Notizie biografiche del Prof. Enzo Maganuco: nato ad Acate. Ragusa, il 10 novembre 1896, si è spento a Catania il 4 febbraio 1968. Professore di Storia dell’Arte, storico e critico, studioso di tradizioni popolari, conferenziere e pittore, è stato Direttore del Museo Civico del Castello Ursino di Catania.
OPERE:
– Lineamenti e motivi di storia dell’arte siciliana, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, 1932
– Architettura plateresca e del tardo cinquecento in Sicilia, Catania 1939
– Problemi di datazione nell’Architettura Siciliana del Medioevo, Catania 1940
– Icòne di Antonello Gagini in Roccella Valdemone, Catania 1939
– Cicli di affreschi medioevali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, Catania 1939
– Opere d’Arte catanesi inedite o malnote in Catania, Catania aprile 1933
– La pittura a Piazza Armerina, Siciliana, agosto 1923
– Artigianato e piccole industrie, 1932
– Le decorazioni dei carri e delle barche, 1945
– Motivi d’Arte Siciliana, 1957
– Bibliografia: Salvatore Nicolosi, Enzo Maganuco, in “La Sicilia”, 6 febbraio 1968, p. 3.
PANORAMI DI PROVINCIA
RANDAZZO
Nelle serie dei panorami di provincia la “regione della Valle dell’Alcantara” deve necessariamente avere uno dei posti più cospicui. Interessantissima così per la storia, come per l’arte ed il paesaggio, Randazzo non si presta ad uno dei soliti brevi profili, che si ridurrebbe ad una arida e banale enumerazione di tutte le gemme delle quali la cittadina etnea va superba.
Preferiamo quindi trattare a puntate i diversi aspetti e le principali caratteristiche dei suoi monumenti e cominciando con lo studio dell’architettura che dà il volto alla città e che non può non colpire persino il più superficiale visitatore, mentre scuote profondamente chi è dotato di una maggiore sensibilità estetica e impone problemi importantissimi a chi particolarmente studia le forme dell’architettura siciliana.
1) L ‘ A R C H I T E T T U R A
“La Sicilia è la chiave dell’Italia” dice Goethe. Ma se la Sicilia è la chiave dell’Italia, Randazzo è la chiave della Sicilia.
Randazzo con Nicosia, Piazza Armerina ed Enna forma un quadrinomio glorioso che racchiude da solo – se si eccettui l’arte arabo-bizantino – tutta la scala delle manifestazioni artistiche del nostro medioevo.
Mentre però Nicosia ha in prevalenza forme architettoniche castigliane dai portali a merletti lapidei lineari e stilizzati, e Piazza Armerina forme aragonesi dagli archi con cuspide gigliata a fiore di magnolia o di canna indica, ed Enna archi severi e secchi di purissimo stile romanico-normanno e di gotico-svevo, Randazzo accoglie tutte le forme più svariate che ebbero risonanza in Sicilia; essa tutte le contiene, associate o isolate, e le armonizza in rigogliosa mostra che va dai reliquari d’argento ai fonti battesimali gotici, dalle cupe fortezze ai sinfonici torrioni campanari, dalle severe bifore romaniche a quelle gigliate aragonesi che portano l’eleganza della loro inflorescenza anche sugli archi e sui portali della modesta architettura rustica del quattrocento perietnèo.
Randazzo poi, fiera della sua tradizionale architettura dugentesca e trecentesca, ha rigettato ogni forma tardiva o barocca , quasi che le sue fosche e possenti mura perimetrali che affiorano or qua or là dalla massa basilare di cupa lava a riflessi metallici, si siano innalzate a impedire ogni influenza di quel tardo baroccaccio spagnolo che, coi suoi aggetti violenti e con le sue convulsioni di linee curve e spezzate, avrebbe per certo ucciso l’armonia sana discendente dalle masse architettoniche sveve, ad archi a pieno centro.
Lo stesso arco acuto che a Randazzo è una nota tematica comunissima nello svolgimento architettonico, non fu quivi adottato in svettamenti esili e nervosi; esso trovò negli architetti randazzesi del trecento, dei tenaci moderatori; chè, del resto, nell’aver saputo piegare l’arte gotica esile e svettante a un tono di serenità e di compostezza che non stride a contatto del gusto di noi figli di Kamarina e di Siracusa, sta la grandezza degli architetti siciliani del medioevo e del rinascimento.
E ora, se Tu arrivi a Randazzo, che conserva il calore del tempo anche ne vestiario dei popolani, in una sera quando la luna gioca tra gli archi acuti a catena di via degli Uffizi o tra le merlature e le merlettature lapidee di S. Maria, o tra i finestroni del fosco torrione campanario di S. Martino dalle variegature bianche e di verde basalto tra i faci di colonne di nera lava macchiettata di rugginosi e gialli licheni, ti par rivivere un attimo del passato; ché nessun festone barocco ti distoglie; e sui ballatoi delle umili case ancora si aprono porte incrociate di archi catalani, in cui la lava, pur nel suo nero metallico è stata ridotta a un bel merletto di pietra; e se slarghi l’anima tua dall’abside cupa e grandiosa di S. Maria verso le balze e verso l’Alcantara ti parrà, se sai sognare, di rivedere il fasto passato, e Costanza, e re Pietro D’Aragona, e Federico II e Carlo V e gli altri che dopo aver dato l’impronta loro agli uomini e alle cose, andavano a cercare ristoro alle loro cure lassù, tra le cattedrali famose, salendo tra le pittoresche siepaglie ora rosseggianti di rosolacci e, nell’inverno, di anemoni; ora pallenti di croco, ora biancheggianti per neve.
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L’arte romanica con archi a pieno centro ha rare manifestazioni in Sicilia. Sono romanici a Piazza Armerina il Priorato di S. Andrea, la Comenda di S. Giovanni di Rodi, ma la romanicità delle absidi massicce, dei muri spessi e bassi, delle finestre strettissime, quasi feritoie, a strombature, è interrotta nella purezza del suo stile per l’immissione dell’arco acuto che non è, però l’arco acuto gotico, trionfante più tardi a Messina e che verrà dal nord con valore costruttivo e statico; quello siculo è un arco acuto più sobrio, meno slanciato, più confacentesi alla saldezza atticiata romanica, di puro valore decorativo e importato dai Cavalieri provenienti dal Santo Sepolcro.
L’arte romanica vera, ad arco a pieno centro e rammemorante assai davvicino l’arte dei maestri comacini, la rivediamo pochissimo nelle città etnee: nella porta della Chiesa del Santo Carcere a Catania e, a Randazzo, nella euritmica e solenne, abside della Chiesa di S. Maria.
Chi sale dalle balze soprastanti l’Alcantara vede ergersi la mole turrita di quel abside merlata in parte nelle absidiole, tutta chiusa entro una linea severa limitante il gioco geometrico dei conci perfettamente squadrati sull’altissimo sperone che le cinge, a rafforzarne la base, si aprono le finestre a pieno sesto.
L’abside porta un fregio a sezione rotondeggiante, martellato, elegantissimo, che fa da coronamento a un loggia tino decorativo ricorrente e cieco, ad archetti poggianti su brevi colonnette aderenti: impronta generale questa che riporta senz’altro alle absidi della Cattedrale di Enna, della Badia di S. Spirito a Caltanissetta, dell’abside del Duomo di Cefalù: ma in questa le lesene decorative si allungano verso il basso, fino allo sperone, mentre qui il gioco delle arcate e lo sviluppo delle colonnine è limitato da una zona ricorrente che pare stringa con veemenza di gomena tesa e tenga unita tutta la cortina muraria.
Nelle absidiole è minore il contrasto e il motivo degli archetti pensili si risolve su brevi peducci poggianti su mensolette a base triangolare col vertice all’ingiù.
Le ali del transetto portano altissime bifore incorniciate da un arco inflesso senza cuspide e che preconizza lo sviluppo dell’arco gigliato aragonese; il trapasso è dato dalla leggiadra finestra bifora sulla quale insiste il doppio racemo aragonese, connubio stilistico che riesce a dare una forma addirittura musicale benché nata da opposti stili.
Essa si ergeva appunto a metà della navata di destra e a me pare debba segnare un trapasso fra il primo periodo iniziale, che risente di forme romaniche e sveve, e il secondo che è prettamente aragonese.
E la stessa risoluzione della cuspide gigliata che si rivede vagamente scolpita su portali di Santa Maria di Gesù a Modica, nel torrione campanario della Cattedrale e della Chiesa del Carmine a Piazza Armerina, nella Cattedrale di Alghero in Sardegna.
Pare che il mazzo di fiori o lo stemma centrale pesi tanto da far flettere elegantemente l’arco sì che l’arco acuto sembra una causale derivazione estetica, non conseguenza di una necessità statica per lo scarico delle forze ai lati dell’arco stesso.
Come la pittura di Antonello è documento principale del quattrocento architettonico in Messina (S. Gerolamo a Londra) così una tavola di Girolamo Alibrandi, posta internamente sulla porta meridionale di Santa Maria raffigurante “La salvezza di Randazzo” , ci illumina sull’architettura medioevale del luogo: la visione della città è sintetica, ma non tanto che ci nasconda la vista dei tre campanili svettanti sullo sfondo della mole etnèa che fa da cupo contrapposto ai tre biancheggianti torrioni campanari delle Cattedrali, scisse da annose questioni.
Federico De Roberto nella sua opera su Randazzo (Randazzo e la valle dell’Alcatara) nella quale risolve numerosi problemi di carattere storico, riproduce la tavola preziosa, il quale fa pensare che l’architetto Francesco Saverio Cavallari, (1809/1896) ricostruendo nel 1863 l’avancorpo e la porta sinistra, dovette per certo confermare gran parte della sua ricostruzione allo schema architettonico dato da Girolamo Alibrandi.
Tuttora la Chiesa di S. Maria è una delle opere più notevoli per purezza e per severità di stile. Anche le porte laterali quattrocentesche formano il respiro per il senso musicale che emana dagli archi frastagliati e scorniciati che, colle porte laterali della Chiesa di S. Martino, rappresentano una varietà decisa e profondamente siciliana su quanto i flussi di arte importata andavano creando nel campo architettonico quattrocentesco.
Il turrito campanile di S. Martino, opera che dà il tono a tutta l’architettura trecentesca di Randazzo, si innalza severo su uno sperone altissimo, e su di esso poggiano tre ordini di finestre a fasci di colonne; le finestre bifore dei primi due ordini, sono vagamente intessute, come s’è detto, di strisce di calcare bianco che si alterna colla lava in gioco elegantissimo.
A lato, i fianchi della navata centrale conservano ancora le teorie degli architetti di coronamento, unica espressione superstite della ricostruzione tardiva e barocca.
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Ma dopo tanto sciorinio di vocaboli accennanti a ibridismo stilistico, vien fatto di chiedere: dunque non c’è uno stile siculo ? O se c’è stato, l’influenza bizantina, araba, spagnuola, tedesca è stata tanto potente da schiacciare quella locale ?
Il problema, insito nella domanda, merita una risposta che, del resto, è estensibile a tutta l’arte siciliana.
La Sicilia fu luogo aperto a molte genti che vi scorrazzarono, abbattendo e creando secondo il proprio gusto e il proprio stile. Ne è prova il pullulare dappertutto di opere d’architettura straniera che però raramente è trapiantata con uno stile integro.
Ma gli artisti nostri furono dei grandi adattatori.
Assorbirono le tendenze stilistiche degli altri imprimendovi il suggello dell’arte nostra. Questa è stata finora trascurata dagli studiosi, se si eccettuino Pietro Toesca, Adolfo Venturi, il Rivoli, Giulio Ulisse Arata, per comodità mentale: spesso con i vocaboli misti siculo-normanna , arabo-normanna, siculo- aragonese, gli studiosi hanno voluto denotare l’arte medioevale e del primo rinascimento in Sicilia.
Ormai però è tempo di combattere questi vocaboli vieti, spesso frutto di studi di valore scolastico. Basti vedere il reliquario d’argento di Simone de Aversa nel tesoro nella Cattedrale a Piazza Armerina, o quello del tesoro di S. Agata a Catania, il turibolo, l’estensorio e il calice di re Martino a Randazzo, in queste opere di oreficeria sono espressi pure in tono minore, i motivi tematici di gran parte dell’architettura gotica del tempo ( architettura tedesca, italo-senese, francese, aragonese) e pur tuttavia non troviamo nell’architettura siciliana quasi mai l’attuazione delle regole costruttive sintetizzate nei reliquari che sono come il credo architettonico di quei tempi. Ciò perché i nostri artisti trasformavano imponendo la loro personalità e il loro indirizzo estetico regionale, alle correnti importate.
Che ci impedisce di credere che quel Magistero Petrus Tignosus, autore, sul primo scorcio del duecento, di una parte della Cattedrale di Santa Maria, sia stato siciliano?
Troviamo infatti in tutta la struttura dell’opera sua una concezione veramente nuova nei ritmi delle masse.
Qui a Randazzo se usciamo da via dell’Agonia, che fra i muri sbocconcellati dal morso del tempo mostra una variazione interminata di archi e di costoloni di tutte le epoche, accavallati o sovrapposti stranamente, ritroviamo nelle vie strette e silenziose che muovono verso le Cattedrali, bifore come quelle di casa Cavallaro e altri con archi di pretto gusto catalano o aragonese, ma notiamo intanto lo sfruttamento del contrasto cromatico dato dalla lava, dall’arenaria tenera, dal calcare duro.
Ebbene, il ritmo decorativo a base di contrapposto è nostro, è siculo e se simile variazione cromatica si vede prima nell’arte romanico-normanna o nella romanico-comacina, là essa ha ben diverso impiego estetico.
Ci sono strutture costruttive, del resto, che noi non troviamo in nessun’altra architettura, né la presenza di alcuna espressione stilistica straniera ci vieta di chiamarle forme di arte sicula.
La finestra di Casa Spitaleri riproduce quella del Viale degli Uffici che oggi la natura corona con una pittoresca agave.
V’è stile sicuro nelle colonnine incastrate al muro che sottendente i pilastri, nella variazione del materiale in funzione del colore, nei portali delle umile case di via Cavallotti coll’estradosso lavico che par fatto a tombolo con serico filo a nero.
Questi particolari, la strana forma della bifora di casa Camarda hanno sapore nostro di forza e di contenuta bellezza. Ci vuole tutta la presunzione e la superficialità di alcuni critici francesi che bestemmiano l’arte nostra perché venga misconosciuta la pura sicilianità delle forme architettoniche perietnée.
La fine del 400 si inizia a Randazzo con forme rozze ma originali: le porte laterali di S .Martino con le fuseruole e i serafini nell’estradosso dell’arco, ridiventato a pieno centro sui portali, non hanno riscontro in altre opere; e il coronamento dell’arco, che si trasforma in colonnine tortili a tarda decorazione cosmatesca, è di una bellezza semplice, nuova e possente.
Che vale che contribuiscono elementi del passato ? questi sono elaborati da uomini che rivangano il passato con personalissima ispirazione per farvi germogliare il seme dell’arte nuova.
Gli artisti veri e sommi creando l’opera fanno dimenticare la provenienza delle parti che la costituiscono.
Più tardi il notissimo Mattia Carnilivari personalità più spiccata dell’arte nostra, vedendo Palazzo Aiutamicristo, palazzo Abate…….. quella Chiesa di Santa Maria della Catena a ……… , chiesa che è, in linea massa e ombra……. Che può essere un’aria di Pergolesi o un………mo di Benedetto Marcello, assumerà con…………rabe e modanature bizantine, archi……..aragonesi e piedritti gotici, rifarà sulla nuda……..motivi d’arco randazzesi ritessuti in nuovi indimenticabili rapporti.
P A N O R A M A D I P R O V I N C I A R A N D A Z Z O
2) La Pittura e la Miniatura
La strada che si snoda da Bronte, nei pressi di Randazzo, quasi a voler preparare una sorpresa al viandante, si torce e percorre, scavandolo dalla base, uno scheggiato costone basaltico, concedendo allo sguardo solo le lontane Caronie quasi sempre ammantate di neve e maculate da una larga pennellata violacea: Troina. E quando ancora lo sguardo corre a lontananze a perdifiato e i pioppi della vallata biancheggiano piccolissimi e i quercioli rosseggiano rugginosi, eccoti all’ultima svolta comparire di colpo, erta su uno zoccolo alto, fosco, lavico, la città dalle tre cattedrali archiacuti così come la dipinse Girolamo Alibrandi nella tavola che sovrasta alla porta laterale della Chiesa di S. Maria: Randazzo.
Entrati per la porta aragonese fin nella piazza dominata dal trecentesco campanile, tipico e sfociante di là in una stretta via che si inizia col castello quattrocentesco e si dirama in un dedalo di case medioevali a bifore e ballatoio, ci troviamo a pochi passi da innumeri opere di pittura : il retoricume pseudo critico ne ha eccessivamente valorizzato una parte e la tronfia apologia di teatrali e chiassose opere barocche o di tardi e scialbi seguaci del Conca fino al corretto ma sdolcinato palermitano Velasques (Giuseppe Velasco) ha fatto sì che gli studiosi e i buongustai si siano sviati alle prime indagini.
Ma Randazzo ha opere dugentesche , del primo rinascimento e della rinascenza che ti colpiscono per la loro decisa importanza, indice non trascurabile di quella Randazzo cinquecentesca che a Carlo V dovette mostrarsi opulenta (2), doviziosa di bellezze artistiche attraverso gli intatti monumenti normanni, svevi, aragonesi, catalani vari per stile e per ideale estetico e attraverso le opere di pittura le quali nonostante i morsi del tempo, la perfidia degli speculatori, l’incuria degli uomini e la bestialità dei restauratori, continuano ad affiorare e a cantare un inno alla bellezza e allo spirito creatore.
Giunto a Randazzo, qualche anno fa, per ricercare gli elementi romanici della Chiesa di S. Maria e per studiare il pulpito gotico in S. Martino, entrato nella navatella destra per godere una madonnina di scuola gaginesca posta sull’altare dell’absidiola, rimasi colpito da una tavola o pietra di un metro di base, sulla parete destra; di fronte alla meravigliosa austerità dolorante espressa dalla semplicità e dalla sintesi di un potente primitivo, mi parve che cadessero la dorata se pur semplice cornice, e gli ex voto d’argento o corallinei della madonna accanto, chiassosi come una festa popolare; e la tragica discesa al sepolcro, di buon maestro tenebroso che sta di fronte, nella preziosa cappelletta, mi parve eccessivamente concitata, priva di tragica calma, di solennità e mi parve che che i colori – se pur armonicamente disposti e dominati – mi portassero lontano da quell’aurea mistica, purissima, vibrante di silente spasmo sovrumano che emana dalla piccola tavola.
In fondo l’accenno simbolico della croce; il Cristo esile e spiritualizzato, come stelo spezzato, è retto dalla divina stretta di Maria. L’ideale bizantino qui, quasi spoglio dei suoi tradizionali elementi iconografici e mistici per dar posto a una trasfigurazione palpitante, umana, non è per niente annientato.
Il mirabile artista dugentesco da una tecnica bizantina a lumeggiatture aurate sa trarre una spiritualizzazione sovrumana che ferma il respiro. Tinte verdognole e livide, ombrate dolcemente con terra di Siena e lumeggiatture a oro, càmpano e delimitano il corpo del Cristo e il divino, puro , straziato volto della Madonna.
Il manto, in monocromato di lacca cremisi è limitato tutt’intorno da oro martellato che isola il sacro gruppo in un ambiente convenzionale e ultraterreno; le dita della Madonna si allungano quasi purificate a esprimere una delicatezza che trova riscontro nell’arco sopraciliare dolcemente intagliato sul cupo dell’orbita dalla quale affiora solo la palpebra immota (3).
La deposizione della pinacoteca di Bologna, pur nello stesso filone iconografico di Randazzo, a questa inferiore per certo, impallidisce di fronte alla nostra opera: il convenzionalismo ieratico di quella qui si veste senza disperdere la purezza ideale, di un soffio di umanità che fa della tavola del Maestro di S. Martino una delle opere più rappresentative della pittura dugentesca e trecentesca siciliana, che nelle croci iconolatri che di Messina, Agira e di Cesarò, primitive e potenti, sintesi che è a un tempo mistiche e umane, additano quali dovettero essere le vie seguite dalla pittura in Sicilia (4): quivi il retaggio della pittura bizantina si avviava o verso la via dell’icone popolaresca talora sotto forma di ancona o si trasmutava, lontana dai rinnovamenti cavalliniani e giotteschi, verso forme di piccola composizione in cui il rinnovellato sentimento si sviluppava entro una fissa cerchia di ieratismo insormontabile che costituì una pittura primitiva vittoriosa sui legami tradizionali del passato ma non avviata alle nuove invidiabili risoluzioni della pittura fiorentina e senese.
La privata chiesetta di S. Gregorio, incorporata fra le case di un vicolo sempre verde per le ramature dei vicini giardini e per la glicine che vi si accampa, si annunzia con una cupoletta esagonale a padiglione, per certo del rinascimento.
Vi si va per vedere il quadretto del santo, posto sull’altare, opera dello Zoppo da Gangi. E’ questo di un periodo giovanile del forte pittore siciliano che ancora imbevuto della recente visione dei quadri di Federico Barocco in Roma, si abbandona ad un colore dolciastro come nelle prime opere che dipinse per la città natìa e ben lontano da quel colore armonico e sodo, dal fare lirico ma contenuto che sarà sua caratteristica e sua conquista nelle opere di Polizzi Generosa e di Piazza Armerina.
Ma il godimento che può arrecare la tela dello Zoppo si affievolisce e si spegne se l’occhio si posa, sulla parete destra della nuda navata, su un trittico che ripaga a usura colla sua bellezza il viaggio fino a Randazzo: ché sull’anima di chi ha dimestichezza con la misteriosa voce dei trecentisti il trittico Fisauli è una luce improvvisa, una musica nuova che scaturisce da linee e da tinte inconsuete al nostro occhio di siciliani.
Che il trittico sia stato dipinto a Randazzo é fuor di dubbio; la deposizione del Maestro di S. Martino della quale s’è dianzi detto è servita da schema iconografico ispiratore al Maestro del trittico il quale nella cuspide dello sportello centrale ha immesso, a coronamento decorativo del lacunare raffigurante la Madonna col bambino, la scena della deposizione.
Le altre due cuspidi triangolari e simmetriche accolgono l’Annunciazione, a coronamento delle due figure laterali dei santi. Tutta l’impostazione, la gamma delle tinte sulle quali prevalgono la garanza e il giallo aurato, quel risolvere i valori volumetrici con sfumature progressive verdognole, quel sollevare i piani anatomici lumeggiandoli di misterioso carnicino chiaro talora spinto al giallo, tinta dominante l’opera, ci riportano con troppa immediatezza a quel Turino Vanni da Pisa, trecentista seguace di Taddeo di Bartolo, del quale è nel Museo di Palermo una Madonna con bimbo e Santi (5).
Per noi è di decisivo interesse l’iscrizione dietro una tavola dipinta del Museo di Palermo, riportata dal Di Marzo e che suona così:
Tauleta di Piero de
Tignoso fata adi
Primo di Magio. (6)
Lo stesso stile lega all’opera precedente e a quella di Randazzo una tavola del Louvre firmata : Turinus Vannis de Pisis me pinxit.
Fin qui Gioacchino Di Marzo (1839/1916) che si sbizzarrisce a cercare le origini della famiglia Tignoso in Pisa dimenticando una preziosa scoperta da lui fatta a Randazzo attorno al 1856 e che consiste nel aver egli letto su una lastra di arenaria murata nella Chiesa di S. Maria il nome dell’architetto che lavorò attorno alla bella cattedrale in pieno trecento, quando Leo Cumier aveva già finito la parte absidale romanica:
Magister Petrus Tignoso me fecit.
Nulla di strano che questo Magister Petrus Tignoso (7) abbia posseduto anche il trittico Fisauli in seguito alla permanenza di Turino in questa città il quale, forse anche per comunanza di ideali d’arte, avrà donato, lui pittore, all’archetetto della cattedrale, la tavola oggi a Palermo.
Nella cappella destra del transetto nella Chiesa di S. Martino, e limitata in alto da un coronamento a timpano lunato con deliziosi angeli musicanti, si para la grandiosa tavola della Natività della Madonna già attribuita all’Anemolo (si tratta di Vincenzo Anemolo da Palermo detto il Romano).
Un grande disegnatore l’ha creata: un maestro cinquecentesco che nel suo sintetismo violento in cui il colore è solo mezzo di risoluzione plastica in funzione del disegno, e non altro, profila duramente con fare da medaglista: ha osservato Pisanello, Piero della Francesca, Perugino.
E’ un maestro che dentro la linea stagliata dei contorni, vibrante, fa circolare il colore con ritmo soave: ben diverso dall’artista che nella stessa chiesa dipinge l’Annunciazione venuta alla luce, pur’essa colla cornice cinquecentesca originale, e tratta non so da quale sagrestia.
