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Sovranismi – Dal Sovranismo Regionale al Sovranismo Nazionale di Mario Scalisi

 

MARIO SCALISI

DAL SOVRANISMO REGIONALE AL SOVRANISMO NAZIONALE

CANEPA

Vivevo a Siena da sei anni. Quattro erano stati necessari per conseguire la laurea nella locale Università.  L’anno successivo ebbi l’occasione di collaborare con un giornale di quella città. Il sesto anno mi fu conferito l’incarico d’insegnare al Liceo Scientifico “Poliziano” di Montepulciano e, per completare l’orario  di cattedra, all’Istituto Tecnico Commerciale “Redi” del medesimo paese.
All’inizio dell’estate del 1969, come di consueto, rientrai in Sicilia, a Randazzo, mia città natale, per trascorrere le solite vacanze estive.

 Immancabilmente ad attendermi alla stazione della ferrovia dello stato c’era l’amico Totò Del Campo, cancelliere presso la Pretura di Randazzo. E immancabilmente l’amico cancelliere mi accolse con la solita domanda : “tutto bene nei paesacci?”. Io, altrettanto immancabilmente, risposi: ”si:”. Alla  domanda del cancelliere attribuivo il valore di una battuta. Certamente non si può definire “paesaccio” la splendida Toscana.
Alla fine dell’estate, però, non rientrai a Siena. Mio padre aveva bisogno del mio aiuto per sovrintendere i lavori di taglio e di vendita degli alberi dell’immenso castagneto di una delle nostre proprietà. Operazione che si effettuava ogni venti anni. L’evenienza rese felici i miei amici, in primis il cancelliere del Campo e Santino Cammarata.
Santino Cammarata aveva ricoperto per un breve periodo la carica di Sindaco di Randazzo. Da tempo ci interessavamo dei problemi amministrativi del comune e ci prendevamo cura d’informare i concittadini con la pubblicazione e diffusione periodica di un opuscolo.
Il 17 giugno del 1970 a Randazzo, in località Murazzu Ruttu,  confluirono i rappresentanti dei vari movimenti indipendentisti della Sicilia. Il motivo era quello di commemorare il professor Antonio Canepa, capo dell’Esercito Volontari per l’Indipendenza della Sicilia (EVIS), davanti al cippo eretto nel luogo in cui i carabinieri gli tesero  un agguato che portò alla sua morte.
Mi tornarono alla mente tutti discorsi che sentivo durante la mia infanzia, quando, nelle sere d’estate, gli adulti si ritrovavano davanti alle porte di casa e  facevano salotto seduti su  sedie malferme. Nei loro discorsi c’era grande consenso per il MIS, Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. Il bandito Salvatore Giuliano veniva dipinto come un eroe che avrebbe contribuito a far diventare la Sicilia un’ulteriore stella della bandiera degli Stati Uniti d’America. Qualcuno ricordava che negli anni successivi all’unità d’Italia, all’interno delle case delle famiglie più umili, era appeso il ritratto di Abramo Lincoln e non quello di Vittorio Emanuele II di Savoia.
Quel raduno dei movimenti indipendentisti avvenuto a Murazzu Ruttu e  il ricordo del fatto che uno dei miei fratelli quel 17 giugno 1945 si trovava nei pressi del luogo dell’agguato a Antonio Canepa, professore di storia delle dottrine politiche all’Università di Catania , mi fecero sorgere il desiderio di ricostruire gli ultimi giorni di vita del capo dell’EVIS

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Di questo mio progetto parlai con l’amico cancelliere Totò Del Campo. Sorridendo mi disse che nel dopoguerra lui era stato segretario del MIS di Randazzo. Nei giorni successivi mi fornì documenti riguardanti quel movimento indipendentista. Trovai una spiegazione alla domanda che mi faceva tutte le volte che rientravo a Randazzo “tutto bene nei paesacci?”, era conseguenza del motto separatista “al di là dello stretto il nemico”. Lo stretto è ovviamente quello di Messina.
All’inizio del mese di luglio del 1970 il cancelliere mi condusse a Francavilla di Sicilia e mi fece parlare col campiere dei feudi di Maria Majorca di Mortillaro, zia di Antonio Canepa e suocera di Franco Restivo, l’importante personaggio politico della Democrazia Cristiana, che ricoprì cariche pubbliche di grande rilievo. Fu componente dell’Assemblea Costituente, Presidente della Regione Siciliana, Ministro dell’Interno, della Difesa e dell’Agricoltura, rispettivamente nei governi presieduti da Giovanni Leone, Giulio Andreotti e Aldo Moro.

Il campiere  mi disse che il professor Antonio Canepa, autore dell’Opuscolo “La Sicilia ai Siciliani”, fondatore e capo dell’EVIS, Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia , qualche giorno prima di morire, fra il  13 e il 16 giugno 1945. si recò nel  feudo di  Maria Majorca di Mortillaro. Era accompagnato da due personaggi definiti dal campiere “silenziosi ed equivoci”. Sicuramente appartenenti o alla mafia o ai servizi segreti.”
Il feudo, di cui lui era il campiere, era base per il rifornimento di armi destinate all’EVIS.
In Sicilia la gente sapeva, a ragione, che l’Indipendenza trovava la compiacenza degli Inglesi e degli  Americani.  Ma gran parte della popolazione siciliana cadeva nell’errore di pensare che gli alleati sostenendo i movimenti indipendentisti della Sicilia intendessero cautelarsi per mantenere  sotto il loro controllo la strategica posizione dell’isola, nell’eventualità in cui l’Italia fosse rimasta sotto l’influenza di Tito e dell’Unione Sovietica.

 


Dai documenti ufficiali risulta, invece, che gli alleati non avevano mai pensato all’indipendenza della Sicilia, parlavano di “Italiani di Sicilia”.
Durante la conferenza di Yalta, che  ebbe luogo dal 4 all’11 febbraio 1945 e alla quale  parteciparono i capi dei tre paesi che sconfissero la Germania nazista: l’americano Franklin Delano Roosevelt, l’inglese Winston Churchill e il russo Iosif Stalin, fu concordata la spaccatura dell’Europa in due zone d’influenza. L’Unione Sovietica sarebbe stata potenza predominante nell’Europa Orientale e Centrale. Ma mentre si centellinò la proporzione d’influenza per ogni singolo stato europeo, nulla si disse dell’Italia, perché, in quella sede, fu considerata paese cobelligerante degli alleati.

E’ storia che i Siciliani tutte le volte in cui si sono trovati in stato di malessere sociale hanno sempre sfoderato l’indipendentismo.

 

Nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1943 gli Angloamericani, incontrando qualche difficoltà, sbarcarono in Sicilia, in un tratto di litorale lungo circa 150 chilometri  che va da Licata a Cassibile. La strategia dei comandi militari americani e inglesi era quella di stringere a tenaglia le truppe tedesche e impedire loro di trovare rifugio nell’Italia continentale. Da Licata dovevano partire operazioni militari in direzione di Palermo, da Cassibile in direzione di Catania e Messina.
Ai disagi patiti durante il periodo nazifascista si aggiunsero quelli derivanti dalle operazioni militari degli Americani e degli Inglesi. Randazzo, sede del comando tedesco, fu pesantemente bombardata dagli alleati per impedire gli spostamenti delle truppe tedesche, ma, quando entrarono in città, il generale Hube l’aveva già abbandonata per schierare le sue truppe in posizione più vantaggiosa.  Come sempre avvenuto per il passato, in una situazione così drammatica, rispuntarono i movimenti separatisti. Gli alleati li sostennero  per avere  la simpatia e l’appoggio della popolazione. Al sostegno degli alleati si aggiunse quello della mafia e del bandito Salvatore Giuliano.

