambini
che si contenton l’altalena…
Sola e muta, senza fumo il suo cammino
di quel forno che sfornava pane caldo
espandendo un buon profumo
tra il boschetto delle querce…
Il tempo cambia ogni cosa
muta il percorso della vita
nel progresso che trasforma
e distrugge quel che resta
di un tempo ormai passato…
Sola e muta, in una domenica
che si veste di speranza la mattina
per finire con il sole
lì tra i monti che declina…

——————————

L’ultima fatica della signora SANTINA GULLOTO

 

 Dalla silloge ” NUVOLE DI POESIA ”
 Avanza il vento

Avanza il vento lì nella radura

scuotendo i rami tra le foglie si fa strada

E mentre il cielo chiude le sue finestre

un lampo squarcia le nubi grigie e buie…

Gocce di pioggia pesanti più del mondo

battono forte sulla terra nera

piegan al suo voler teneri germogli

e falciano l’erba tenera e fiori lì nel prato…

Calma la furia e riprende fiato

avanza il vento rallenta la sua corsa

le nubi grigie schiariscono e si diradano

e l’azzurro riapre le sue finestre

passa quel raggio di sole a riscaldare

il freddo brivido della furia andata

ancora qualche goccia a scender come lacrima

piange sommesso il cielo sul distrutto prato…

Così come il terrore che percorre le giornate

di una vita che subito s’infuria

sotto il peso del male che come l’uragano

distrugge al suo passaggio la fragile esistenza…

 

 

LA V EDIZIONE DEL PREMIO OASI A MOTTA S. ANASTASIA

Il premio “OASI” di poesia sul tema della psiche e dell’uomo, giunto alla quinta edizione, rinnova la sua esclusiva tradizione.

 

Il dr. Sollima e i componenti della giuria

Il Premio Nazionale “Oasi” di Poesia sul Tema della Psiche e dell’Uomo, giunto alla sua quinta edizione, rinnova la tradizione di essere un evento culturale suggestivo ed esclusivo, atteso e vissuto in ambito territoriale per la forza espressiva delle voci poetiche, interpreti di un mondo della sofferenza, che s’interroga e non demorde e si pone come riferimento di un confronto umano e fonte di dialogo.

La rassegna poetica biennale, si è svolta al C.T.A. “Oasi Regina Pacis” di Motta S. Anastasia, che opera da tanti anni con impegno e competenza sul territorio proponendo esperienze nell’ambito delle attività e terapie espressive, diventando una strategia e strumento d’ascolto attivo e premiante di una comunità terapeutica e riabilitativa per pazienti psichiatrici.

Il “Tema della Psiche e dell’Uomo”, elemento caratterizzante del Premio, ideato e condotto con abilità e professionalità artistica dallo psichiatra, scrittore e poeta Giovanni Sollima, si propone e si apre ad ogni poeta che invita a partecipare, creando da parte della commissione giudicatrice, un’importante attività percettiva e risolutiva.

La maggior parte dei contributi poetici giunti hanno sviluppato riflessioni e immagini sui grandi e attuali argomenti dell’Immigrazione e della Pace, secondo tematica indotta dall’istituzione del Premio Speciale “Mediterraneo”.

Trattando di poesia, risuonano sempre, come sottolinea Sollima, con forza atmosferica le parole di Pablo Neruda: La poesia è un atto di pace. La pace costituisce il poeta come la farina il pane”. Il riconoscimento speciale “Mediterraneo” è andato al poeta tunisino Mohamed Larbi Maadi con il componimento “Il mare di Karim”, ispirati e degni della più illuminante sintesi politica i versi finali della poesia: “Ma il mare è uno specchio: / date luce alla mia terra / e la mia terra porterà luce al mare. / Passerà il bisogno di scappare.

Il dott. G. Sollima, la poetessa Santina Gullotto, vincitrice del Premio OASI 2016, e la Prof.ssa S. Fiorito, componente della giuria.

Premio assoluto della rassegna “sul Tema della Psiche e dell’Uomo” è stato assegnato alla brava e sensibile poetessa randazzese Santina Gullotto con l’opera poetica “In ogni dove”; secondo premio a Lidia La Biunda per il componimento “Fede sommersa”; terzo ad Anna Maria Cosenza per “Es-senza”.

Valore aggiunto della manifestazione il conferimento del Premio “Poetica dell’Insegnamento – Diorama Educativo”, dedicato alla figura di Anna Maria Mogavero Sollima, una personalità che si è distinta per meriti psicopedagogici nel campo dell’insegnamento e nell’ambito dell’impegno civile. Per la seconda edizione è stato conferito a Carla Sarra, maestra in congedo e autrice dello scritto inedito “Il giardino più bello”, che è, come afferma la stessa autrice, “un diario semiserio di un felice quinquennio di scuola elementare”. Il sagace e interessante scritto si rivela uno scrigno di linde esperienze, appassionate percezioni e preziosi riferimenti didattici.

La magistrale performance in concerto del Gruppo Vocale Polifonico “Armosaico”, ha coronato e arricchito la kermesse che volutamente si proietta per l’interessante tematica di sensibilizzazione con la “Giornata mondiale della diversità culturale per il dialogo e lo sviluppo”, proclamata, sin dal 2002 dalle Nazioni Unite, guardando attraverso il riconoscimento estetico e di confronto al mondo e al futuro. La serata per lo spessore ieratico e il linguaggio tra stridulo, sbieco e umano si configura in un cammino esotico dedicando alla Musa del Cuore, padrona di casa che appaga e fa riflettere i canti poetici pieni di bellezza e fraseggi musicali.
di Lella Battiato | 11/08/2016

Il 4 maggio 2019 a Enna  Santina Gullotto ha vinto il 2^ premio sezione poesia del PREMIO LETTERARIO ” Umberto II re d’Italia ”

PUBBLICAZIONI
 

 

     
 

I libri si possono trovare oltre che in libreria anche su Amazzon

 

 Alcuni significativi dipinti di Santina Gullotto
cliccando sopra l’immagine si amplia

 

 

     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
 
     
     
     

 

a cura di Francesco Rubbino

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