«Sul mio impero non tramonta mai il sole»
Carlo V d’Asburgo nacque a Gand, nelle Fiandre, il 24 febbraio 1500, e morì a San Jerónimo de Yuste il 21 settembre 1558.
Carlo V discendeva da alcuni dei casati più illustri della nobiltà europea: infatti, era figlio di Filippo d’Asburgo, detto il Bello (p
erciò nipote dell’Imperatore Massimiliano d’Asburgo) e di Giovanna detta la Pazza (figlia di Ferdinando d’Aragona e di Isabella di Castiglia).
Nel 1516, dopo la morte di Ferdinando il Cattolico, Carlo (che, alla morte del padre, nel 1506, aveva già ereditato i Paesi Bassi), divenne re dell’ormai unificato Regno di Spagna, che, da un lato, con il possesso del regno di Napoli, della Sicilia, della Sardegna e delle Isole Baleari, già occupava una posizione centrale nel Mediterraneo; dall’altro, con le recenti conquiste sulle sponde del continente americano, si proiettava verso gli oceani, contendendo ai Portoghesi il dominio delle nuove terre.
Recatosi in Spagna, non riuscì, però, ad ottenere il consenso delle Cortes che, convocate, rivendicarono la loro autonomia, negandogli i crediti richiesti. Nel 1519, allorché morì Massimiliano d’Asburgo, si recò in Germania a porre la propria candidatura alla corona imperiale, lasciando come reggente in Castiglia Adriano di Utrecht. Subito divampò la rivolta, detta dei comuneros; Carlo, ritornato nel 1522, ristabilì l’ordine mostrandosi clemente verso i ribelli e limitandosi a giustiziare i capi principali, ma fu questo il primo segno delle contraddizioni fra interessi regionali e politica europea, che tormentarono tutto il suo regno
Intanto, nel 1519, nonostante l’opposizione del re di Francia Francesco I, Carlo, comprando gli elettori grazie al prestito di una forte somma di denaro concessagli dai banchieri tedeschi di Augusta Fugger e Welser, era riuscito a farsi incoronare imperatore ad Aquisgrana, con il nome di Carlo V: il suo potere si estendeva, ora, su un immenso territorio, che, oltre all’Impero, comprendeva i possedimenti borgognoni, i possedimenti dinastici degli Asburgo e la corona spagnola, con le colonie americane, per cui si poteva effettivamente dire che il suo era “un impero su cui non tramontava mai il sole” (secondo le sue stesse parole).
Francesco I, re di Francia, che aveva posto senza successo la propria candidatura, reagì all’accerchiamento territoriale in cui si era venuto a trovare da parte di Carlo V con la guerra. Nel 1521 scese in Italia, rivendicando il ducato di Milano, già conquistato da Luigi XII, e iniziando una lotta che, attraverso quattro fasi, terminò solo nel 1544, con il trattato di Crépy, con cui fu raggiunta la pace sulla base dello “status quo”.
Di fronte ai problemi sollevati dalla Riforma, la posizione di Carlo fu molto prudente per il timore di urtare i principi tedeschi. Alla dieta di Worms (1521), Lutero, che non aveva ritrattato, fu lasciato libero e di fatto non fu perseguitato nemmeno dopo il bando. Alla dieta di Spira (1526) fu sancita la liceità della confessione luterana sino alle decisioni del successivo concilio; e quando, a una seconda dieta di Spira (1529), Carlo, che si era riconciliato con il pontefice, tentò di risolvere la questione con la forza, le reazioni protestanti (lega di Smalcalda e protesta di Augusta, 1530) lo fecero tornare su una posizione conciliatrice.
Si faceva intanto sempre più grave il problema turco: nel 1534 Khair ad-Din, detto il Barbarossa, tolta Tunisi al re berbero Mulay Hasan, se ne serviva come base per le scorrerie dei suoi pirati. Carlo organizzò una spedizione a cui parteciparono tutti gli Stati europei, esclusa Venezia. Tunisi venne restituita a Mulay Hasan e i pirati subirono una dura sconfitta.
Nel 1545 si era aperto il Concilio di Trento e Carlo si era andato convincendo che era ormai possibile risolvere il problema protestante con la forza. Alleatosi con Maurizio di Sassonia, condusse una campagna sul Danubio, a cui Paolo III partecipò con uomini e mezzi e che si risolse con la vittoria di Muhlberg (1547), in cui fu distrutto l’esercito protestante e molti capi vennero fatti prigionieri.
