Innanzi tutto, debbo ringraziare il Prof. Nunziatino Magro ; malgrado le distanze che ci separano, telefonicamente mi ha incoraggiato a riprendere la mia penna, ridandomi il gusto per esprimermi e di rimemorare il mio passato.
Ma, prima di continuare, desidero chiedere scusa a tutti i miei amici e intellettuali, per l’uso del mio semplice vocabolario. In verita’ non ho mai frequentato le aule e i banchi delle Università. Rappresento una vecchia generazione randazzese possedendo semplicemente un modesto diploma elementare.
Ma , amo moltissimo , non solamente la mia città di Randazzo perche’ è stato il luogo della mia nascita, ma anche i resti delle sue opere d’arte che i nostri alleati non hanno osato demolire nel periodo dei bombardamenti del luglio e agosto 1943. Spesse volte, mi siedo alla terrazza del mio modesto appartamento, ammirando il panorama del Principato di Monaco, con le sue moderne costruzioni destinati ad una classe sociale privilegiata e milionaria.
Talvolta, socchiudo i miei occhi, facendo divagare la mia mente ed anche il mio pensiero, percorrendo le vecchie stradine dei nostri antichi quartieri di Santa Maria, S. Nicolò e San Martino della nostra città, luoghi riposanti, pieni di misteri, aneddoti, storie, li’ dove molti anni indietro, erano animati con la presenza di artigiani, carrettieri, contadini , musicisti, pastori, intellettuali, moltissime signorine ,sedute davanti le loro porte d’ingresso, ricamando la loro dote eseguendo un lavoro d’arte e talvolta prezioso, dando vita e animazione a questi luoghi storici.
In certi periodi delle stagioni, sentivamo gli odori del vino, delle mele e di altri frutti, che i nostri antenati e le nostre mamme avevano l’arte ed il segreto di conservazione per il periodo invernale.
Ma, ritorniamo alla realtà.
Qualche anno indietro, trascorrevo un certo periodo di vacanza presso i miei famigliari ; qualche giorno dopo il mio arrivo, ricevo un cortese invito dal Prof. Nunziatino Magro invitandomi ad una lunga passeggiata piuttosto storica. A bordo del suo veicolo, abbiamo percorso parecchi kilometri , salendo verso Santa Domenica vittoria. Ma, quale fu la mia sorpresa ? fermandosi, non solamente abbiamo ammirato lo stupendo paesaggio della nostra Randazzo ma anche il panorama dell’imponente Etna molto invidiata dai nostri turisti stranieri.
La seconda, è stata la scoperta dei resti di una antica cappella situata sul lato Sud dei Nebrodi dedicata in passato a San Marco.
Da ragazzo, percorrevo spesso questo cammino per recarmi a Santa Domenica Vittoria soprattutto per assistere alla festa di S. Antonio , chiedendomi sempre , che cosa rappresentavano questi ruderi. Penso, che qualche secolo fà , è stato un luogo di raccoglimento di pellegrinaggio, di raduno e di preghiera non solamente per i contadini ,numerosi in questo settore agricolo, ma anche per gli abitanti delle masserie e dei comuni limitrofi.
Finalmente, dopo tanti anni, la mia curiosità è stata ricompensata. Penso, che qualche tempo indietro, questo luogo è stato citato dal Dott. Salvatore Rizzeri nel suo libro : Le Cento Chiese .
Riscendendo, dopo avere attraversato il Ponte di San Giuliano, l’ho pregato di fermarsi a sinistra su questo piazzale chiamato volgarmente da noi randazzesi : U Stazzuni , in quanto che, volevo far conoscere una antica costruzione dove attualmente esiste un mulino inefficiente chiamato dai nostri antenati : Il Mulinello.
L’accoglienza del proprietario è stato molto cordiale e soprattutto amichevole . Fiero di mostrare non solamente la vecchia costruzione, ma anche il resto delle vecchie macine o mole, con qualche resto di antichi accessori. La botte situata sul piano superiore , la quale serviva di riserva e di pressione, é in eccellente stato di conservazione e di curiosità per gli alunni di tutte le scuole e soprattutto per osservare e conoscere , i vecchi sistemi idrici usati nell’epoca passata.
Scendendo, e passando dietro l’antica costruzione, la nostra seconda grande sorpresa, è stata di scoprire una delle antiche fornaci , numerosissime qualche secolo fa , in questo quartiere di San Giuliano, destinate alla fabbricazione della calce e nello stesso tempo alla cottura delle tegole, mattonelle e recipienti di argilla.
Ed è proprio di questo soggetto, di quest’ arte , di questi artigiani più che artisti nella loro materia, dotati di una straordinaria esperienza e di un sapere sconosciuto dai nostri giovani, i quali non hanno mai avuto l’occasione e la gioia di ammirare il lavoro di questi talentuosi artigiani.
Le fornaci erano state costruite principalmente in questo quartiere ; numerose nei dintorni di questo piazzale chiamato come avevo scritto prima : Stazzone : in dialetto randazzese, U Stazzuni. Sopra questa superfice , dove le costruzioni in duro non esistevano, c’erano circa quattro fornaci ; un certo numero appartenevano alle famiglie Arcidiacono, molto numerose fino agli anni 1960.
Altre, si trovavano nei dintorni della Via Regina Margherita , oggi chiamata in onore del nostro concittadino sindacalista e deceduto molto tempo fa, Via Giuseppe Bonaventura.
Una di queste, apparteneva al Signor Egidio Arcidiacono, specializzato nella fabbricazione di anfore, giare , vasi , lampade ad olio, ed altri oggetti, i quali servivano per conservare l’acqua, l’aceto , l’olio di oliva indispensabile per la nostra buona cucina. Questo artigiano, ha smesso la sua attività dopo il 1950 emigrando come moltissimi dei nostri concittadini in Argentina.
Le ultime notizie del signor Egidio, le ho ottenute nel dicembre del 1987. Essendomi recato parecchie volte a Buenos Aires, e dopo nella città di Haedo , situata nella grande periferia della Capitale, dal nostro concittadino Nino Luca, fratello del defunto Mario Luca, all’occasione di un incontro piu’ che affettuoso e nello stesso tempo, per la visita della sua , grande fabbrica di mobili .
Preciso, che in questa Citta’ , vivevano moltissime famiglie originarie della nostra Randazzo.
Il signor Egidio, si era stabilito in un’altra regione ; forse nella città di Mendoza.
Diverse fornaci, si trovavano nei pressi della chiesa del Signore della Pietà. Un’atra, apparteneva alle famiglie Mazza ; salvo errore da parte mia, questa era vicino la discesa del Ciapparo.
Mi chiedo sempre, perchè i nostri antenati , avevano dato questo nome . Oltrepassando la chiesetta, e andando a sinistra seguendo la strada che conduceva sia alle vecchie vasche di scarico delle fognature del comune ed anche al vecchio Mulino di Citta’ Vecchia, una di queste era proprieta’ del defunto Signor Alfio Bordonaro, padre del Dr. Nunzio Bordonaro, il quale da professionista, aveva creato una vera piccola industria per la fabbricazione della calce e soprattutto produrre la migliore qualita’ del prodotto.