Opera deliziosa anch’essa ma scaturita da ben diverso spirito e permeata di diversa ispirazione. E’ dalla fine del 500 . Il ritocco, non recente, ha deturpato gran parte della composizione su tela intavolata. Il collo dell’angelo e i segni che squadrano il pavimento sconvolgendo il senso prospettico stonato su tutta l’armonia dell’opera: il senso prospettico è invece mirabile nel paesaggio che s’apre sullo sfondo attraverso una sezione d’arco: a sinistra in alto, una danza di cherubini e l’Eterno.
Il pittore mostra di aver conosciuto davvicino le opere del Greco, specie nello slancio nuovo dell’angelo in abito giallino e veste verdognola. L’Artista limita il gioco della sua tavolozza al verde, al rosso, alla terra d’ombra dai quali trae sobri accordi che conferiscono a tutto il dipinto un’aura mistica.
E’ interrotta l’iconografia tradizionale della Annunciazione: la Vergine volta le spalle al paesaggio raffaellesco e legge. L’atteggiamento dolce è sfiorato dal manierismo nelle mani esili e spiritualizzati.
Ben duro e sordo attaccamento alla tradizione iconografica mostra Giovanni Caniglia (1548) che a S. Maria ripete su una tavola accurata e manierata il transito di Maria che con maggiore libertà ha dipinto in Comiso, nella Chiesa dell’Annunziata, pur rimanendo ligio allo schema dell’ecoimesis bizantina.
Non saprei chiudere in tono rosa questi mi appunti sulla pittura in Randazzo perché il mio pensiero corre – e se ne ritrae dolorosamente – alla tavola tribolata, antonelliana , chiusa accanto a una superba tavola cinquecentesca, già attribuita a scuola raffaellesca ma sicuramente fiamminga, in S. Bartolomeo.
Questa tavola, assai più vicina ad Antonello degli Antoni che ad Antonello de Saliba è stata ritoccata con colori gridellino, violacei con lavature di oltremare, con lacche, con……… che non sono nella forma mentale e nella sensibilità di nessuno dei due maestri ai quale attribuibile l’opera.
Avremmo per certo preferito un restauro che avesse fissato quel che già c’era (restauro oggettivo) o che avesse rivelato quello che si nascondeva, attraverso una scientifica lavatura delle aggiunzioni posteriori (restauro per sottrazione) : Luigi Cavenaghi insegni coi restauri di S. Zosimo a Siracusa e di S. Gregorio nella tavola della Madonna del Rosario ora nel Museo di Messina, opere ambedue del grande messinese all’attività giovanile del quale mi sembra si debba restituire questa preziosissima opera alla quale sovrapposizioni posticce e avventate di vernici e di colori hanno tolto non poco, meno quella fissità cristallina e penetrante dello sguardo, quella squadratura geometrica eppur scavissima del volto, tutte l’impostazione generale, il dominio degli spazi, doti vive e inconfondibili che ci riportano alla Madonna del Rosario di Antonello, ora nel Museo Nazionale di Messina.
IL LIBRO DI PREGHIERE
DI GIOVANELLA DE QUATRIS
Gelosamente custodito nel tesoro della cattedrale, il libro di preghiere di Giovannella De Quatris, (1444 – 15 luglio 1529) , nobile randazzese della fine del quattrocento, chiude fra due valve eburnee, intagliate duramente a basso rilievo, tre lamine pure esse eburnee, sulle quali poggiano attaccate e leggermente erose per lungo, ascetico uso, sei paginette in pergamena.
Il piccolo codice, sul quale la baronessa De Quatris, illetterata, posava lo sguardo a contemplare i misteri della vita e passione di Cristo, misura, aperto, cm. 10×13.
Le valve del dittico che formano come due coperture di guardia al codice miniato, sono divise in due zone. La prima contiene la Crocefissione in alto, e la Resurezzione in basso, l’altra rispettivamente l’Incoronazione e il Transito di N. D.
Una cornice ricorre sopra ogni riquadro e consta di una serie di archetti pensili, ciechi di coronamento.
Sono archetti acuti cuspidati, col giglio apicale di gusto francese e aragonese come se ne rivedono in tutte le tarde forme gotiche sotto la dinastia aragonese in Sicilia: in S. Giorgio a Ragusa Ibla, nell’arco di S. Maria di Gesù a Modica.
L’artefice del dittico ha voluto – con evidente squilibrio di tutto il valore ornamentale – decorare con fogline rampollanti anche la convessità degli archi i quali, nell’intradosso non portano l’arco tribolo come nel tardivo gotico francese dal quale derivano molti, intagli eburnei del tempo, ma hanno l’intradosso liscio e a larga bi concavità come nel gotico siculo.
Egli nell’ingenuo sforzo per riempire tutti gli spazi vuoti con figure che dovrebbero concorrere alla risoluzione dell’episodio mostra subito, co l’accavallamento delle figure stesse senza alcun tentativo di gioco prospettico – non ancora risoluto nell’epoca del dittico – un arcaismo dal quale non si salvano in Sicilia neanche i pittori più egregi.
Anche nella coimesis l’artista segue ancora lo schema bizantino dei mosaici e delle pitture su tavola di Sicilia; e non è da far le meraviglie se – data la persistenza iconografica bizantina in Sicilia – nella Chiesa di S. Maria in Randazzo e nella Chiesa dell’Annunziata in Comiso, Giovanni Caniglia (1548), pittore del cinquecento, arcaico ma non privo di piacevolezza e di originalità in certe gamme cromatiche e in certi impasti, nel transito di N. D. segua pure lo stesso schema iconografico.
Ma nel riquadro del dittico, la sproporzione delle mani e delle teste che vorrebbero dare grandiosità e solennità, quel fare convenzionale dei capelli a masse parallele sfuggenti, trovano compenso nell’illeggiadrirsi delle pieghe naturali soavi attorno alle gambe della Madonna e attorno al corpo della figura accasciata e implorante a lato della bara, La madonna è tutta chiusa nella linea soave creata dalla curva del capo poggiante sul cuscino approntato da mano pia, mentre il volto ristà soffuso da uno spento sorriso smarrito.
E le mani stilizzate, si incrociano con purezza, se pur convenzionalmente, al di sopra del drappo scendente in dure e orbacee pieghe del cataletto.
Non è dubbia, in tutto il riquadro, l’influenza del goticismo francese che per questa opera arriva in Sicilia con un’ondata quasi spenta: basti pensare ai due avori francesi del XIV conservati al Louvre e pubblicati dal Malet. Ma negli avori del Louvre, nonostante l’insistenza dell’attitudine ieratica e convenzionale, la lunghezza delle mani eccessivamente affusolate, c’è nell’artista gotico una consapevolezza e una padronanza del senso decorativo che ci stupisce, un equilibrio nelle masse, in così dolce trapasso di piani nell’avvicendarsi delle pieghe ! E tanto armonica la linea decorativa sottintesa nelle figure secondarie e in special modo negli angeli tubicini e osannanti, che l’occhio ne rimane fermo e sorpreso.
Invece del dittico di Randazzo eco lontana di quelle forme originali nobilissime che in tono minore ci riportano alla scultura monumentale dei portali e dei protiri delle cattedrali francesi, specie nel riguardo della coimesis , si sente un artista nostrano e primitivo nella distribuzione delle parti, che sostituisce alla fluida bellezza dei nordici modelli una robustezza anatomica delineata con rozzezza tagliente e con angolose sporgenze e rientranze: è musica insomma, concepita quasi, in tutte quattro i riquadri, in toni naturali, senza semitoni di trapasso.
Maggior senso di proporzione, di dominio degli spazi, si ritrova nelle altre tre figurazioni. L’espressione dei volti riesce talora caricaturale poiché l’artista, nel definire coll’intaglio la mimica facciale, procede per approssimazione. Riso infatti, più che celestiale e ispirato sorriso, è quello dell’angelo che incorona Maria: allungatissime, forse a indicare il culminare del momento mistico e solenne, le dita benedicenti dell’Eterno, dell’Apostolo del Cristo nei due episodi della prima valva e nell’episodio basilare della Resurrezione nella seconda.
In alto, a destra, nell’episodio della Crocefissione, lo spazio, diviso longitudinalmente in due dal corpo del Cristo contorto entro la tradizionale curva romanica, contiene due gruppi: a destra Longino e Nicodemo oranti e i soldati, affollati, delineati con aspri incavi che duramente sbalzano il drappeggio; a sinistra il gruppo delle donne, tra le quali Maria, esausta, irrigidita in una smorfia di dolore mal resa e convenzionalmente ottenuta dall’artefice, sorretta da mani pietose che stringono l’affannato torace.
Qui l’ondeggiare e l’accavallarsi delle pieghe, resi con grande sensibilità di massa e per piani progressivi, mostrano come l’artista – meridionale probabilmente per l’atticciatezza delle figure e per la robustezza talora eccessive delle masse – si sia giovato, per l’intaglio, di qualche gruppo di modelli francesi del tardo gotico, mentre ha lavorato con proprio slancio di fantasia e con diverso ritmo creatore attorno a certi altri gruppi.
Nel riquadro della Crocefissione vi sono, tra il gruppo circostante di sinistra e quello di destra, tali profonde differenze di concezione dell’anatomia e del drappeggio che se ne può facilmente dedurre la diversità di modello e d’ispirazione.
Dalla Francia numerosi vennero in Italia ,i dittici eburnei e non è escluso che da noi abbiano avuto larga eco in varie riproduzioni simile, forse della stessa officina d’arte riprodusse il modello dittico, è quello di Sassoferrato (8) in cui però l’equilibrio degli spazi, la battuta larga ed armonica, la proposizione degli scorci anatomici ci portano lontano dal nostro e se mostrano la similarità fanno pur sentire la statura di un artista superiore.
Ma la fonte della Crocifissione è ben riconoscibile : è il dittico della passione della Collezione Hainauer di Berlino. Il taglio quadrato, ancorché rettangolare, del piccolo lacunare contenente la scena, non ha permesso all’artista del dittico di Randazzo di addensare tutti i personaggi entro il riquadro e ha tolto Longino e Nicodemo d’attorno al Crocifisso. E ben probabile poi che il dittico di Berlino sia servito di modello mediato attraverso qualche copia o qualche replica: ché nel nostro dittico, benché le figure siano quelle del modello, più pigiate e addossate , v’è tale sciatteria che non sapremmo immaginare il diretto influsso dell’avorio francese eletto nella forma, squisitamente patetico negli atteggiamenti : del resto, evidente distanza di tempo separa le due opere. La prima, della metà del secolo XIV, la seconda della fine del secolo quando, spento ogni flusso di idealismo – sia pure trascendente e convenzionale – per l’introduzione del realismo straniero, l’arte fu portata a tendenze spiccate verso forme drammatiche e patetiche; certamente, non tutti gli artisti riuscirono compiutamente e rapidamente a togliersi dal solco della tradizione.
Certo, esistono dei modelli perfetti : ma le derivazioni, pur conservando l’iconografia che potremmo dir nuova, mostrano eccesso, banalità, manierismi.
La Vergine negli intagli eburnei tardivi, non sta più diritta fra i due angeli, una si curva verso di loro, sdraiata; nella tragedia del Calvario ognuno, come dice il Malet (9) , si torce sui suoi piedi col più melodrammatico dolore e il Cristo, curvo in due sulla Croceé ondulante fra il gruppo delle donne e dei soldati come in balia di un vento violento.
Le forme che la tradizione aveva imposto, imbevute di grazia impeccabile e concludenti gli episodi in disposizioni ingegnosissime donde balzava lo spirito altamente decorativo del’artista, declinavano ormai; le forme sfociavano in un realismo gretto e greve.
A questo periodo di realismo svisato, mal compreso e mal reso, crediamo che appartenga il dittico di Randazzo; il quale pur avendo con altri – come si è dianzi detto – termini di similarità persino nella cornice archiacuta di gotico fiorito, mostra nell’artista un valente imitatore che pur sentendo qua e là l’eleganza e lo slancio gotici, rimane, a nostro modo di vedere, specie nella durezza delle masse anatomiche e nell’arcaismo della distribuzione, un siciliano della fine del secolo XIV o del primo scorcio del XV.
LE MINIATURE
Di stile più prettamente francese sembrerebbero, in una prima visione sommaria, le sei miniature contenute nel dittico creato per certo a contenerle dopoché esse furono ritagliate da qualche “officium” per servire da guida spirituale alla De Quatris.
Il largo margine vergine che corre attorno alle riquadrature delineate violentemente in sepia e a doppia squadratura, escluderebbero nell’artista la volontà a fare l’opera di decorazione comune ai miniatori palermitani e arabo-siculi che nelle cassette e sulle pergamene, in preda a uno slancio decorativo, ornano di racemi, di ori, di fuseruole, di bacche, di volute, tavole e pergamene.
L’artista qui ha voluto soprattutto rappresentare; l’elemento decorativo è spostato: da esterno diventa intimo e concorre a rendere soprannaturale la scena che nella rappresentazione delle figure cerca di essere realistica o, per lo meno, naturalistica. Le figure, manchevole nel nudo, ma sode e ben postate quando sono vestite perché l’artista conosce il ritmo delle pieghe cascanti secondo la legge della gravità, profilate con precisione si ché coll’avvicendarsi delle e delle ombre ne risulti modellato tutt’altro che debole, sono immerse in un’atmosfera di sogno, talora, come nell’Annunciazione, sotto un cielo convenzionale in cui lo razzare della luce è inquadrato in una rete di righe aurate a quadri. Vano è parlare di veridicità cromatica, di corrispondenza al vero di pittura e tanto più quando si parla di miniatura; ad ogni modo l’artista non vuole solamente liricizzare il colore locale delle cose ma vuole addirittura portarci in un ambiente irreale nel quale si svolga però l’episodio con palpito e con naturalezza umana : l’artista vuol giungere al mistico attraverso l’equilibrio tra il reale plastico delle masse anatomiche e l’irreale convenzionale del colore ambientale e paesistico.
Il sacro lungo uso del delizioso libretto attenuato qua e là le tinte senza però troppo scialbarle né logorarle; l’effetto cromatico è ancora completo. Il cielo, nella scena dell’Annunciazione, che nello schema iconografico segue quello della corrosa Annunciazione della finestra basilare del trecentesco torrione di S. Martirio, è purpereo, e di un cremisi cupo è nella scena del Cristo alla Colonna.
Quest’ultimo episodio, ingenuo nella rappresentazione degli alabardieri resi male per l’inversione della statura che porta a una errata valutazione della distanza prospettica , e ingenuo ancora per la goffa apparizione dell’Eterno, pur essendo dello stesso maestro che ha miniato gli altri fogli, mostra più a nudo le qualita negative dell’artista che nelle altre miniature se scopre delle manchevolezze attribuibili all’epoca in cui egli operò, mostra d’altra parte qualità di disposizione delle figure e soprattutto una spiccata tendenza alla musicalità del colore che ritroviamo poi sviluppate solo nel tardo quattrocento, nelle miniature palermitane.
Nella scena dell’Annunciazione Maria, serenamente atteggiata, con un rotulo svolto sulle gambe, in ambio manto celeste lumeggiato dall’artista con un cobalto sereno che si risolve in accordo coll’azzurro d’oltremare delle pieghe cupe, profonde, sinuose, elegantemente contenute, ristà sotto un baldacchino di cadmio tutto dorato dai raggi del sole; l’angelo in lucco rosso e con ali acutissime che rammentano quelle delle miniature francesi del trecento, è genuflesso; e divide architettonicamente lo spazio in diretta corrispondenza coll’oggetto del baldacchino: da un ornato porta fiore emergono fogli e gigli; la scena si svolge su un pavimento a scacchi verdi e neri che chiedono con tono freddo e intonato tutta la gamma cromatica della composizione. La scena della Visitazione si svolge entro un recinto limitato da un incannicciato, il tradizionale e ancor comune “cannizzu” siciliano che si rivede anche nella Natività né mi pare sia questo un riempitivo di indole nordica.
Torrioni apparsi nella lontananza che li separa, si ergono in alto, sulla collina retrostante. Anche qui il rosso mattone della veste di S. Elisabetta, è intonato colle tinte espresse nella miniatura. Più solida nel colore è la miniature della Presentazione al Tempio; stridente pel contrasto che nasce da gridellino dell’abito di Giuseppe di fronte all’azzurro di cobalto del manto della Madonna immersa in una fiamma convenzionale, amplissima che la circonfonde e l’altra raffigurante la Natività; ambedue queste miniature mostrano qualità di disegno e un senso così marcato della plastica e della profondità – che diventa ammirevole risoluzione prospettica nello sfondo della trabeazione, costituito da un loggiato – da far pensare quasi che l’artista abbia cominciato dalla Crocefissione e dal Martirio alla colonna e che dopo varie incertezze e inciampi nella risoluzione dei vari problemi anatomici e paesistici abbia meglio padroneggiato i suoi mezzi sboccando con vero lirismo pittorico in quelle figurazioni che cronologicamente sono anteriori nella vita del Redentore.
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Ma ci occorre il problema del collocamento cronologico e della provenienza.
Dissi sin da l’inizio che le miniature appaiono francesi. Ed è verosimile che l’artista sia stato educato a modelli francesi. Un’analisi minuta ci porta ben lontani. Nelle presenti miniature il convenzionalismo, se c’è non è gotico; è nel colore e questo può essere frutto di quella spiccata tendenza al colore irrazionale che i siciliani ereditarono dai bizantini e dagli arabi.
Né vale che spesso siano state illustrate leggende cavalleresche o sacre di sapore provenzale come nello steri o nel tetto di S. Nicolò a Nicosia, o nel tetto del Duomo di Messina ; in Sicilia la tendenza al colore irrazionale fu intimo bisogno di decorazione sognatrice, non convenzionalismo di importazione straniera; né d’altra parte affiora in questi fogli miniati quell’eleganza slanciata ma chiusa e fredda del gotico tardivo francese.
Nel Nostro codice, l’elemento figurato, umano o divini, sematico insomma, è reso con quel naturalismo stentato, ma naturalismo, che ritroviamo in Sicilia verso il quattrocento; quivi l’arco acuto comparso prima dell’evento del gotico, scompare presto e il primo rinascimento quattrocentesco ci dà nuovamente l’arco molto schiacciato, quasi a pieno centro, dal quale è bandita ogni idea di goticismo; e ricompare qualche decorazione cosmatesca come nel palazzo Ciampoli di Taormina, nel palazzo Clarentano e nelle case di via dell’Agonia a Randazzo; nella miniatura dell’Annunciazione la decorazione del mur0 di cinta del baldacchino, se pure aprossivamente, rammemmora la decorazione cosmatesca; e nella Presentazione lo sfondo è pienamente quattrocentesco nella semplicità del loggiato, nella rotondità degli archi ; e questo maestro che in luogo di giocare per impasti di tinte preferisce dipingere a forti tinte locali, lumeggiando poi per sovrapposizioni filiformi e chiare, porta nella sua tecnica, nella comprensione prospettica, nella variazione cromatica dei piani, gusto strano e rozzezza e dev’essere stato un primitivo siciliano del quattrocento educato soprattutto alla scuola di quei freschisti della Sicilia centrale che negli affreschi di S. Andrea di Piazza Armerina e di S. Spirito a Caltanissetta fanno sentire come le miniature in questione siano lontana e indiretta filiazione di quegli affreschi.
Le opere qui presentate valgono da sole a conferire dignità a una città specie se questa possegga, come Randazzo, opere coeve di architettura e di scultura che concorrono a lumeggiare senza interruzioni né pause i vari secoli della malnota arte del meridione.
Ma altre opere di natura notevoli e del tutto inedite si nascondono ancora all’occhio superficiale di chi visita Randazzo coll’ausilio di quelle guide che si ricalcano da ottant’anni senza un nuovo apporto di ricerche sagaci.
In S. Maria tutto è conservato con cura e con amore; e accanto alle opere di Giuseppe Velasques, palermitano, corretto nel disegno, piatto e incombente nella prospettiva, scialbo e dolciastro nel colore, si conservano due opere degni di interesse, potenti per l’animazione che le agita, per il tenebrone bituminoso di sfondo che ne valorizza vie più il senso plastico delle figure dando la sensazione tattile, quasi del valore dei volumi.
Si tratta di certo di un maestro tenebroso che ha molto da vicino seguito lo stile del Preti; nel martirio di S. Agata e in quello di S. Andrea (S. Lorenzo ?) , purtroppo dominato dai giochi di lacche cremisi e violette che lo indeboliscono, mostra delle qualità ben più alte e lontane per indirizzo estetico e per concezione delle forme da quell’Onofrio Gabriello al quale il Di Marzo aveva in un primo tempo attribuito le due tele.
Lo stesso amore vorremmo che fosse esteso alle opere anteriori qua e là chiuse e colpevolmente abbandonate alla corrosione della polvere: la tavola della chiesa di S. Giuseppe e la tela parlano di un abbandono che va spezzato, e di colpo.
Varie ancone quattrocentesche scoloriti ma ancora parlanti di un’epoca e di una creazione spesso geniale, sono state spostate, dimenticate, mal ritoccate. E qualche chiesa – orribile a dirsi – è stata ceduta parecchi decenni addietro a dei porcai, a dei vinai e rinserra preziosissime tracce di affreschi dugenteschi.
Siamo certi di non dover ripetere per la città di Radazzo, l’imprecazione altamente drammatica nella sua bianca solennità che Natale Scalia dalle colonne di “Siciliana” lancia alla sua Catania mentre il patrimonio artistico di questa si dissolveva.
Come oggi Catania va con mille cure cercando per mezzo dei suoi studiosi le orme del passato e va riconsacrando nel suo Museo in formazione le gloriose forme ansiosamente radunate e classificate, così Randazzo vorrà, sotto la guida del suo primo cittadino che con intelletto d’arte e d’amore ne regge le sorti, fermare nella discesa dell’oblio e della dispersione quelle opere che portano fino a noi l’eco non ancora sperduta di indimenticabili bellezze.
ENZO MAGANUCO
NOTE:
(1) La tavola fu riprodotta dal De Roberto nell’opera “Randazzo” della collezione “Italia Artistica” dell’istituto d’arti grafiche di Bergamo, opera che rimane fondamentale per l’orientamento negli studi Randazzesi, specie nel campo storico .
(2) Sulla venuta di Carlo V a Randazzo, cfr. Castaldo V.. “ Il viaggio di Carlo V in Sicilia” , in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, XXV, fasc. I, pag. 98; e più propriamente cfr. Mandalari, “Ricordi di Sicilia, Randazzo”, Lapi. Città di Castello, 1911, pagg. 26-28 e ancora 192-193.
(3) Dimenticata anche dalle guide più ciarliere la tavola impressionò profondamento il Di Marzo giovanissimo e ancora in preda a quell’entusiasmo fervoroso che talora lo portò ad attribuzioni e a giudizi avventati dei quali però nobilmente fa ammenda nelle pensate opere della maturità. Egli nelle sue note al “Lexi con Topograficum di Vito Amico, Palermo, 1856, vol.II, pag. 410, note sempre preziose anche quando diano solo un primo elenco catalogico, dice: “ oltre l’interno di ragguardevole, una pittura del cinquecento di circa palmi 4, sopra pietra, e forse a tempera, rappresentante la Beata Vergine sotto la Croce col Cristo estinto nelle ginocchia”.
Né meglio la inquadra nel tempo un Finocchiaro mentovato in una guida ottocentesca di Randazzo, adespota e non datata, il quale senz’altro l’attribuisce al Giotto.
(4) Le croci d’iconostasi sono numerosissime in Sicilia, e di esse solo qualcuna ha avuto la fortuna un accurato studio e della divulgazione; da quella primitiva della Chiesa dell’Immacolata in Agira, sale do fine alle tardive quattrocentesche, si può seguire, in mancanza d’altri elementi, il cammino della pittura siciliana seguendo la parabola iconografica che ha il suo maggior sviluppo in quelle di Cesarò e di Troina sulle quali verterà un mio imminente studio.
Per quanto riguarda la croce di Termini Imerese (Ruzzolone), cfr; Di Marzo, “ La pittura in Palermo nel Rinascimento), Palermo, Reber, 1899, pag. 208, e in quella della Catredale di Piazza Armerina, cfr; Mauceri E. “Sicilia Ignota”, in “L’Arte” gennaio 1906, pag. 17; Maganuco Enzo “ La pittura a Piazza Armerina , Siciliana”. Catania, agosto 1923.
(5) Cfr. Accascina M., “ Pitture Senesi nel Museo Naziona le di Palermo”, in “La Diana” 1930, fasc. I
(6) Cfr. Di Marzo, “ La Pittura in Palermo nel Rinascimento”, 1899 pag. 43.
(7) Cfr. Di Marzo, “ note al Lexicon Topograficulos.
(8) Cfr. Serra Luigi “Arti minori nelle Marche”, Emporium. Aprile 1928 228.
(9) Cfr. Koechlin Raimond , “ Les Hiroir Gothiques in Miscel,Histoire de l’arte” tomo 11 pag.456 .
Ringrazio don Paolo Amistani dei Padri Salesiani del Collegio di Randazzo per le preziose indicazioni di cui mi fu prodigo durante le mie ricerche sull’arte medievale randazzese.
