Chi c’era lo sa cosa vuol dire restare impotenti davanti alla furia della nostra Etna; chi non c’era, come me e tutto lo staff di Tripnacria, può solo immaginarlo grazie a racconti da brivido.
Siamo sicuri che queste storie l’avrai sentite anche tu, ma noi vogliamo fartele raccontare da chi quei fatti li ha vissuti in prima linea, dai nostri genitori, zii, nonni e compaesani randazzesi.
Leggi un po’ questa storia!
17 marzo 1981
Una nuova alba dà colore al cielo di Randazzo. La primavera è alle porte e tutti gli abitanti si impegnano nelle loro faccende in una giornata qualunque di fine inverno, inconsapevoli di tutto ciò che sta per accadere.
La signora Concetta si alza presto al mattino, stende i panni e canticchia una canzone. Non inizia mai la giornata senza aver dato un’occhiata alla sua Etna, che da un po’ sembra volersi far notare.
“Si sa” – pensa fra sé e sé – “le donne amano essere al centro dell’attenzione di tanto in tanto!”
Rosaria, che abita a Passopisciaro, sta invece andando in stazione, deve prendere la littorina per andare a scuola a Randazzo. La scuola la odia proprio; ama invece il tragitto che la porta fino a lì. E come darle torto: l’Etna sullo sfondo e un trenino che corre lento attraversando vigneti e tanta vegetazione è un’immagine di sicuro più piacevole di una lezione incomprensibile di matematica!
Giuseppe, uomo devoto alla sua terra, va come ogni mattina al suo piccolo pezzo di terreno. La vigna e gli ulivi sono la sua vita. È impossibile per un uomo, ormai in pensione, starsene a casa con le mani in mano.
La campagna è il suo luogo d’evasione bucolica.
Ma qualcosa silenziosamente sta per abbattersi a pochi passi dal paese: l’Etna comincia ad avvertire tutti della sua incombente furia con tremori e scosse, inizialmente impercettibili agli abitanti.
Ore 11:30 circa. Ecco la prima scossa. Boati, tremori ed una cappa di fumo nero avvolge la montagna, ma questo non desta particolare preoccupazione: i randazzesi lo sanno che vivono sotto un vulcano e l’Etna non è mai stata un pericolo per loro. Qualcuno, però, presto inizia a provare strane sensazioni: i boati si intensificano e dei venti hanno cominciato a soffiare forte, come a presagire un terribile evento. Che succede?
Una folata di vento fortissima, verso le 12.30, scosse impetuosamente gli alberi e fece cadere tanti piccoli oggetti posati sui mobili.
Ore 13:37. Nancy viaggia sulla littorina di ritorno verso casa. Ma quel giorno il suo solito tragitto non è tranquillo come gli altri.
Andavo alle Magistrali e viaggiavo sulla Circumetnea. Ricordo il rombo dell’Etna che superava lo sferragliare del trenino e incuteva terrore.
Ore 18 circa. È adesso che la paura ha la meglio su tutti, quando l’eruzione vera e propria ha inizio. Si aprono bocche a 2.500 e a 1.900 metri e da quota 1.500 l’Etna sputa fuori un fiume di lava così fluido e veloce da ricoprire enormi distanze in pochissimo tempo. È inevitabile (ed anche comprensibile): i randazzesi si allarmano e alla paura si aggiungono panico e apprensione mentre girano le prime notizie.
Tra i boati cupi, incessanti, e quel bagliore rossastro nel cielo, cominciavano ad arrivare notizie concitate: “è ‘a Muntagna!”, “Si è aperta una bocca nuova, un’altra, un’altra ancora a quota 1200 m.”, “La lava scende velocissima, sembra un fiume rosso.”
Tutti scendono per le strade, ammirando – con spavento e meraviglia – l’essenza furiosa della loro Etna. Il sindaco e l’amministrazione iniziano a pensare ad uno sfollamento del paese.
Ricordo il macigno sul cuore quando ci dissero che Randazzo doveva essere pronta all’evacuazione e che “a chiazza”, il salotto della mia cittadina, poteva sparire sotto il fiume incandescente della lava. Ricordo le mie lacrime e la grande fiducia di mio padre che mi ripeteva che la Madonna e San Giuseppe, in Paradiso, erano alla ricerca di Gesù per chiedere il suo intervento miracoloso. Ricordo il cielo fumoso e l’odore di zolfo sulle nostre teste e i militari dappertutto.
Montelaguardia è il primo centro abitato ad essere travolto dal terrore di una ipotetica distruzione, ma per un pelo è salvo. Una piccola montagnola, infatti, ha deviato il corso di lava verso il fiume Alcantara salvandolo. Molte ville, case di campagna e terreni tuttavia sono distrutti; solo pochissimi beni e costruzioni, frutto dei sacrifici di una vita intera, riescono ad essere salvati in tempo sulla SS 120.