Altre fornaci si trovavano nel quartiere di Murazzorotto, andando verso il lago Gurrida .
Anni passati, questa zona era molto popolata, dove ancora si potevano contemplare molte antichissime casette costruite in pietra lavica a secco, esistenti forse anche all’epoca araba, le quali, potevano servire temporaneamente di alloggio per i contadini e nello stesso tempo , come riserve di foraggio per nutrire asini, cavalli ,muli, pecore , numerosi in quel periodo.
Ma quasi tutte sono state demolite per ignoranza ed incoscienza , costruendo casette certo moderne , ma senza stile ed in un modo piu’ che disordinato.
Un’ altra fornace molto antica, si trovava a fianco del muro di cinta della Citta’ tra il Convento di San Giorgio e la Via Duca degli Abruzzi esattamente a fianco dell’antica Porta dell’Erbaspina , chiamata anche , Porta del Quartarario ; esisteva anche una piccola fontanella chiamata dai nostri antenati, Fontanella dell’Erbaspina.
Questo artigiano lavorava esclusivamente l’argilla per la fabbricazione delle Quartare, vasi, e diversi recipienti in terracotta. Desidero precisare che questa porta con il suo semiarco e i suoi due pilastri, era visibile prima del Luglio 1943. Una parte è stata demolita dai bombardamenti ; il resto, dall’incoscienza umana.
Le fornaci, potevano avere la forma di un grande cubo munito di una corta ciminiera oppure rotonde come un grande cilindro di un diametro di parecchi metri, munite sempre di una ciminiera. Il materiale utilizzato, erano le pietre laviche, murate con un impasto di calce e sabbia dell’Etna . L’ argilla in certi casi era utilizzata per la sua resistenza al calore.
L’ interno, era diviso in diversi piani ; si accedeva attraverso una apertura situata a piano terra. Il sottosuolo era riservato per il grande focolare, il primo perimetro , per la cottura delle pietre calcaree . Il piano superiore, per la cottura delle tegole, i mattoni, le mattonelle. In seguito, le anfore, vasi, ed alti oggetti ad esempio le lampade ad olio, molto utilizzate nel periodo della guerra e specialmente nel periodo dei bombardamenti del luglio e agosto 1943. I focolari, erano alimentati con parecchie tonnellate di legno proveniente dalle nostre foreste comunali ed anche da foreste private.
DA DOVE PROVENIVANO LE PIETRE A CALCE ?
La cava delle pietre a calce, si trovava sul versante Nord dei Monti Peloritani parecchi kilometri dopo il comune di Santa Domenica Vittoria.
Nella mia giovinezza, ho avuto una sola volta di visitarla in compagnia di un conoscente e concittadino carrettiere , offrendomi un passaggio. Preciso che questo signore, faceva il trasporto di materiale edile. Non mi ricordo il nome di questa contrada ; mi ricordo solamente che durante il tragitto , ho potuto ammirare il magnifico paesaggio, ma anche i lavori dei campi eseguiti dai nostri bravi contadini.
L’ estrazione delle pietre, era un lavoro molto faticoso e soprattutto pericoloso per gli operai. I mezzi meccanici moderni non esistevano. Tutto era eseguito con la forza delle loro braccia, a colpi di mazza , picco ed altri rudimentari arnesi per potere spaccare le grosse rocce, ottenendo cosi’ il volume desiderato.
Il trasporto era eseguito con l’aiuto dei carretti trainati dai muli e per i piu’ ricchi, dai cavalli. Moltissime famiglie di carrettieri della nostra città eseguivano il trasporto di questo materiale, approvvigionando i proprietari delle fornaci.
I carrettieri partivano nella notte, per ritornare di buon mattino evitando cosi’ l’afoso calore dell’ estate. Il lavoro degli artigiani carrettieri, era molto impegnativo e faticoso , anche per gli animali che in realtà erano ben nutriti , ben curati e ben protetti.
IL LAVORO DELL’ARGILLA
Diversi proprietari di fornaci, come avevo accennato prima, si erano specializzati nella lavorazione dell’argilla , fabbricando mattoni, mattonelle, anfore, piatti e casseruole, molto usate dai nostri antenati per la cottura dei cibi prelibati e gustosi.
Queste piccole imprese, erano proprieta’ di parecchie famiglie randazzesi. Desidero citare la famiglia Mazza, la famiglia Bordonaro e soprattutto, le numerosissime famiglie Arcidiacono.
Sicuramente, ne esistevano altre , ma onestamente non ho mai avuto l’occasione di conoscerle.
Per quanto concerna la famiglia Arcidiacono, ho conosciuto i due fratelli , Luigi e Battista, intimi amici musicisti, che per molti anni, hanno fatto parte del Corpo Musicale di Randazzo, all’epoca in cui era diretto dal Maestro Lilio Narduzzi e sovvenzionato dal Comune di Randazzo e soprattutto con l’aiuto e la contribuzione degli abitanti molto fieri del loro complesso.
Parlerò di Battista Arcidiacono nelle prossime pagine.
La nostra argilla, era estratta nel piano della Gurrida. All’epoca, questo terreno , era molto argilloso. In certe stagioni il fiume Simeto e Flascio , non solamente alimentavano il lago Gurrida ma anche moltissime superfici adibiti a vigne e ortaggi. Alimentavano anche un piccolo corso d’acqua che scorreva ai piedi del Castello Svevo per finire nel fiume Alcantara.
Non posso precisare il luogo esatto dove l’argilla era prelevata. Sicuramente all’interno di certe proprietà private ed anche nei terreni comunali pagando una tassa. Questa materia, era trasportata con i carretti a Randazzo e depositata sul luogo di lavoro. Ma, prima di usarla, necessitava una lunga preparazione. Depositata al suolo ed al sole per moltissimi giorni l’ argilla si riduceva cosi’ in finissima polvere. In seguito, era depositata in un grande bacino dove era mescolata e dosata con una qualità di terra che ogn’uno di loro, conosceva il segreto ed il dosaggio.
Il lavoro più faticoso, era quando tutta questa materia doveva essere mescolata, umidificata e pigiata da parecchi operai con la forza dei loro piedi e delle gambe, ottenendo così una materia omogenea , malleabile e pronta per la lavorazione .
Gli artigiani, lavoravano a cielo aperto. Moltissime erano le donne, figlie di artigiani adibiti a questo lavoro. Sopra i loro banchi di lavoro ,confezionati in legno oppure con i mattoni, avevano parecchi telai in legno duro molto resistente all’umidità; per le tegole di forma trapezoidale, per i mattoni rettangolari, per le mattonelle in terra cotta, i telai erano quadrati a secondo la superfice richiesta dai clienti.
Per la confezione delle tegole, l’argilla era spalmata con le mani, livellata con una piccola regola nel suo apposito telaio, e dopo averla uscita dal telaio con l’aiuto di una piccola cordicella, era depositata sopra una forma semi rotonda, e impermeabilizzata con un impasto liquido a base di argilla e depositata al suolo e al sole per molti giorni ; in seguito all’interno della fornace per la cottura. Così per i mattoni ed altri oggetti.