ENZO MAGANUCO
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Abbiamo voluto impreziosire questa pubblicazione del prof. Enzo Maganuco per rendere la lettura più agevole e soddisfare le curiosità del lettore degli Artisti e critici citati dall’Autore. Molti termini sono di non facile interpretazione, ma con l’aiuto del web si possono capire. Questa rivista è stata sicuramente pubblicata prima dell’estate del 1943 in quanto il Maganuco non parla della distruzione, ad opera della guerra, di molti edifici ed opere d’arte. Nel 1932 venne a Randazzo come è testimoniato da Angela Militi nell’articolo della Chiesa di S. Agata e nel 1939 pubblica il libro “Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre” , quindi la data della pubblicazione di questa rivista dovrebbe essere entro queste due date.
A noi ci è pervenuta soltanto una fotocopia mal fatta che la dottoressa Maristella Dilettoso (che ringraziamo per la sua collaborazione) non ha avuto esitazione a mostrarcela dalla quale abbiamo dattiloscritto questo testo.
Data l’importanza del Personaggio se si hanno altre notizie saremmo ben lieti di pubblicarli.
Francesco Rubbino
Federico De Roberto
Nacque a Napoli il 16 gennaio 1861, da Federico senior, ex ufficiale di stato maggiore del Regno delle Due Sicilie e dalla nobildonna di origini catanesi, ma nata a Trapani, Marianna Asmundo.[1]
Si trasferì con la famiglia a Catania nel 1870 dopo aver subito giovanissimo la dolorosa perdita del padre, travolto da un treno sui binari della stazione di Piacenza. Da allora, salvo una lunga parentesi milanese e una più breve a Roma, Federico visse all’ombra, gelosa e possessiva, di donna Marianna.[2]
A Catania si iscrisse all’Istituto tecnico “Carlo Gemmellaro”, quindi frequentò il corso di scienze fisiche, matematiche, naturali all’università: ebbe pertanto una prima formazione scientifica, alla quale affiancò presto l’interesse per gli studi classici e letterari, allargando la sua cultura al latino.
Il suo esordio letterario avvenne con il saggio Giosuè Carducci e Mario Rapisardi. Polemica, pubblicato a Catania dall’editore Giannotta nel 1881. Fu presto conosciuto negli ambienti intellettuali per la sua attività di consulente editoriale, critico e giornalista sulle pagine di due settimanali che uscivano a Catania e a Roma: il “Don Chisciotte” e il “Fanfulla della domenica”. Del primo fu anche direttore dal 1881 al 1882; sul secondo scrisse dal 1882 al 1883 sotto lo pseudonimo di Hamlet.
Per l’editore Giannotta fondò la collana di narrativa dei “Semprevivi” ed ebbe modo di conoscere Luigi Capuana e Giovanni Verga con i quali strinse una salda amicizia. Nel 1883 raccolse in un volume dal titolo Arabeschi, tutti i suoi scritti di arte e letteratura e nel 1884 avviò la collaborazione, utilizzando il suo vero nome, con il Fanfulla della domenica, e tale collaborazione durò fino al 1900.
Un momento importante per la formazione dello scrittore fu l’incontro, durante un soggiorno in Sicilia, con Paul Bourget (1852-1935), in quei tempi molto noto per i suoi studi psicologici e per i suoi romanzi, nei quali analizzava minuziosamente le coscienze tentando di giungere ad una “anatomia morale”. Decisivo fu per De Roberto il trasferimento a Milano nel 1888 dove fu introdotto da Verga nella cerchia degli Scapigliati, e conobbe Arrigo Boito, Giuseppe Giacosa e Giovanni Camerana, consolidando sempre più la sua amicizia con lo stesso Verga e Capuana. Nel periodo del suo soggiorno milanese collaborò al “Corriere della Sera” e pubblicò diverse raccolte di novelle e romanzi, fra i quali quello che è considerato il suo capolavoro, I Viceré, nel 1894.
Nel 1897 ritornò a Catania, dove rimase fino alla morte, salvo brevi viaggi. A Catania ebbe un incarico come bibliotecario e visse sostanzialmente appartato e deluso per l’insuccesso della sua opera narrativa. Mentre questa tacque egli indirizzò il suo lavoro intellettuale alla pubblicistica e alla critica, tra i quali si ricordano gli studi su Giacomo Leopardi e soprattutto su Verga che giudicò sempre un suo maestro.
Dopo la morte – 1905 – dell’onorevole Paolo Vagliasindi del Castello di cui era un grande estimatore ed amico, scrisse l’epitaffio che trovasi all’angolo del corso Umberto I con la via Regina Margherita.
Nel 1909 presso l’ Istituto Italiano D’Arti Grafiche – Editore pubblicò ” RANDAZZO E LA VALLE DELL’ALCANTARA ” con 147 illustrazioni e I tavola ( vedi galleria delle foto).
Nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale fu interventista.
Alla morte del Verga nel 1922 De Roberto riordinò in modo accurato le opere del grande scrittore ed iniziò uno studio biografico e critico che però rimase interrotto per la sua prematura morte avvenuta a Catania per un attacco di flebite il 26 luglio 1927. Perfino in punto di morte De Roberto non ebbe adeguata considerazione, poiché la sua scomparsa fu oscurata da quella immediatamente successiva (27 luglio) di Matilde Serao.
Sostenitore convinto della poetica naturalista e verista, De Roberto ne applicò rigorosamente i termini, portando alle estreme conseguenze quegli aspetti di impersonalità del narratore e di osservazione rigorosa dei fatti.
Le tecniche narrative di De Roberto sono funzionali alla narrazione impersonale ma diverse da quelle di Verga. Innanzi tutto non è presente la regressione della voce narrante nella realtà rappresentata, è presente invece, come nel Mastro-don Gesualdo, il discorso indiretto libero ma in larga misura la narrazione si fonda sul dialogo e sulla presenza di didascalie descrittive. La narrazione tende a far propria la tecnica teatrale; nella Prefazione ai Processi verbali De Roberto afferma: «L’impersonalità assoluta non può conseguirsi che nel puro dialogo, e l’ideale della rappresentazione obiettiva consiste nella scena come si scrive per il teatro».
Libri di Federico De Roberto
Un bel articolo di Giuseppe Giglio su Federico De Roberto.
La razza dei Viceré
«La storia è una monotona ripetizione: gli uomini sono stati, sono, e saranno sempre gli stessi», mormora il principe Consalvo Uzeda di Francalanza all’arcigna zia Ferdinanda (un’irredimibile usuraia), in chiusura de I Viceré, il capolavoro che Federico De Roberto licenziò nel 1894, anticipando tanta letteratura europea che avrebbe raccontato il Novecento: quel secolo inquieto e feroce che è cominciato nell’Ottocento, e che ancora non è finito.
E con I Viceré il grande scrittore siciliano continuava e rafforzava la linea (aperta dal Verga disincantato de I Malavoglia, nel 1881: laddove la Sicilia di una povera famiglia di pescatori dava corpo e sangue allo scandalo della mancata modernizzazione di uno Stato sempre latitante, salvo che per la leva e le tasse) di quella sorta di contro-storia d’Italia che, dopo De Roberto, avrebbe trovato i suoi cantori in Pirandello, Brancati, Tomasi di Lampedusa, fino a Consolo e Sciascia.
Una contro-storia dalle diverse intonazioni, ma sempre più tangibile, più luminosa, più vera di tanta realtà spesso oscura, se non inconoscibile: nel segno di quelle verità del vivere (pubblico e privato) che, attraverso la letteratura, alla vita stessa ritornano.
De Roberto narra le vicende di un’antica, nobile e potentissima famiglia catanese, gli Uzeda di Francalanza, di origini spagnole, in un arco temporale che va dal 1855 al 1882, quasi in presa diretta: dalla fine del dominio borbonico alle prime elezioni a suffragio allargato del nuovo Regno unito.
Una storia genealogica (di una genealogia aperta, che sempre trova nuova linfa, nella sua immutabilità) dentro la storia siciliana e italiana, e che si apre con la morte e i funerali della principessa Teresa, la dispotica decana di casa Uzeda.
Una che «sapeva leggere soltanto nel libro delle devozioni e in quello dei conti», e il cui testamento reca i segni inequivocabili di una volontà di dominio economico, di una sete di potere che si mutano in destino.
Un personaggio centrale, dominante, quello della principessa Teresa; presente proprio perché assente, paradossalmente. E la sua morte, i suoi funerali, già prima del loro apparire sulla scena, offrono un accesso immediato ad un singolare teatro di umanità: dove dal frenetico chiacchiericcio dei vari subalterni (cocchieri, famigli, affittuari…) – prima ancora che da quello dei parenti o delle autorità civili ed ecclesiastiche – prendono forma le fattezze dei vari Uzeda.
Ed eccoli, gli esemplari di quella razza padrona e capricciosa, ignorante e spregiudicata: il principe Giacomo (il primogenito della principessa Teresa), che impugna e modifica il testamento materno, ricatta gli altri eredi, si mette contro il fratello, il contino Raimondo; il quale dal canto suo dissipa il patrimonio, perseguita la moglie (impostagli dalla madre) e sposa l’amante.
E ancora, gli altri figli della principessa Teresa: Lodovico, che (obbligato al convento) si dedica cinicamente alla carriera ecclesiastica; Ferdinando, con le sue fissazioni che finiscono per scivolare nella follia; Chiara, la cui ossessione di maternità si spegne in un parto mostruoso; Lucrezia, che sposa un ricco avvocato, il quale cura le speculazioni degli Uzeda, ricevendone però solo delusioni.
E poi i fratelli della principessa Teresa: don Blasco (costretto a farsi frate, litigioso e donnaiolo), che da ferocemente borbonico fa presto a convertirsi alle idee del nuovo Regno, coniugando gli affari col potere (ridotto allo stato laicale, dopo la soppressione di tante istituzioni religiose, accumula una consistente fortuna speculando sui beni di provenienza conventuale e sui titoli di stato); come suo fratello, il duca di Oragua, che riesce a spacciarsi per liberale e a farsi eleggere deputato del Regno, a dar corso ad un suo emblematico convincimento: «Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri».
Per arrivare a Consalvo, il figlio del principe Giacomo: che rinnova le tradizioni di famiglia, da abilissimo stratega della finzione e del tradimento, diventando anch’egli deputato. E dando così voce ad una feroce ideologia del potere, della conservazione del potere: cristallizzata, quell’ideologia, nel famoso comizio (un distillato di micidiale retorica) che il rampollo degli Uzeda tiene davanti ad un vasto pubblico, e che gli spalanca le porte del parlamento di un’Italia oramai unita, ma tutt’altro che nuova.
La principessa Teresa e Consalvo, dunque. Che aprono e chiudono il romanzo, rispettivamente; e che ne portano tutto il senso, l’attualità sempre viva. E sono anche, nonna e nipote, nel loro pensare e agire, spie di una feudalità antica, storica, e di una feudalità familiare. E queste feudalità finiscono per coincidere, così rinnovandosi; ma sempre mimetizzandosi, sempre rimanendo nascoste, come se ogni volta trovassero nuovi canali carsici.
E se De Roberto è lo scrittore della disperazione nella Storia (diceva Sciascia), se I Viceré è un romanzo antistorico, un processo alla storia di delusioni e nequizie (la mistificazione risorgimentale, il trasformismo, il conformismo, la demagogia, il cambiare tutto perché nulla cambi, quella mistificante retorica che avrebbe alimentato le illusioni patriottiche e coloniali, fino al fascismo, e che si sarebbe ritrovata, riscoperta nell’Italia delle mafie, delle stragi, dei misteri irrisolti); se è, la saga degli Uzeda, anche una lucida e spietata inquisizione del presente; se I Viceré è insomma tutto questo, l’abilissima invisibilità di De Roberto tra i suoi personaggi, tra le loro storie (che sono soprattutto il racconto di un modo di essere, di stare al mondo; che danno consistenza, soprattutto, ad uno strisciante utilitarismo), svela invece la felicità della scrittura del grande narratore.
Già in apertura di romanzo, laddove De Roberto illumina il lato oscuro, egolatrico, di quella sorta di religione della famiglia che Verga aveva celebrato nei Malavoglia.
Dissacrandola, alla fine, quella religione: i valori di Padron ‘Ntoni e famiglia diventano disvalori con gli Uzeda, con quella razza avida, che vive nell’ossessione del potere e del sesso.
Una razza i cui membri sono spesso in guerra tra loro, ma sempre si ritrovano uniti nel perseguire e rafforzare il potere della famiglia, a favorirne l’ascesa.
Un familismo eletto a vero e proprio sistema di vita, che De Roberto – da rigoroso anatomopatologo qual è – consegna al lettore. Insieme ad una società che dovrebbe essere nuova, e che invece nuova non è, e che non è neanche una società: dove non di rado è l’inautenticità a regolare i rapporti umani, a dettare le regole dell’esistenza.
«Un’opera pesante, che non illumina l’intelletto come non fa mai battere il cuore», aveva chiosato Benedetto Croce a proposito de I Viceré. Per nulla accorgendosi della luce di quel grande romanzo, ovvero della capacità che esso ha di illuminare l’intelletto, e di sollecitare il cuore.
Semplicemente parlando dell’uomo, del mondo. Semplicemente mostrando alcune pagine – tra le più lucidamente fosche, tra le più goyesche – di quella negatività, di quel male che della vita, del mondo, dell’uomo sono parte integrante e ineludibile.
Sempre. «No, la nostra razza non è degenere: è sempre la stessa», dice Consalvo alla zia Ferdinanda, alla fine. Ed è, la luce de I Viceré, potentemente corrosiva e demistificatoria.
Giuseppe Giglio vive a Randazzo (CT). È un giovane critico letterario. Si occupa soprattutto di letteratura del Novecento, nel segno di un’idea di critica letteraria come critica della vita.
Ha pubblicato articoli e saggi su periodici letterari e quotidiani come “Stilos”, “Polimnia”, “Pagine dal Sud”, “l’immaginazione”, “Il Riformista”.È tra gli autori del volume miscellaneo Leonardo Sciascia e la giovane critica, uscito nel 2009 presso Salvatore Sciascia Editore.
Con la stessa casa editrice ha pubblicato, nel 2010, I piaceri della conversazione.
Da Montaigne a Sciascia: appunti su un genere antico. Con questo libro ha vinto il premio “Tarquinia-Cardarelli” 2010 per l’opera prima di critica letteraria.
È una delle firme de “Le Fate”, una nuova rivista siciliana di arte, musica e letteratura. Scrive su “Fuori Asse”, una rivista letteraria torinese on-line. Fa parte della redazione di “Narrazioni. Rivista quadrimestrale di autori, libri ed eterotopie”, un periodico nato nel Dipartimento di Filosofia, Letteratura, Scienze Storiche e Sociali dell’università di Bari, ma fatto da giovani critici non strutturati, e con l’ambizione di porsi come un osservatorio sul romanzo contemporaneo. Scrive anche sulle pagine della cultura del quotidiano “La Sicilia”.
Guardare e (ri) scoprire la Sicilia attraverso gli scatti di De Roberto
É a Randazzo, secondo Leonardo Sciascia, che lo scrittore emerge come fotografo.
Qui coglie la prospettiva delle vie «che delineano questo paese nell’altura», come nello scatto delle case di via Furnari, la Volta di via degli Uffizi o la Porta Aragonese.
Tra i seminari organizzati per la decima edizione del Med Photo Fest 2018, Rosalba Galvagno, docente di critica letteraria e letterature comparate presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche, ha ricostruito un itinerario in Sicilia attraverso lo sguardo di Federico De Roberto, nelle vesti non solo di scrittore ma anche di fotografo, come testimoniano gli scatti presenti nella guida della città di Randazzo e la Valle dell’Alcantara pubblicata nel 1909.
Lo scrittore si avvicina alla fotografia all’incirca all’età di vent’anni con una «tecnica che trasformava in continuazione lastre ed obiettivi».
A causa della guerra e del bombardamento che distrusse il palazzo presente tra la via Etnea e la via Sant’Euplio, dimora catanese dello scrittore, nessun originale è giunto a noi. Quel che però emerge dalle poche immagini è che «poneva attenzione per realizzare servizi fotografici perfetti»
.
Nell’articolo “San Silvestro da Troina” pubblicato nell’agosto del 1908 su “Lettura”, mensile illustrato del Corriere della Sera, De Roberto «rivive con le parole quello che si trova nelle immagini»: l’evento della processione, un tema amato, presente anche in “Randazzo” e ne “I Viceré”, che rientra nei servizi di cronaca mondana di cui si era occupato da fotoreporter.
Dalle lettere inviate a Corrado Ricci emerge il suo interesse per la Sicilia e i suoi luoghi, dalle città ai castelli etnei, alle isole Eolie che definisce «isole di Dio».
Un’attività che unisce riproduzione fotografica e retorica, in cui il lettore viene guidato attraverso uno sguardo storico, estetico e poetico. De Roberto fotografa palazzi, balconi, coglie il senso della connotazione fisica dei luoghi, oggetti su cui si documenta accuratamente prima degli scatti.
É a Randazzo, secondo Sciascia, che De Roberto emerge come fotografo.
Qui coglie la prospettiva delle vie «che delineano questo paese nell’altura», come nello scatto delle case di via Furnari, la Volta di via degli Uffizi o la Porta Aragonese. Fotografa la Festa dell’Assunta, il campanile di San Martino, le Balze di San Domenico, le finestre, come quelle di via Granatara, aperture da cui si affacciavano i sovrani che passavano da Randazzo, una città ricca di elementi storici, di cui De Roberto prova a catturare l’atmosfera storica e medievale.
Ne emerge un itinerario siciliano che ha suscitato nella maggior parte dei presenti la curiosità di visitare, o rivisitare, la città di Randazzo, magari scattando qualche fotografia.
Le relazioni nascoste di Federico De Roberto
di Antonino Cangemi
La vita di Federico De Roberto non fu certamente facile; né facile fu il suo rapporto con le donne. Afflitto da frequenti stati depressivi, che lo debilitavano anche fisicamente e ne spegnevano gli entusiasmi, alternati a momenti di vitalità e di euforia, oggi De Roberto sarebbe definito un “bipolare”. Le relazioni col “gentil sesso” furono condizionate, oltre che dagli ondivaghi moti dell’umore, dalla presenza di una madre possessiva e invadente, Marianna Asmundo Ferrara. Tuttavia, nell’esistenza turbolenta e avara di felicità dell’autore de I viceré, non mancarono amori “clandestini”.
Ricerche recenti sull’epistolario di De Roberto conservato presso la Biblioteca Universitaria di Catania mettono in luce la relazione segreta tra De Roberto ed Ernesta Valle. Ne apprendiamo i particolari grazie al minuzioso lavoro di Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla che hanno curato Si dubita sempre delle cose più belle. Parole d’amore e di letteratura, un libro poderoso (2144 pagine, 764 lettere, tantissime immagini a corredo) edito da Bompiani (2014) che, riscoprendo il carteggio tra i due amanti, getta squarci sulla complessa figura di De Roberto, sul suo problematico rapporto con le donne, sulle sue ambizioni letterarie e giornalistiche soffocate a Catania e proiettate su Milano.
Federico De Roberto conosce Ernesta Valle nel salotto milanese di casa Borromeo. Un salotto meta dei più acclamati scrittori, giornalisti, editori dell’epoca: lo bazzicano personalità dal rilievo di Eugenio Torelli Viollier, Luigi Albertini, Domenico Oliva, Giuseppe Giacosa, Ugo Ojetti, Arrigo Boito, Emilio e Giuseppe Treves. È il 29 maggio del 1897, De Roberto ha trentasei anni, ha già pubblicato quello che si rivelerà essere il suo capolavoro, I vicerè, e a Milano cerca di affermarsi nel mondo del giornalismo (un contratto di collaborazione lo lega ad Albertini e al suo Corriere) e di frequentare i protagonisti dell’editoria e della cultura, letteraria e artistica. Nella mondanità meneghina quel siciliano talentuoso e ambizioso, qual è Federico De Roberto, non passa inosservato: i suoi eclatanti baffi a manubrio accompagnati dall’immancabile monocolo adagiato sull’occhio destro gli hanno fatto conquistare l’appellativo scherzoso di “Lord Caramella”.
Ernesta Valle è sposata con l’avvocato messinese Guido Ribera, ha ventun anni, un bambino di cinque anni da accudire, e allo splendore della giovinezza unisce l’eleganza di chi è avvezza alla vita mondana. Ernesta si fregia del titolo di contessa (non si sa bene quanto autentico), è nata nel 1876 a Ventimiglia, da Giuseppe Valle, un impiegato di Valle Lomellina, e da Adelaide Corradi. Avvenenza, femminilità, savoir-faire e un buon matrimonio le hanno spianato la strada introducendola nella borghesia notabile della Milano del tempo.
L’incontro con Ernesta Valle per Federico De Roberto è un colpo di fulmine. Tanto da scrivere: ‹‹Da quel giorno, voglio dire da quella sera, cominciò la mia felicità››. Da quella sera di maggio esplode la sua passione. Che genera un profluvio di lettere: palpitanti, focose, ardenti; ma anche rivelatrici di ambizioni e stati d’animo e con più di un richiamo alla letteratura. Come si conviene in ogni storia d’amore i due amanti si chiamano tra di loro con uno o più vezzeggiativi. Per De Roberto Ernesta Valle è Renata, a simboleggiarne la rinascita all’amore e nell’amore, ma anche Nuccia, diminutivo di “femminuccia”, perché in lei risiede la quintessenza di una femminilità prospera e procace; per Ernesta Valle De Roberto è Rico, la parte finale del suo nome di battesimo.
Nel suo spostarsi tra Milano e Catania Rico tiene sempre vivo il legame con Renata grazie a una corrispondenza fitta, accesa e meticolosa. Che talvolta trabocca di carica erotica: ‹‹Tutta nuda nell’anima come l’ho vista e tenuta e baciata e bevuta e goduta tutta nuda nel corpo adorato e divino›› (i due passeranno al tu dopo cinque mesi), in una prosa da romanzi rosa d’appendice che lo scrittore avrebbe aborrito: ‹‹Mi pare che sia tuo il sangue che mi scorre nelle vene, non ho più personalità››. Altre volte rivela abbandoni sentimentali e richiami a un amore sublimato nella sua purezza con un eccesso di enfasi che sbalordirebbe se non si pensasse che a vergare quelle frasi sia un uomo innamorato: ‹‹O Cuor dei cuori, quando tu mi dici di partire il moto della mia obbedienza è così pronto che io vorrei già essere sotto un altro cielo››. Altre volte ancora le lettere fanno da cronaca alle tappe dei loro incontri, con puntualità ossessiva, illustrando i luoghi dei furtivi appuntamenti: via Romagnosi, dove ha sede il salotto che li ha fatti conoscere, via Jacini, via Pietro Verri, Porta Volta, Crescenzago, i caffè, i teatri, soprattutto la Scala.
Le lettere di Rico e Renata, tuttavia, non danno sfogo solo a desideri carnali (vivissimi nello scrittore), a spinte erotiche e a sentimentalismi vari, ma palesano anche intese su argomenti letterari e De Roberto si prodiga a consigliare all’amante le migliori letture: ‹‹Ti ho mandato altri libri. Non so quali sono quelli che tu non conosci, tra quanti ne posseggo. Desideri leggere altre novelle di Maupassant? Io le ho tutte. Ho tutto Zola: dimmi se qualche cosa di lui ti riesce nuova. E di Daudet? E dei Goncourt? Conosci i famosi romanzi russi: La Guerra e la Pace di Tolstoj; Anna Karenina pure di Tolstoj; il Delitto e il Castigo di Dostoevskij? Vuoi qualche cosa di Giorge Sand, di Balzac? Conosci le novelle fantastiche di Poe? Aspetto, per la prossima spedizione, che tu mi dica delle tue preferenze›› (Catania, 6 gennaio 1898). Rico le fa leggere pure alcune sue opere, tra queste I vicerè la cui protagonista si chiama, guarda caso, Renata e che provoca nell’amante moti di gelosia. Ernesta Renata gli scrive: ‹‹Si può essere anche gelosi del passato››.
Un amore segreto quello tra Rico e Renata, un uomo incapace di ribellarsi alla tirannia edipica della madre, e una donna legata al marito e agli agi della vita salottiera che le è concessa. E come nelle relazioni nascoste i due amanti conoscono mille sotterfugi per scambiarsi le lettere, a mano o in fermo posta, talvolta custodite dentro libri, altre precedute da avvertimenti in codice.
Ma tra i due amanti si avvertono le presenze delle persone a cui sono legate: la madre per Rico, il marito per Renata. Presenze forti, ingombranti, determinanti. Gli escamotage studiati e provati a garanzia della clandestinità della loro relazione hanno effetto? Nulla sanno o percepiscono di quel rapporto donna Marianna Asmundo Ferrara e Guido Ribera? Pare proprio che, malgrado tutte le strategie di occultamento messe in atto dai due amanti, l’eco della loro passione per un verso o per l’altro gli giunga. Tant’è che la madre padrona, ‹‹un bene che mi soffoca e mi strozza››, riesce a far battere in ritirata il figlio in preda all’ardore amoroso. La madre gli scrive lamentandosi della lontananza e invitandolo (anzi intimandolo) a tornare a Catania, ‹‹perché è già molto tempo che sei fuori casa, perché viene l’inverno e tu sai che d’inverno ho bisogno di compagnia››. E l’avvocato Ribera compare pure nell’epistolario con missive assai prosaiche: raccomandazioni da rivolgere all’editore Treves, richieste di prestiti.