La disperazione di chi sta perdendo tutto è immensa.
Mio zio, saputo della perdita del suo terreno con all’interno una bella casa, ebbe una febbre altissima per molti giorni e passò un periodo che somigliava alla depressione molto lungo.
La notte di certo non trascorre meno terribile del giorno. Qualcuno dalla paura non chiude occhio fino a quando non sorge il sole, pensando al peggio.
Fu una notte di paura, nessuno andò a dormire, si restò in piedi, sulle sedie, coi vestiti addosso, finché di prima mattina qualcuno accese la radio.
Il Giornale Radio diceva: “Randazzo, il paese che sta rischiando di venire sepolto dalla lava…” e qui le lacrime partirono da sole.
18 Marzo 1981
Ore 10:30 circa. Il giorno seguente, alle notizie di certo non rassicuranti dei media, un gruppo di fedeli si raccoglie in preghiera, ma proprio in questo momento una seconda colata lavica prende piede da 1150 metri, anche lei minacciando Randazzo e scorrendo verso la zona del Cimitero Comunale.
Randazzo è adesso in una morsa di fuoco dalla quale sembra impossibile scappare; la strada statale è già stata bloccata e con essa anche i binari della ferrovia circumetnea. Forze dell’ordine, vigili del fuoco e militari tutti si mobilitano per venire in soccorso; la gente impaurita non sa cosa fare né tanto meno dove rifugiarsi. Fortunatamente, la seconda colata è meno fluida e veloce della prima. Nel frattempo gli abitanti trovarono la forza ed il coraggio di andare a vedere con i propri occhi cosa sta accadendo.
Il 18 la vidi, la lava, in contrada Arena: si muoveva più lenta, con un rumore ferrigno, agghiacciante, era altissima ed emanava un forte odore di zolfo che mi fece pensare subito all’inferno.
Tra gli spettatori c’è anche qualche stolto che “regala” alla lava quello che non si è portata via di sua iniziativa.
Io andai a vedere la lava più da vicino con i miei genitori ed altri parenti: la lava rotolava e si sentiva una forte puzza di zolfo. I meno previdenti lasciarono l’auto parcheggiata lungo quello che sarebbe stato il percorso della lava; le macchine furono inevitabilmente travolte. Molta altra gente arrivò da fuori e ricordo che qualcuno intelligentemente venne ad arrostirsi la salsiccia sulla lava finendo in ospedale.
19 Marzo 1981
Gli abitanti, sempre più impauriti, ricorrono ad una seconda preghiera. Portano in processione la statua di San Giuseppe, oggi santo patrono, per le vie del paese. Ad un tratto il cielo inizia a piovere nevischio ed una lieta notizia inizia a spargersi: la lava ha rallentato la sua corsa e si è quasi fermata a pochi passi dalle prime case del paese! Forse la natura, forse qualcosa di divino ha mandato questi candidi fiocchi di neve come a spegnere il fuoco altrimenti inarrestabile. E la gioia vince sul dramma.
Adesso la lava avanzava appena, in prossimità di case sulle quali nessuno allora avrebbe scommesso, mentre cadevano i fiocchi di neve… E il resto lo sappiamo tutti, ma confesso una cosa: da quel momento in poi il mio rapporto con la Montagna si è guastato, irrimediabilmente.
Da quel giorno l’Etna non si è di certo fermata.
È un vulcano e come tale continua periodicamente a riempire i nostri occhi di stupore e meraviglia.
Quel che è sicuro è che il rapporto con Lei per molti degli abitanti è cambiato radicalmente: al sentimento di devozione si è aggiunto anche quello di timore e di rispetto, come verso ad una madre severa, ma giusta.
Nessuno ad oggi può dimenticare quegli attimi drammatici e inimmaginabili.
L’Etna intanto è ancora lì, austera e potente, con la sua cima che sembra sfiorare il cielo e la sciara nera ai suoi piedi.
Lei, che è inferno e paradiso insieme, che ha dimostrato ancora una volta a tutti gli uomini che la natura dona e toglie, che è benevola e tempestosa, che nella sua apparente contraddizione non smette mai di affascinarci.
Lei che in fondo si ama sempre e si odia talvolta, o meglio, si teme.
Noi di Tripnacria vogliamo ringraziare tutti gli abitanti di Randazzo che ci hanno raccontato sui social le memorie di quei terribili giorni, in giorni altrettanto difficili come quelli durante l’epidemia da Coronavirus.
Un grazie particolare ai miei genitori Rosaria e Antonio, alla mia zia lontana Silvana, a Nino, Nancy, Maristella, Rosa, Valeria, Antonio, Manuela, Enrico, Antonino, Concetta, Giuseppe e a tutti coloro che ci hanno regalato i loro racconti.
Chiara Proietto