 

Finalmente l’occupazione della Sicilia da parte degli alleati fu completata.

Nonostante molti comunisti e democristiani sostenessero il MIS, l’indipendenza della Sicilia non era vista di buon occhio dal Partito Comunista Italiano e, soprattutto, dalla Democrazia Cristiana di Salvatore Aldisio, allora Alto Commissario per la Sicilia. Aldisio preferiva la visione autonomistica di Luigi Sturzo. 
Divennero imbarazzanti i rapporti con l’EVIS, frutto della trasformazione del GRUPPO ETNA operata da Canepa. IL GRUPPO ETNA, guidato e composto da uomini di sinistra, fu artefice di diverse azioni armate nell’ambito della resistenza  in Sicilia contro il nazifascismo.

La mattina del 17 giugno 1945  mio fratello Gaetano, in groppa  all’asino, si recava nella nostra proprietà agricola in località “la Nave” nel confinante comune di Maletto.  Giunto a Murazzu Ruttu, poco fuori Randazzo, scorse  dei carabinieri appostati  in una curva della strada. Percorse qualche centinaio di metri e incontrò un motocarro che procedeva in direzione di Randazzo. Su quel motocarro viaggiavano il Professor Canepa  e quattro giovani: Carmelo Rosano, Giuseppe Lo Giudice e Francesco Ilardi. Dopo poco sentì degli spari. Si trattava del conflitto a fuoco, a seguito del quale trovò la morte il professor Antonio Canepa, capo dell’EVIS. Mio fratello ebbe l’impressione che quei carabinieri appostati stessero aspettando il passaggio di quel motocarro, partito da Cesarò per raggiungere il feudo di  Maria Majorca di Mortillaro.

Nei primi mesi del 1970 informai anche Santino Cammarata della mia ricerca di testimonianze tese a ricostruire le ragioni che portarono all’agguato di Murazzu Ruttu e alla morte di Antonio Canepa. Lui sapeva chi aveva trasportato all’ospedale Canepa e mi organizzò un incontro.

Qualche giorno dopo incontrai  Vincenzo Mazza davanti alla chiesa di San Martino, quartiere lombardo di Randazzo. Mi confermò di aver trasportato Canepa all’ospedale: “ Viaggiavo per lavoro col mio motocarro. Giunto a Murazzu Ruttu i carabinieri imposero l’alt a me e al motocarro di Luigi Arcidiacono. Notai subito che era successo qualcosa di grave e che c’erano dei feriti. Sul mio motocarro sdraiammo il professor Canepa.  I carabinieri dissero che si trattava di pericoloso brigante e ci imposero di seguire un percorso tortuoso che ritardò l’arrivo in ospedale. Il personale dell’ospedale di Randazzo fu messo in uno stato di ansia di fronte a quell’uomo definito brigante pericoloso. Finché non passò il dottor Giuseppe Petrina, che conosceva Canepa,  e disse “ma che brigante e brigante, questo è il professor Canepa”. Era troppo tardi. il prof Canepa, gravemente ferito all’inguine, morì dissanguato di lì a poco.”

La dinamica dello scontro a fuoco fra carabinieri e gli uomini dell’ EVIS che viaggiavano su quel motocarro insieme al professor Canepa ha avuto versioni diverse.


Da testimonianze raccolte sembra  che la trappola fu organizzata dai servizi segreti inglesi. A Canepa fu consegnata una borsa piena di soldi che doveva costituire il suo lasciapassare al controllo dei carabinieri. Ma quando i carabinieri imposero l’alt al motocarro del professor Canepa ci fu una sparatoria anomala, perché appostati c’erano alcuni giovani comunisti, due di Randazzo e tre dei paesi vicini. Uno di questi, alla fine della sparatoria alla quale aveva partecipato, prese la borsa di soldi, che avrebbe dovuto costituire il lasciapassare del povero prof Canepa, e la restituì ai carabinieri. Quella borsa scomparve  nel nulla. La vicenda dell’agguato a Canepa resta comunque oscura e imprecisa, come i tanti misteri della politica italiana.
C’è chi suppone che essa nasconda un regolamento di conti fra comunisti. Altri che collegano ad essa l’attentato a Togliatti da parte di Antonio Pallante.

Ma quali erano gli argomenti degli Indipendentisti dell’EVIS? Basta leggere “la Sicilia ai Siciliani”, l’opuscolo pubblicato dal professor Antonio Canepa, con lo pseudonimo Mario Turri. L’assunto è che “tutte le volte che la Sicilia è stata indipendente, tutte le volte che si è governata da sé , è stata anche forte, ricca e felice. Invece tutte le volte che abbiamo dovuto obbedire ai padroni venuti dal continente, siamo stati deboli, poveri e disprezzati.”

Quindi passa in rassegna le conseguenze delle dominazioni fatte dal continente.

La prima dominazione italiana fu fatta da Roma. I Romani erano un popolo incolto. Umiliarono e saccheggiarono il benessere spirituale e materiale  che fin dagli antichissimi tempi i Fenici e i Greci avevano portato in Sicilia. I governanti romani erano una banda di ladri. Imposero tasse, trafugarono statue d’oro e d’argento, si appropriarono delle risorse naturali della Sicilia e portarono il tutto “al di là dello stretto”.
  La popolazione fu ridotta in schiavitù.

La seconda dominazione fu quella della Monarchia Borbonica. Nel 1848 la Sicilia insorse per affermare la propria indipendenza da Napoli e per diciotto mesi fu libera.
La terza dominazione è quella derivante dall’Unità d’Italia, da Garibaldi al periodo liberale e al regime fascista.
Sempre furono trascurate e oppresse le ambizioni e le spettanze  dei Siciliani e la Sicilia fu trattata come un problema coloniale a vantaggio degli interessi Piemontesi.
Gli argomenti del MIS erano i medesimi, ma esposti in modo più aulico e sentimentale. Basti leggere la lettera dal carcere scritta da Attilio Castrogiovanni  considerato fra i più dinamici del MIS in quanto teneva i rapporti con l’EVIS, di cui, dopo la morte di Canepa, divenne per breve tempo comandante.

 

Il MIS continuò ad impegnarsi, come aveva sempre fatto, nell’organizzare i propri iscritti in sezioni territoriali, nell’  elaborare e nell’ approvare gli statuti interni del movimento.  




A fatica trovò un esponente di spicco: Andrea Finocchiaro Aprile, docente di Storia del Diritto all’Università di Siena.

Ineluttabilmente l’indipendenza della Sicilia tornò ad essere un sogno. Fu concessa l’Autonomia.

I vari movimenti indipendentisti si adoperarono per farsi accreditare dalle Autorità regionali. Alle elezioni indette per formare il parlamentino siciliano ottennero pochi voti.