Giovane apprendista falegname, ho avuto parecchie occasioni di costruire molti di questi telai. Da ragazzino, vedevo lavorare molte donne ed anche uomini con una enorme rapidità. Questo lavoro era molto impegnativo ; per proteggersi dal sole, specialmente nei mesi estivi, il loro capo era coperto con un cappello di paglia oppure con l’aiuto di un grande fazzoletto .
Gli uomini, erano vestiti con un semplice pantaloncino, talvolta torso nudo e con i piedi scalzi, molto allegri, fieri della loro arte e del loro sapere.
Il primo lavoro, consisteva allo sgombero delle scorie del grande focolare situato nel piano inferiore ed alla pulitura del perimetro interno . Le pietre a calce, erano squadrate con colpi di martello e mazza ; parecchi muri a secco erano costruiti all’interno , occupando cosi’ la prima parte inferiore. Le tegole , le anfore , i grandi vasi ed altre oggetti da fare cuocere, erano situati sulla parte superiore.
L’ entrata veniva murata, lasciando semplicemente un’ apertura per l’alimentazione del focolare con piccoli tronchi d’alberi , truccioli ed anche con enormi mazzi di legno secco di poco valore , usato generalmente per questo lavoro.
Il focolare acceso, la fornace doveva essere alimentata e soprattutto sorvegliata giorno e notte per parecchi giorni. Talvolta, e questo dipendeva della quantità del materiale da cuocere, circa una settimana.
Nel periodo della mia giovinezza, ho avuto molte occasioni di percorrere di notte in compagnia di mio padre Giuseppe e mio nonno paterno Carmine Venezia , mugnai di professione, la strada che partiva dal vecchio mulino di Citta’ Vecchia, e che conduceva verso la chiesetta del Signore della Pieta’, soffermandomi vicino a queste fornaci , per ammirare le fiamme che sgorgavano dal focolare e della ciminiera , creando cosi un gioco d’ artifizio , sviluppando non solamente un grande calore , ma anche un fumo molto denso , soffocante , rendendo ancora più faticoso il lavoro degli operai .
Durante la cottura della calce, le fornaci erano soggetti ai cambiamenti atmosferici ; un giorno, parlando con il Signor Bordonaro, proprietario di questa grande fornace situata in questi paraggi , mi spiegò che un cambiamento atmosferico durante la cottura , poteva influenzare sulla durata del fuoco. Non posso precisare quanti gradi erano necessari per ottenere una eccellente qualità di calce ; forse circa 900 gradi .
Questi talentuosi artigiani pieni di esperienza e di maestria, conoscevano il momento in cui la fornace doveva essere spenta. Talvolta, una settimana di tempo era necessaria per raffreddare l’insieme di questa piramide, e accedere all’interno recuperando tutto il materiale il quale era venduto a tutti gli artigiani edili ed anche ai privati per la costruzione e la copertura delle nostre vecchie e moderne dimore.
Per la preparazione delle pietre a calce, i nostri artigiani muratori usavano un metodo molto semplice ; creavano un piccolo bacino di una profondità desiderata e secondo la quantità di calce da fare sciogliere. La pietra a calce già cotta, veniva depositata nel fondo di questo bacino e ricoperta con molta acqua. La calce al contatto con l’acqua, si scioglieva, sviluppando un forte calore che talvolta al contatto della pelle e del corpo, causava moltissime ustioni.
Dalla calce sciolta, qualche giorno dopo , si otteneva una materia bianchissima e cremosa, la quale mescolata con la sabbia dell’Etna e con una certa dose di acqua, ottenevano così un impasto per la costruzione dei muri in pietra lavica ma anche per costruire case ed altre opere. Serviva anche per imbiancare i muri e le pareti .
Possiamo anche dire, che tutte le costruzioni della nostra vecchia Citta’, sono state eseguite e realizzate con questi materiali. Voglio precisare un dettaglio molto importante ; nei secoli passati, la calce prodotta dai nostri artigiani, era molto usata da tutti gli artisti frescanti , specializzati nelle esecuzioni degli affreschi.
Ma, prima di usarla, ciascuno di loro, aveva il loro segreto di conservazione.
Moltissimi artisti di grande nome, conservavano la calce all’interno delle botti di legno per circa venti anni cioè conservata per le future generazioni ; per i loro figli ed anche per i nipoti.
Non sono capace di spiegarvi l’effetto e la reazione chimica di questa materia , dopo molti anni di conservazione, posso invece affermarvi, che questo metodo è esistito. Onore ai nostri artisti del passato , i quali ci permettono di ammirare gli affreschi e capolavori dopo molti secoli passati.
Molte cose si potrebbero scrivere concernante la preparazione di questi lavori ; ma il soggetto è troppo importante.
Nelle precedenti pagine, avevo accennato il cognome delle famiglie Arcidiacono. Mi permetto ancora di parlare di Battista e Luigi ; due fratelli che pur essendo specialisti dei lavori in terracotta erano anche due eccellenti musicisti.
Per molti anni, hanno fatto parte del Corpo Musicale di Randazzo ; prima sotto la direzione del Maestro Marrone , dopo sotto la direzione del nostro talentuoso maestro Lilio Narduzzi , deceduto a Roma molti anni indietro.
Ho avuto l’onore di averli frequentato dal 1950 al gennaio 1957 facendo parte anch’io di questo prestigioso Complesso musicale molto amato da noi Randazzesi .
Mi ricordo , che tutte le domeniche e nei giorni festivi nel periodo estivo, i cittadini potevano assistere e ascoltare nelle piazze comunali concerti di musica lirica e non solo.
Colgo l’occasione per ricordare un artista dimenticato da noi randazzesi , deceduto a Milano qualche decennio indietro: Battista Arcidiacono , da giovane, a parte le sue qualità artigianali, possedeva una eccezionale dote musicale . Primo Trombone solista del Corpo musicale sotto la direzione del Maestro Lilio Narduzzi . Battista, era sempre alla ricerca della perfezione , dei coloriti e della raffinatezza musicale.
Una sera, , i componenti del Complesso , eravamo riuniti nella sala del Concerto della Via San Giacomo per la ripetizione generale di una romanza dell’opera Rigoletto di Giuseppe Verdi . Il maestro Narduzzi con la sua bacchetta , chiama con un segno il primo trombone solista ! La risposta è stata più che negativa ! nessun suono. Battista, invece di suonare, si é messo a cantare la romanza mettendo un po’ in collera il maestro ; ma dopo qualche secondo, la collera si è trasformata in un grande sorriso paterno facendo anche ridere tutti i componenti del Corpo musicale. Battista, possedeva una bella voce ,un orecchio più che perfetto sempre alla ricerca della sensibilità musicale.
La sua esecuzione della Cavatina di Figaro del Barbiere di Siviglia era eccezionale ; un vero delizio per gli appassionati della musica lirica.
Come moltissimi randazzesi, nel periodo del 1960 è partito per Milano, continuando a perfezionarsi nella storia musicale . Mi è stato riferito che dirigeva un complesso musicale, dedicandosi anche alla composizione.