Ubbidiente al richiamo della madre, De Roberto ritorna a Catania. La città dell’Etna, nel raffronto con la febbrile e mondana Milano, gli appare in tutta la sua angustia, pigra e sonnolenta, prigione della sua anima esacerbata e soffocata nel suo male oscuro: ‹‹È una malattia morale e non lieve – scrive all’amante riferendosi al suo spleen – Mi sento troppo vuoto, troppo contrariato, troppo sbalestrato, troppo avvilito››. Adesso la lontananza fisica di Renata accentua in Rico il desiderio di intimità con lei e l’inchiostro della scrittura cerca di suggellare e far rivivere i momenti di passione vissuti insieme.
Lettera di Federico De Roberto a Renata (19 Marzo 1899)
De Roberto (Rico) continuerà a scrivere alla Valle (Renata) confidandole i suoi progetti letterari. Renata pare assurgere in certi momenti a “musa” ispiratrice. A lei nel 1899, due anni dopo averla conosciuta, aveva dedicato la prefazione de Gli amori: in modo velato, indicando solo le sue iniziali ‹‹a R.V.››; accorgimento che però non era servito ad aggirare la gelosia del marito che in una lettera gli volle ironicamente precisare che R.V. era la signora Ribera-Valle. A Renata si rivolgerà dopo, tra il 1900 e il 1902, per confidarle i suoi progetti di scrittura. Si era già confrontato con l’amante per il romanzo drammatico Spasimo, accogliendo i suoi suggerimenti di rendere quel testo ‹‹troppo pensato›› più ‹‹parlato››, e riconoscendole il merito di averlo spronato nello scriverlo in uno adattamento ‹‹più rapido e movimentato››. A Renata confesserà il suo proposito di chiudere la trilogia degli Uzeda, inaugurata con l’Illusione nel 1891 e proseguita con I vicerè nel 1892, con L’Imperio, che non farà in tempo a pubblicare e che uscirà postumo nel 1925. A proposito de L’Imperio Rico scriverà a Renata, il 3 giugno del 1902, una lettera piena di sconforto: ‹‹Ho preso pure il manoscritto del romanzo che doveva far seguito ai Vicerè… Faccio questo tentativo di ritorno all’arte senza fede e senza neppure altra speranza che quella di ricavare, chi sa quando, un migliaio di lire del lavoro di chi sa quanto tempo. È questa è la mia vita, propriamente degna d’essere strozzata con tutt’e due le mani, se non fosse il ricordo, la visione, il pensiero e la speranza di Nuccia››. Già, quando De Roberto scrive quella lettera, la relazione con Renata volge al declino, come testimonia il carteggio tra i due amanti che copre un arco di tempo racchiuso tra il 1897 e il 1902, con qualche appendice sino al 1916.
De Roberto è chiuso nella sua malinconica angoscia, mitigata ma non scalfita dal ricordo di un amore lontano, nello spazio e nel tempo, in una città, Catania, che non ama e che anzi definisce ‹‹l’odiato e aborrito paese››. Passeranno altri anni e il cuore dello scrittore catanese s’invaghirà di un’altra donna, anche lei sposata e legata a una grande città, questa volta Roma. L’ennesimo tentativo di evadere da una Catania per lui claustrofobica? La donna si chiama Pia Vigada, e con lei De Roberto intrattiene un carteggio amoroso che va dal 1909 al 1013. Malgrado il peso degli anni, anche in questo epistolario De Roberto, considerato per alcuni suoi scritti “misogino”, si conferma amante focoso e veemente, e non privo di tenerezze. Un gesto di tenerezza è, ad esempio, quello, in lui usuale, di inviare all’amata dolci tipici di Sicilia e agrumi. Ma De Roberto è anche un uomo geloso, sino al parossismo, in preda a una spiccata sensualità. Come dimostra questo singolare passo di una lettera a Pia Vigada: ‹‹Spiegami che il tuo corpo, le tue forme, la tua carne sono chiuse ermeticamente. E che solo un giorno le tue mani febbrili potranno dischiudere cotanto tesoro…››.
Ma torniamo alla storia di Rico e di Renata che, stando al carteggio di cui oggi si dispone, pare sia macchiata da un epilogo tutt’altro che romantico. Nel 1916, quando la corrispondenza tra i due si è da tempo interrotta e il silenzio ha ormai sepolto un amore ricco di illusioni e di speranze svanite, Renata torna a farsi viva con una lettera di inaspettata aridità e ineffabile opportunismo. In essa l’amante di un tempo implora Rico di versarle una congrua somma di denaro per sollevare il figlio da non ben precisati problemi economici. In realtà, pare che dietro quella cinica richiesta si nasconda una squallida vicenda di corruzione legata (siamo negli anni del primo conflitto bellico) al tentativo di tenere il figlio lontano dal fronte.
Si chiude così, con un finale amaro e beffardo, la storia d’amore che più coinvolse Federico De Roberto. La cui immagine ci torna alla mente nel ritratto che di lui scolpisce la penna di Vitaliano Brancati: un uomo sempre solo, a spasso per la via Etnea con la sua inguaribile angoscia, chiuso dentro la sua ‹‹pesante armatura di onestà››.
Dialoghi Mediterranei, n. 15, settembre 2015
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La storia della Basilica di Santa Maria raccontata dagli storici che nel corso di questi ultimi secoli così l’hanno descritta.
Arciprete Giuseppe Plumari ed Emmanuele (1847):
Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della storia generale di Sicilia esposta dall’Arciprete di Essa Città.
Fu prodigiosamente trovata, all’Anno 200. (come dicemmo) nell’interno di un’Antro sotterraneo, ove ora sorge la Parrocchiale Collegiata Chiesa si Santa MARIA, in questa nostra Città, la Veneranda Immagine della Bellissima Vergine Madre di Dio, in atto di portare il S. Bambino sul braccio Sinistro, con Vestiario alla Greca, effigiata grossolanamente sopra un Pilastro.
Restò questo Pilastro in seguito traslocato nel Muro Laterizio della Chiesa primitiva, quando, in luogo di quella lavorata di tavole, ve ne costruì un’altra con pietre, calcina, ed arena, benché ad una sola Navata, nel principio del IV Secolo Cristiano.
Il Sacro Altare eretto innanzi a detto Venerabile Quadro, restò in seguito sottoposto ad un Arco della Navata centrale in faccia al Meriggio nella singolare Epoca del 1239., allora, che questa Chiesa restò ampliata, ed ingrandita a tre Navi.
La Tradizione c’insegna, che i primi Fedeli di questa nostra Patria, riunivansi clandestinamente in tale Sotterraneo al culto di Nostra Signora, per così isfuggire le sanguinose persecuzioni, ch’erano allora in vigore contro i novelli Cristiani, nel bollore delle quali era stato chiuso, e con maestria murato quel buco, che presentava l’ingresso in detto Antro.
Apparve indi uno spiraglio di lume, per via di quella Lampada, che da più di un Secolo avean lasciata accesa quei primi Cristiani al Culto della Vergine Madre in essa Grotta, quando si accinsero a demolirne quel Muro, a isotterrarne la Sacra Immagine, ed a traslocarne il Pilastro su di cui era dipinta, chiamata perciò d’allora in poi Santa MARIA DELLO PILERI.
La Chiesa costruita unitamente al di Lei Campanile, che porta unico Prospetto colla medesima in Faccia all’Occidente (di cui ne ho fatto tirar la Figura), l’Epoca riconosce dell’Impero Occidentale di COSTANTINO IL GRANDE, come si sa per Vetusta, e costante Tradizione.
Che sia stata scoverta la Sacra Immagine della Vergine SSma, Due Secoli dopo la Nascita in questa Terra del Divin Redentore, veniva ciò manifestato da quella Iscrizione, che sopra il medesimo Altare stiade collocata dall’Anno 1551 fino all’Anno 1663.
In esso Anno 1551 era stato consacrato questo Tempio, secondo il Rito della Santa Romana Chiesa, dal nostro Illustre Concittadino Monsignor GIOAN-ANTONIO FASSIDE Vescovo di Cristopoli in partibus Infidelium, che trovavasi allora Vicario-Generale, e sustraganeo della Chiesa Arcivescovile di Monreale (essendo Arcivescovo di quella Chiesa l’Eminentissimo Cardinale ALESSANDRO FARNESE), di cui si conserva l’Attestato Originale della seguita Consagrazione nell’Archivio di essa Chiesa di Santa MARIA; Ed ivi, contra l’opinione del Mongitore, che nell’Appendice della sua Biblioteca Sicola lo vorrebbe Palermitano, sono marcabili le seguenti parole: = Juxta Ritum Sancta Romana Ecclesia consecravimus Venerabilem Parochialem Ecclesiam S.ta MARIAE Civitatis Randatii Patria Nostra Jucundissima. Quindi a dinotarsi una tale eseguita Consagrazione, vi fù apposta sù l’Altare anzidetto la seguente Iscrizione:
ALMAE. DEIPARAE. RANDATII. PROTECTRICI. CUJUS. HAEC. EADEM. VENERANDA.IMAGO. HIC. IBIDEM. BINA. POST. SAECULA.
DIE. PRIMO. APRILIS. ANNO. DNI. MDLI.
Fu divelta questa Iscrizione nell’Anno 1663; allor quando all’Altare della Beatissima Vergine fu adattata una Machinetta di fini Marmi, nella quale non vi restò luogo, ove potersi reincidere la medesima. Trovasi tuttavia copiata nel Manoscritto dell’Egregio Sacerdote Antiquario D’ANTONINO POLLICINO, quale finora conservano in RANDAZZO i Signori Fratelli di Palermo ed Alessandro.
Questa rispettevole Chiesa, che nel suo primitivo Edificio era stata costruita ad una sola Navata, sin dal principio, come si è detto del IV° Secolo Cristiano, (ciò dimostra il suo esteriore Prospetto dall’uno, e l’altro lato dell’interposto suo Campanile) fu poi cominciata ad essere ingrandita a tre Navi nell’Anno 1217, e portata a perfezione.
Le prime tre pagine del primo volume:
CRONOLOGIA
440 a.c. – La Città di Trinacia (futura Randazzo) nel 440 a.C. fu assediata e sconfitta dai Siracusani. I Trinacesi diedero prova di grande valore e per non cadere in mano al nemico, cui non vollero arrendersi, si uccisero tutti l’un l’altro, senza restarne in vita che fosse uno”. (così scrive Emmanuele La Monaca, nella sua “Antichità di Sicilia”).
254 – Il 1° febbraio del 254 si verificò una terribile eruzione dell’Etna. Gli abitanti del luogo si rivolsero alla SS Vergine che accogliendo le suppliche salva la Città dalla lava. Grati del celeste favore i Tiraciesi costruirono una Chiesa di legno nella quale rimase nello stesso luogo dove si era trovato il pilastro con l’Immagine della Madonna e fu chiamata Santa Maria del Pileri. (Padre L.Magro)
891 – Secondo il Codice Arabo Tomo II° fogl. 285, nel 891 Randazzo aveva la popolazione di ventitremila anime.
1074 – Il monastero di San Giorgio, che prima si chiamava Monastero di S. Maria Maddalena delle Moniale Benedettine, prese questo nome per volere del Conte Ruggero che aveva lasciato lì il Quadro con l’Immagine di San Giorgio Martire e cinque pezzetti di ossa fra cui un’intera costola preziose Reliquie del Santo ed un dente mascellare dell’Apostolo Paolo.
1088 – Il Pontefice Urbano II (ispiratore della Prima Crociata per la liberazione di Costantinopoli e realizzatore del programma di portare e tenere la Campania e la Sicilia saldamente nella sfera d’influenza cattolica,) diretto a Troina si fermò a Randazzo e celebrò messa nella chiesa di S. Maria (unica di rito latino).
1198 – La Chiesa Abbaziale di Randazzo era “Suffraganea” di Messina, oltre che per tradizione, anche perché una Bolla Pontificia di Innocenzo III°, emanata nell’anno 1198, trascritta da Carlo Domenico Gallo negli Annali della Città di Messina, accordava a Bernardo Arcivescovo di Messina l’uso del Pallio, autorizzandolo a poterlo usare non solo nella propria Diocesi, ma pure nelle Chiese suffraganee di Troina, Lipari, Cefalù, Taormina e Randazzo.
1150 – …… nel veridico sito detto Triocla, oggi su fortissima rupe, è giacente quella Nobile Città che fu denominata Randatium.
(Nota bene: = RANDATIUM : nome originario da Trinacium, che senza la T fu detta dai Saraceni Rinacium e Ranacium. Il primo che poi la denominò Randatium fu il conte Ruggiero, allora quanto concesse all’Abate di Sant’Angelo di Brolo l’ex feudo di Santa Maria del Bosco).
1154 – Il geografo arabo del re Ruggero II El-Edrisi descrive Randazzo come un villaggio “del tutto simile ad una cittadina con un mercato che pullula di mercanti e artigiani”, testimoniandone il particolare periodo di prosperità economica.
1195 – L’Imperatore Arrigo VI, nel suo viaggio (1195 ?) da Castrogiovanni a Messina dove si recava per causa di malattia, a settembre fu a Maniace ; in tale occasione dovette necessariamente passare da Randazzo.
1197 – La Regina Costanza – moglie dell’Imperatore Arrigo VI – fu di passaggio da Randazzo in luglio 1197, nel suo viaggio da Messina a Palermo.
1210 – L’Imperatore Federico II e sua moglie la Regina Costanza, per consiglio dei medici in quanto a Palermo vi era la peste, soggiornarono per la salubrità del clima prima a Montalbano e poi a Randazzo ove si fermarono tutto il mese di ottobre.
1217 – La chiesa di Santa Maria. La data della costruzione della Chiesa si trova scolpita nell’ Epigrafe sul pilastro di tramontana della Chiesa che recita (la traduzione è di don Calogero Virzì) 🙁 una nuova versione di Angela Militi la data 12 marzo del 1214. vedere: randazzo segreta) “ Nel lasso di tempo del 1217 dopo la nascita della Vergine Maria del Verbo, fu costruito questo edificio coperto da volte in pietra sopra archi sostenuti da dodici colonne lavorate con arte eccellente. Un leone collocato sopra la parte terminale orna con arte questa opera egregia, tempio venerato di Cristo. Nell’anno del Signore 1239 questa opera fu portata a termine “.
Con Lettere Apostoliche del 20 settembre 1957 fu elevata a Basilica Minore Pontificia.
1239 – Nella cornice del muro di destra della Basilica di Santa Maria (dalla parte del corso Umberto I) si legge la scritta “IMPERANTE”. Doveva esserci scritto: ” IMPERANTE FEDERICO II “. La domenica di Palma del 1239, però, il Papa Gregorio IX scomunica per la seconda volta l’Imperatore e quindi la frase resta incompleta.
1256 – “L’imperatore Manfredi, figlio naturale del Re Federico II e della Regina Bianca, presa d’assalto Randazzo nel 1256, e si fece quì acclamare Re, due anni prima che fosse coronato in Palermo, lasciando quì Governatore suo zio Federico Lanza Principe di Antiochia e Conte di Capizzi, dal quale ebbe origine in Randazzo questa Famiglia della quale Nicolò De Antiochia fu uno dei Senatori nel 1282, e Benedetto De Antiochia che sposò in Randazzo Margarita Omodei, Baronessa di Maletto”.
1282 – Pietro I d’Aragona il 10 agosto 1282 sbarcava a Trapani e dopo essere stato incoronato a Palermo si diresse (8 settembre) a Randazzo – unica città murata dell’entroterra del Valdemone posta sull’alto Alcantara che presentava per l’esercito siciliano tutte le garanzie di una città fortificata – e qui fece attendere il suo esercito, in una località che ancora, a ricordo, porta il nome di “Campu re“, per soccorrere Messina assediata dagli Angioini.
1282 – Randazzo prese parte ai Vespri Siciliani (ribellione scoppiata a Palermo all’ora dei vespri di Lunedì dell’Angelo contro i francesi). La città insorse contro gli Angioini e nel piano che circonda il lago Gurrita i randazzesi sterminarono le truppe francesi che presidiavano la città.
1282 – Pietro I d’Aragona fa restaurare le porte di San Giorgio e la porta aragonese, detta anche Porta di San Giuliano, che deve il suo nome al fatto che Re Pietro d’Aragona restaurandola, fece apporre accanto allo stemma del paese anche il proprio e quello della moglie Costanza.
1286 – Il re Giacomo D’Aragona, secondogenito di Pietro e della regina Costanza, visitò Randazzo e la definì Terra Prelibata.
1292 – Nella battaglia navale, il mese di luglio, che vide contrapporsi il re di Sicilia Federico II contro Carlo D’Angiò perse la vita il randazzese Corrado Lanza che nel 1282 era stato nominato dal Re Pietro I° Senatore di Randazzo occupando pure la Carica di Gran Cancelliere della Corona di Sicilia.
1296 – Lo storico Giuseppe Bonfiglio (1547-1622) cosi descrive Randazzo parlando della guerra tra il Re Federico II e Carlo D’Angiò “Vicino Castiglione principale fortezza del Laoria, è situata la Città di Randazzo la quale, per le sue ricchezze, nobiltà di Cittadini, numerosità di popolo e grandezza di territorio, a nessuna del Regno è seconda”.
1299 – Michele Amari (Palermo 1806 – Firenze 1899 storico, politico ed arabista) nella sua opera “La guerra del Vespro Siciliano” definisce: “Randazzo, principal città in Val Demone dopo Messina” . Commentando un testo arabo trova che Randazzo veniva definita: “città tetra e sinistra , nonostante i suoi balconi , le sue porte di pietra scolpita”.
1300 – Agli inizi del 1300, il duca Roberto d’Angiò, sferrò un attacco armato contro Randazzo, città fedelissima a re Federico III d’Aragona. I Randazzesi serrarono le porte, le munirono di armati e presidiarono le otto torri di guardie scelte. Per evitare un lungo, probabile assedio, i cittadini passarono al contrattacco: in una notte di buio fittissimo, l’esercito randazzese uscì da Porta Pugliese ed attaccò gli armati angioini. Seguì un furioso combattimento: l’esercito angioino fu costretto a battere in ritirata dall’impeto dei Randazzesi. L’avvenimento va sotto il nome di “assalto della Fonte del Roccaro”, una fontana che ancora esiste sulle sponde del fiume Alcantara.
1303 – Federico d’Aragona o Federico II (Barcellona 1273-Paternò 1337), incoronato re di Sicilia (o di Trinacria) a Palermo il 25 marzo del 1296, per una particolare distinzione di onore e per lo sviluppo urbanistico della Città, il 10 febbraio 1303 emanò un decreto con cui fece obbligo a tutti i baroni del regno di trasferirsi a Randazzo assieme alla sua Corte per villeggiare nei quattro mesi estivi.
1312 – La Regina Eleonora, moglie del Re Federico II, diede alla luce a Randazzo il Reale Infante cui, nella fonte battesimale della Chiesa di S. Nicolò, fu imposto il nome di Guglielmo e gli fu dato dal Padre il titolo di primo Duca di Randazzo.
1337 – Il Re Federico II, nell’ultimo giro che fece in Sicilia, giunto a Castrogiovanni elesse il suo quartogenito Principe Giovanni quale secondo Duca di Randazzo in sostituzione del fratello Guglielmo deceduto nel 1320, all’età di otto anni. A questo Duca, oltre ai Casali soggetti al Distretto di Randazzo, furono addette le Città di Troina, Castiglione e Francavilla.
1337 – Giovanni d’Aragona, Quarto figlio di re Federico III di Trinacria e di Eleonora d’Angiò, nacque nella primavera del 1317. Dotato di ricchi feudi (Mineo, Alcamo, Francavilla, Torino, Malta, Pantelleria), alla morte di Federico nel 1337, in virtù appunto del testamento paterno vide elevato al rango di Marchesato, fino allora mai conferito in Sicilia, la sua signoria di Randazzo, ottenendo un posto di grande rilievo nella feudalità siciliana
1338 – Il Re Pietro II° , figlio primogenito di Federico II, e la moglie Elisabetta di Baviera che sposò nel 1321, tenne Residenza in Randazzo con tutta la Reale Famiglia, nei quattro mesi di estate.
1342 – Divenuta vedova la Regina Elisabetta l’ 8 agosto 1342, insieme ai figli Ludovico e Federico, dovette rimanere a Randazzo sino al 1347, per disposizione del Duca Giovanni, Tutore di Ludovico ed Amministratore del Regno.
1348 – Si può leggere da un diploma del 1348, emanato in Catania il 14 agosto da Federico il Giovane, Duca di Atene, Marchese di Randazzo, Conte di Mineo e Calatafimi, che Randazzo ottenne la Reale approvazione di due Capitoli dove era dichiarato che il Distretto della Città di Randazzo era costituito da dodici Casali e precisamente : Spanò, Carcaci, Floresta, Pulichello, Cattaino, Bolo, S. Teodoro, Chisarò, Cuttò, Santa Lucia, Maniace e Bronte, e nelle Cause Criminali, soggetti al Capitano Giustiziere di Randazzo.
1358 – Il Re Federico III° tenne Randazzo un Parlamento Generale di tutti i Baroni fedeli, per trovare i mezzi per poter vincere ed umiliare tutti i nemici.
1380 – Nel 1380, come riferisce il Padre Lazana Carmelitano e con lui anche il Padre Giuseppe Fornari, essendo venuti a Randazzo i Padri Carmelitani per fondarvi un Convento, fu loro concessa la Chiesa che i Trinaciesi, Triocolini ed Alesini, quando si accamparono in un sito ad oriente della Città, fabbricarono un Suburbio (sobborgo) e vi edificarono una Chiesa per loro Parrocchia che dedicarono a San Michele Arcangelo, accanto alla quale edificarono il loro Cenobio (monastero). Questo Convento con la relativa Chiesa si rese glorioso sotto il governo di Padre Luigi Rabatà Religioso Carmelitano, nato in Monte San Giuliano in quel di Trapani, circa il 1420 e morto in fama di santità in Randazzo, in un sabato di maggio, con molta probabilità il giorno 11 del 1490.
1366 – Il Principe di Torremuzza Vincenzo Castelli scrive nei Fasti di Sicilia, vol. I°, pag. 75 , che quando ancora l’Infante Maria aveva tre anni ed era sotto la tutela di Artale d’Aragona suo Balio, fu riunito in Randazzo il Parlamento Generale del Regno rapportato, per stabilire la successione di Maria, nel caso che fosse deceduto il Re Federico III°, allora molto grave e senza eredi maschi.
1398 – Il Re Martino e la Regina Maria furono in Randazzo, accompagnati dal Cardinale Gilforte, Arcivescovo di Palermo e da fra’ Paolo Romano Arcivescovo di Monreale, a preghiera dei quali, furono perdonati i Baroni ribelli.
1411 – La regina Bianca, dopo aver visitato in lungo e in largo la Sicilia con la sua corte itinerante, venne anche a Randazzo il 3 giugno 1411 e venne accolta con tutti gli onori. Fu così contenta che fece scrivere una missiva dal suo segretario a Palermo: “…….. hodie intrammu feliciter in quista terra di randazu, undi fommu richiputiet ascuntrati cum solemni festa et alligrizia da tucti universaliter....”.
1414 – L’Arciprete di Randazzo R.mo Matteo D’Elefante nel 1400 fece un’istanza al Metropolitano Arcivescovo di Messina, perché fosse dichiarata la Chiesa di S. Maria la maggiore sopra delle altre due Chiese di S. Martino e S. Nicolò. Dopo 14 anni di litigio,
il 15 febraio 1414 l’Arcivescovo di Messina e Metropolitano di Randazzo, Mons. D. Tommaso Crisafi proferì la sua sentenza definitiva con la quale dichiarò Maggiore sulle altre Chiese quella di S. Maria, col Titolo di Madre Chiesa duratura in perpetuum usque ad finem mundi.
1419 – Il Beato Matteo Gallo di Agrigento (1377-1450) fu il fondatore del nostro Convento dei Frati Osservanti cioè di Santa Maria di Gesù. Il culto della sua beatificazione venne riconosciuto dalla Chiesa con decreto del 21 febbraio 1767, approvato da papa Clemente XIII.
La memoria si celebra l’8 febbraio.
1420 – Luigi Rabatà dell’Ordine dei Carmelitani nasce a Monte San Giuliano. Muore 11 maggio 1490 in odore di santità. Si distinse per carità ed umiltà. Le sue ossa riposano nella Basilica Minore di Santa Maria. La Congregazione dei Riti ha permesso nel 1841 con un Decreto il culto del Beato.