Alcuni di essi, però, s’impegnarono a tenere aperto il problema dell’indipendenza della Sicilia a livello europeo.

A Marsiglia fu creata la sede del porta parola della Sicilia in Europa.

BOSSI

A novembre del 1970 abbandonai Randazzo, mentre ricoprivo la carica di vicesindaco, e mi trasferii in Valle Imagna, nella bergamasca, dove mi fu assegnata una cattedra per l’insegnamento nella Scuola Media di Sant’Omobono. Con l’abbandono di Randazzo abbandonai anche la ricerca sui retroscena politici italiani che determinarono la morte di Canepa.
In Valle Imagna, dove vivo da oltre cinquant’anni, mi è stata data l’opportunità di ricoprire diverse cariche elettive.
Alla fine degli anni ottanta, quando la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania cominciò a prendere piede, ricoprivo anche la carica di Presidente del Consorzio Idrico della Valle Imagna. L’Assemblea del Consorzio era formata da Sindaci e Consiglieri Comunali in rappresentanza di ciascun comune aderente al Consorzio Idrico che venivano eletti dai singoli Consigli Comunali.
La Lega Nord fu il risultato dell’Unione di vari movimenti: La Lega Lombarda, che propugnava la secessione dall’Italia, la Liga Veneta, Piemonte Autonomista, l’Unione Ligure e Alleanza Toscana. 
Agli inizi degli anni novanta l’Assemblea del Consorzio Idrico accolse i primi rappresentanti della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, quelli del comune di Palazzago. Erano il Sindaco Ferruccio Bonacina e il consigliere comunale  Cristiano Forte.
Già conoscevo gli argomenti dei leghisti. A parti invertite coincidevano con quelli del movimento per l’indipendenza della Sicilia. I leghisti  vedono la ricchezza delle regioni del Nord fagocitata da “Roma Ladrona” e sperperata per l’assistenzialismo dell’inetto Meridione d’Italia , di conseguenza creano lo slogan “Prima il Nord”.
Proprio per questo parallelismo fui interessato a dialogare con i due rappresentanti leghisti di Palazzago. In particolare con Cristiano Forte, che in quel tempo era anche impegnato a coordinare, per conto della Lega, i rapporti fra imprenditori bergamaschi e Comunità Europea. Successivamente, dal 2004 al 2006, ricoprì la carica di segretario Politico della Lega Nord di Bergamo.
Con Cristiano Forte parlai dell’indipendentismo siciliano e dei problemi effettivi delle regioni dell’Italia Meridionale e della Sicilia. Gli feci visionare alcuni documenti propagandistici del MIS. Fu particolarmente incuriosito dal fatto che un ufficio del Separatismo Siciliano avente sede a Marsiglia rilasciava ai nati in Sicilia che ne facevano richiesta, una carta d’identità valida per spostarsi nella Comunità Europea,.
Umberto Bossi con la Lega Lombarda prima voleva perseguire la secessione dall’Italia, poi da capo della Lega Nord per l’indipendenza della Padania il termine secessione divenne indipendenza. Ma la sostanza non cambiava.
Il leader massimo della lega non andava per il sottile, manifestò disprezzo per il tricolore dicendo che quando lo vedeva s’incazzava e che “la bandiera italiana gli serviva per pulirsi il culo”. S’impegnò a divinizzare il Po e organizzò in modo esemplare i raduni a Pontida, dove i suoi fedeli, vestiti in modo folcloristico, trovarono la tribuna mediatica per inveire contro Roma e l’inetto meridione d’Italia.
Per rafforzare l’immagine di separazione della Padania dal resto d’Italia, prese le distanze dalla nazionale di calcio, creò la Padania Football Association A.S.D. e organizzò il concorso per l’elezione di Miss Padania.
Non poteva mancare la costituzione del Parlamento della Padania. E non poteva mancare la creazione della Guardia Padana per vigilare le strade “dove si annidano puttane e culattoni e dove, complice l’oscurità, si annidano gli infidi negri, rom, ladri, nomadi, zozzi comunisti, drogati.”

Creò i suoi gadget indipendentisti. La carta d’identità della Repubblica Federale Padana, 

e coniò la moneta della Banca Nord Nazione.

 

 

Tale animus, col quale si rivelava livore verso l’Italia di Roma ladrona e dei terroni, nella realtà di quel periodo, lasciava aperta a Bossi solo la via di un’insurrezione armata per poter realizzare l’indipendenza della Padania.
I Francesi avrebbero detto che  Bossi  si era cacciato in un cul de sac, cioè in un vicolo cieco. Nessuno, né a livello nazionale né a livello internazionale, avrebbe compreso e sostenuto azioni tese a spaccare l’Italia.
Il programma della Lega di Bossi non trovava riscontro in nessuno dei partiti politici italiani. Né in quelli di centrodestra: Forza Italia, UDC e Alleanza Nazionale, né in quelli del centrosinistra: Partito Democratico della Sinistra e Partito Popolare Italiano.
Essendo impossibile la secessione armata, la Lega Nord di Bossi ritenne conveniente entrare nelle stanze del Governo Nazionale per realizzare una qualche riforma che desse più poteri alle Regioni  con conseguenti maggiori vantaggi per le Regioni padane.
A partire dalle elezioni del 1994, navigando fra centrodestra, centrosinistra e centrodestra, la Lega Nord, intraprese la strada della devolution, che consisteva in una incisiva riforma della Costituzione. A fronte della  devolution, che, fra l’altro, recepiva il trasferimento di alcuni poteri alla competenza esclusiva delle regioni, Bossi rinunciò a ciò che non avrebbe mai potuto realizzare: l’indipendenza padana a mezzo della secessione.
La devolution fu definitivamente approvata dal Parlamento nel 2005, ma fu bocciata dal referendum costituzionale del 2006.
Morto un Papa se ne fa un altro. La Lega Nord calò sul tavolo dei giochi politici il Federalismo Fiscale. Serviva per Assegnare agli enti decentrati una maggiore autonomia di entrate e spese. Per introdurre il Federalismo Fiscale  non c’era bisogno di operare alcuna riforma della carta costituzionale.
Il federalismo fiscale della Lega Nord nel 2011 finì sepolto sotto le macerie della caduta del governo Berlusconi. Bossi si trovò con in mano un pugno di mosche e un consenso elettorale in caduta libera.
Per chiudere definitivamente le velleità della Lega Nord non fu necessario organizzare un agguato a Bossi, come quello organizzato per eliminare Canepa a Murazzu Ruttu. Bossi l’agguato se lo era organizzato da solo. La Lega Nord infatti aveva truffato allo Stato circa 49 milioni di euro, parte dei quali spesi a vantaggio dei motivi familiari del Senatùr.
Ad aprile del 2012, nel corso del Consiglio federale tenutosi nella sede di Via Carlo Bellerio, Bossi si dimise da segretario federale della Lega Nord, fu nominato presidente del partito. Al triunvirato Maroni, Calderoli, Dal Lago fu affidata la reggenza del partito  sino all’elezione del nuovo segretario federale.
Qualche mese dopo, il  1° luglio 2012, Roberto Maroni fu nominato nuovo Segretario Federale della lega Nord.