Ho avuto l’ occasione di rivederlo a Randazzo nel periodo estivo con il complesso Marotta presentando prima dell’esecuzione dell’ opera musicale, i dettagli storici dei grandi compositori italiani.
Tante storie potrei scrivere concernente certi componenti del vecchio Corpo Musicale di Randazzo.
Non volendo cambiare i miei propositi , prima di terminare questo modesto diario, desidero semplicemente citare qualche cognome di concittadini , facendo parte del Corpo musicale negli anni 1950 ed anche dopo.
Gaetano Lazzaro , grande clarinettista, grande copista, dotato di una eccezionale calligrafia musicale ,abitava in Piazza San Martino , allievo del Maestro Marrone, primo clarinetto A sotto la direzione del Maestro Narduzzi . Il nostro concittadino è deceduto a Milano , Carmelo Scalisi , primo clarinetto , di professione ebanista.
Salvatore Mendolaro , clarinetto, di professione calzolaio
Salvatore Raciti , primo clarinetto , accompagnato dal figlio Mario Raciti trombettista. In realtà Mario suonava parecchi strumenti. Voglio ricordare ai nostri giovani randazzesi , che il Signor Salvatore Raciti , era un grande maestro scalpellino ; accompagnato dal figlio Mario, verso gli anni 1947 cioè nel dopo guerra, le dobbiamo il restauro del Chiostro , colonne , banchine e finestre del nostro Palazzo Comunale , la realizzazione della scalinata del Santuario del Carmine , moltissimi lavori in pietra lavica , e innumerevoli monumenti funerari .
Pietrino Grasso , anche lui suonava il clarino ed anche i saxsofoni . Eccellente copista sicuramente negli archivi del Complesso Marotta, si possono trovare ancora molte partizioni musicali trascritte dalle sue mani.
Per completare, voglio accennare la fine delle nostre antiche fornaci.
Nel quartiere di San Giuliano e nei pressi della Via Carcare, quasi tutte le fornaci sono state demolite . Ci sarebbe da conservare e proteggere ancora qualche fornace più che nascosta e che sarebbe dell’ epoca Araba , non voglio citarla , per paura della demolizione.
Ricordo, la sera dell’ 11 agosto 2001 in occasione dell’ inaugurazione della Grande Esposizione in onore di Federico II , realizzata dall’artista siciliano Pippo MADE’ e presentata all’ interno del Chiostro Municipale dal Rev.mo Monsignore Santino Spartà. Dopo la presentazione di questa grandiosa esposizione, dei suoi oggetti preziosi e del suo libro, terminò il suo discorso accennando la delicata questione della protezione e della conservazione dei resti antichi lasciati per miracolo in salvo dopo i bombardamenti del luglio e agosto 1943 .
Ascoltai e ammirai il coraggio di questo eminente religioso , affermando pubblicamente che questi, non sono stati ne curati ne apprezzati da certi cittadini . Noi dobbiamo essere fieri di avere un religioso intelligente , un uomo di lettere , dotato di un grande sapere , con moltissime buone idee non solamente al livello amministrativo , ma anche per la protezione dei nostri monumenti, e per lo sviluppo del turismo locale.
Molte volte le sue buone idee non sono state ben seguite ed eseguite da certi dirigenti della nostra Amministrazione . La citta’ di Randazzo, ha bisogno di un grande sviluppo economico. Molti giovani non hanno occupazione . Per rimediare a questa grande lacuna, male cancerogeno della nostra epoca, due soluzioni esistono ; rilanciare l’ agricoltura e il turismo.
Non dimentichiamo che il nostro territorio, è stato sempre una grande zona artigianale e agricola. Produrre locale, significa creazione di posti di lavoro e impieghi per i nostri giovani , evitando così l’immigrazione e la separazione dell’unità famigliare. Nelle contrade del nostro Comune, esistono ancora bellissime proprietà agricole con sontuose palazzine antiche di una vera bellezza architetturale inestimabile.
Ammiro sempre, il coraggio dei proprietari, i quali con la forza fisica e mentale, malgrado gli inconvenienti amministrativi, riescono con molta volontà e gusto, al restauro, trasformandoli in alberghi, ristoranti e luoghi di vacanza , creando qualche posto di lavoro per i nostri giovani .
Ma, tutti i cittadini randazzesi amano le nostre antiche costruzioni ? Trovandomi molto distante della mia amata Randazzo, la mia risposta è forse negativa.
Senza la forza e la fede degli abitanti, un giorno o l’altro , moltissimi vestigi antichi e meno antichi, saranno distrutte . Non desidero impicciarmi di certi affari . Ultimo caso , la parte antica Est del vecchio palazzetto Germana’ ; questa piccola particella piu’ che antica, è rimasta per miracolo in piedi dopo i disastrosi bombardamenti del 1943.
Da ragazzo, ho conosciuto il vecchio palazzetto ; potrei anche descrivere come era , il pianoterra, era occupato da parecchie botteghe di artigiani ; falegnami, barbieri, stagnini e venditori di buon vino.
Era possibile salvarla ? questa particella, poteva essere inglobata nella nuova costruzione ? Non essendo un esperto in questa materia , non posso rispondere a queste spinose questioni.
Amici miei randazzesi, amministratori comunali di tutte le tendenze , avete pensato al salvataggio del nostro vecchio Convento di San Giorgio ? al nostro Convento dei Frati Cappuccini ? al nostro rinomato Collegio San Basilio ? volete che questi monumenti cadono in rovina e dare via libera ai demolitori ? Sarebbe un gesto ed un atto più che grave .
Il turismo, si attira proteggendo le vecchie pietre e non costruendo muri in cemento oppure in calcestruzzo .
Ho avuto diverse occasioni di visitare molte regioni della Francia con i suoi sublimi antichi villaggi ; talvolta abbandonati a causa delle guerre e delle carestie , oggi risuscitati dal disastro , con la forza e la volonta’ dei cittadini , ridando vita a queste antiche dimore , attirando molti turisti e molto benessere per gli abitanti.
Con la volonta’ e l’aiuto delle numerose associazioni locale, nei nostri antichi quartieri, molte cose si potrebbero imbellire ; molti abitanti lo fanno, mettendo in valore i lavori in pietra lavica, archi di porte , finestre, balconi ed altre belle cose.
Di ritorno nella mia Randazzo, mi rendo conto che certe mentalita’ e principi, non cambiano ; pertanto, l’intelligenza e l’istruzione esiste .
I cittadini randazzesi, possiedono un enorme potenziale intellettuale , artistico e culturale . Non dimentichiamo che le belle realizzazioni culturali , intellettuali e architettoniche , si possono realizzare con le idee e la volonta’ di tutti gli abitanti , all’infuori della politica e delle idee politiche.
Ringrazio il Prof. Nunziatino Magro e la sua equipe di T.G.R. Televisione Randazzo , il Signor Giuseppe Portale per le sue interviste , i suoi libri , per i suoi inteventi . Il Signor Francesco Rubbino per il suo sito internet “Randazzo . Blog” il quale con il suo lavoro e le sue ricerche , ha onorato e onora la memoria dei nostri defunti illustri cittadini , ma anche a noi immigrati randazzesi presenti in tutti i luoghi d’Italia e del mondo .