1420 – Mons. Francesco Conzaga (1546-1620) Generale dell’Ordine Francescano scrivendo della fondazione del Convento dei Minori Osservanti di Randazzo dedicato a S. Maria di Gesù, afferma che è stato fabbricato, a spese pubbliche, dai Cittadini di Triocla, vulgo Randazzo, nel 1420. La donazione venne confermata dal Re Alfonso, con Diploma che si trova copiato in margine nell’atto della Donazione stipulato in Randazzo presso le Tavole del Notaro Guglielmo Milìa, il 3 gennaio 1420.
1420 – Per poter edificare il Convento di Santa Maria di Gesù i Giurati di Randazzo donarono come locale alcune fabbriche appartenenti al Comune, che erano reliquie dell’antico teatro di Triocla che i Saraceni avevano distrutto e convertito in Quartiere militare e poi diventato magazzino del Comune. Tale donazione venne confermata da Re Alfonso con Diploma che fu inserito a margine dell’Atto presso il Notaro Guglielmo Milia, il 23 gennaio 1420, in Randazzo.
1426 – Il 24 dicembre del 1426 il R.mo Capitolo della Cattedrale di Messina, funzionante da Metropolitano, confermò la superiorità della Chiesa Abbaziale di S. Maria, perché le due ex Cattedrali di S. Nicolò e S. Martino non avevano voluto cedere a detta Chiesa l’esercizio e le funzioni di Madre Chiesa di Randazzo. Nel 1435 anche il Sommo Pontefice Eugenio IV riconfermò questa supremazia.
1435 – Sotto il Sommo Pontefice Eugenio IV, a richiesta dei Randazzesi, la Città Abbaziale ( cioè le tre chiese: Santa Maria, San Nicola e San Martino) di Randazzo viene incorporata nella Diocesi di Messina di cui era Suffraganea già dal 1198. Nel 1872 passa nella Diocesi di Acireale.
1438 – Il Re Alfonso sollecitato dall’’Arciprete di Santa Maria Santoro Palermo confermava la supremazia della Madre Chiesa di S. Maria e il 2 febbraio 1439 lo stesso Re Alfonso mandò Lettera Oratoria all’Arcivescovo di Messina per dar esecutoria alla citata Bolla già spedita nel 1434 per detta supremazia.
1450 – Alfonso V d’Aragona detto il Magnanimo visitò Randazzo il 1 maggio e riaffermò il previlegio giuridico che i Randazzesi potevano essere giudicati solo da Magistrati della Città e ribadisce il diritto di tagliare il legname nei boschi della Foresta della porta di Randazzo.
1466 – San Francesco di Paola venne a Randazzo per incontrare , Simone Pollichino, uno dei Giurati di Randazzo, per avere l’autorizzazione a potere estrarre dal suo fondo il legname e trasportarlo da Tortorici fino a Torrenova e di là, via mare, a Milazzo per la costruzione di un Convento.
1466 – “ Era il 26 ottobre del 1466, quando il viceré Lupum Ximenez d’Urrea approvava, per la prima volta, le Consuetudini di Randazzo, un sistema di norme civili – composte da 58 articoli – che regolavano la vita comunitaria della città. Le stesse furono redatte durante «un Consiglio generale in locu» e sottoposte allo stesso viceré per la conferma, il 6 giugno dello stesso anno, dal reverendo Jaymum de Citellis, arcipresbitero della terra di Randazzo e dal nobile Michaelem la Provina «sindicos et ambaxiatores universitatis terre Randacii» (Vito La Mantia., Consuetudini di Randazzo, Palermo, 1903. (dal blog.: www. randazzo segreta.it di Angela Militi).
1470 – Gualtiero Spadafora, barone di Maletto, ma residente a Randazzo in piazza San Nicola nel “Palazzo del Duca “, fondò l’Ospedale Civile per gli Infermi Poveri e miserabili, a beneficio del quale donò in perpetuo i salti d’acqua di tutti i mulini, serre d’acqua e battinderi ossia paratori esistenti nel Fiume Grande di Randazzo ch’egli possedeva per investitura feudale. Questa donazione, con testamento del 3 ottobre 1470 presso il Notaro Pino Camarda di Randazzo, ebbe la conferma Reale il 9 ottobre dello stesso anno 1470, come si leggeva nella Giuliana dell’Ospedale Cittadino redatta dal nostro storico locale Sac. D. Antonino Pollicino circa il 1706 con atto pubblico del 31-10-1470, in Notaio Pino Camarda.
1476 – Il 3 agosto venne istituita la Fiera Franca nell’ambito del territorio della chiesa di Santa Maria. Questo privilegio fu concesso dal Re Giovanni (Giovanni II D’Aragona – 1398/1479 -) La Fiera Franca fa da volàno alla manifestazione della “a Vara” che si svolgeva e si svolge il 15 di agosto.
1477 – Il Supremo Gerarca della Chiesa Universale, dopo furibonde liti tra le tre Chiese per la supremazia, nel 1470 incaricò per la Revisione della Causa il Delegato Apostolico Mons. D. Leonzio Crisafi Archimandrita di Messina, con l’espresso incarico di ponderare bene tutte le ragioni dei Ricorrenti e pronunziare una Sentenza finale la quale avesse forza di perpetuo silenzio sopra tutto. Dopo una lunga discussione della Causa che durò circa sette anni , Mons. Crisafi spedì la sentenza definitiva il 16 gennaio 1477, dove si riaffermava la parità di tutti i diritti e privilegi delle tre Chiese.
1487 – Il Monastero di S. Filippo di Demena, detto anche di S. Filippo di Fragalà viene annesso al territorio di Randazzo così detto Nuovo, con Diploma 4 febbraio 1487 del Re Ferdinando II° di Castiglia. In esso Diploma fu ordinato che , non si potesse portare vino da altra parte se non dalla sola Città di Randazzo.
1492 – Gli ebrei di Randazzo sono costretti a lasciare la Città a seguito del provvedimento di Ferdinando II d’Aragona re della Sicilia (1468/1516) che prevedeva l’espulsione di tutti gli ebrei dai suoi territori. A seguito di ciò vendettero alle Monache di S. Giorgio la sopraddetta casa con l’attigua Moschea e due altri casaleni con degli annessi e il Cimitero confinanti con il Monastero, con il patto di ritorno nel caso che fossero richiamati dall’esilio. L’atto fu redatto presso il Notaro Staiti il 26 novembre IIª Indiz. 1492,
1506 – La baronessa Giovannella De Quatris, con atto notarile redatto il 5 marzo dal Notaro Geronimo Crupi di Palermo e l’assenso di Ferdinando II, lasciò il suo vistoso patrimonio (i feudi di Flascio e Brieni) alla Chiesa di Santa Maria creando la sua “maramma” o fabbriceria per cui si fu in grado di terminare i lavori di ricostruzione e la si potè arricchire di quegli arredi sacri preziosissimi che formano il suo pregevolissimo tesoro. Tale decisione venne confermata e ratificata dal Re Ferdinando il Cattolico il 25 aprile dello stesso anno e il 22 dicembre del 1545, con Bolla Pontificia, venne ratificata dal Sommo Pontefice Paolo III.
1519 – I giurati di Randazzo volendo costruire un convento dei Frati di San Domenico di Gusman, si riunirono nella Chiesa Parrocchiale di San Nicolò il 4 aprile 1519 e ad unanimità di voti decisero di chiedere al Padre Provinciale dei Domenicani l’autorizzazione a costruirlo. Avuto il benestare scelsero come luogo il locale della cosidetta Torrazza, che era l’antico Palazzo con Torre della nobile famiglia Russo, di origine Lombarda, ma che poi era diventata proprietà dei nobili Signori D. Antonino e Figli Floritta. Pertanto il 20 aprile 1519 presso il Notaro Vincenzo Di Luna fu stipulato l’atto non solo della Torrazza ma anche delle due chiesette attigue di Santa Maria delle Grazie e dell’Apostolo San Barnaba.
1523 – Nella cappella del SS. Sacramento della Chiesa di S. Nicolò si ammirano, di Antonello Gagini, un tabernacolo posto dietro l’altare ed altri bassorilievi eucaristici e qualche scena della Passione. I lavori furono commissionati il 7 dicembre 1523 per onze 37 pari a lire 471,75, ma incominciati nel 1535 e rimasti incompleti per la morte dell’artista avvenuta nell’aprile dello stesso anno e poi rifiniti dal figlio Giacomo.
1535 – Il sindaco (Magistrato Civico per quei tempi) è Francesco Lanza.
1535 – Ai piedi di questo campanile ( di S.Martino ) si affacciò la cavalcata del biondo e triste Imperatore Carlo V il 16 ottobre e si fermò per tre giorni nel Palazzo Reale prima di ripartire per Messina. A Lui si attribuiscono le fatidiche parole. ” Estoes todos Caballeros ” ( Siate tutti Cavalieri ). Dal che il sottotitolo di questo sito: ” tutticavalieritutti “.
1535 – L’imperatore Carlo V giunse a Randazzo il 18 ottobre del 1535. Dicono pure i nostri storici concittadini, nei loro manoscritti che, quando l’Imperatore, dal punto della diruta Chiesa di S. Elia scoprì il nostro Paese, volgendosi ai circostanti, abbia detto queste parole: “Come si appella questa Città con tre Torri?” indicando i Campanili delle tre Chiese Parrocchiali; alla quale domanda il Magistrato rispose: “Semprecché la Parola Reale di Vostra Cesarea Maestà non deve andare indietro, è questa la Città di Randazzo dalla Vostra Maestà or ora onorata col Titolo di Città”. Al ché l’Imperatore soggiunse: resta accordato. (Padre Luigi Magro). A ricevere l’Imperatore è stato il Magistrato Civico (Sindaco di quei tempi) che si chiamava Francesco Lanza così come riportato nel libro rosso della chiesa di San Martino.
1535 – L’Imperatore Carlo V ordinò che venisse rifatto il Campanile di San Nicola che le autorità cittadine volevano abbatterlo perché pericolante, e che venisse fortificato con grosse catene di ferro, a spese del Regio Imperiale Erario. Il campanile fu poi demolito nel secolo XVIII a causa del terremoto dell’11 gennaio 1693 che demolì Catania.
1535 – Tra il 1535 e il 1540, secondo un pregevole ragionamento di Don Virzì, deve essere il periodo nel quale i Randazzesi costruirono “a Vara”. Carro trionfante alto 18 metri con 25 figure viventi che rappresentano i Misteri Mariani:
Dormizione o Morte, Assunzione e Incoronazione di Maria Santissima. Costruito dai nostri bravi artigiani dietro la direzione – pare – dell’architetto messinese Andrea Calamech.
1536 –Nel marzo 1536 vi verificò una violenta eruzione dell’Etna. Lo storico Tommaso Fazello (1498-1570), testimone oculare della spaventosa eruzione, così descrisse l’inizio dell’evento eruttivo: «il 23 di marzo del 1536, verso il tramontare del Sole, una nube di fumo nero al di dentro rosseggiante coprì la cima dell’Etna, e poco dopo dal cratere, e da nuove aperture fattesi nel contorno, uscì un gran fiume di lava che verso oriente andò a coprire un lago, dove liquefacendosi le nevi che vi erano si formò un grosso torrente che furioso scese con corso arcuto verso Randazzo sommergendo greggi di pecore, animali e tutto ciò che incontrò».
1536 – A seguito di questa violenta eruzione dell’Etna, il 23 marzo 1536, la colata lavica, emessa dal cratere di monte Pomiciaro, ostruì nuovamente l’alveo del fiume Flascio determinando la formazione del lago Gurrida.78
1536 – Il Papa Paolo III nel suo secondo anno di Pontificato, ordina, tramite l’arcivescovo di Messina mons. Andrea Mastrilli, ai preti delle tre parrocchie, di non vantare più diritti di “proeminentia” nelle processioni, né diritti di vessilli.
1537 – Per volere di re Carlo V, che sottrae a Randazzo popolazione e introiti, viene fondata la cittadina di Bronte. (Arch. Francesca Paolino).
1540 – In una notte di tempesta del settembre del 1540 alcuni viandanti, che portavano un crocifisso, chiesero ospitalità al parroco della chiesa di San Martino. L’indomani e per tre giorni successivi, non poterono ripartire in quanto il temporale era sempre più violento. Questo fu interpretato dalla Comunità Ecclesiale come un segno del Signore che voleva che il Crocifisso rimanesse nella chiesa. Fu acquistato e ” Il Crocifisso della Pioggia” o “‘u Signuri ‘i l’acqua “ da allora è fatto segno di grande devozione soprattutto nei periodi di siccità e carestia.
Il Crocifisso è opera di Giovanni Antonio Mattinati scultore di Messina.
1544 – Fondazione del Convento de’ Frati Minori Cappuccini. Un secondo Convento fu costruito nel 1600. Il Convento e l’orto nel 1866 furono incamerati dal Governo e riacquistati dai Frati che vi eressero il Seminario Serafico. Distrutto dalla guerra nel 1943 fu ricostruito e ingrandito e il Seminario rimase funzionale sino alla chiusura definitiva dopo il Concilio.
1551 – Il primo aprile G. Antonio Fasside, nato a Randazzo, vescovo di Cristopoli e ausiliare dell’Arcivescovo di Monreale, consacrò la nostra monumentale Basilica. (Padre Vincenzo Mancini). Nel 2001 – 450° dalla Dedicazione – viene ricordata questa data con una solenne celebrazione nella Basilica e con la pubblicazione ” La Basilica Santa Maria di Randazzo”.
1522 – Il 1 di ottobre fu commissionato allo scultore di Palermo Antonello Gagini (1478/1536) la statua di San Nicola – che ancora ora si trova nella omonima chiesa – per intervento (come fideiussore) di Gian Michele Spadafora nipote del Beato Domenico Spadafora.(P.Raimondo ) . Federico De Roberto ci racconta che se la statua non fosse riuscita bene il Gagini avrebbe dovuta rifarla.
1536 – l’Etna eruttò due larghi torrenti di fuoco che vennero a formare le Sciare dell’Annunziata, così titolate dalla vicina Chiesa. La lava ostruì il corso del fiume, estendendosi in larghezza fino al lago Gurrida, per cui le acque non potendo più scorrere dal lato meridionale della Città, vanno ad inabissarsi in certi sotterranei acquedotti naturali dello stesso lago che dal volgo, in lingua Siciliana, vengono chiamati pirituri.
1553 – Padre Agostino da Randazzo fu Provinciale dei Cappuccini di tutta la Sicilia.
1555 – L’Imperatore Carlo V convocò un’ Assemblea nel mese di marzo a Messina per poter ottenere dei soldi essendosi indebitato per le molte guerre che aveva sostenuto. In questa occasione chiese pure di poter vendere e di alienare dal Regio Demanio la Città di Randazzo. I Randazzesi per impedire questa ingiuriosa vendita si recarono a Messina e riuscirono ad impedire la vendita e la alienazione sborsando al Regio Erario la somma di quattromila scudi. Questa Transazione fu stipulata il 4 novembre 1555, come sta registrata nel Libro Magno dei Privilegi di Randazzo.
1567 – Camerata Girolamo pubblica il libro ” Trattato dell’honor vero, et del vero dishonore. Con tre questioni qual meriti più honore, ò la donna, ò l’huomo. O’ il soldato, ò il letterato. O’ l’artista, ò il leggista ” presso l’editore Alessandro Benacci.
1569 – La nostra Città così veniva definita: Randazzo Città di Sicilia: TRIOCLA – TRIOCLAE. Bevilacqua Vocabolario – Venezia 1569.
1575 – Gli abitanti di Randazzo erano ottantaquattro mila (84.000) per cui si meritò l’epiteto di URBIS PLENA.
1575 – La nostra Città fu funestata dalla peste fino al 1580. Dopo inutili tentativi di domare “la bestia” furono costretti ad incendiare quasi tutto il quartiere di Santa Maria. Molte famiglie nobili abbandonarono per sempre Randazzo. I deceduti si calcola che furono all’incirca trentaduemila persone.
1576 – Erasmo Marotta nasce a Randazzo. Compose madrigali, mottetti, litanie, salmi e musicò l’Aminta di Torquato Tasso. Fu l’inventore del dramma pastorale in Italia. “sul cader degli anni” si fece gesuita. Muore il 6 ottobre 1641.
1578 – Con il perversare della peste, che infierì a lungo per ben 5 anni nella nostra Città, il Convento del Carmine fu trasformato in Lazzaretto per gli appestati non poveri, mentre per i poveri si è provveduto con una baracca costruita nella piazza antistante simile ad altre due costruite fuori le mura della Città.
1578 – Antonino Randazzese l’anno di nascita di questo umile frate minore. Divenne responsabile provinciale del suo Ordine che guidò con molta saggezza. Fu un acuto agiografo. Rimangono alcune sue opere manoscritte sulla vita dei santi. Morì il 13 giugno 1632.
1579 – Padre Vincenzo da Randazzo prima Vicario Provinciale e poi, per la morte del Provinciale Padre Antonio da Tortorici, nel seguente Capitolo fu nominato Provinciale.
1582 – La chiesa di San Nicola venne rifatta ed ingrandita per la terza volta, lo dimostra la scritta all’esterno dell’abside dal lato di mezzogiorno:
” L’antichità fece – il tempo disfece – la posterità con mezzi – pubblici e privati – più bellamente rifece – (Padre Luigi Magro).
1584 – Nel Convento di Randazzo fu tenuto un Capitolo (Assemblea elettiva e legislativa dell’Ordine Francescano) in cui fu eletto Provinciale Padre Ludovico da Catania. Altri Capitoli furono tenuti nel 1701 e nel 1739.
1590 – Muore a Palermo – Randazzese di nascita – Giovanni Domenico De Cavallaris, famoso giureconsulto fu tra gli esperti che presero parte alla elaborazione della legislazione della Sicilia.
1600 – Si apprende da un Documento del secolo XVII che sotto il Regno di Filippo IV° Re di Spagna (1605-1665) era stata proposta la vendita della Città di Randazzo, ma non vi si riuscì perché Pietro Oliveri, morto a Madrid il 1680, Reggente del Supremo Consiglio d’Italia, quale cittadino di Randazzo, ne prese la difesa e furono così tanti gli argomenti che seppe portare che non fu posta in vendita. ( La data precisa non ci é nota).
1610 – I Padri Cappuccini con Atto del 20 maggio 1600 presso il Notaro Pietro Dominedò, volendo costruire un Convento acquistarono il terreno da un un certo Giuseppe Margaglio che, ben volentieri lo vendette e l’ 8 settembre1600, con gran concorso di popolo, fu ivi eretta la Croce . L’anno seguente il 14 aprile 1601 , fu tenuto un Civico Consesso per trattare sulla contribuzione della spesa per la erezione di questo secondo Convento, e questa fu così generosa da accelerare i tempi e nel 1610 il lavoro della Chiesa e del Convento, che furono dedicati al SS. Salvatore, era terminato.
1604 – In base alla documentazione raccolta da Francesco Fisauli, – “Le Confraternite di Randazzo nella Storia e nel diritto ecclesiastico” – a partire dal 1604 le Confraternite e le loro Chiese, da laiche o indipendenti diventarono prima Chiese venerabili e poi Chiese filiali delle tre Parrocchie: S. Maria, S. Nicola, S. Martino.
1615 – Il Vicerè di Sicilia Duca d’Ossuna convocò a Palermo il Parlamento Generale del Regno. Randazzo mandò come suo Procuratore il Dott. D. Pietro Fisauli che, grazie alla sua amicizia con il Vicerè, ottenne molte Grazie e Privilegi che si leggono in un Diploma datato
Palermo il 7 agosto 1615, e registrato a Randazzo nel Libro Grande dei Privilegi, il 12 novembre 1615.
1616 – Una lapide in arenaria posta sulla porta di levante ci fa sapere che essa fu ricostruita ed ampliata nel 1616
su progetto dell’Arch. Francesco Rubino: “ Ars et labor – Francisci Rubini – 1616 “.
1618 – Il gesuita Giuseppe Marzio nasce a Randazzo nel 1618 . Nel 1654 pubblicò: Primo saggio di Panegirici. Fu molto apprezzato come “sacro oratore”. Morì nel 1676.
1619 – l’Arcivescovo di Messina Andrea Mastrilli propose la soppressione della Parrocchia di S. Nicolò, dietro il pretesto di cederla ai Padri Gesuiti che volevano fondare un Collegio in Randazzo ed anche perché i Sacerdoti di questa Chiesa non potevano vivere, essendo la Chiesa povera di rendite. Il 3 dicembre 1619, Notaro Pietro Dominedò redige l’atto della fusione della Chiesa di S.Nicolò con la chiesa di Santa Maria avendo sottoscritto l’atto tutti i Sacerdoti dell’una e dell’altra Chiesa.
1621 – Il Notaio (Notar) Pietro Dominedò il 18 settembre certifica che nella chiesa di Santa Maria vi sono 28 Preti.
Ironicamente annotato: «Or se ciò si fu da Pastori ; che è; e che sarà dai Secolari ? Auri sacra fames.
1624 – Non essendo stata eretta la chiesa di Santa Maria con la chiesa di S. Nicola a Collegiata in quanto avrebbero con ciò acquistata la tanto desiderata Maggioranza anche sopra l’altra Parrocchia di S. Martino, cosa contraria alla egualità stabilita dalle Sentenze Apostoliche precedenti, l’Atto di fusione non ebbe effetto e le due chiese ritornarono ad essere due Parrocchie.
1624 – Nel mese di giugno scoppio la peste a Palermo. I Palermitani si votarono a Santa Rosalia e venne a cessare la peste nella Città. Pure Randazzo fu colpita e il Magistrato Municipale con tutti i cittadini come riconoscenza per la cessazione della peste, si votarono a Santa Rosalia facendo fare un quadro con la Sua Immagine che fu posto dentro la Chiesa dei Conventuali di San Francesco. Quadro andato perduto con i bombardamenti del 1943 sotto le macerie della Chiesa.
1628 – IL Concittadino Dott. in Teologia D. Antonino De Aiuto che ritornava da Roma volendo che i Padri Gesuiti fondassero un Collegio di Studi a Randazzo, Gli lasciò tutti i suoi beni a condizione che non dovessero pretendere la chiesa di San Nicola. Venuti in Randazzo i Gesuiti, dopo la morte del Testatore, presero possesso dell’eredità che ammontò a 350 Onze annue di rendita, fondarono il loro Collegio nella casa ereditata e aprirono la Chiesa della Madonna delle Grazie, sotto il nuovo Titolo di S. Ignazio. Ma reputando insufficiente la rendita De Aiuto per il mantenimento del Collegio, pretesero di avere dai Procuratori della Fabbrica di S. Maria, il denaro cumulato in Cassa. Da qui nacque un lungo contenzioso di cui fu coinvolto anche il il Vicerè Duca di Alcalà, ma i Padri Gesuiti non riuscirono a spuntarla. Nel 1638 poi i Padri Gesuiti, adducendo che la loro abitazione era angusta, che essi non avevano potuto ottenere la Chiesa di S. Nicolò e che era insufficiente l’annua rendita di Onze 350 proveniente dalla eredità De Aiuto, pur aumentate di Onze 50 date dall’Università di Randazzo per mantenere il Collegio, erano costretti a lasciare la Città, cedendo la eredità De Aiuto ai Padri Minimi del Convento di S. Francesco di Paola.
1632 – Nella Parrocchiale chiesa di S. Nicolò esiste l’Arciconfraternita dell’Opera della Misericordia fondata sotto il Titolo del “SS. Crocifisso in suffragio delle Anime del Purgatorio” il 1° luglio 1632 dall’Arciprete di Randazzo Dott. D. Ettore Prescimone approvata dalla Curia Arcivescovile di Messina per mezzo del Vicario Generale D. Mario Guzzaniti ed esecutoriatà nella Curia di Randazzo il 10 luglio 1632.
1636 – Il 27 agosto del 1636, Filippo IV re di Spagna, bisognoso di denaro inviò alla città di Randazzo una pergamena reale con la quale chiedeva ai cittadini una notevole somma per la Corona, minacciando di annullare la demanialità della Città, con la conseguente vendita in qualità di Feudo. I Randazzesi raccolsero il donativo dal feudo Torrazzo e dalla vendita del Castello.
1640 – L’11 gennaio 1640, don Carlo Romeo comprò dal Regio Fisco per 404 onze il Castello di Randazzo (dove ora è ubicato il Museo Archeologico Vagliasindi) e il titolo di barone del Castello di Randazzo.
1647 – Il sindaco di Randazzo è Don Giovanni Romeo.
1647 – Nella chiesa di San Martino, dietro la porta maggiore, si conserva un antico Battistero di marmo rosso con pilastrini ottagonali ed archetti ogivali con capitelli frondosi, nel quale, benché a stento, si legge la seguente iscrizione:
“Qui crediderit et Baptizatus fuerit Salvus erit. Hoc opus Expeditum fuit per me Magistrum Angelum De Riccio de Messana. Sub Anno Incarnationis Domini + MCCCCXXXXVII “. “Chi avrà creduto e sarà Battezzato sarà salvo. Questo lavoro fu concepito da me Maestro Angelo De Riccio da Messina. Sotto l’anno del Signore 1447.”