SALVINI

Roberto Maroni ricoprì la carica di segretario della Lega Nord per poco più di un anno. Il “barbaro sognante” si dimise il 15 dicembre 2013 per dedicarsi in modo completo ai compiti derivanti dalla carica di Presidente della Regione Lombardia conquistata a seguito delle elezioni del 2013.

Nuovo segretario della Lega Nord è eletto Matteo Salvini.

La sua elezione costituisce il punto terminale delle lotte intestine della Lega. Chiude o cerca di chiudere le vecchie ferite, ma ne provoca delle altre.
Sono contenti tutti i leghisti che erano stati emarginati o espulsi dal partito perché non graditi al “cerchio magico” di Umberto Bossi.
Nella Lega Nord di Salvini, dei vari obbiettivi perseguiti da Umberto Bossi resta vivo , ma problematico da realizzare, il federalismo  fiscale.
Problematico da realizzare perché Salvini intraprende la via della trasformazione della Lega Nord da partito del Nord d’Italia in partito nazionale. Cioè passa dal sovranismo regionale al sovranismo nazionale.
Questa trasformazione avviene in modo graduale ma irreversibile, nonostante l’irritazione dei leghisti fermamente convinti della necessità d’indipendenza per la Padania. Dal simbolo della Lega sparisce la parola Nord. Esso diventa Lega Salvini Premier.
Tutti gli slogan contro i terroni sono trasformati in attestazioni di amore verso il Sud d’Italia.

PRIMA

                                                                             

         DOPO 

                                                                  

Salvini ha le caratteristiche dell’uomo giusto per effettuare il passaggio dal sovranismo regionale a quello nazionale. Senza problemi dimentica il suo passato di capolista dei comunisti padani nel Parlamento della Padania e le sue frequentazioni, anche se saltuarie, del centro sociale Leoncavallo di Milano. Dimentica allo scopo di poter scambiare sorrisi  col movimento politico di estrema destra  Casapound e per potersi esibire al fianco di Marine Le Pen presidente del Fronte Nazionale francese.  
Conseguentemente deve abbandonare la sua  fede marxista e sbandierare quella cristiana. Probabilmente senza aver approfondito né i valori essenziali dell’una né quelli dell’altra.
Salvini fa della lotta all’immigrazione il suo cavallo di battaglia, grazie al quale ottiene consenso popolare. Purtroppo esordisce con una foto contradditoria.
Col manifesto attaccato alla parete Salvini intende evidenziare il fatto che, i pellerossa, avendo subito l’immigrazione degli Inglesi, sono finiti a vivere nelle riserve. Contemporaneamente Salvini indossa una maglietta che rappresenta il Presidente Trump e i suoi slogan contro l’immigrazione e solleva il pollice in segno di approvazione.
A Salvini è sfuggito il fatto che gli Inglesi non erano emigrati in America. In America avevano operato una conquista coloniale.
E gli è sfuggito il fatto che Donald  Trump è il discendente di quegli “immigrati” che erano sbarcati in America e avevano confinato nelle riserve i Pellerossa.


Non importa. Salvini può dire agli Italiani qualsiasi cosa. Può dire persino che è possibile andare in bicicletta sulla Luna. Circa il 30% degli elettori ci crede e magari pensa che Capitan Salvini sia una reincarnazione di Jules Verne.
Divenuto sovranista nazionale Salvini  si comporta in modo coerente. Se il sovranismo regionale aveva l’obiettivo di rompere l’unità dell’Italia, il sovranismo nazionale non può avere altro obiettivo se non quello di scombinare la possibile evoluzione delle istituzioni europee verso una forma di unione più compatta e autorevole a livello mondiale.
Non abbandona del tutto la campagna “Basta Euro”, snobba le istituzioni europee, si esibisce solo con quei capi di stato che svolgono il ruolo di pensarla come lui.
Cerca di instaurare  rapporti con Trump e Putin. Ma lo fa da dilettante della politica internazionale.
I rapporti con i capi di stato stranieri si tengono dopo aver preventivamente approfondito i loro obiettivi, gli interessi dello stato che rappresentano, le relazioni che essi hanno con gli altri stati e con i rispettivi operatori economici.
Salvini forse ha capito qualcosa dall’ “affaire Savoini” La Russia di Putin teneva i rapporti con gli imprenditori veneti e con Berlusconi a mezzo di persone più autorevoli e più competenti del suo intermediario.
E forse ha capito che per il capo di un partito che si propone di governare l’Italia è sconveniente tifare apertamente per uno dei due candidati alla presidenza degli Stati Uniti d’America.
L’amicizia dell’Italia è con il popolo americano e col Presidente che essi esprimono democraticamente.
I fatti  sopra enumerati costituiscono parte dell’azione politica fin ora effettuata da Salvini ed evidenziano le sue contraddizioni più evidenti.
L’impegno politico di Salvini è ancora in corso. Per tale motivo non ritengo lecito esprimere un giudizio sul suo operare, perché sarebbe un giudizio politico e non storico.
Bisogna attendere. I lavori sono ancora in corso.
Credo, però, che sia possibile esprimere qualche sensazione. Per la Lega delle origini aveva un senso portare all’occhiello Alberto da Giussano. E aveva un senso che, come conseguenza, si sentisse risuonare nelle orecchie il “Va pensiero sull’ali dorate…”.
Con Salvini Italiano L’inno “Fratelli d’Italia”, cantato da lui, sembra un po’ stonato.
Il suo comportamento attuale fa risultare enigmatico il contenuto dei suoi discorsi e inutile entrare nel merito dei suoi ragionamenti. Un motivo musicale risuona spontaneamente nelle nostre orecchie: “La  donna è mobile qual piuma al vento. Muta d’accento e di pensier”.
Ora resta solo da attendere con quali modalità e con quali contradizioni avverrà il passaggio della Lega Nord dal sovranismo nazionale al sovranismo dell’Unione Europea, frenato proprio dai sovranismi nazionali.
Quali sconquassi combinerà con la sua alleata/avversaria Giorgia Meloni  Presidente dei FdI.

Mario Scalisi

 

 

 

 

 

ANTONIO CANEPA

CANEPAAntonio. – Nacque a Palermo il 25 ott. 1908, in una famiglia di origine genovese, da Pietro e da Teresa Pecoraro.

Nel 1930 il C. si laureò in giurisprudenza all’università di Palermo con una tesi di filosofia del diritto dal titolo Unità o pluralità di ordinamenti giuridici?, nella quale appaiono già con chiarezza tesi politiche antifasciste.

Durante il servizio militare, prestato a Palermo, iniziò l’attività pratica di opposizione al regime, che si concretò inizialmente nei legami stretti con un gruppo di antifascisti settentrionali (Attinelli, Vittoriano Massolo, Davide Turrone, Biglieri ed altri).
Con essi formò un gruppo omogeneo per orientamento ideologico, più tardi chiamato dei “sanmarinesi”, con i quali studiava l’attuazione di un colpo di mano nella Repubblica di San Marino, per dimostrare l’esistenza in Italia di forze contrarie al regime fascista.