Grazie Signor Rubbino. Grazie a tutti coloro che hanno pubblicato sui siti internet , e consultati da noi residenti all’ estero.
Auguri a tutti i cittadini di Randazzo , e che la nostra Citta’ sia sempre piu’ bella, piu’ prospera, più tranquilla.
Carmelo Venezia Beausoleil Agosto 2019 .
Vincenzo CRIMI, già Commissario Superiore del Corpo Forestale della Regione Siciliana, è nato a Randazzo (CT) ed è entrato a far parte del Corpo Forestale nel 1981.
Dopo avere frequentato la Scuola del Corpo Forestale dello Stato e il relativo corso di formazione professionale, presso le sedi di Cittaducale (RI) e di Sabaudia (LT), il 01.03.82 viene immesso in ruolo presso il Distaccamento Forestale di Zafferana Etnea. In seguito dirige i Comandi dei Distaccamenti Forestali di Linguaglossa e Randazzo e dall’1.6.2004, assume il Comando del Distaccamento di Bronte che, unitamente a quello di Cesarò (ME), detiene sino al 31 marzo 2016, quando viene collocato in quiescenza.
Oltre all’attività d’Istituto, nel corso della propria carriera Vincenzo Crimi, arricchisce le proprie conoscenze professionali organizzando e partecipando direttamente a convegni di studio in Italia, Austria, Germania, Francia e Svizzera, con personale appartenente al Corpo Forestale di quelle nazioni.
Nel 2004 è in Amazzonia, dove partecipa ad un progetto internazionale sulla salvaguardia di un’etnìa indios.
Viene proposto dalla commissione europea per l’ambiente come componente a gruppo di lavoro per il monitoraggio delle piogge acide nella Foresta Nera, in Germania e l’avifauna migratoria.
Nel 2002 in Giappone viene nominato uomo dell’anno in materia di ambiente.
Frequenta corsi di aggiornamento professionale organizzati dalla Direzione del Corpo Forestale, presso la scuola del Corpo Forestale dello Stato di Rieti e Antrodoco (RI). Collabora organicamente con varie Università italiane e straniere. Contribuisce con grande passione a promuovere il prodotto ambiente, attraverso il periodico dell’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, “Sicilia Foreste”, sul quale pubblica argomenti quali, prevenzione e repressione degli incendi boschivi, sistemazione idraulica forestale.
Si occupa e scrive di problematiche relative ai dissesti idrogeologici, tutela e legislazione forestale, interventi di protezione civile relativamente a problematiche vulcaniche e sismiche, descrizione e studio di ecosistemi locali e loro rapporti socio-economici con la popolazione locale. Nel 2013 e 2014, é’ chiamato dal proprio Ufficio Superiore a organizzare e svolgere docenza per i volontari di Protezione Civile della provincia di Catania, di un corso di aggiornamento di primo impiego in tema di “avvistamento incendi boschivi e di interfaccia”.
Collabora attivamente, sia istituzionalmente che personalmente con gli Enti Parco dell’Etna, dei Nebrodi e del Parco Fluviale del fiume Alcantara, allo scopo di promuovere l’immagine e le finalità delle aree protette, cercando di armonizzare i bisogni dell’ambiente e la fruizione delle popolazioni locali.
Ha collaborato con il periodico “Etna Uomo Ambiente” e con il settimanale “Il Sette” per i quali ha scritto articoli tecnico-professionali.
Pubblicati dal Dipartimento Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, ha scritto i libri “Rahab: il bosco Ragabo di Linguaglossa” 1^ e 2^ volume, – “Il territorio di Castiglione di Sicilia” e “Al Quàntarah”- la valle incantata”. I lavori, ricchi di argomentazioni tecnico-storiche di grande pregio, sono indirizzati verso i giovani delle scuole, affinché comincino a comprendere e a conoscere le realtà naturalistiche del territorio siciliano. Pubblicato dall’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste – Corpo Forestale, ha scritto il volume “Tutela e Legislazione Forestale e Ambientale” prezioso contributo alla promozione della cultura ambientale attraverso la conoscenza di nozioni storiche e giuridiche armonizzate con la realtà legislativa del settore.Nel 2009 pubblica il volume “Flora, Fauna e aspetti naturalistici del territorio di Bronte”, rivolto agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado di Bronte. Il 2010 è l’anno in cui pubblica “Flora, Fauna e Aspetti Naturalistici del territorio del Gal Etna”, rivolto principalmente, alle scuole e agli appassionati dell’ambiente, in modo da conoscere e valorizzare le potenzialità naturalistiche facenti parte dei comuni di Adrano –Bronte – Ragalna – Biancavilla – Santa Maria di Licodia e Maletto.
Il 2017 é l’anno del libro “Randazzo e il suo territorio: storia, arte, turismo, paesaggio e natura incontaminata” che vuole essere un intrigante viaggio attraverso il territorio naturalistico di Randazzo, passando per i tesori artistici e culturali che esso custodisce. Un modesto contributo alla promozione e valorizzazione del territorio di Randazzo, uno degli ambienti naturali siciliani, ancora oggi, per un certo verso e in certi luoghi, veramente integro.
Web site: www.etnalcantara.it E-Mail: vincenzocrimi@libero.it Facebook: Enzo Crimi
INDICE
“LE LAVE DI SANTA VENERA” DI BRONTE – UNA SUGGESTIVA E VEROSIMILE STORIA CHE DEVE ESSERE SVELATA.
Produzione Letteraria
Enzo Crimi: la bellezza della Natura – otto articoli inediti.
ALLERTA MALTEMPO: ITALIA SOTTO ATTACCO: (di E. Crimi)
Ancora una volta messo a dura prova il sistema idrogeologico del nostro paese, dopo le persistenti piogge di questi giorni, anche sottoforma di vere e proprie “bombe d’acqua”, il tragico fenomeno degli allagamenti alluvionali si è presentato in gran parte della penisola.
In Liguria le mareggiate hanno schiantato decine di yacht nel porticciolo di Rapallo, in Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino, una situazione definita apocalittica ha creato milioni di danni e in Sicilia ci sono stati persino morti. In tante altre regioni d’Italia: forti mareggiate, fiumi esondati, strade e ferrovie inondate e interrotte, città allagate e isolate, come al solito, questi eventi ci trovano impreparati e allora i danni diventano ingenti.
Questa volta la Madre natura diventata “matrigna”, è stata ancora più dura e spietata a colpire e non ha purtroppo risparmiato alcuni luoghi magici delle Dolomiti dichiarati Patrimonio dell’umanità nel 2009, e tra questi l’altipiano di Asiago la Val Visdende, una delle ultime oasi naturalistiche preservate dal turismo di massa, una delle più belle valli del mondo.
Cento anni dopo la Grande Guerra, i forti venti hanno investito e raso al suolo con tutta la loro potente forza, alcune centinaia di ettari di boschi, patrimonio arboreo ambientale ma anche culturale, in quanto definiti boschi della memoria e palcoscenico degli eventi bellici dell’ultima guerra e c’è chi accosta questi eventi con le crude immagini della grande guerra.