1647 – Dal 16 luglio al 9 agosto scoppiò a Randazzo una rivolta a causa dell’aumento delle tasse e per l’estrema miseria nella quale era ridotta la Città. Don Muzio Spatafora, Vicario Generale, alla testa di sei compagnie entrò il 27 luglio nella nostra Città e dopo aver eseguito arresti e alcune condanne a morte ristabilisce la pace. Il cardinale Trivulzio dichiara che il motivo scatenante della rivolta palermitana dell’agosto 1647 è stata proprio la dura repressione militare avvenuta a Randazzo. ( Daniele Palermo).
1650 – Nasce a Randazzo, probabilmente in questa data Francesco La Guzza . Uomo di molta cultura ed un grande predicatore. Scrisse molte opere religiose.
1674 – La regina Marianna d’Austria il 21 novembre concede a Randazzo il titolo di Graziosissima per essere stata aiutata a sottomettere la città di Messina , ribelle alla Spagna.
1676 – Nasce a Randazzo Nunzio Perciabosco poeta comico ed autore di varie commedie e drammi di cui alcuni titoli:
– Donna Margherita o vero l’incognita conosciuta negl’accidenti del carnovale,
– L’Altamura o vero l’amorosa simpatia
– Fidauro o vero le bellicose vendette favorita dalla fortuna
– L’Olivara o vero l’Amante crudele
– Il Polifemo o vero la Tirannide soggiogata.
Gli è stata dedicata una via (graziosissima) dietro la chiesa di San Martino che va verso piazza San Pietro.
1678 – Il Re Carlo II° figlio del Re Filippo IV dopo la reggenza della Madre Marianna salito al trono di Spagna spedì una lettera il 26 aprile dove manifestava la riconoscenza per la fedeltà ed il valore mostrato dai Cittadini Randazzesi.
1679 – Dopo la dichiarazione del Re Carlo II° anche Randazzo il 19 marzo 1679 dichiarò Patrono della Città San Giuseppe, Sposo di Maria, sottoscrivendo l’Atto ben 300 Famiglie, l’Arciprete D. Giuseppe Emmanuele Oliveri, n. 51 sacerdoti e n. 32 Chierici addetti al Servizio delle Tre Parrocchie.
1680 – Pietro Oliviero il 15 luglio muore a Madrid. Nato a Randazzo, ma non si conosce la data di nascita. Fu autore di pregiate opere giuridiche. Nel 1678 fu Reggente del Supremo Consiglio d’Italia e con questa carica si recò a Madrid.
1686 – La confraternita di Maria SS Annunziata della Chiesa dell’Annunziata è stata fondata il 25 maggio 1686 ed un tempo riuniva massari ( Contadini a cui era affidata la gestione di un appezzamento di terreno in base a un contratto di locazione – detto contratto di masseria).
1689 – Vi fu una grande inondazione e il Fiume straripando inondarono il Borgo denominato dei Conciariotti ove erano le Concierie che rimasero distrutte con tutte le case ivi esistenti. Anche la Chiesa di S. Maria dell’Itria fu inondata e per tale disastro cessò di funzionare. Rimase pure demolito il Ponte grande a cinque archi che congiungeva Randazzo con Santa Domenica, ed altri due piccoli uno chiamato della Misericordia che dava accesso alla Chiesa omonima e l’altro della Fontana del Roccaro.
1693 – Il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale si verificò in tutta la Sicilia. Il primo terremoto fu il 9 gennaio 1693 attorno alle ore 21:00. Il secondo terremoto – preceduto circa 4 ore prima da un’altra forte scossa che però non aggravò sensibilmente i danni della prima – avvenne il giorno 11 gennaio 1693 alle ore 13:30 ed ebbe effetti veramente catastrofici. Tutto il periodo sismico fu, inoltre, accompagnato da un’intensa attività dell’Etna. La statistica ufficiale, redatta nel maggio 1693, riporta circa 54.000 morti. Catania, Acireale e i piccoli centri del versante sud-orientale dell’Etna furono quasi interamente distrutti. Anche Randazzo ebbe diversi morti e notevoli danni alle abitazioni e fu sconquassato il Campanile di S. Nicola che era stato incatenato a spese dell’Imperatore Carlo V°, quando onorò la nostra Città di sua presenza, e dopo pochi anni si è dovuto abbattere. Le repliche, anche di forte intensità, furono avvertite per oltre 3 anni .La nostra Città di Randazzo ebbe dei danni e
1718 – Ebbe luogo la sanguinosa battaglia di Francavilla fra tedeschi e spagnoli, passarono da Randazzo tante truppe spagnole da non poter essere ospitate nei vari conventi locali, per cui si dovette ricorrere alle Chiese per alloggiare i soldati. La prima che fu adibita a Caserma, come la più grande, fu quella di S. Nicola.
1718 – Il Capitano d’Arme D. GIORGIO LICARI è Patrizio della Città e occupò Cinque volte la Carica di Capitano Giustiziere,
1720 – Vi fu una notevole siccità. Infatti non piovve per ben 18 mesi. Delle sette fontane da cui attingevano acqua i nostri concittadini cinque erano prosciugate ( Roccaro, Gallo, Erba Spina, Sanamalati e Sela dei PP.Cappuccini) solo due (Flascio e Faucera) erano attive.
1724 – Francesco Onorato Colonna (1683/1731) dei Duchi di Cesarò e dei Marchesi di Fiumedinisi storico e letterato scrive il libro: Idea dell’antichità della Città di Randazzo. Il libro è custodito nella biblioteca comunale di Catania.
1730 – L’attuale statua di Rannazzu Vecchiu è, in realtà, una copia, realizzata negli anni ’30 del 700, commissionata dall’abate Pietro Rotelli (†1765 agosto) a sostituzione della statua originaria, in arenaria, risalente al XII secolo, i cui resti – un leone, un’aquila e un berretto frigio –, attualmente, si trovano murati sulla parete settentrionale della chiesa di San Nicola.
1741 – Sulla porta dell’Ospedale vi è un Medaglione in pietra su cui è scolpita in rilievo la Madonna della Pietà che è stata qui trasportata dal vecchio Ospedale: porta inciso l’anno 1741.
1741 – Carlo III , Re delle due Sicilie, istituì a Randazzo un Tribunale Commerciale con ampia Giurisdizione sopra 27 Città e Terre.
1741 – L’Infante Filippo. primo figlio maschio di Carlo III, Re delle Due Sicilie, nato il 13 giugno 1741, ebbe il titolo di Conte di Calabria e Duca di Randazzo.
1746 – 29 novembre, fu innalzata, nella piazza antistante la chiesa di San Nicola, la nuova statua, in marmo, di Randazzo Vecchio, emblema e memoria della storia della città. Essa venne commissionata dall’abate Pietro Rotelli (†1765 agosto), a sostituzione della statua originaria, in arenaria, risalente al XII secolo. Diverse sono le ipotesi avanzate sul personaggio che rappresenta: ciclope Piracmone, Ducezio, re dei Siculi, o l’unione delle tre etnie della città (Lombardi, Greci e Latini). Differenti sono anche le interpretazioni avanzate, sin’ora, intorno al significato allegorico dei tre animali – leone, serpenti e aquila – che accompagnano Randazzo Vecchio.
(Angela Militi)
1746 – Visita del monsignore Tommaso Moncada, Arcivescovo di Messina, il quale stette a Randazzo dal 13 al 29 dicembre nel corso della quale celebrò il rito della consacrazione della chiesa di San Martino (21 dicembre).
1746 – Il 27 dicembre 1746 Mons. Francesco Tommaso Moncada, Arcivescovo di Messina. essendo in Randazzo in occasione della Sacra Visita, consacrò la Chiesa di San Nicola e nel 1751, in qualità di Delegato Apostolico, la eresse, insieme alle altre due S. Martino e S. Maria, alla dignità di Collegiata, con le relative Dignità ed Insegne Canonicali di cui la Cappa corale e l’Ermellino che vennero confermati dalla S. Sede nel 1785.
1753 – Il Viceré D. Eustachio Duca di Viefuille venne a Randazzo verso le ore 17 del 14 novembre 1753 e si fermò sino al 28 dello stesso mese alloggiando nel Convento dei Minori Conventuali della Chiesa di S. Francesco. In questa occasione Gli fu fatto presente che a causa della peste (1575-1580) la popolazione si era di molto ridotta, impoverita ed abbandonata per sempre dai Nobili che si erano trasferiti a Messina. Il Viceré ordinò di regolare le tasse secondo la popolazione del 1753.
1756 – Il Marchese Fogliani, nuovo Viceré di Sicilia il 12 maggio, dispose che, a causa della diminuzione della popolazione per la elezione dei Giurati, vi fossero due scrutini, uno per eleggere due del Ceto Nobile ed uno per eleggere due del Ceto Civile.
1760 – Il Collegio San Basilio nasce come Monastero Basiliano tra il 1760 e il 1768. Divenuto di proprietà del Comune, grazie alle leggi eversive del 1866/67, fu concesso ai Salesiani nel 1879 che per volontà di don Bosco divenne il primo centro studi salesiano della Sicilia.
1761 – Arcangiolo Leanti nel suo ” Lo stato presente della Sicilia del 1761″ così descrive Randazzo:
Città piccola reale, pur mediterranea, posta alle falde dell’Etna: è animata in quattro parrocchie da 4.169 abitatori; ha quattro conventi di religiosi e tre di monache dell’Ordine di S. Benedetto. Presso questa città trovasi il lago Gorrida, di cui molto favoleggiarono gli antichi poeti greci e latini.
1767 – Il Re Carlo III° dispone, con un decreto datato 25 aprile, che a tutti quelli che avessero avuto il Padre o l’Avo iscritti nella Mastra Civile (la Mastra era l’elenco dei nobili per la partecipazione alla elezione dei 4 Magistrati che avrebbero governato la Città) gli era concesso di passare nella Mastra Nobile.
1770 – L’Arciprete Don Giuseppe Plumari ed Emmanuele, nacque il 17 agosto dal notaio D. Candeloro e da Paola Emmanuele. Gloria primaria ed unica della Storiografia Randazzese, ci ha lasciato una grande opera , che ci parla di tutte le glorie della nostra Città. Muore il 1 ottobre del 1851 e probabilmente fu seppellito nella Chiesa di Santa Maria, ma della sua tomba si è perduto ogni ricordo.
1785 – Finalmente, dopo tre secoli di discordie fra le Tre Chiese , come si rileva dagli Atti del Regio Notaro D. Carmelo Ribizzi, in data 6 marzo 1785, troviamo che le tre Collegiate ottennero dalla S. Sede il Privilegio della Cappa di Coro ossia l’Ermellino.
1789 – Al fine di equilibrare su tutti i cittadini del Regno le entrate dello Stato Ferdinando III re di Sicilia (Ferdinando IV re di Napoli) fece eseguire un censimento generale. A Randazzo si ebbe il seguente risultato:
Quartiere di Santa Maria: Maschi 607 Femmine 467 totale 1074
Quartiere di san Nicolò: Maschi 1415 Femmine 1183 totale 2598
Quartiere di San Martino: Maschi 1476 Femmine 1129 totale 2605
Totale : 6.277 anime.
Il censimento è stato fatto da Don Girolamo Saletti deputato della locale Deputazione.
1808 – Il Sindaco di Randazzo é il Dott. Filippo Scala”
1818 – Il 20 febbraio vi fu un tremendo terremoto. Non si hanno notizie per danni agli uomini o alle cose si sa di questo terremoto in quanto il Quadro raffigurante San Giorgio donato dal Conte Ruggero I di Sicilia (1031-1101) al Monastero si stacco dal muro e cadendo si ridusse in minutissimi pezzi, essendo corroso dalla tignuola, come ebbe a constatare il Duca di San Martino, allora Intendente di Catania, venuto a visitare per ordine del Sovrano la nostra Città. Federico II°, insieme alla Regina Eleonora, (circa il 1312) donarono alle Monache di San Giorgio un Quadro dipinto su Tavola, rappresentante il Transito del loro Patriarca San Benedetto, anche questo cadde e andò in frantumi .
1824 – Alla morte del re Ferdinando I , la Chiesa di San Nicola – che funzionava da Cattedrale del triennio – celebrò solenne funerale; ma, dato il caso specialissimo, anche le altre due chiese vollero celebrare il suo: e i funerali furono tre.
(Pietro Silvio Rivetta in arte Toddi).
1825 – L’Arciprete Giuseppe Plumari il 30 agosto rivolse una petizione al Re Francesco I° perché fosse demandata l’Amministrazione dei Beni della Baronessa Joannella De Quatris lasciati alla Maramma di S. Maria, ad una Commissione locale, sotto il controllo del Consiglio degli Ospizi di Catania, togliendo dalle mani dell’Amministratore residente a Palermo, perché la Chiesa, in poco più di un secolo di tale Amministrazione aveva avuto la perdita di almeno Onze sessantatremila (63.000). Il Re accoglie la petizione e dà disposizioni affinché sia eseguita.
1834 – Nel 1834 si accese una forte polemica provocata da uno scritto sulle “glorie di Randazzo di Leonardo Vigo”, pubblicato nelle Effemeridi Scientifiche e Letterarie di Palermo, dopo ch’egli aveva consultato il manoscritto: Idea dell’Antichità di Randazzo di Don Francesco Colonna dei Duchi di Cesarò e dei Marchesi di Fiumedinisi, ed il Sunto della Storia di Randazzo, scritto ed inviato dall’Arciprete Don Giuseppe Plumari Emanuele all’Accademia dei Zelanti della Città di Acireale.
1835 – Paolo Vagliasindi Basiliano pubblica per la tipografia del Giornale di Scienze Lettere ed Arte di Palermo “Discussione storica e topografica di Paolo VAGLIASINDI basiliano di Randazzo” . L’Opera polemicamente cerca di confutare alcune teorie dello storico Giuseppe Plumari sulle origini della nostra Città.
1836 – La presunta data dell’apertura del Cimitero. Questa data infatti è riportata in una lapide ancora esistente nella zona pericolante.
1836 – La confraternita dell’Addolorata, che precedentemente si chiamava Confraternita di Maria SS.ma degli Agonizzanti, non possiede alcun documento manoscritto che ne attesti la data di fondazione. Ha solo un recente dattiloscritto in cui tra l’altro si legge: data di fondazione 20 luglio 1834; data di autorizzazione da parte di Ferdinando II, re delle due Sicilie, 13 febbraio 1836.
1838 – Paolo Vagliasindi Polizzi, nasce nel 1838 e si deve a Lui l’esistenza del Museo Archeologico Vagliasindi. Infatti nel 1889 in un suo fondo in contrada Sant’Anastasia-Mischi furono trovati casualmente dei reperti archeologici oggi esposti nel museo archeologico di Randazzo e nel museo Paolo Orsi di Siracusa.
1847 – l’Arciprete Giuseppe Plumari scrive: ” Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale di Sicilia esposta dall’Arciprete di essa Città Giuseppe Plumari ed Emmanuele dottore in Sacra Teologia e socio dell’Accademia dè Zelanti di Scienze, Lettere, ed Arti della Città di Aci-Reale. Divisa in tre volumi. – Volume I anno 1847 “.
1847 – Il 22 settembre 1847, il sindaco di Randazzo con l’aiuto del Canonico Giuseppe Cavallaro amministratore dell’Opera De Quatris, , crearono il Corpo Bandistico Città di Randazzo. La spesa in quell’epoca, è stata circa di trenta Onze.
1849 – l’Arciprete Giuseppe Plumari scrive: ” Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale di Sicilia esposta dall’Arciprete di essa Città Giuseppe Plumari ed Emmanuele dottore in Sacra Teologia e socio dell’Accademia dè Zelanti di Scienze, Lettere, ed Arti della Città di Aci-Reale. Divisa in tre volumi. – Volume II anno 1849″.
1855 – Muore nel Monastero di Randazzo l’Abate D. Paolo Vagliasindi. Fu Segretario della Camera dei Pari nel 1848, profondo conoscitore delle scienze storiche, archeologiche, economiche siciliane. Scrisse sull’eruzione dell’Etna del 1832, La Riflessione Sull’Appendice (1835) e confutando le tesi del Plumari sulle origini di Randazzo “DISCUSSIONE STORICA E TOPOGRAFICA DI PAOLO VAGLIASINDI BASILIANO DI RANDAZZO”. Sostituì le lettere ad uno Obelisco egiziano. Seppellito nella chiesa di S.Maria di Gesù sulla tomba fu inciso: “Voce mortale non potrà accrescere meriti alla fama di Lui “.
1859 – Padre Gesualdo De Luca, ex Provinciale Cappuccino da Bronte, “ In S. Martino di Randazzo chiesa collegiata Parrochiale a turno matrice “, fece l’elogio funebre per Sua Maestà Ferdinando II re delle Due Sicilie. Il testo integrale lo trovi nella sezione “LIBRERIA”.
1860 – Giuseppe Garibaldi da Messina ordina a Nino Bixio di recarsi a Randazzo – dove giunge il 6 agosto insediandosi nella casa di Giuseppe Fisauli – per sedare la rivolta scoppiata a Bronte, Linguaglossa, Adrano.
1861 – Nicola Petrina, politico, sindacalista e uno dei fondatori dei Fasci Siciliani o Fasci Siciliani dei lavoratori ( con Giuseppe De Felice, Giacomo Montalto, Francesco Paolo Ciralli, Rosario Garibaldi Bosco, Nicola Barbato, Bernardino Verro ), nasce a Randazzo il 13 novembre 1861 e muore il 28 dicembre del 1908 a Messina a causa del tremendo terremoto che ha colpito questa città.
1861 – Gli abitanti di Randazzo sono : 7005
1864 – Gaetano Basile fu Ferdinando nasce a Randazzo il 6 luglio. E’ stato un medico e igienista italiano, Direttore della Sanità Pubblica dal 01/02/1934 al 28/02/1935. Nel dicembre 1912 fu prescelto come Direttore capo della divisione per il servizio igienico generale al Ministero dell’Interno e nel 1916 ricevette la medaglia d’oro ai benemeriti della salute pubblica. Nel dicembre 1930 fu promosso Direttore Generale della Sanità Pubblica. Nel 1943 avendo avuto distrutta la casa di Catania dai bombardamenti del 1943 si ritirò a Crocitta dove morì il febbraio 1951. Una immensa folla partecipò al suo funerale. Il Comune gli ha intitolato una tra le più belle strade della città.
1866 – Nel 1866 lo Stato incamerò i beni di tutte le Confraternite, senza eccezione alcuna. (Con il regio decreto n. 3036 del 7 luglio 1866, detta legge eversiva, fu negato il riconoscimento (e di conseguenza la capacità patrimoniale) a tutti gli ordini, le corporazioni, e le congregazioni religiose regolari, ai conservatori ed i ritiri che comportassero vita in comune ed avessero carattere ecclesiastico).
1866 – A seguito della legge eversiva (il regio decreto n. 3036 del 7 luglio 1866) fu soppresso il convento dei Carmelitani. I fedeli allora chiesero che le Sante Reliquie del Beato Luigi Rabatà fossero tolte dalla chiesa del Carmine e fossero trasferite nella Chiesa Collegiata di Santa Maria. La Sacra Congregazione dei Riti, con l’approvazione di Pio X°, in data 10 giugno 1910 accordava la richiesta di traslazione dalla Chiesa del Carmine ove erano state conservate per più di quattro secoli, alla Chiesa di S. Maria.
1868 – Sindaco della Città e don Giuseppe Fisauli.
1872 – La città di Randazzo che fino al 1435 faceva parte della diocesi di Messina, passa con la diocesi di Acireale.
1875 – Secondo il Vocabolario Geografico – Storico – Statistico e il Dizionario Geografico Postale del regno d’Italia il comune di Randazzo era dotato di un ufficio postale, di scuole e d’istituti di pubblica beneficenza.
1878 – Le nostre Autorità Municipali (Sindaco Giuseppe Fisauli), preoccupati di dare una buona educazione ai nostri giovani, in accordo con le Autorità Ecclesiastiche, fecero venire le Suore di Carità che presero la Direzione dell’Asilo, della Scuole Elementari ed in seguito dell’Ospedale. L’Asilo fu inaugurato il 13 settembre 1878 ed eretto in Ente Morale l’8 dicembre dello stesso anno. Lo scopo è l’ammissione dei bambini di ambo i sessi, dai tre ai sei anni per ricevere la prima educazione religiosa e civile. La prima Deputazione ebbe a Componenti i Signori: Giuseppe Vagliasindi Romeo Presidente, Dottor Antonino Birelli e Giuseppe Fisauli Piccione Deputati.
1879 – Sindaco della Città è il barone Giuseppe Fisauli.
1879 – Su indicazione del prefetto di Catania Conte Ottavio Lovel de Maria e il comm. Achille Basile. che caso stranissimo, rappresentavano uno Stato massonico e anticlericale, ed il vescovo di Acireale Mons. Gerlando Genuardi, le autorità della Città – l’Arciprete Francesco Fisauli, il Sindaco B.ne Giuseppe Fisauli, il Consigliere Provinciale Giuseppe Vagliasindi – si incontrano con i delegati di Don Bosco – Don Giovanni Cagliero (reduce dalla prima missione salesiana in Patagonia, e che poi, qualche anno dopo, diventerà cardinale di Sancta Romana Ecclesia.” Pino Portale”) e Don Celestino Durando – per firmare la “Convenzione” dove si stabiliscono i lavori di ristrutturazione e ammodernamento del vecchio monastero basiliano che avrebbe dovuto ospitare il Collegio Salesiano e si fissò la data dell’inizio dell’opera con scuole elementari e ginnasiali per l’ottobre del medesimo anno 1879.
1884 – Gustavo Vagliasindi nasce a Randazzo. Professore universitario di argomenti agricoli nel 1947 promosse la fondazione della Facoltà di Agraria di Catania. L’Università nel 1961 gli conferì alla memoria la medaglia d’oro al merito della scuola. Il comune di Sanremo il “Garofano Rosso”. Morì a Catania nel 1957.
1885 – Viene eletto sindaco Paolo Vagliasindi (1858/1905) a soli 27 anni.
1886 – Il pittore viterbese Pietro Vanni dipinge “La Madonna in trono col Bambino” che si trova sull’altare Maggiore (1663 in marmo policromo intarsiato) nella Basilica di Santa Maria.
1887 – Viene rieletto sindaco Paolo Vagliasindi (1858/1905).
1887 – Si diffonde una epidemia di colera. Il sindaco Paolo Vagliasindi, per la sua opera meritoria gli viene attribuita la medaglia d’argento al valore civile da parte del Governo.
1887 – Viene costruito il ponte sul fiume Alcantara tutto in pietra lavica e con una serie di accorgimenti per consolidare il terreno circostante. Il 13 agosto 1943 i tedeschi ritirandosi fecero crollare con delle mine le tre arcate.
1891 – Giuseppina Dilettoso Vagliasindi (in religione Suor Maria Addolorata) nasce a Randazzo il 21 giugno. Rimasta vedova dedicò tutta la sua vita al Signore. Fondò l’Opera Betania Ancelle di Gesù Sacerdote, con lo scopo di assistere i sacerdoti, quelli malati e più bisognosi. Morì il 15 agosto 1981.
1893 – l’Orfanotrofio Femminile, affidato alle Suore di Carità, veniva fondato e dedicato al Sacro Cuore di Gesù dal Rev.mo Canonico D. Francesco Fisauli fu Dott. Vincenzo e dai Signori: Barone Avv. Benedetto Fisauli con i fratelli Ing. Vincenzo, Avv. Antonio, Colonnello Brigadiere Diego, Avv. Gualtiero figli del Barone Giuseppe, 11 maggio 1893 e 20 settembre 1894 presso il Notaro Basile avv.Giuseppe, con lo scopo di ricovero, istruzione e mantenimento, fino alla maggiore età, delle orfane abbandonate, nate legittime da genitori che ebbero domicilio in Randazzo.
1895 – Inaugurazione della Ferrovia CircumEtnea il 29 settembre. Mario Mandalari (1851-1908), che arrivò a Randazzo comodamente seduto sul treno inaugurale, descrive, nel libro “Ricordi di Sicilia: Randazzo” ( N.Giannotta editore – 1897) con accenti trionfali “ la vittoria dell’Uomo sul Mostro”, il Gigante Mongibello, che, ormai cinto di rotaie, non riesce ad ostacolare la marcia del Progresso.
1896 – Per opera del Canonico D. Vincenzo Panissidi viene costituita nella Chiesa di San Nicola la Confraternita del SS. Sacramento che, sorta modestamente fra alcuni parrocchiani, andò vie più accrescendosi col titolo di Pia Società del SS. Sacramento e venne canonicamente fondata dopo un decennio di esistenza, nel 1896. Venne poi elevata al rango di Confraternita l’anno 1925 ed aggregata alla Primaria Arciconfraternita di Roma.
1896 – Andrea Capparelli fu nominato Rettore dell’Università di Catania. Nato a Randazzo il 14.12.1854 . Nel 1880 si laurea in Medicina all’Università di Catania. Fisiologo si interessò pure di Neurologia, Istologia e Terapia. Importanti i suoi studi sul diabete. Morì a Catania nel giugno 1921 .
1897 – Scoppia nella nostra Città una epidemia di colera.