Ma la situazione si capovolse rapidamente e Carlo fu costretto a firmare il trattato di Passavia (1552), con cui vennero liberati i principi protestanti prigionieri e fu ristabilita in Germania la libertà di culto. Una sua frase famosa era: “La ragione di stato non deve opporsi allo stato della ragione”.
Logorato nel fisico e nel morale, essendo ben consapevole di aver visto fallire il proprio disegno di monarchia universale cattolica, Carlo abdicò (1555-56), ritirandosi nel convento spagnolo di Yuste, dopo aver affidato la corona d’Austria al fratello Ferdinando I e la corona di Spagna con tutti i suoi domini al figlio Filippo II. Nel 1558 Ferdinando I assunse il titolo di imperatore del Sacro Romano Impero .
Il 16 ottobre del 1535 Carlo V venne a Randazzo e si fermò per tre giorni nel Palazzo Reale prima di ripartire per Messina.
Su questa visita molto si è scritto, qui vediamo di seguito quello che il Cappuccino padre Luigi Magro scrisse nel suo “Cenni Storici della Città di Randazzo” :
Per poter aderire all’opinione dei nostri storici Concittadini che affermano che l’Imperatore si sia fermato tre giorni a Randazzo, sarebbe necessario dare una delucidazione o fare una correzione: Carlo V° partì da Palermo il giorno 14 e giunse a Polizzi, il giorno 15 giunse a Troina, il giorno 16 giunse a Randazzo fermandosi il 17, 18 e 19; il 19 partì per Taormina ed il 20 per Messina.
In questa occasione, avendo trovato cadente per la vetustà l’antico Campanile di S. Nicolò, non approvando che fosse demolito un monumento così pregevole dell’arte antica, attesoché vantava l’epoca di sua costruzione probabilmente sin dall’anno 448, stimò piuttosto farlo fortificare con grosse catene di ferro, a spese del suo Imperiale Erario, come fu eseguito. Sebbene poi, con pena universale bisognò demolirlo nel secolo XVIII° perché il terremoto dell’11 gennaio 1693 che atterò la Città di Catania, lo aveva reso pericolante.
Dicono pure i nostri storici Concittadini, nei loro manoscritti che, quando l’Imperatore, dal punto della diruta Chiesa di S. Elia scoprì il nostro Paese, volgendosi ai circostanti, abbia detto queste parole: “Come si appella questa Città con tre Torri?” indicando i Campanili delle tre Chiese Parrocchiali; alla quale domanda il Magistrato rispose: “Semprecché la Parola Reale di Vostra Cesarea Maestà non deve andare indietro, è questa la Città di Randazzo dalla Vostra Maestà or ora onorata col Titolo di Città”. Al ché l’Imperatore soggiunse: resta accordato. ( A ricevere l’Imperatore è stato il Magistrato Civico (Sindaco di quei tempi) che si chiamava Francesco Lanza così come riportato nel libro rosso della chiesa di San Martino ndr ).
Di questo Titolo si servì l’Imperatore nel primo Privilegio che poi emanò a Messina per confermare a Randazzo tutti i Privilegi antecedenti i quali erano stati confermati nel Parlamento Generale che dallo stesso Imperatore era stato tenuto in Palermo nel precedente mese di settembre (Reg. Lib. Magno foglio 48).
Perciò Antonio Filoteo, nella celebre sua Topografia del Monte Etna, encomia la nostra Città con queste parole: “Randatium nobile Oppidum et Caesaris beneficio Civitatem”.
Oltre a dare al nostro Paese il Titolo di Città sembra che l’Imperatore lusingato dell’accoglienza molto calorosa, affacciandosi da una finestra del Palazzo Reale rivolgendosi alla folla acclamante , abbia detto:” Estoes todos Caballeros ” ( Siate tutti Cavalieri ) dal che il sottotitolo di questo sito: ” tutticavalieritutti “.
(Analogamente recatosi a Genova disse ai nobili genovesi: “Vi nomino tutti Marchesi”).
Da quel giorno da quella finestra non si è affacciato più nessuno .