Questo piano, che doveva concretamente essere messo in atto nei primi di giugno del 1933, consisteva nel far convergere nella Repubblica alcuni gruppi provenienti da varie parti d’Italia, occupare i posti di polizia locali, impadronirsi della radio, catturare la famiglia fascista Gozzi, che a San Marino deteneva il potere, impadronirsi del tesoro pubblico (destinato a finanziare l’antifascismo all’estero), emettere via radio una serie di comunicati antifascisti, quindi, dopo ventiquattro ore di occupazione, possibilmente riparare in Svizzera.

Il complotto tuttavia fallì, in seguito all’arresto del fratello del C., Luigi, che era stato trovato in possesso dei piani dell’occupazione, durante un suo soggiorno di ricognizione a San Marino. Subito dopo le autorità fasciste operarono altri venti arresti fra cui quello dello stesso Canepa.
.In seguito al processo il Canepa venne internato in manicomio a Roma e poi a Palermo, mentre agli altri congiurati vennero inflitte pene varianti fra i quattro e i due anni. Dimesso dalla casa di cura nel 1935 il C. rinunciò, temporaneamente, all’attività di aperta opposizione al fascismo ed iniziò una attività di ricerca e di studio. Già nel 1937 pubblicò a Roma in tre volumi il
 Sistema di dottrina del fascismoBenché quest’opera venisse lodata dalla rivista ufficiale Gerarchia (XVIII [1938], 8, p. 580) e nonostante il titolo, essa era costruita con un abile taglio per la propaganda di idee democratiche antifasciste, con amplissime citazioni di opere proibite, specie marxiste. Questa caratteristica non sfuggiva al Popolo d’Italia, che le dedicò un corsivo molto polemico.

Nel 1937 il C. otteneva l’incarico di storia delle dottrine politiche e di storia dei trattati e politica internazionale, all’università di Catania. Egli venne allora ad assumere il duplice ruolo di professore universitario ligio al regime e di clandestino animatore ed organizzatore dei primissimi nuclei di Giustizia e Libertà. Contemporaneamente divenne agente dell’Intelligence Service inglese.

Johann Wolfgang von Goethe.

Allo scoppio della guerra il Canepa  era in prima linea nell’attività antifascista: rappresentava infatti i nuclei Sicilia e Libertà a Catania: si trattava delle prime organizzazioni di orientamento indipendentista, di cui era presidente Andrea Finocchiaro Aprile, convinte della necessità di azioni armate contro il fascismo.
Sin da questa prima fase il Canepa  rappresentò l’ala sinistra del movimento indipendentista siciliano e, con tale orientamento, pubblicò, a Catania, nel 1942, un opuscolo che ebbe larga diffusione a Catania, ma anche a Messina e a Palermo.
Il titolo di tale opuscolo era 
La Sicilia ai siciliani e venne pubblicato con lo pseudonimo di Mario Turri.

In esso, dopo una ricostruzione delle vicende storiche dell’isola il C. afferma che “la Sicilia si è trovata male sotto qualunque governo che non fosse siciliano. E si è trovata malissimo sotto il governo italiano. E si è trovata ancora peggio, peggio che mai, sotto il governo fascista”, e conclude affermando “Non si può continuare come per il passato. Per noi siciliani è questione di vita o di morte. Separarci o morire”.

Argomentazione centrale del C. in questo scritto è inoltre quella che l’indipendenza siciliana sia lo strumento indispensabile per il progresso delle classi inferiori.

In questa idea sta anche il nucleo dell’indipendentismo di sinistra rappresentato, oltre che dal C., più tardi anche da Antonino Varvaro.
Tale concezione sarà però destinata a scontrarsi con il separatismo reazionario degli agrari e sarà, molto verosimilmente, questa l’origine, non solo della divisione del movimento indipendentista, ma anche della morte stessa del Canepa.

L’attività pubblicistica era però la parte meno importante dell’azione antifascista del Canepa, dalla fine del 1942 alcuni gruppi da lui diretti iniziarono azioni armate contro installazioni fasciste e germaniche. In tal modo, sempre per iniziativa del C., prese corpo il primo nucleo dell’E.V.I.S. (Esercito volontario per l’indipendenza siciliana).
Fra le azioni di rilievo compiute in questa fase va annoverato soprattutto il sabotaggio compiuto all’aereoporto di Gerbini, presso Catania, importante base aerea germanica per le incursioni sulla isola di Malta, un mese prima dello sbarco alleato in Sicilia.
Dopo l’arrivo delle forze alleate il C. collaborò attivamente con esse e operò anche da collegamento con le organizzazioni partigiane del Nord.
Nei primi mesi del 1944 si trovava infatti in Toscana, dove comandava una brigata partigiana denominata “Matteotti”, ma di orientamento anarchico e non inquadrata nei partiti del Comitato di liberazione nazionale.
A Firenze fondò anche, ma si trattò solo di un’esperienza transitoria, un “Partito dei lavoratori“. In tale periodo si collocano anche i suoi contatti, secondo molte testimonianze assai stretti e per taluni anche da militante, con il Partito comunista italiano.
Per esempio secondo Edoardo D’Onofrio il C. ebbe strettissimi contatti con le organizzazioni del partito (cfr. Gaja, pp. 200-02); questa attività militante del Canepa  nelle file del PCI non è però corroborata da altre testimonianze: Leonardo Sciascia ricorda come manchi in proposito un documento ufficiale e il Renda lo esclude esplicitamente.

Dopo il periodo di cui si è detto al Nord, il Canepa  ritornò, alla fine del 1944, a Catania dove riprese il suo posto di professore universitario, e il ruolo di capo del braccio armato del Movimento indipendentista, al quale egli affidò, in opposizione alla maggioranza moderata dell’indipendentismo siciliano, un ruolo decisamente rivoluzionario. Il movimento era stato, fin dal suo sorgere nel 1942, appoggiato dalle forze alleate. Quando tale appoggio venne a mancare, la lotta armata tuttavia continuò in varie parti dell’isola. Il C., che costituì anche una sua brigata nel marzo del 1945, continuò ad esserne uno dei capi militari.

Il 17 giugno 1945, nel corso di un conflitto a fuoco con i carabinieri, sulla strada fra Randazzo e Cesarò, Antonio Canepa veniva ucciso.
Alcune donne (tra cui la mamma di Emanuele Gullotto) sentendo tutto questo trambusto andarono nella chiesa dei Cappuccini a chiamare il dottor Gianbattista Pannisidi Sapio  che stava ascoltando la Messa e questi con padre Luigi Magro (autore del libro: “Cenni storici della Città di Randazzo” che puoi trovare in un’altra parte del sito) prontamente si recarono sul posto, ma non c’era più nulla da fare per il Canepa. Furono portati all’ospedale, lì si trovavano casualmente Nino Greco e Gino Paparo, e venne chiamato pure il dottor Salvatore Mannino che accerta la morte di Antonio Canepa (per dissanguamento  e dei giovani che erano con Lui: Giuseppe Lo Giudice e Carmelo Rosano.

Antonio Canepa è sepolto nel cimitero di Catania, nel viale dei siciliani illustri, accanto a Giovanni Verga e Angelo Musco.