1899 – l’onorevole Paolo Vagliasindi (1858/1905), deputato per 4 legislature, il 14 maggio del 1899 viene nominato Sottosegretario all’Agricoltura, Industria e Commercio durante il governo di Luigi Pelloux. Carica che mantiene fino al 21 giugno 1900.
1903 – Cesare Finocchiaro pubblica il libro. “L’acqua potabile in Randazzo “. Editore: lo Stabilimento Tipografico di Catania.
1903 – il 4 ottobre fu inaugurato nella Sala del Palazzo Comunale un Circolo di Cultura e una sezione dell’Archivio Storico per la Sicilia Orientale. Il Vice Presidente, prof. V. Casagrande, tenne il discorso inaugurale, mentre F. Basile ricordò quella cerimonia con un opuscolo intitolato “Circolo di cultura a favore della gioventù”.
1903 – Vito La Mantia – Commendatore, Grande Ufficiale e Primo Presidente Onorario di Corte d’Appello – pubblica il libro: “Consuetudini di Randazzo“. Editore : Tip. Stab. A. Giannitrapani via Monteleone n. 23 – Palermo
1905 – Sindaco è l’avvocato Gualtiero Fisauli
1905 – il 23 dicembre 1905 a soli 47 anni muore di pleurite a Catania l’onorevole Paolo Vagliasindi (1858/1905).
1906/1907 – il 1° acquedotto costruito a Randazzo (1906/1907). sindaco pro- tempore Gualtiero Fisauli. L’acqua detta di “Pietre Bianche” proviene dalle sorgenti di Portale o Pietre Bianche, Tortorici (ME) a circa 1350mt. sul livello del mare, portata acqua circa 7 litri al secondo. Sorgente di Montone-territorio di Randazzo circa 1275 mt. sul livello del mare, (portata: 1 litro/sec). La condotta che raccoglie l’acqua delle due sorgenti arriva al Serbatoio dei Cappuccini, dopo avere attraversato alcune zone, tra cui Roccabellia e Murazorotto. Acque eccellenti e saluberrime sono definite dalla ” Relazione a cura del Prof. Eugenio Di Mattei-Università di Catania”.
1907 – Randazzo ebbe la luce elettrica per la prima volta dall’Officina del Sig. D. Ciccione Vagliasindi.
1907 – Douglas Sladen pubblica a New York : “ “Sicily – The New Resort an Encyclopedia of Sicily by Douglas Sladen” una guida turistica della Sicilia. Nella II parte del libro da pag. 462 a pag. 468 si parla di Randazzo impreziosito da belle foto.
1908 – Sindaco della Città è Sebastiano Polizzi. Il 30 giugno 1908 firma la transazione dove vengono sanciti i criteri e stabilite le norme e segnate le quote che spettano a ciascun Ente dell’eredità della Baronessa Dè Quatris. Così si pose fine a quasi 300 anni di lotte fra le Tre Chiese (San Martino, San Nicola, Santa Maria).
1909 – Lo storico di Acireale Vincenzo Raciti Romeo (1849-1937) Fu un Canonico e archivista della cattedrale di Acireale e bibliotecario della locale Accademia Zelantea. Studioso di storia patria si dedicò con particolare cura alla storia della città di Acireale e dintorni. Nel 1909 pubblicò due suoi scritti: “Da Acireale a Randazzo” e “Randazzo Origini e monumenti”. Si trovano in originale presso la Biblioteca Zelantea di Acireale.
1909 – Federico De Roberto pubblica il libro “Randazzo e la Valle dell’Alcantara”. Editore: Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo. Il libro contiene n.147 illustrazioni e I tavola.
1909 – Il sindaco di Randazzo è l’avvocato Sebastiano Polizzi.
1909 – Vito La Mantia (1822/1904) storico e giurista siciliano il quale fu anche Consigliere di corte di Cassazione a Roma, coadiuvato dai figli completò alcuni lavori originali in materia di diritto consuetudinario tra cui “Le consuetudini di Randazzo” che venne pubblicato nel 1909. L’intero testo lo puoi leggere nel profilo di Angela Militi.
1910 – il Sacerdote don Salvatore Calogero Virzì nasce 11 gennaio a Cesarò (ME). Salesiano, Educatore, Storico della nostra Città, Ricercatore. Si spegne intorno alle ore venti del 21 novembre 1986 al San Basilio di Randazzo.
1910 – Per iniziativa di Giovanni Puglisi ( anarchico e poi socialista) il 18 maggio venne scoperta una lapide nella casa natale di Nicola Petrina che così diceva:
” In questa casa / il 13 novembre 1861 / schiudeva gli occhi / a vita intensa di entusiasmi e di lotte NICOLA PETRINA // Le calamità pubbliche e il carcere iniquo / furono per lui campo fecondo / di azione di pensiero / La catastrofe di Messina del 28 dicembre 1908 / tragicamente lo travolse // Il Popolo di Randazzo / pose questo ricordo / il giorno 18 maggio 1910 / solennemente commemorando / il tribuno gagliardo l’apostolo fervente / di una civiltà più vera ed umana “.
La lapide non esiste più a causa degli eventi bellici del 1943 che distrussero un gran parte della nostra Città.
1910 – La Sacra Congregazione dei Riti, approvato da Pio X° in data 10 giugno 1910, accordava la richiesta di traslazione dei resti del Beato Luigi Rabatà dalla Chiesa del Carmine ove erano state conservate per più di quattro secoli, alla Chiesa di S. Maria. Avendo poi il popolo, in occasione del colera del 1911, ad iniziativa del Vescovo, fatto voto al Beato di procedere presto a tale traslazione se Egli avesse ottenuto da Dio la cessazione del morbo entro il 15 agosto, concessa la Grazia come la si desiderava, si procedette alla preparazione ed il 13 agosto 1912 avveniva la traslazione in forma solennissima.
1911 – Si registra a Randazzo una epidemia da colera.
1911 – Dopo aver inaugurato la statua del Re Umberto I nella Piazza Roma di Catania, il Re Vittorio Emmanuele III e la Regina Elena il 31 maggio vennero a Randazzo con il treno reale della Circumetnea. Alla stazione il commissario Spasiano a nome della Città offrì un mazzo di fiori. Proseguendo i reali si fermarono alla villa Statella del marchese Giovanni Romeo. Accompagnavano il Re il Ministro degli Esteri Sangiuliano, il Ministro di Grazia e Giustizia Finocchiaro Aprile, il Ministro dei Lavori Pubblici Sacchi, la Presidenza del Senato e della Camera dei Deputati con parecchi Onorevoli ed il Prefetto della Provincia.
1912 – Il 13 agosto le ossa del beato Luigi Rabatà furono trasportate in processione dalla chiesa del Carmine alla Basilica Minore di Santa Maria. Dal 1866 (ano della soppressione degli Ordini religiosi per le leggi eversive) erano state dimenticate nel convento carmelitano. Si racconta che il beato aveva salvato nel 1897 Randazzo dal colera.
1913 – Walter Leopold (1882-1976) in un lavoro svolto per la sua tesi di dottorato a Dresda : ” Studio sulle architetture medievali a Castrogiovanni (odierna Enna), Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo” a proposito della nostra città scrive :
«la roccia nera di basalto lavico su cui Randazzo è stata costruita scende a strapiombo verso il fiume Alcantara, che scorre proprio sotto le sue mura. Sono da apprezzare le caratteristiche paesaggistiche particolari di un centro storico incastonato sui declivi dell’imponente vulcano Etna. Estremamente interessanti sono la Chiesa di Santa Maria e la torre di San Martino».
(Antonino Portaro).
1914 – Il sindaco di Randazzo è Alberti Capparelli.
1914 – Il 19 aprile 1914, a Randazzo, nel corso di una cerimonia cui parteciparono numerosi cittadini, e le varie associazioni del tempo, dietro iniziativa del sindaco Alberto Capparelli, in onore dell’on.le Paolo Vagliasindi, veniva inaugurata una lapide, scolpita da Antonino Corallo, e posta sul cantonale del Palazzo Vagliasindi in via Umberto I, il cui testo, dettato proprio da Federico De Roberto, recita:
“Paolo Vagliasindi / nelle lotte della vita pubblica / portò la forza e la gentilezza / di un cavaliere antico / in Parlamento e al Governo / fu propugnatore immutabile / di libertà con ordine / crudelmente troncata / prima di dare tutti i suoi frutti / l’opera nobilissima / del Cittadino esemplare / vive nella memoria dei contemporanei / rivivrà nella storia / di questa diletta sua terra.”
1915 – La prima Guerra Mondiale (1915-1918) causò a Randazzo la morte di ben 150 nostri Concittadini e un gran numero di feriti e mutilati. I superstiti di questa spaventosa guerra furono insigniti del titolo di “ Cavalieri dell’Ordine di Vittorio Veneto “.
1918 – Sindaco di Randazzo è Andrea Capparelli ( la giunta è formata da: U.Vagliasindi, G. Caldarera, D Vagliasindi, G. Fisauli, G. Panissidi ).
1919 – A seguito di molte manifestazioni di Popolo per le condizioni misere in cui versava, vi fu una scalata al Municipio e la folla inferocita resistette alla forza pubblica che fu costretta ad usare le armi e sparò sui manifestanti causando la morte di nove Cittadini.
1919 – Giuseppe Bonaventura nasce a Randazzo il 6 Ottobre. Nel 1951 assieme a Vito Scalia e Antonio D’Amico fu uno dei fondatori della CISL di Catania, e Segretario Generale dal 1961 al 1964. Fu Consigliere Provinciale e Sindaco della nostra Città dal 14 dicembre 1960 al 26 agosto 1961. Morì prematuramente a 45 anni il 17 dicembre 1964. E’ stato il personaggio politico e sindacale di maggior prestigio nella seconda metà del novecento di Randazzo.
1920 – Nel mese di aprile fanno visita a Randazzo la novellista irlandese EDITH SOMERVILLE (1858-1949) e la musicista inglese e leader del movimento “Women’s Suffrage” delle Suffragettes ETHEL SMYTH (1858-1944), meglio nota come Dame Ethel Smyth Descrivono la nostra Città in un modo orrido con delle affermazioni francamente molto gratuite. Puoi leggere l’articolo cliccando: “Non tutti parlano bene di Noi” .
1920 – Il 25 luglio, preceduto da una serie di proteste anche da parte di molte donne, vi fu una grande dimostrazione di Cittadini contro il Commissario Prefettizio Rocco Scriva, a causa della mancanza del pane e da una iniqua distribuzione della farina. I dimostranti assaltarono il Municipio e dopo che furono stati costretti ad uscire si accalcarono dietro le due porte d’uscita. I carabinieri , forse impauriti da tutta questa gente, incominciarono a sparare sulla folla. Il risultato fu che vi furono sette morti ( i contadini Vincenzo Calcagno, Francesco Paolo Magro, Giuseppe Sorbello, il pastore Giuseppe Giglio, il calzolaio Luigi Celona, il falegname Benedetto La Piana, e lo scalpellino Gaetano Mangione) e sedici feriti di cui quattro dell’Arma.
1921 – Il 14 gennaio Padre Domenico Spadafora fu dichiarato, dal Papa Benedetto XV (1854-1922) ufficialmente Beato. Nasce a Randazzo nel 1450 dai Conti Spadafora. Educato dai padri Domenicani consegue il titolo di Maestro di Teologia. Viene consacrato sacerdote nel 1479 e dietro invito della locale comunità nel 1491 si reca a Montecerignone dove fa costruire il conventino con sei celle per i frati e la Chiesa dedicata alla Madonna. Nel 1494 durante la quaresima avvenne ” il miracolo dei fiori”. Muore il 21 dicembre 1521
1921 – Il Principe Ereditario Umberto di Savoia il 28 ottobre fu ospite del marchese Giovanni Romeo nella sua casa di Statella. La data di questa visita è incisa in una delle tre lapidi murate nella facciata del Castello sulla veranda.
1921 – Gli abitanti di Randazzo sono 17.762 il massimo storico.
1921 – Il Ministero della Pubblica Istruzione pubblica un catalogo del Patrimonio Artistico dello Stato suddiviso per Province. In quella di Catania, Randazzo fa bella mostra di sé. Puoi leggerlo “Elenco degli Edifici Monumentali” del sito .
1923 – Le principesse Mafalda (morì il 27 agosto 1944 nel Campo di concentramento di Buchenwald, Weimar, Germania ) e Giovanna di Savoia il 24 aprile furono ospiti del marchese Giovanni Romeo alla Statella. La data di questa visita è incisa in una delle tre lapidi murate nella facciata del Castello sulla veranda.
1929 – Con Decreto del 13 luglio del Governo di S.M. il Re Vittorio Emanuele III la superiora Suor Maria Carolina Zefilippo e la direttrice Suor Antonietta Veggiotti dell’Istituto Santa Caterina, furono decorate con Medaglie D’Oro per gli oltre quarant’anni di insegnamento con lodevolissimi risultati.
1931 – Guglielmo Policastro scrive, “Randazzo: La città del silenzio.” e “Il museo Vagliasindi di Randazzo”.
1931 – Nel dicembre del 1931 i confrati dell‘Arciconfraternita delle SS Anime del Purgatorio di S. Nicola approvarono un nuovo statuto che all ‘articolo 8 così recita:” …si proibisce in modo tassativo ed assoluto a qualsiasi rettore di portare il Cristo morto in casa propria”. Prima di questa data veniva portato nella casa del Governatore dell’Arciconfraternita, dove il “Cristu ‘ndo cataletto” veniva preparato e ornato e da lì partiva la processione.
1932 – Il prof Enzo Maganuco visita Randazzo con la speranza di rinvenire una qualche traccia della chiesetta di Sancta Maria in Nemore. Visitò pure la chiesa di Sant’Agata che descrisse nel libro “Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre”. A seguito di questa visita nella rivista “Panorami di Provincia” pubblicò una serie di articoli sull’Architettura, Pittura, Miniatura della nostra Città e descrisse – mirabilmente – il libro di preghiere della baronessa Giovanella Dè Quatris .
1934 – Il parapetto della “Tribonia” (oggi largo Monsignore Vincenzo Mancini) è stato costruito nel 1934. Questa data risulta incisa nel secondo pilone di destra, guardando verso il fiume. (segnalato da Vincenzo Rotella).
1936 – Mons. Don Salvatore Russo Vescovo Diocesano di Acireale, dopo la S. Visita Pastorale fatta in Randazzo l’ 8 dicembre 1936, emanò una ordinanza nella quale pose fine alla diatriba fra le Tre Chiese Santa Maria, San Nicolò e San Martino, dichiarando e decretando la loro totale autonomia e parrocchialità, che vi deve essere un solo Parroco e che il Matriciato a turno viene abolito. La sola chiesa di Santa Maria resta per sempre la sede dell’Arcipretura con tutto quello che ne consegue.
1936 – Essendo Arciprete il Can. D. Giovanni Birelli, dopo la rinunzia dell’Arc. Mons. D. Francesco Paolo Germanà, col contributo di tutti i Cittadini, venne rifatto, in lastre di marmo, tutto il pavimento antico della Chiesa di San Nicola che era in mattonelle di terracotta e già malandato ed avvallato in molti punti per le sepolture sottostanti.
1937 – Francesco Fisauli discute la sua tesi di laurea in diritto ecclesiastico, dal tema “Le Confraternite di Randazzo nella Storia e nel diritto ecclesiastico” all ‘Università di Bologna , relatore il Prof. Cesare Magni.
1941 – Il vescovo di Acireale Mons. Russo, il 2 luglio, avanzò alla Santa Sede una petizione, accompagnata da oltre quattromila firme e con l’approvazione di tutte le Organizzazioni Randazzesi sia Civili che Religiose, con la quale chiedeva alla Sacra Congregazione dei Riti, di poter ornare del Titolo di Santuario la Chiesa di Maria Santissima del Monte Carmelo con i privilegi consentiti dal Diritto e da concedersi dal medesimo Ordinario. Petizione che ebbe l’approvazione.
1943 – Dal 13 luglio al 13 agosto Randazzo fu oggetto di pesantissimi bombardamenti da parte degli Alleati. Le incursioni aeree furono 84 e furono utilizzati 425 bombardieri medi, 249 leggeri e 72 cacciabombardieri. Si calcola che su Messina e Randazzo volarono più di 1.100 aerei. L’80% degli edifici furono distrutti – la chiesa di S.Martino fu la più danneggiata – e i tedeschi completarono l’opera saccheggiandola. Per saperne di più leggi la tesi di Lucia Lo Presti:
“Randazzo la Cassino di Sicilia. Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto e danneggiato negli anni della seconda guerra mondiale”.
1943 – La Prefettura di Catania il 26 giugno calcola che gli sfollati (intere famiglie che abbandonarono le proprie case per rifugiarsi nelle caverne, grotte, masserie e case di campagne abbandonate) furono 983.
1943 – Randazzo venne occupata il 13 agosto dai “Falcons” del 39°reggimento di fanteria della 9^ divisione statunitense.
1943 – Dal 13 luglio al 13 agosto, secondo quanto riporta US Air Force, Randazzo subì attacchi aerei per diciannove giorni: dieci giorni nel mese di luglio e nove nel mese di agosto.
1944 – Naufragio del piroscafo Oria il 12 febbraio, una delle maggiori tragedie della seconda guerra mondiale, nella quale persero la vita oltre 4000 soldati italiani che, fatti prigionieri dai tedeschi, dovevano essere trasferiti da Rodi al Pireo e da lì deportati in Germania. Soldati che non si erano piegati al volere nazista. Tra questi due soldati Randazzesi: Salvatore Fornito e Renato Vagliasindi. (Vito Gullotto).
1945 – Salvatore Genovese – Partigiano nato a Randazzo il 19 settembre 1921 e morto a Spalato il 9 aprile 1945. Fucilato da un plotone di esecuzione nazista nel carcere di Spalato assieme ad altri 28 giovani partigiani dopo un processo “farsa”.
1945 – Antonio Canepa, noto pure con lo pseudonimo di Mario Turri, nasce a Palermo il 25 ottobre 1908 e la mattina del 17 giugno 1945 fu ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri, in contrada Murazzu Ruttu sulla SS n. 120, in circostanze non del tutto chiare. Insieme a Lui morirono Carmelo Rosano di 22 anni e Giuseppe Lo Giudice di 18 anni. Canepa è stato un docente e politico italiano e fu comandante dell’ Esercito Volontario per la Indipendenza della Sicilia (EVIS). Sul luogo dove è stato ucciso sorge un cippo dedicato ai caduti dell’ E.V.I.S. Antonio Canepa è sepolto nel cimitero di Catania, nel viale dei siciliani illustri, accanto a Giovanni Verga e Angelo Musco.
1946 – Il Consiglio Comunale il 18 aprile 1946 elegge Sindaco il dottor Giuseppe Emanuele.
1947 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 9 maggio 1947 approva il Piano di Ricostruzione redatto dal prof. Giovanni Rizzo. Definitivo il 12 febbraio 1948.
1947 – Il 26 aprile muore il pittore randazzese Francesco Paolo Finocchiaro a Taormina dove si era stabilito nel 1930 avendo acquistato Villa Florenzia e l’hotel Excelsior. Pittore molto rinomato, le Sue opere si trovano a Roma, Napoli ed in molte altre città. Nella Casa Bianca (USA) è esposto un suo quadro raffigurante Theodore ed Eleanor Roosevelt, con i quali intrattenne un’intensa amicizia. I bombardamenti del 1943 distrussero il dipinto la Trasfigurazione che si trovava nella chiesa di S. Francesco di Paola. Del Finocchiaro possiamo ammirare la tavoletta con il Pastorello, appartenente al Comune di Randazzo che faceva bella mostra nella stanza del Sindaco, e il Battesimo di Gesù nelle acque del Giordano all’ingresso della Basilica di Santa Maria. Nato a Randazzo il 15 marzo 1868, studiò all’Istituto di Belle Arti di Napoli, si trasferì a Roma, dove si fece un nome eseguendo ritratti di notabili ed ecclesiastici.
1947 – Il Consiglio Comunale in data 5 luglio 1947 elegge Sindaco Pietro Vagliasindi.
1948 – Antonio Pallante, giovane studente universitario di Giurisprudenza di Randazzo, (aveva allora 24 anni) il 14 luglio davanti a Montecitorio ferisce gravemente il segretario del PCI Palmiro Togliatti con quattro colpi di calibro 38. Subito preso fu condannato a 19 anni di reclusione. Ne sconto 5 anni. Togliatti ordinò ai suoi di non commettere azioni che potevano comportare l’inizio di una guerra civile. Così si salvò la Repubblica.
1950 – La confraternita del S. Cuore è Stata costituita il 12 novembre 1950, lasciata chiudere dagli stessi confrati nel 1966 e ricostituita nel 1999.
1951 – Il padre Luigi Magro da Randazzo dei Frati Minori Cappuccini al secolo Magro Santo fu Vincenzo muore il 16 novembre. Nato il 29 giugno 1881 a Randazzo, fu ordinato sacerdote a Nicosia il 7 febbraio 1904. Oltre che apprezzato per il suo impegno pastorale, ha dedicato la sua vita alla ricerca e allo studio della Storia di Randazzo scrivendo: ” Cenni storici della Città di Randazzo “ dai primi abitatori della Sicilia fino al 1946. Questo documento rivisitato dal salesiano don Sergio Aidala , è fondamentale per la conoscenza della Storia della nostra Città.
1952 – Consiglio Comunale nella seduta del 10 giugno 1952 elegge Sindaco Pietro Vagliasindi.
1954 – 11 febbraio Francesco Vagliasindi fonda l’Opera Pro Facci Mucciati in onore dei suoi genitori Giuseppe ed Anna Vagliasindi.
1955 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 28 febbraio 1955 elegge Sindaco Nicolò Palermo.
1956– Il Consiglio Comunale elegge nella seduta del 12 giugno 1956 Sindaco Pietro Vagliasindi.
1959 – Alla presenza dell’on.le Angelini Ministro dei Trasporti il 4 giugno viene inaugurato il tronco ferroviario Alcantara-Randazzo . Si conclusero così positivamente anni di lotta di tutti i Comuni della Valle avendo come alfiere l’avvocato Ferdinando Basile.
1960 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 14 dicembre 1960 elegge Sindaco Giuseppe Bonaventura .
1961 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 26 agosto 1961 elegge Sindaco Giuseppe Montera.
1962 – Monsignore Salvatore Russo – Vescovo di Acireale – dispone, dopo avere ottenuto dal Cardinale Prefetto della Sacra Congregazione dei Religiosi, la licenza ad erigere a “Congregazione Religiosa delle Ancelle di Gesù Sacerdote” l’Opera della N.D. Giuseppina Dilettoso, il 3 agosto 1962 con un Suo decreto “l’erezione canonica in persona morale dell’Opera Betania – Ancelle di Gesù Sacerdote – con sede a Randazzo via Musco, 14. Nomina Direttrice, vita natural durante, la Signora Dilettoso Giuseppina ved. Vagliasindi, promotrice e sostenitrice dell’Opera suddetta”.
1964 – Leonardo Sciascia durante un suo viaggio sull’Etna visita la nostra Città, lo accompagna Ferdinando Scianna, noto fotografo, che gli scatta alcune foto nella piazza di San Martino. In seguito scriverà un bell’articolo sui “Paesi Etnei”.
1965 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 20 febbraio 1965 elegge Sindaco Sebastiano Giuffrida .
1966 – Nel Settimanale “ABC” del 14 agosto compare un articolo di Luigi Stancampiano dal titolo: “Brache di cemento par il Ciclope Piracmone ” dove si racconta che, con bella ironia, “ un ignoto muratore ha ricoperto nottetempo l’addome della antica statua con uno strato di malta a presa rapida per onorare la severità dell’epoca in cui viviamo”. (R.N. n.3 del novembre 1982). Era sulla bocca di tutti che ha commettere questo atto “moralistico” pare sia stato il signor S.S. istigato dal un noto professionista S.D.
1968 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 27 marzo 1968 elegge Sindaco Sebastiano Giuffrida.
1968 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 31 agosto 1968 delibera di acquistare la villa “Vagliasindi” di piazza Loreto con tutta l’area circostante per consentire la costruzione dell’attuale Scuola Media.
1969 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 22 gennaio 1969 elegge Sindaco Santo Camarata .
1969 – Il Professore Pietro Virgilio pubblica il 24 maggio per la Scuola Salesiana del Libro – Catania Barriera il libro “Randazzo e il Museo Vagliasindi” con foto di “Dal Vecchio-Vega”. Opera fondamentale per la conoscenza del Museo. Lo scopo di questa pubblicazione è racchiuso in questa dedica: “Ti ho vista nel crepuscolo/possa presto io vederti nello splendore/della tua rinascita”.
1970 – Si svolsero le elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio Comunale dopo la parentesi commissariale del dr. Vincenzo Viviano. Il consigliere Vincenzo Munforte (1906) del PSIUP ebbe a dire, con grande soddisfazione, che finalmente erano stati estromessi i nobili dal civico consesso. Infatti tra i trenta Consiglieri eletti nella votazione del 6 giugno per la prima volta nella storia della nostra Città, non vi erano rappresentati nobili nè loro discendenti.