A ricordo di questa memorabile visita qualche Randazzese malizioso gli dedicò una poesia:
E Carlu Quintu ti ‘ncurunau regina
Quannu passava ‘nta lu to Rannazzu
Ti vossi ‘nta lu sonnu chiu vicina
Cu’ illu ti purtau ‘nta lu palazzu……
Del suo passaggio in città rimane traccia in un documento del Libro rosso della chiesa di San Martino[1]:
«Die 18 octobris 1535: octave ind(ictioni)s
Sia noctu (et) manifesto ali posteri como nelo / supradicto tempo passao d(i) q(ui)sta chitati d(i) / Randatio la cesaria maiestà del imperaturi / n(ost)ro Carolo V° venendo cu(m) sum(m)a leticia (et) / triumpho havendo cu(m) la sua virtuti victori / d(i) Carthagini fedifraga (et) i(n) la ecclesia d(i) / Sancto Martino li fonti erano plini d(i) / aqua rossa (et) inanti li porti d(i)la predicta / ecclesia li foru facti certi arch(i) triu(m)phali / (et) tuti quisti cosi foru facti e(s)endo / aucturi et p(ro)curaturi lo venerabili / pres(bi)t(er)i Franchisco Purchello Valete»[2].
Il reverendo Giuseppe Plumari, parlando di tale evento, nel suo manoscritto Storia di Randazzo, riferisce che:
«Dai Manoscritti dè nostri Concittadini, si è venuto a capo di sapere, ch’Egli arrivò in questa nostra Patria nel Dì 18 ottobre di esso Anno 1535: Che la Porta della Città, pella quale entrò questo Augusto, nomata di S. Martino, fù apparata con più Archi trionfali; E che il Civico Magistrato, ch’era andato ad incontrarlo con tutta la Nobilità sino al Piano nomato Gurrita, arrivato, che fù al punto di dover entrare nella Città, gli presentò, dentro una Tazza di Argento, le Chiavi di tutte le Porte della Città.
Accompagnato indi dalla così detta Nobile Cavalcata, e dal Popolo giulivo, entrò in // Città, cavalcando sù di un bianco destriero, ed andò ad albergare nell’ampio Real Palazzo, in cui erano soliti abitare gli altri Sovrani antecessori.
Fin’oggi si osserva una Fenestra di esso Palazzo, che guarda la Tramontana, quale trovasi chiusa, e murata in venerazione di essersi dalla medesima affacciato il detto Imperatore. […]
Dimorò in Randazzo questo Augusto Monarca per lo spazio di altri tre Giorni, avendo ascoltata la S. Messa ogni mattina in ciascuna delle tre Chiese Parrocchiali, celebrata dall’Arciprete di quella Staggione; Ed in questa occasione, avendo trovato indebolito dalla Vetustà l’antico Campanile della Parrocchia di S: Nicolò, quale sembrogli, che minacciava rovina, non approvando Ei, che si demolisse un monumento così pregevole dell’antichità, atteso che vantava l’Epoca di sua costruzione sin dall’Anno 448 […], stimò piuttosto di farlo fortificare con grosse Catene di ferro a spese dell’Eratio suo Imperiale; come fù eseguito».
Ed aggiunge:
«Dicono pure i nostri Storici né loro Manoscritti, che allo scoprir, che fece esso Imperatore dal punto della // diruta Chiesa di Sto Elia, questa nostra Patria, disse à circostanti le seguenti parole: Come si appella questa Città con tre Torri? Indicando i Campanili delle tre Chiese Parrocchiali; a cui risposero così: Semprecchè la Parola Reale di V. Cesarea Maestà non deve andare indietro, è questa la Città di Randazzo, dalla Maestà Vostra, or ora onorata del Titolo di Città, al chè l’Imperatore soggiunse: Resta accordato»[3].
Figura 4: La città di Randazzo vista da dove un tempo sorgeva la chiesa di Sant’Elia
Di questa breve ma memorabile visita rimangono anche alcune leggende, ancora vive nella memoria popolare locale.
Una leggenda racconta che l’imperatore Carlo V, compiaciuto per l’accoglienza e le ovazioni del popolo randazzese, mentre era affacciato ad una finestra del Palazzo Reale, pronunciò la leggendaria frase: “Todos caballeros” (Siate tutti cavalieri), che fu intrepretata dal popolo come elevazione dei randazzesi al rango di cavalieri. La stessa finestra, sembra sia stata protagonista muta di un altro evento leggendario. La tradizione narra, infatti, che l’Imperatore mentre era affacciato a quella finestra, scorse una giovane e bella fanciulla bionda, appartenente ad una famiglia nobile randazzese di origini normanne, della quale si infatuò perdutamente e, pare, che dalla loro unione nacque un figlio/a illeggittimo/a.