 

Luigi Putrino

Dopo 79 anni ha un volto il «Ragioniere Donovan»: lo 007 che contribuì allo sbarco del ’43 in Sicilia

di — 

 

Mario Carastro

Dopo 79 anni ha un volto il «Ragioniere Donovan», è mister Anthony Eric Heath, ex vice amministratore della Ducea Nelson di Bronte, lo 007 inglese facilitatore dello sbarco Alleato del ’43 (avvenuto nella notte fra il 9 e 10 luglio), nonché contatto degli indipendentisti siciliani Antonio Canepa e Salvatore Giuliano.
Il misterioso personaggio è stato identificato dall’ingegnere Mario Carastro, cultore di storia patria, originario di Bronte.

«Secondo molti studiosi, il famoso ragioniere Donovan era stato amministratore della Ducea Nelson, negli anni Trenta. Ebbene, oltre Heath – spiega Carastro – tale ruolo in quel decennio lo ricoprirono: George Dubois Woods (partito per il Canada nel 1938), George Niblett (trasferitosi in Inghilterra nel 1940) e Lawrence Hughes (internato come nemico in un campo di concentramento a Parma dal giugno 1940)».

Prosegue Carastro: «Soltanto Anthony Eric Heath, quindi, poteva trovarsi in Sicilia nel 1943 ed essere riconoscibile come ex amministratore dei Nelson. Questo e altri dettagli consentono, con ragionevole certezza – puntualizza l’ingegnere -, d’identificare Heath con il ragioniere Donovan, capo operativo di Mario Turri, alias del professore Antonio Canepa, comandante dell’Evis e agente segreto inglese pure lui, ucciso durante il conflitto a fuoco vicino a Randazzo, all’alba del 17 giugno 1945».

Sulla prima permanenza siciliana del giovanissimo Tony, Carastro racconta: «Nel novembre del 1929, il V duca di Bronte, Alexander Nelson Hood, a Londra decise di assumerlo come aiuto amministratore. Le modalità del suo viaggio, comunicate da Scotland Yard personalmente al Duca, fanno dedurre che l’impiego fosse di copertura e che Nelson Hood lo sapesse, vista la sua posizione alla Corte britannica. Heath arrivò a Bronte, al castello di Maniace, il 4 gennaio 1930, ad agosto 1935 fuggì a Malta, per scampare all’arresto del controspionaggio italiano».
Mario Carastro non è nuovo a scoop sulla Ducea di Bronte, ambiente dov’è cresciuto e di cui conserva, oltre ai suoi, ricordi e documenti personali del padre Giuseppe e del nonno Mario (un tempo impiegati al Castello Nelson). Ricerche nell’«Archivio privato Nelson», riscontri nel diario personale inedito del V Duca di Bronte e altri approfondimenti – sia bibliografici sia con i figli di mister Heath, Philip (che, come l’ingegnere, abita a Roma) e Sebastian (che vive in Inghilterra) – hanno consentito a Carastro d’individuare l’agente segreto dell’MI6 «Heath-Donovan», tanto cercato per 79 anni da storici e giornalisti.
«Nel 1943 l’abile 007 fu inviato in Nord Africa, con la VIII Armata inglese, e poi in missione segreta in Sicilia, per facilitare lo sbarco alleato. Nel catanese, sotto le vesti del ragioniere Donovan – evidenzia Carastro -, Heath ordinava sabotaggi a Canepa e al suo gruppo clandestino antifascista di giovani guerriglieri, fiduciosi nel sostegno inglese per l’indipendenza siciliana.
Il 10 giugno ’43, nella piana di Catania presso Paternò, ci fu il sabotaggio più clamoroso, alla base aerea militare italo-tedesca di Gerbini, che l’indomani – ricorda – consentì agli Alleati la presa di Pantelleria e il via libera all’operazione Husky».
«Nel 1950 Tony Heath è di nuovo in Sicilia, per parlare con il bandito Salvatore Giuliano, su richiesta dello stesso colonnello dell’Evis, il quale, alcuni mesi dopo quell’incontro, nella notte fra il 4 e il 5 luglio, sarà ucciso a Castelvetrano», conclude Carastro.
Anthony Eric Heath (1912-1995), nella sua lunga carriera rivestì anche prestigiose cariche diplomatiche per il Governo britannico in diversi Stati, fra cui l’Italia, dove intrattenne relazioni di alto profilo politico-istituzionale e culturale.
Questo e altro, Mario Carastro affronta nella sua ultima ricerca storica sulla Ducea Nelson, dal titolo «Spionaggio e controspionaggio a Bronte e Maniace 1930-1945» (luglio 2022).

Luigi Putrino

 

 

Fu strage di stato

A tutt’oggi ancora avvolto nel mistero
l’agguato di Randazzo del 17 giugno 1945

di Giuseppe Scianò

 

La mattina del 17 giugno 1945, sulla strada che da Cesarò porta a Randazzo e in prossimità del bivio per Bronte, in contrada “Murazzu ruttu”, un rumoroso e malandato motofurgone Guzzi 500 incappa in un posto di blocco, non casuale, dei Regi Carabinieri. Non è un motofurgone qualsiasi, che avrebbe comunque dato nell’occhio perché sono tempi tristissimi nei quali sono pochi gli automezzi in circolazione. Sono più comuni i quadrupedi e i carretti.

 

L’uccisione di Antonio Canepa.

Questo motofurgone è particolare perché trasporta armi nel cassone e ha a bordo il fior fiore dell’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia)
. Probabilmente i carabinieri ne erano stati informati. Chi c’è, in pratica, sul furgone? In tutto sei persone.

Alla guida, isolato nella semicabina anteriore, c’è Giuseppe Amato Papaleo (nome di battaglia: Joe, anche se gli amici lo chiamano Pippo), vice comandante dell’EVIS, amico di vecchia data e principale collaboratore del comandante Mario Turri, con il quale ha condiviso la inquietante lunga esperienza di agente dell’Intelligence britannica. Pippo è un giovane molto efficiente e preparato, è di idee socialiste e appartiene a una prestigiosa famiglia borghese di Catania. Da poco ha compiuto ventuno anni, essendo nato il 9 giugno 1924.

All’interno del furgone ha preso posto il comandante Mario Turri. È questo, infatti, lo pseudonimo scelto dal prof. Antonio Canepa, nato a Palermo il 25 ottobre del 1908, docente dell’università di Catania, protagonista di diverse iniziative politiche e talvolta rivoluzionarie, quanto meno nelle intenzioni. Era stato attivo collaboratore, se non un agente, dei servizi segreti britannici in funzione antifascista e antitedesca.
Non sappiamo perché nel 1943, quando, con lo sbarco degli Alleati, già in Sicilia si sarebbe potuta giocare la carta dell’indipendenza, il prof. Canepa invece se ne sia andato in Continente a fare il partigiano italiano. Ma, in quel 17 giugno 1945, Canepa ha già da tempo lasciato alle spalle l’esperienza di partigiano vissuta, con lo pseudonimo di Tolù, fra gli Abruzzi e la Toscana.

E ha anche abbandonato la guida di un partito marxista-leninista fondato a Firenze, unitamente a una battagliera testata giornalistica. Non sappiano, né ci interessa sapere, quanto la sua attività fosse apprezzata dal Comitato toscano di liberazione nazionale. Siamo sicuri però che un certo “scrusciu” lo faceva. 
Con l’accusa che il suo giornale veniva stampato senza autorizzazione, Canepa aveva dovuto subire un processo e una piccola, ma significativa, condanna. Segno, questo, che i compagni del PCI della Toscana non gli volevano più bene (ammesso che prima gliene possano aver voluto) né lo volevano più fra loro.