1970 – Il consiglio Comunale nella seduta del 13 agosto 1970 elegge Sindaco Paolo Felice Iovino
1971 – Il Consiglio Comunale nella seduta del ….. aprile 1971 elegge Sindaco Giuseppe Montera
1971 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 5 ottobre 1971 elegge Sindaco Francesco Rubbino (a soli 22 anni)
1971 – Vengono consegnati dal sindaco Francesco Rubbino, con una commovente cerimonia svoltasi nella sala del Consiglio Comunale, la Medaglia e l’Attestato agli insigniti di “Cavalieri dell’Ordine di Vittorio Veneto ” per avere partecipato alla guerra 15/18. così come previsto dalla legge 18 marzo 1968 n.263
1972 – Viene approvata dall’ARS la legge n. 44 del 22 luglio 1972 , ottenuta a furor di popolo,che autorizzava i Mercati Domenicali in Sicilia, ove per tradizione si erano svolti. In esecuzione di questa legge, l’Assessore Regionale all’Industria e Commercio, con D.A. n. 558 del 13 settembre 1972 sanciva il diritto all’apertura del Mercato Domenicale nel Comune di Randazzo, di fatto esistente da oltre trentacinque anni.
1972 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 31 luglio 1972 rielegge Sindaco Francesco Rubbino
1972 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 30.10.1972 eleggeva sindaco Giuseppe Gulino.
1975 – Giuseppe (Pippo) Gullotto e Alfio Scirto danno vita a Radio Randazzo International la prima radio libera di Randazzo.
1976 – Il Consiglio Comunale il 24 aprile istituisce La Biblioteca Comunale . Dopo una apertura saltuaria dal mese di ottobre del 1978 inizia a funzionare con regolarità.
1979 – Il Consiglio Comunale elegge sindaco Francesco Rubbino
1979 – Il Consiglio Comunale (Sindaco Francesco Rubbino) nella seduta del 2 febbraio 1979 concede la “Cittadinanza Onoraria” al Salesiano Salvatore Calogero Virzì per essersi distinto con azioni e opere a valorizzare e fare conoscere le tradizioni ed il patrimonio storico ed artistico della Città.
1980 – Il Collegio Salesiano San Basilio il 2 giugno con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per i Beni e le Attività Culturali viene insignito dalla Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte.
1981 – Nel mese di febbraio iniziano le trasmissioni di TVR ( Tele Video Randazzo), la prima rete televisiva randazzese. Pippo Gullotto inizia la sua avventura televisiva presentando programmi che riscuotono sempre grande successo.
1981 – Il 17 marzo ebbe inzio “Eruzione di Randazzo“. Dopo tutta una serie di scosse telluriche e aperture di varie fratture a quota 2625 e 2500 m, ebbe inizio la colata lavica principale con fuoruscita di lava a quota 1800 m. con direzione tra Randazzo e Montelaguardia, distruggendo boschi, vigneti, coltivazioni, case di campagne . Inoltre tagliava il binario della CircumEtnea e della Ferrovia dello Stato, la SS.120, la strada provinciale verso Moio ed altre strade comunali e poderali e raggiungeva le sponde del fiume Alcantara. Dopo aver percorso km.7,5 la lava si fermò. L’attività delle bocche di frattura (1250-1115) continuò fino al 23 marzo ma il braccio di lava che minacciava Randazzo rallentò fino ad arrestarsi a circa 2 km dall’abitato.
1982 – il 19 marzo viene inaugurata la statua di San Giuseppe dello scultore Gaetano Arrigo. Messa nella piazza San Giovanni Bosco, guarda il vulcano Etna, nella speranza che la città possa essere protetta.
1983 – Dopo varie vicissitudini burocratiche, giudiziarie, amministrative e finanziarie alle ore 19,24 del 22 agosto dal pozzo 2 di Santa Caterina sgorgava in abbondanza l’acqua rinvenuta a una profondità di 160 metri. Per la nostra Città è un evento storico ha dichiarato il sindaco Salvatore Agati ai cittadini, tecnici e amministratori presenti.
1987 – il 1 febbraio del 1987 si svolge la cerimonia della riapertura dell’Ospedale Civile . Presenti alla cerimonia, oltre ad un folto pubblico di cittadini ed addetti alla sanità e con la gioiosa partecipazione della Banda Musicale di Randazzo “Erasmo Marotta“, il Presidente Rino Nicolosi (che ha finanziato l’opera), l’assessore alla Sanità Aldino Sardo Infirri, l’assessore agli Enti Locali Francesco Parisi, il Sottosegretario ai Trasporti Nicola Grassi Bertazzi, gli onorevoli Nino Perrone, Pino Firrarello, Salvatore Leanza, Nino Caragliano, Raffaele Lombardo, il Sindaco Salvatore Agati e molte autorità politiche, civili e religiose non solo del nostro Comune. Nel ringraziare tutti il Presidente dell’USL n.39 Francesco Rubbino, ha ricordato le tante vicissitudini passate per poter ristrutturare ed ammodernare il Presidio Ospedaliero.
1987 – Sabato 23 maggio 1987 ha avuto luogo la cerimonia di intitolazione di una piazza al Maggiore paracadutista Francesco Vagliasindi. Il sindaco Salvatore Agati assieme al fratello del Maggiore Paolo Vagliasindi ha scoperto la lapide commemorativa alla presenza di numerose autorità e di cittadini.
1988 – L’Amministrazione Comunale (sindaco Salvatore Agati) acquista la collezione dei Pupi Siciliani che viene collocata nella saletta ricavata nel seminterrato all’interno del Castello ove è anche ubicato il Museo Archeologico Paolo Vagliasindi.
1988 – Il Consiglio Comunale il 13 dicembre elegge sindaco Salvatore Agati.
1989 – Il Consiglio Comunale su proposta del sindaco Salvatore Agati con delibera n. 192 del 27 novembre 1989 concede la Cittadinanza Onoraria all’on. Calogero Mannino.
1990 – Il consiglio Comunale il 29 maggio elegge sindaco Francesco Rubbino.
1990 – Viene inaugurata nel mese di luglio la statua di San Giovanni Bosco nella piazza di San Francesco di Paola.
1991 – La Siciliana Gas inizia i lavori di metanizzazione della Città.
1992 – il Consiglio Comunale il 23 novembre elegge sindaco Giovanni Germanà.
1993 – Il Consiglio Comunale il 21 aprile elegge sindaco Francesco Lanza.
1994 – Nelle elezioni comunali del 27 giugno i cittadini eleggono direttamente sindaco Angela Vecchio.
1996 – Il Consiglio Comunale, Sindaco Angela Vecchio, Presidente Fabio Aidala, con delibera n. 33 del 6 maggio intitola la Sala del Consiglio in: “Sala Consiliare Giovanni Falcone – Paolo Borsellino “.
1996 – Tra il 20 e il 29 marzo si verificò un evento franoso che interessò il lato sinistro del fiume Alcantara. Il movimento esteso per circa 1850 metri di lunghezza e di circa 900 metri di larghezza copri 165 ettari di terreno. La frana distrusse quasi un chilometro di S.S. n° 116, che collega gli abitati di Randazzo e Santa Domenica Vittoria, trascinò a valle terreni coltivati di un certo pregio causando danni all’economia locale, infine, rovinò all’interno dell’alveo del fiume, ostruendolo e formando un invaso di sbarramento naturale di circa 375.000 m³, che impediva il normale deflusso delle acque verso valle.
1998 – Nelle elezioni comunali del 8 giugno i cittadini eleggono direttamente sindaco Ernesto Del Campo.
2002 – La Link Japan, una tra le maggiori reti televisive giapponesi, annualmente produce uno special televisivo di 30 minuti, dedicato ad un personaggio nazionale o straniero che si è distinto particolarmente per la sua attività. Il 2002 è stato celebrato dall’ONU come anno dedicato alla montagna e alla natura ed è stato questo il motivo per cui i responsabili dell’emittente nipponica hanno voluto dedicare uno dei suddetti programmi ad un personaggio che si occupa di ambiente e natura.
La scelta è caduta sul nostro concittadino Vincenzo Crimi Commissario Superiore della Forestale .
2003 – Nelle elezioni comunali del 10 giugno i cittadini eleggono direttamente sindaco Salvatore Agati.
2005 – Medaglia D’Argento al Merito Civile. Data del Conferimento il 25 gennaio 2005 con la seguente motivazione: Comune, occupato per la posizione strategicamente favorevole dall’esercito tedesco, fu sottoposto per trentuno giorni, tanto da essere definito ” la Cassino di Sicilia “, a violentissimi bombardamenti che provocarono numerose vittime civili e la distruzione dell’intero abitato. Ammirevole esempio di spirito di sacrificio ed amor patrio. 13 luglio – 13 agosto 1943
2006 – Il 20 settembre 2006, all’età di 83 anni, si è spento a Catania Angelo Priolo. Ornitologo di fama mondiale. Nel 1983 viene costituito il Museo Civico di Scienze Naturali . Nel 1986 consegna al Comune la sua Collezione Ornitologica di 2250 esemplari che rappresenta una delle maggiori raccolte di uccelli che si conservino nell’Italia Meridionale. Nel 1991 viene nominato, assieme a Luigi Lino del WWF, Conservatore Onorario del Museo. Nel 2012 aderendo ad una richiesta dell’Associazione Ornitologica, ma soprattutto per riconoscenza e gratitudine della nostra Comunità, gli viene intitolato il Museo.
2007 –Emanuele Manitta, già portiere della A.S.Randazzo, fa il suo esordio nel campionato di calcio della Serie A nella partita Livorno – Roma (1-1) 21 gennaio 2007. E’ il primo giocatore di calcio Randazzese che ha giocato nella massima divisione calcistica. Emanuele Manitta ha anche giocato nel Bari, Ragusa, Messina, Napoli, Catanzaro, Bologna, Siena.
2008 – il 22 febbraio muore all’età di 90 anni ad Acireale padre Antonino Maugeri. Era nato a Randazzo il 4 settembre 1918 primo di nove fratelli di cui un altro , padre Rosario, anch’esso sacerdote. Per più di 40 anni canonico della chiesa San Pietro e Paolo di Acireale fu stimato ed amato dagli acesi non solo per la missione sacerdotale, ma soprattutto per l’intelligenza e cultura. Appassionato di musica fu pianista, organista, compositore vincendo diversi concorsi di musica sacra. Nel 1990 nasce la Corale Polifonica ” Don Antonino Maugeri “. Il 23 maggio 2007 gli è stato intitolato l’Auditorium dell’Istituto “Galileo Galilei” di Acireale.
2008 – Nelle elezioni comunali del 1 luglio i cittadini eleggono direttamente sindaco Ernesto Del Campo.
2011 – Gli abitanti di Randazzo sono: 11.108
2013 – Nelle elezioni comunali del 12 giugno i cittadini eleggono direttamente sindaco Michele Mario Mangione.
2013 – Carmelo Carmeni (nato a Randazzo il 29 settembre 1972) ha vinto il sesto campionato del mondo di forgiatura disputatosi a Stia (Arezzo) nei giorni tra il cinque e l’otto settembre durante la XX Biennale Europea d’Arte Fabbrile . La gara ha visto la partecipazione di 200 fabbri provenienti da 20 paesi stranieri e aveva come tema ” Plasticità“. Carmeni ispirandosi alla Sicilia e a Luigi Pirandello ha intitolato la sua opera “Uno, nessuno e centomila”. I lavori eseguiti sono stati giudicati da una giuria internazionale.
2013 – Il 15 di agosto, causa una pioggia torrenziale e persistente, “a Vara”, per ovvi motivi di sicurezza, non “esce”. La prima volta da quando è stata ripristinata l’uscita. Con una discutibile decisione delle autorità Comunali e Religiose la domenica 18 “a Vara” niesci.
2016 – Alla presenza di molte autorità e cittadini il 29 aprile si è svolta la cerimonia di intitolazione dello spiazzo antistante il lato nord della chiesa e la sacrestia (‘a Tribonia) all’Arciprete Monsignore Vincenzo Mancini che d’ora in poi si chiamerà “Largo mons. Vincenzo Mancini”. Il sindaco Michele Mangione ha dichiarato che la Giunta con delibera n. 19 del 19 febbraio 2016 stabilendo di dedicargli questo “largo” ha voluto riconoscere i tanti meriti dell’Arciprete Mancini nei confronti della nostra Cittadinanza. Il vescovo Antonino Raspanti e il parroco don Domenico Massimino hanno ricordato il suo impegno sacerdotale.
2017 – il 23 settembre nasce il sito: www.randazzo.blog . Lo scopo è dare una rappresentazione dell’arte, della storia, della cultura, dei costumi, degli avvenimenti, dei personaggi e dei luoghi della nostra Città. Amministratori : Giulio Nido, Francesco Rubbino, Lucio Rubbino .
2018 – Nelle elezioni comunali del 11 giugno i cittadini eleggono direttamente sindaco Francesco Sgroi.
2018 – Il 15 di agosto, causa una pioggia torrenziale e persistente, “a Vara”, per ovvi motivi di sicurezza, non “esce”. Le autorità Comunali e Religiose decidono di fare uscire “a Vara” domenica 25 agosto. Arrivata in piazza Municipio si blocca per un guasto tecnico e si è costretti a farla ritornare lentamente indietro.
2019 – Il Consiglio Comunale nella seduta del 30 maggio approva, su proposta dell’Amministrazione Comunale, la delibera n.17 avente per oggetto:“Dichiarazione dello stato di dissesto finanziario, dell’ente, ai sensi dell’art. 246 del D. Lgs. 267/2000”. Per la prima volta nella sua storia amministrativa avviene questa Dichiarazione di Dissesto. Le conseguenze per i Cittadini e per i fornitori saranno molto gravi.
2019 – Il Presidente della Repubblica, a seguito della Dichiarazione del Dissesto Finanziario del Comune, in data 23 agosto 2019, su proposta del Ministero dell’Interno, che ha competenza sulla finanza locale, ha nominato tre Commissari Straordinari che faranno parte dell’Organo Straordinario di Liquidazione ( OSL ) al fine di estinguere la massa debitoria del comune. I tre Commissari del dissesto sono il dott. Giuseppe Milano, Funzionario in servizio della Prefettura di Catania, il Dott. Antonino Alberti, Segretario Generale in quiescenza ed il Dott. Andrea Dara, Dottore Commercialista dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Palermo. Detto OSL con delibera n. 1 del 18 settembre 2019 si è regolarmente insediato ed ha eletto a suo Presidente il Dott. Giuseppe Milano.
2020 – Il 9 marzo a seguito del Coronavirus (Covid-19) che ha colpito tutto il Mondo, siamo costretti a rimanere in casa . Si può uscire soltanto per lo stretto necessario. Sono state chiuse le scuole, bar, negozi, e quasi tutte le attività lavorative.
2020 – Al concorso di Londra il Decanter Awards 2020 – il concorso enologico più importante al mondo – che si è svolto il 25 settembre, sono state premiate tre etichette di Al-Cantàra. La medaglia d’oro e ben 95 punti su 100 a “O Scuru O Scuru”, un vibrante e corposo Etna rosso Doc del 2017 ottenuto da grappoli del vitigno etneo per eccellenza, il nerello mascalese, raccolto a mano da antichissimi ceppi prefillossera sparsi a macchia di leopardo nella tenuta di Feudo Sant’Anastasia e qui vinificato in purezza, degustati alla cieca insieme a oltre 16.000 vini da un giuria internazionale di oltre cento esperti per .
Due medaglie d’argento sono invece per “Luci Luci” 2018 (Etna Bianco Doc da uve carricante, altra cultivar autoctona dell’Etna a bacca bianca) con 93 punti e per “‘A Nutturna” 2018 (IGP Terre Siciliane, bianco di nera da uve di nerello mascalese vinificate in bianco) al quale sono stati assegnati 92 punti. Anche lo scorso anno, Al-Cantàra ha ricevuto tre medaglie al Decanter.
Grande soddisfazione per Pucci Giuffrida, commerciante catanese, che grazie ai molti premi vinti, si è guadagnato in quindici anni l’affettuoso appellativo di “vigneron letterario”.
2020 – Il Presidente della Regione Nello Musumeci con l’Ordinanza n. 47 del 18 ottobre 2020 ordina particolari misure di contenimento del contagio nel territorio del Comune di Randazzo a causa del Coronavirus (COVID-19). Praticamente dichiara “Zona Rossa” la nostra Città per una settimana. Randazzo sembra una città morta.
2020 – Salvatore Rizzeri, noto storico Randazzese, pubblica per l’Edizione La Rocca “RANDAZZO E LA SUA STORIA Origine ed Evoluzione nei Secoli”. Una Opera di 429 pagine ricca di illustrazioni e commenti.
2021 – Giovedì 28 ottobre muore, a 45 anni, Vera Guidotto. Sabato 30 alle ore 10 sono stati celebrati i funerali nella chiesa del Sacro Cuore. Nonostante il divieto a causa del Covid la partecipazione della gente è stata assai numerosa. Vera è stata una ragazza molto segnata dal destino, ma nonostante questo è riuscita a diventare una poetessa ed una scrittrice di raro talento. Nata a Randazzo il venerdì 10 settembre 1976 Ha frequentato regolarmente le Scuole Medie e Superiori. Nel 1998 scrive un libro sull’amore e l’amicizia dal titolo “Il diverso non esiste”. Scopre di avere una propensione per la poesia e ne scrive parecchie con profonda e limpida semplicità. Le sue riflessioni sulle cose del mondo ed i suoi racconti non sono mai banali. Randazzo perde una grande donna (mai vinta) e in campo letterario la prima e la più importante.
2022 – Il sindaco Francesco Sgroi il 4 febbraio rassegna le dimissioni dalla carica di Sindaco.
2022 – Nelle elezioni comunali del 12 giugno i cittadini eleggono direttamente Sindaco Francesco Sgroi.
2022 – Il 3 novembre (II anniversario della sua morte) è stato presentato, nella sala consiliare “Falcone e Borsellino” del Palazzo Municipale il libro postumo di Salvatore Agati : La Storia di Randazzo. Lungo il corso tracciato dal Plumari. Dopo i saluti del vice sindaco Gianluca Anzalone, sono intervenuti Giuseppe Giglio, Alfonso Sciacca relatore, il sen. Pino Firrarello, padre Domenico Massimino, Maristella Dilettoso, Francesco Rubbino, dr. Patti. Rosaria Agati a nome della famiglia ha ringraziato i presenti.
2022 – Il maratoneta Antonino La Piana (20.01.1979) il 6 novembre partecipa alla Prestigiosa Maratona di NEW YORK percorrendo tutto l’itinerario in 03.52.19. Nino La Piana non è nuovo a queste imprese sportive infatti negli anni 2021/2022 ha partecipato, percorrendo tutto l’itinerario, a più di 20 maratone. Nino la Piana è il primo randazzese che riesce ad ottenere questi risultati.
2022 – Sabato 3 dicembre è morto il Prof. Antonino Grasso. Nato a Randazzo il 16 ottobre 1943. Giornalista, scrittore, dotto conferenziere con molti titoli accademici tra cui: Magistero in Scienze Religiose conseguito nel 1999, Bacellierato in S. Teologia conseguito nel 2000, Dottorato in S. Teologia con specializzazione in Mariologia che insegna nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Luca” di Catania aggregato alla Pontificia Facoltà Teologia di Sicilia.
È stato Insignito il 02 giugno 1980 dal Presidente Sandro Pertini dell’onorificenza di “Cavaliere al merito della Repubblica Italiana” “per particolari benemerenze” acquisite al servizio dell’emigrazione degli italiani in Germania.
Autore di 10 pubblicazioni mariane: “Maria con te” [1994] ; “E la Vergine distese le mani” [1995] ; “Guadalupe. Le apparizioni della “Perfetta Vergine Maria” , “Maria, madre della speranza, Donna di legalità” [2006] ; “La Vergine Maria e la pace nel magistero di Paolo VI” [2008]; “Maria di Nazareth. Saggi teologici” [2011] ; “Perchè appare la Madonna? Per capire le apparizioni mariane” [2012] ; Maria, maestra e modello di fede vissuta [2013] ; Apparizioni, malati e guarigioni a Lourdes. La prodigiosa guarigione di Delizia Cirolli il miracolo n. 65 di Lourdes riconosciuto dalla Chiesa [2015] ; Maria, Madre di misericordia: “sotto il tuo manto c’è posto per tutti” Meditazioni [2016] ; Lucia Mangano. Una vita d’unione con Maria.
Insieme a don Santino Spartà è stato il realizzatore del “Parco Sciarone” e del sito web ” www. fatimaparcosciaronerandazzo.
É autore e gestore del portale di Mariologia http://www.latheotokos.it, raccomandato dalla Congregazione per il Clero e dalla Pontificia Academia Mariana Internationalis. ha migliaia di pagine di articoli su ogni aspetto della Mariologia, filmati, audio, immagini, ecc. è il sito mariano più visitato d’Italia e uno dei più visitati del mondo in campo mariano ed è stato recensito spesso.
Un nostro illustre concittadino che ricordiamo con affetto, stima e ammirazione.
2023 – È operativa da ieri – 20 marzo – la commissione di indagine con il compito di realizzare un accesso ispettivo presso il comune di Randazzo. La misura è stata disposta dal prefetto di Catania, Maria Carmela Librizzi, su delega del ministro dell’Interno, per verificare l’eventuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso. La commissione, secondo le previsioni del Testo unico degli enti locali, dispone di tre mesi – rinnovabili per ulteriori tre mesi – per terminare gli accertamenti e presentare al prefetto le conclusioni dell’attività ispettiva effettuata.
2023 Il 17 settembre viene pubblicato da Amazon il libro di padre Luigi Magro Cappuccino “Cenni Storici della Città di Randazzo” (1946) a cura di Francesco e Lucio Rubbino. Il libro originale viene implementato da oltre 50 fotografie molte delle quali riproducono i ritratti degli Scrittori Storici a cui fa riferimento il Magro (al secolo Santo Magro). Le note bibliografiche sono 72 e le pagine 427.
Rubrica a cura di Lucio e Francesco Rubbino
BIBLIOGRAFIA:
– Giuseppe Plumari ed Emmanuele (1770/1851): Storia di Randazzo, trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale della Sicilia – Ms. in 2 voll. 1849, presso la Biblioteca Comunale di Palermo.
– Giuseppe Plumari ed Emmanuele: Primo Volume della Storia di Randazzo .
– Padre Luigi Magro Cappuccino: Cenni storici della Città di Randazzo 1946 .
– Angela Militi : sito ” Randazzo Segreta.myblog,it” .
– Federico De Roberto : “Randazzo e la Valle dell’Alcantara” .
– Don Calogero Virzì – Salesiano .
– Maristella Dilettoso : Randazzo città d’arte nel 1994. Guida alla Città di Randazzo nel 2002.
Un beato che unisce : Randazzo e Montecerignone, nell’anno 2006.
Detti, sentenze, proverbi, storielle, modi di dire, usanze e anedotti siciliane: un viaggio nell’universo
randazzese.
– Lucia Lo Presti : Randazzo la Cassino di Sicilia. Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto danneggiato
negli anni della seconda guerra mondiale .
– Antonio Agostini : Sei secoli di oreficerie. Artisti e committente internazionali e isolane nell’etnea Randazzo .
– Walther Leopold : Architetture del medioevo in Sicilia a Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo”.
Berlino 1917 .
– Nino Grasso : Portale di Mariologia – latheotokos.it .
– Maria Teresa Magro : Museo Archeologico Vagliasindi .
– Vito La Mantia : Le consuetudini di Randazzo (1903) .
– Enzo Crimi : Randazzo e il suo Territorio. Al Quàntara la Valle Incantata
– Emanuele Mollica : De Quadro (una storia prende vita) – Baronessa De Quadris
– Mario Alberghina : Ospedale Civile Randazzo – 1470/1864
– Stefano Bottari : Le oreficerie di Randazzo .
– Domenico Ventura : Randazzo e il suo territorio tra medioevo e prima età moderna.
– Camerata Girolamo : Trattato dell’honor vero, et del vero dishonore
– Santo Carmelo Spartà detto Don Santino : storico-scientifico di Randazzo –
– Sladen, Douglas Brooke : – Sicily – The New Winter Resort By ( pag. 462/468) –
– Pietro Virgilio : Randazzo e il Museo Vagliasindi .
– Fabrizio Titone : Il caso dell’universitas di Randazzo nel tardo Medioevo .
– Paolo Vagliasindi Basiliano : Discussione Storica e Topografica di Randazzo (1835) .
– Davide Cristaldi : L’Aquila Marmorea del Castello di Randazzo .
– Gesualdo De Luca : Elogio funebre per Sua Maestà Ferdinando II Re delle Due Sicilie .
– Raimondo Diaccini : Vita del Beato Domenico Spadafora .
– Fernando Mainenti : Il castello di Randazzo: architettura, storia, miti e leggende popolari .
– Francesca Passalcqua : 1787 /1805 L’intervento di Giuseppe Venanzio Marvuglia nella fabbrica di
Santa Maria a Randazzo .
– Mariangela Niglio : La Conservazione della Cinta Muraria di Randazzo .