Migliaia di alberi spazzati via dalla forza degli eventi naturali che hanno lasciato dietro di loro una desolazione indescrivibile, insomma, quello che è accaduto in questi giorni, avrà una ripercussione fisica sul territorio di almeno 100 anni ma rimarrà per sempre nella storia. L’ondata di maltempo mette l’Italia in ginocchio: strage di uomini in Sicilia dove si contano dodici vittime, tra cui due bambini, altre vittime nel Lazio, a Savona, in Veneto, a Bolzano e a Napoli, diversi feriti in varie città, danni ovunque incalcolabili.
Analizzando con attenzione il verificarsi di tali fenomeni, ci rendiamo conto che non tutti sono la diretta conseguenza di eventi naturali riconducibili al caso. Infatti, é l’uomo che spesso agisce in modo indiscriminato sul territorio e crea squilibri, mentre dovrebbe sempre operare in forte sinergia con esso, nella consapevolezza che l’interesse dell’uno è subordinato alla salvaguardia dell’altro, come a sembrare un legame simbiotico. Affinché tali fenomeni diventino governabili, dovrebbe essere posto in opera, il principio fondamentale che sempre ha dato eccellenti risultati: la prevenzione.
La mitigazione di questi eventi si ottiene attraverso la realizzazione di opere mirate che prevedano, in particolare lungo i pendii dei corsi d’acqua a monte, l’impianto di boschi i quali oltre ad evitare gravi forme di dissesto, svolgono altre funzioni di grande interesse: economico e ricreativo.
Certamente, più il terreno ripariale è boscato, minore è il rischio di dissesto idrogeologico, che è l’insieme di quei fattori di dilavamento e sgretolamento, di frane, erosioni e trasporto a valle di materiale solido che, sommato al consumo indiscriminato legale o illegale del suolo, all’abbandono di forti concentrazioni di rifiuti e all’abusivismo edilizio lungo i corsi d’acqua che mai vengono manutenzionati, limita il deflusso idrico anzi a volte ne determina l’ostruzione, la deviazione, l’esondazione e l’allagamento di terreni e aree urbane.
Pertanto, succede che l’acqua prodotta dalle forti piogge, a seconda della pendenza del suolo, non trovando idonea copertura arborea a monte e un’adeguata regimazione che ne possa regolare il normale deflusso, a causa della sua forza di impatto con il suolo, in particolare quando questo è argilloso, si infiltra, raggiunge lo strato impermeabile, impregna il terreno superficiale che, gonfio d’acqua si mette in movimento, scivola a valle causando consistenti fenomeni di dilavamento, erosione e infine ruscellamento fangoso, travolgendo qualsiasi cosa sul suo percorso, compresi aree agresti e urbane, persone e cose.
Non mi fanno paura i torrenti in piena, sono le norme di comportamento che assume l’uomo nel suo rapporto con l’ambiente che a volte creano squilibri. Il problema della fragilità del nostro territorio e dell’esposizione al rischio di frane e alluvioni, non può certo considerarsi un fenomeno emergenziale, è oramai diventato una costante assoluta almeno per 6.633 comuni italiani, ovvero l’82% di tutto il paese che è definito a rischio idrogeologico.
Ciò comporta ogni anno un bilancio economico pesantissimo, intollerabile quando, in particolar modo, è pagato con la vita. Bisogna mettere in sicurezza il nostro paese, ed è evidente l’assoluta necessità che i nostri legislatori riservino maggiori politiche e risorse al territorio, in termini di prevenzione, in un contesto in cui sono sempre più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici in atto, che comportano fenomeni meteorologici estremi caratterizzati da piogge intense concentrate in periodi di tempo sempre più brevi e cicloni imprevedibili.
Come ho scritto in altre occasioni, questa attenzione non sempre viene rivolta al territorio, perché non bisogna certo avere una mente eccelsa per comprendere che l’interesse del legislatore verso l’ambiente in generale, sembra oramai una foto sbiadita, un pensiero iconico che tende a scomparire definitivamente dalle tematiche politico-sociali che si discutono oggi, e allora, come in un gioco onirico, il nostro interesse nei confronti di questo grave problema, molte volte, si infrange sugli irti scogli della noncuranza che i “nostri” politici nutrono verso i beni naturalistici del creato. La configurabilità dell’ambiente come bene giuridico non può essere ignorata dall’uomo attraverso tagli continui alle risorse finanziarie. Eppure, il legislatore con la sua mente piccola, forse non ha ancora la piena coscienza della gravissima crisi ambientale che sta vivendo.
Sono molteplici le grida di allarme che ci pervengono periodicamente dalla comunità scientifica, la terra è in pericolo, l’uomo è in pericolo, e questa nostra prosperosa civiltà dei consumi, sta gettando le basi per una folle e sconsiderata autodistruzione di un pianeta malato, stanco, oltraggiato da uno sfruttamento sconsiderato in cui ogni cosa, animata e inanimata, ha valore unicamente se e in quanto merce, prodotto da vendere.
No… non mi fanno paura i torrenti in piena ma temo la deficienza di intelligenza naturalistica dei nostri politici e di chi percepisce l’ambiente solo come una sensazione poeticamente astratta, perché è difficile interagire con chi è privo di cultura dell’ambiente che faccia comprendere la vera importanza del nostro patrimonio naturale.
IL SOLSTIZIO D’ESTATE DEL 21 GIUGNO: TRA LEGGENDA, STORIA, NATURA, SIMBOLOGIA E MAGIA (di E. Crimi)
_______________________________________________________________________________________
Il solstizio d’estate è l’inizio della stagione calda ed è sempre stato avvolto da una sfumatura di mistero, leggenda e magia, basti pensare ai misteriosi siti preistorici megalitici sull’altipiano dell’Agrimusco, in comune di Montalbano Elicona, in provincia di Messina e al simbolo fallico della fertilita’ in roccia megalitica arenaria, situato nel bassipiano di Orgale, nei pressi di Castiglione di Sicilia a pochi passi dalla sponda sinistra del fiume Alcantara.
Da sempre sappiamo che i Megaliti all’interno di questi siti sparsi per il mondo, siano essi di origine naturale o artificiale, hanno rappresentato dei veri e propri misteri e la storia antica dell’uomo è ricca di fatti inspiegabili e non comuni.
Il sito di Stonehenge in Inghilterra, verosimilmente luogo degli imponenti ruderi di un tempio druidico, è uno dei monumenti preistorici più famosi del mondo, che consiste in due cerchi concentrici di monoliti che raggiungono le 50 tonnellate, poste in posizione eretta; sormontate da massicce lastre orizzontali di roccia e ornate dalle più piccole pietre blu originari dal Galles occidentale.
Le ipotesi riguardo questi straordinari “monumenti rupestri”, conosciuti anche con il nome di “Menhir o Sarsen“, sono diverse, come differenti sono le discordanze anche tra gli studiosi, molti di essi sostengono che si tratta di manufatti riconducibili a consuetudini religiose con riti primordiali collegati alla simbologia fallica propiziatoria della fertilità.