Nell’ottobre del 1944 Canepa era quindi ritornato in Sicilia, ben deciso a mettere a disposizione della lotta per l’indipendenza le proprie esperienze, l’immensa cultura, il coraggio e, soprattutto, la sua stessa vita. Probabilmente è quello il momento in cui Canepa è diventato separatista. Di certo è che egli è separatista.
Dopo un incontro con Andrea Finocchiaro Aprile, leader carismatico dell’Indipendentismo siciliano, ottiene il “silenzio-assenso” (o ne riceve una vera e propria autorizzazione) a costituire l’EVIS. Fino a quel momento in Sicilia erano esistite varie formazioni separatiste giovanili, soprattutto studentesche, paramilitari. Basate però prevalentemente sullo spontaneismo e sull’entusiasmo. Senza la preparazione, l’addestramento e quel senso dell’organizzazione quasi scientifica che Canepa voleva che l’EVIS avesse.

Il 17 giugno 1945 un altro passeggero del motofurgone è lo studente universitario (Facoltà Economia e Commercio) Carmelo Rosano, il quale proprio quel giorno compie ventidue anni (era nato il 17 giugno 1923). Rosano è senza dubbio uno dei migliori uomini dell’EVIS. Preparato, serio, militante convinto. Naturalmente distinto ed elegante nel portamento. Appartiene a un’ottima famiglia ed è il braccio destro del comandante Turri.

[ Sulla morte di Carmelo Rosano leggi “Onore ai martiri siciliani” ]

Altri due giovani studenti che si trovano sul motofurgone, entrambi nati nel 1924, sono Nino Velis e Armando Romano che, per percorsi e diverse vicende sopravviveranno all’eccidio di Randazzo unitamente a Pippo Amato. Infine, c’è il guerrigliero più giovane. Si chiama Giuseppe Lo Giudice, detto Pippo, studente ginnasiale, appena diciottenne. Era nato a San Michele di Ganzeria il 2 gennaio 1927.

Quanto fosse valido lo dimostra il fatto che i superiori lo avevano voluto con loro in una missione tanto delicata. Gli si legge in faccia che è un giovane di ideali purissimi e pieno di entusiasmo. Non è un personaggio secondario, qualche volta da ricordare e qualche volta no. Ben rappresenta tutti i ragazzi siciliani. Giuseppe Lo Giudice è, infatti, il simbolo dell’Indipendentismo Siciliano di ogni epoca: onesto, leale e generoso.

Ci siamo permessi di richiamare qualche dato biografico dei sei guerriglieri per evitare che con il tempo si dimenticasse anche ciò che è importante. Ma soprattutto per ricordare a noi stessi e agli storici e ai giornalisti e a coloro che sono soliti occuparsi del Separatismo Siciliano, come  nessuno (dico nessuno) dei guerriglieri siciliani che il 17 giugno del 1945 si trovavano sul vecchio Guzzi 500 potesse essere accusato di essere delinquente comune o mafioso In contrada “Murazzu Ruttu” morì crivellato di colpi, e per primo, Giuseppe Lo Giudice. Canepa e Rosano, gravemente feriti, moriranno invece a Randazzo.

 

La morte di Antonio Canepa: un “caso” rimasto aperto dal 1945.

La morte di Antonio Canepa, il “professore guerrigliero” creatore dell’EVIS (Esercito Volontario Indipendenza Siciliana), avvenuta nel corso di un conflitto a fuoco con una pattuglia di carabinieri alle porte di Randazzo il 17 giugno del 1945, può considerarsi, a tutti gli effetti, un “caso ancora aperto”. In quell’azione militare, la cui dinamica non è mai stata pienamente chiarita, caddero anche due giovani militanti dell’EVIS, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, mentre un quarto ragazzo, Nando Romano, rimase ferito e venne arrestato.

Il “caso Canepa” viene riaperto con la pubblicazione di due volumi del giornalista Salvo Barbagallo, “Antonio Canepa, ultimo atto” e “L’uccisione di Antonio Canepa”, due libri connessi tra di loro: nel primo si trova l’analisi del personaggio e del periodo storico in cui visse; nel secondo libro una vera e propria “anatomia” sui documenti (la maggior parte inediti) che riguardano l’oscura vicenda del conflitto a fuoco a Randazzo.

 

La fine di Antonio Canepa, che rappresentava la punta avanzata e progressista del Movimento indipendentista siciliano (che allora contava ben 500 mila iscritti, là dove i nascenti partiti tradizionali – dal PCI al PSI, alla DC – raggranellavano poche migliaia di iscritti), segna una svolta nella vita della Sicilia che aspirava all’indipendenza. Un anno dopo all’ Isola verrà concessa un’Autonomia Speciale quale palese compromesso tra la nuova Italia, nata dalle macerie della guerra, e la Sicilia che dal giogo fascista era stata liberata nell’estate del 1943, quando le sorti del conflitto mondiale ancora erano incerte.

Il Movimento indipendentista siciliano venne non solo accettato ma anche alimentato dagli “alleati” angloamericani e abbandonato quando si comprese che la fine della Germania nazista era prossima.

Antonio Canepa era d’ostacolo a ciò che il futuro del mondo presentava, dopo gli accordi di Yalta.

Chi volle l’eliminazione di Canepa?  Nessuna traccia documentale negli archivi italiani, inglesi e americani.
Che la fine di Canepa sia stata predeterminata il giornalista Salvo Barbagallo lo fa emergere proprio dall’analisi dei documenti che è riuscito a reperire, pur dovendo ammettere che sui “mandanti” di quello che oggi può definirsi un vero “agguato” si possono fare solo ipotesi.

Francis Drak

 

Ciccina Lo Giudice: “Piango ancora mio fratello, ucciso con il prof. Canepa e gli altri”. 

                   Ciccina Lo Giudice sorella di Peppino ucciso con Canepa.

Sono passati pochi giorni dalla commemorazione della strage di murazzu ruttu, a Randazzo dove il 17 giugno del 1945 vennero uccisi, antonio canepa, docente universitario e comandante dell’evis (esecito volontario per l’indipendenza della sicilia),  insieme con carmelo rosano (22 anni), giuseppe amato detto pippo (21 anni), antonio velis (21), peppino lo giudice ( studente liceale diappena 18 anni). Incredibilmente i reali carabinieri, li avevano scambiati per banditi. Un professore universitario e tre ragazzi. Della figura di canepa, della sua morte e delle particolari condizioni storico-politiche  della sicilia del dopoguerra, vi abbiamo raccontato in numeorisi articoli, come questo: canepa una strage premeditata. (e in altri correlati sotto).
Sono passati pochi giorni dalla commemorazione della strage di Murazzu ruttu, a Randazzo. Dove il 17 giugno del 1945 vennero uccisi, Antonio Canepa, docente universitario e comandante dell’EVIS (Esecito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia),  insieme con Carmelo Rosano (22 anni), Giuseppe Amato detto Pippo (21 anni), Antonio Velis (21), Peppino Lo Giudice ( studente liceale diappena 18 anni). Incredibilmente i Reali Carabinieri, li avevano scambiati per banditi. Un professore universitario e tre ragazzi. Della figura di Canepa, della sua morte e delle particolari condizioni storico-politiche  della Sicilia del dopoguerra, vi abbiamo raccontato in numeorisi articoli, come questo: Canepa una strage premeditata. (E in altri correlati sotto).