Alcuni ricercatori li accostano a miti e fantastiche leggende di giganti che si dedicavano alla pastorizia, ma anche storie umane, arcaiche ma reali, dove la vita delle sue creature ha seguito il suo percorso di naturale straordinarietà pari solo a se stessa.
Altri studiosi sostengono un significato con finalità archeo-astronomiche, in quanto orientati e collegati con i punti cardinali, ai quali riconoscere una funzione antesignana di osservazione degli astri, dei cicli delle stagioni, equinozi e solstizi, da sempre date mistiche e venerate dalle antiche civiltà sparse in tutto il mondo conosciuto.
Pare che alcune combinazioni tra i macigni e il sole, permettessero, tra l’altro, di prevedere le maree e le eclissi di Luna e di Sole. I giorni solstiziali includono alcune fra le celebrazioni più popolari dell’Occidente e le antiche tradizioni mettevano in relazione questo periodo dell’anno con un gran numero di usanze e di piccoli rituali ancora oggi vivi in tutta Europa.
Il solstizio estivo del 21 giugno, carico di mistero e spiritualità, è lo scenario ideale in cui poter collocare sogni e realtà, ed è forse per questo che resta uno dei periodi più amati e profondamente intessuti nella cultura popolare, che periodicamente viene messa in atto anche dai popoli moderni. Fuochi e danze intorno ai falò, astronomia, musiche, teatro, canti e poesie.
Sembra che antichissimi popoli festeggiassero il solstizio d’estate tra il sacro e il profano e ancora oggi, esso, seppur offuscato di magia e mistero, viene celebrato in molte parti del mondo, ciò dovuto al fatto che l’uomo, forse deluso dalla realtà quotidiana, si affida alle cose inaspettate dell’arcano.
Pertanto, sin dalla notte dei tempi un intrigante intreccio tra l’uomo arcaico e queste costruzioni che gli uomini del neolitico, credevano intrise di poteri soprannaturali.
Oggi questi spazi sacri, impreziosiscono il panorama delle nostre terre, come gioielli abbandonati e incastonati nel paesaggio. Ma qual’è il loro reale segreto e da quali credenze erano animate le persone che li hanno costruiti, quali strani rituali si celebravano in questi siti e cos’è che ha portato l’antico popolo di queste terre a modificare la propria religione, ad abbandonare questi antichi templi e a venerare altre divinità “moderne”? Dunque, questi luoghi, ritenuti sacri per gli uomini arcaici, oggi fanno da sfondo a suggestive epopee della mente e nascondono i segni di un passato impregnato di grandi eventi da sembrare quasi di natura divina.
Sappiamo ben poco, sia sul senso o funzione dell’esistenza di questi grandiosi blocchi arenari e ancor meno notizie abbiamo riguardo i loro creatori, che potrebbero essere stati ispirati da vocazioni mitologiche.
Lasciando l’opinabile ai sognatori, nella realtà indiscutibile, queste formazioni rocciose sono particolari monumenti costituiti da grandi blocchi di roccia arenaria, grossolanamente squadrati dagli eventi del tempo o dall’uomo, piantate nel suolo la cui area di diffusione è molto ampia in tutto il mondo, a rappresentare le testimonianze più antiche dell’architettura preistorica.
Queste maestose sculture, hanno sempre attratto l’interesse di ricercatori e la curiosità di semplici escursionisti, impegnati nella ricerca continua di testimonianze del passato, di natura antropologica e naturalistica, dalle quali potere risalire alle epoche di utilizzo, all’uso che si è fatto da parte dei vari frequentatori ed alle particolari condizioni ambientali di una determinata area.
Insomma, da sempre questi megaliti hanno rappresentato un intrecciato motivo di studio storico ed anche geologico di maestosi scenari della storia, di suggestive reliquie, di antiche e maestose sculture cesellate nella dura roccia, dell’intrigante prodigio dell’erosione naturale, dell’azione modellante del vento e della natura geologica del terreno, frutto e testimonianza dell’opera di primitive platee di popolazioni preistoriche di cui si è persa ogni traccia, nel lento ed incessante scorrere del tempo.
Dunque, chi non crede all’incomprensibile non può fare a meno di restare altresì stupito e meravigliato nell’ammirare queste straordinarie costruzione neolitiche, statiche nella loro maestosità, sin da quando memoria umana ricordi.
Pertanto, nessun mistero ascetico ma solo tracce del passaggio in vita e frutto dell’opera manuale di popolazioni arcaiche, che oggi ci descrivono la spiritualità che solo una suggestiva e seducente opera architettonica può elargire ai suoi visitatori. Oltre ai loro manufatti, di queste genti, rimangono solo pochi resti di figure antropomorfe lavorate sulla pietra e cellette funerarie (gruttitti) che servivano per la sepoltura dei loro defunti.
L’archeologia moderna potrà nel tempo rispondere ad alcuni dei quesiti fondamentali su questi siti e i loro rapporti con l’uomo
Presentazione del libro:
“Randazzo e il suo Territorio; Storia, Arte, Turismo, Paesaggio e Natura Incontaminata”.
Alla presenza di numerose autorità locali e dei paesi limitrofi e con la grande adesione di pubblico, presso il Chiostro del Palazzo Comunale di Randazzo, si é svolta la presentazione del libro di Vincenzo Crimi
“Randazzo e il suo territorio: storia, arte, turismo, paesaggio e natura incontaminata”.
Hanno partecipato alla manifestazione gli artisti Daniela Caggegi e Maurizio Salerno, che hanno rallegrato la serata con melodie musicali e interpretazioni canore.
La realizzazione del volume, presentato magistralmente dal Dr. Carmelo Di Vincenzo, già comandante del Corpo Forestale di Messina e introdotto dal sindaco di Randazzo Prof. Michele Mangione, riprende un percorso oramai consolidato da 7 precedenti pubblicazioni in materia naturalistica scritti dall’autore, che aspirano ad essere un valido contributo alla piena valorizzazione e promozione del territorio naturalistico isolano.
Il libro, descrive dettagliatamente il territorio naturale di Randazzo, dove la natura ha voluto manifestare tutta la sua straordinaria magnificenza e dove l’uomo si muove ancora oggi in punta di piedi, consapevole che la propria esistenza dipende in grandissima parte dalla tutela e salvaguardia di tutte le componenti naturalistiche, orografiche, vegetazionali, faunistiche, culturali e antropologiche che questa vasta area detiene e riesce ad esprimere.
Inoltre, il libro traccia un percorso culturale, che effettua delle brevi soste all’interno delle antiche mura della cittadina, per rendere omaggio sommariamente, ai preziosi beni artistici e architettonici ben presenti, che nella loro splendente staticità, attendono da secoli un loro riscatto, senza tuttavia, perdere di vista che la tematica principale in discussione è esclusivamente di natura ambientale.
Dunque, la conoscenza del territorio, come virtù fondamentale che agisce da stimolo nell’uomo, così da farne accrescere la cultura e quindi l’amore per la propria terra, condizione essenziale per pervenire alla salvaguardia e tutela del territorio stesso.
Tutti i partecipanti alla manifestazione, hanno ricevuto in omaggio una copia del libro.
Agosto 2017
Vincenzo Crimi
L’Etna D.O.C., il prodotto di punta dei nuovi ed operosi produttori “esterni” dell’agro randazzese, esprime e può imporre la propria identità qualitativa sui mercati nazionali e internazionali e può contribuire in modo, certo modestamente, all’integrazione del reddito di parte della popolazione locale. Tutto ciò viene favorito per effetto di un crescente squilibrio tra domanda e offerta: infatti, pare che la domanda sia in forte crescita e comunque, superiore all’offerta, con picchi alquanto alti negli Stati emergenti dove, grazie ad un poderoso sviluppo economico, si sta moltiplicando la domanda di vino e altre materie agricole. Ma non tutto é luce, per essere competitivi sui mercati mondiali, non bisogna fermarsi solo sul vino come bevanda da bere. Bisogna accrescere la qualità e fare emergere davvero gli aspetti più belli e intriganti del vino, a partire dalla componente emozionale, perché la bellezza del vino è in primo luogo estetica. E’ necessario raccontare il romanticismo magico di questo nostro territorio etneo, celebrato da poeti e viaggiatori del tempo, un territorio denso di bellezze artistiche, archeologiche e naturalistiche e poi le vigne e il loro suggestivo paesaggio.
Il vino è anche il linguaggio, la cultura e la storia di un territorio, è l’umile gente che con appassionata dedizione lavora le vigne e trasforma l’uva in vino, insomma, è un potentissimo ambasciatore di un territorio e quando viene assaggiato, in qualsiasi parte del mondo, attraverso il suo sapore e il suo profumo, esso ci riporta sempre con la mente al suo luogo di produzione, è questo il fascino e la potenza del vino. Insomma, fare ciò e recuperare il tempo perso, in modo da promuovere e approfondire la conoscenza sul vino e i suoi piaceri, in modo da intercettare un pubblico molto vasto, al quale far capire che il vino è anche la ritualità e ricerca di sapori e soprattutto odori che sono la componente più importante del vino, come si generano e si evolvono e come è possibile apprezzarli e goderne.
Non è un caso che il vino è l’unico prodotto dell’agro-alimentare che prima di essere portato alla bocca per sentirne il sapore, viene annusato per percepirne il respiro.
Oltre alle abituali strategie di vendita, il mercato ha anche bisogno di essere entusiasmato attraverso il piacere dello studio, dell’approfondimento e della lettura, in modo da superare lo scetticismo che a volte si distacca dalla chimica degli odori che marcano i nostri livelli olfattivi.
L’aumento della domanda, paradossalmente, pone delle problematiche di penuria e ricerca di terra coltivabile a D.O.C. appropriata alla produzione del vino, tanto da innescare una competizione tra imprenditori, per la sua acquisizione. Questo fenomeno pone inoltre degli interrogativi riguardo a potenziali mutazioni ambientali e sociali, a cui il territorio verrà sottoposto, in particolare a causa di un’eventuale massiccia meccanizzazione colturale.
Con i buoni auspici delle Istituzioni, oltre al vino, occorre mettere in rete tutti i prodotti agro-caseari, attraverso la riqualificazione e la modernizzazione dei processi di trasformazione, conservazione e commercializzazione delle produzioni di nicchia come olio, vino e caseari, in modo da reagire all’isolamento produttivo.
Per fare ciò occorre essere dotati di attitudine imprenditoriale, in grado di gestire le diverse fasi del processo produttivo agroalimentare e compartecipare a tutti i vari passaggi, partendo dalla produzione e sino alla tavola dei consumatori. La globalizzazione ci fa capire che sarebbe opportuno mettersi in discussione e avere il coraggio e la capacità di percepire i mutamenti, abbandonare convinzioni e abitudini che non sono più adeguate ai tempi e all’ambiente in cui si vive, in modo da attivare un mercato locale ed extra locale che sviluppi la filiera in prodotti lavorati finiti.
Analizzando attentamente la tematica, appare doveroso fare una riflessione relativamente ad una singolare condizione di quasi assoluta assenza, dal panorama delle attività d’impresa randazzese, della figura di imprenditore agricolo puro. Tutti i soggetti interessati, guardano all’agricoltura solo in forma hobbistica e nessuno dei potenziali agricoltori o piccoli proprietari terrieri è alla ricerca di attività evolutive e più progredite di coltivazione più o meno imprenditoriale. Infatti, una grossa fascia del bracciantato agricolo randazzese contemporaneo, preferisce impiegarsi nell’attività agro-forestale, più sicura e rimunerata, rappresentata dalle giornate lavorative assicurate dall’Azienda Forestale Regionale, un’aliquota è alla ricerca del posto fisso, pochi altri soggetti costituiscono la manodopera giornaliera nel precariato agricolo locale e il resto è adibito ad altri lavori.
Chi ha la vigna si limita in proprio ai soli ed essenziali lavori culturali, trattenendo il vino prodotto, oppure l’olio se trattasi di olive, solo per il fabbisogno familiare e la consegna dell’eccedente ad Aziende esterne di settore, nella maggior parte dei casi estranee al territorio e quindi al circuito economico locale, ma molto efficienti nel comprare il prodotto e addirittura anche i vigneti. Infatti, in un arco temporale che si può quantificare in qualche decennio, una grossa percentuale di proprietari agricoli randazzesi, prima vendeva il vino come prodotto finito, poi, in modo da ridurre il lavoro, vendeva il mosto e l’uva e infine ha venduto persino i vigneti. Oggi compra il vino dalle stesse aziende alle quali ha venduto i vigneti.
Questo fenomeno sta riportando questo comprensorio ad un massiccio accorpamento territoriale e al ritorno ai grossi latifondi, una volta di proprietà dei baroni locali e adesso delle grosse aziende vinicole siciliane e del nord Italia, completamente estranee a questo territorio etneo, che certo assicurano un tantino di guadagno e occupazione a qualche maestranza lavorativa, ma causano la perdita del presidio sul territorio e delle memorie storiche agricole dei nostri avi che sono passati prima di noi su queste terre.
[2] Le aree protette, sono aree geograficamente definite, individuate, istituite e gestite attraverso strumenti legali o altri mezzi riconosciuti per raggiungere obiettivi specifici di conservazione e mantenimento della biodiversità, delle risorse naturali e di quelle culturali associate, attraverso norme legislative mirate alla loro tutela e salvaguardia.
Con tali provvedimenti legislativi, la Regione Siciliana, nell’ambito delle proprie competenze e nel perseguimento dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile attraverso la tutela del territorio e delle risorse naturali, detta principi e norme per la formazione e la gestione del sistema regionale delle Aree protette e dei siti della Rete natura 2000 con le seguenti finalità:
conservare, tutelare, ripristinare e incrementare gli ecosistemi, gli habitat, i paesaggi naturali e seminaturali;
promuovere la padronanza e la fruizione conservativa dell’ambiente naturale, sia biotico che abiotico, e del paesaggio;
conservare e valorizzare i luoghi, le identità storico-culturali delle popolazioni locali ed i loro prodotti tipici;
incentivare e garantire un adeguato sviluppo economico sostenibile delle aree protette.
ENZO CRIMI