 

Oggi  pubblichiamo, invece,  la straordinaria testimonianza di quei giorni della sorella di Peppino Lo Giudice, il più giovane tra le vittime di quel giorno del lontano 1945:  Ciccina Lo Giudice, che ha parlato con  la nostra collaboratrice, Daniela Giuffrida, attivista del Mis, il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, del suo dolore mai sopito per la morte violenta e prematura del fratello. Si sono incontrate al cimitero di Randazzo, il 17 giugno scorso.

In un angolo assolato del cimitero di Catania, in quel “viale degli uomini illustri” dove riposano in pace anche Giovanni Verga ed Angelo Musco, quattro “giovani banditi” morti per la loro terra, riposano, sotto il sole cocente, all’ombra di una colonna spezzata a metà come le loro vite, mentre, la loro bandiera “da combattimento”, sventola adagio sopra i nostri fiori gialli e rossi. Sono in quattro e riposano li, uno accanto all’altro, per l’eternità, come vicini avevano lottato per un unico scopo… per quella “Indipendenza” della Sicilia che aveva regalato loro la stessa sorte, la stessa morte.
Antonio Canepa, docente universitario di 37 anni, comandante dell’EVIS , Carmelo Rosano, il suo braccio destro, 22 anni, laureando in scienze economiche, 22 anni compiuti proprio quel 17 giugno) Giuseppe Lo Giudice (18 anni studente liceale) e Francesco Ilardi ucciso 5 giorni dopo i suoi compagni, durante un pattugliamento nei dintorni di Cesarò…
Stanno li in quell’angolo dimenticato di cimitero, lontano dai fasti e “nefasti” delle manifestazioni ufficiali, lontani dalle cineprese e dai microfoni, dalle scene e dalle “sceneggiate” di chi, a torto o a ragsi ritiene unico depositario dei valori e del destino della nostra terra… Un cimitero e poi una stele, posta a Murazzu ruttu a perenne memoria. Campagne verdi a Murazzu ruttu e fiori, tanti fiori e ancora bandiere e tanta commozione alle parole di una vecchina piccola e bianca di 92 anni che, dopo 67 anni, non si rassegna ancora al “furto” crudele della giovane vita del suo Peppino…
Piange Ciccina Lo Giudice e fra le lacrime mi racconta di come quel giorno i carabinieri fossero andati a casa loro, a San Michele di Ganzaria, a cercare notizie del giovane Peppino. Peppino lo Giudice studiava a Caltagirone, mi racconta Ciccina, era bravo….si voleva diplomare. La sua vita fu fermata, invece, quel 17 giugno, nelle campagne di Randazzo, morto per le ferite riportate durante l’agguato misterioso di quella mattina, agguato voluto forse da servizi segreti, forse…non si sa da chi… la Storia è vaga, ma la storia dei “vinti” non è mai “vera storia”, lo sappiamo bene e resta coperta da un velo di mistero e nel frattempo la polvere del tempo si aggiunge rendendo quel velo ancor più imperscrutabile, impenetrabile, sebbene….
Ciccina piange e guardando la foto del fratello, mi mostra il maglioncino che indossa sotto una giacca. Quel maglione glielo aveva fatto lei all’uncinetto o forse ai ferri da maglia, non se ne ricorda più, ma ricorda il dolore e lo sconforto di quella mattina, quando i “reali carabinieri” dopo aver chiesto loro “dove fosse Giuseppe” accompagnarono lei e sua madre sul luogo in cui i tre ragazzi erano stati “assassinati”.
Feriti dagli stessi carabinieri, in un agguato, erano stati caricati e trasportati, per disposizione degli stessi carabinieri, all’ospedale di Giarre, anzicchè a quello vicinissimo di Randazzo, dove forse qualcuno di loro si sarebbe potuto salvare…ma evidentemente non dovevano salvarsi. Furono lasciati morire dissanguati. Erano in sei quella mattina, due riuscirono a fuggire, mentre gli altri 4, dentro casse di legno “ca parevanu chiddi da frutta, si puttanu o cimiteru”.
Al cimitero il guardiano (Isidoro Privitera, separatista anche lui) chiese i nomi di quei “morti” ma i reali carabinieri risposero che erano solo quattro “banditi morti in conflitto” ! Un docente universitario e tre studenti, erano “volgari banditi” da poter essere giustiziati come agnelli al macello…. squarciati da un colpo da fuoco e lasciati dissanguare… Il guardiano del cimitero, sapendo per esperienza che prima di essere inumati sarebbe passato del tempo, aprì quelle casse, nel tentativo di farle arieggiare…. Triste spettacolo si offrì ai suoi occhi, corpi di ragazzini crivellati di colpi mentre quello più “anziano” del gruppo, aveva soltanto uno squarcio nella gamba che oppurtunamente bendato gli avrebbe impedito di morire dissanguato… I medici dell’ospedale di Giarre avevano infilato in tutta fretta quei corpi dentro le casse, ma nella quarta cassa, uno di quei ragazzi era ancora vivo… era Armando Romano, nome di battaglia Nando, il suo diaframma si muoveva, era ancora vivo..,
Ma tutto questo la “storia ufficiale” non lo racconta, ”nuddu ni parra ma du carusu si savvau grazie o vaddianu du cimiteru!” Mi dice Ciccina e il suo sguardo da fiero diventa rabbioso, stringe i pugni, mi abbraccia e scoppia a piangere, mi abbraccia ancora..
E’ l’istinto che guida la mia mano, stacco il mio spillino, un triscele argentato, dal mio petto e lo metto sul suo, le mostro quel simbolo per cui il suo Peppino è morto... il mio triscele adesso sta sul petto “giusto”, sul petto di una donna antica, fiera, arrabbiata e addolorata, ma dalla dolcezza infinita e dal sorriso stanco e amaro ma non sconfitto…sul petto di una madre antica, nobile e grande….proprio come la nostra terra.

Antonio Canepa e i suoi tre ragazzi dormono vicini, dunque, sotto quella colonna spezzata, come le loro giovani vite, all’ombra della loro, della nostra bandiera, i nostri fiori fanno loro compagnia, il nostro cero illuminerà per un pò la loro notte e poi sarà ancora “lotta” con loro, per loro, per quel triscele argentato…

di Daniela Giuffrida 21 giugno 2012 
Attivista M.I.S. – Movimento per l’Indipendenza della Sicilia

Randazzo 17 giugno 1945: una strage “premeditata” Per non dimenticare Antonio CanepaCanepa e l’oscurantismo mediatico

 

 

 

 

 

  

Ogni anno il 17 giugno un gruppo di persone si riuniscono qui a Randazzo per rendere onore ad Antonio Canepa e alle altre vittime dell’eccidio.

 

 
     
 
 
     
     
     
     

 17 Giugno 1945 

 

17 giugno 1945, una data che la cosiddetta storia ufficiale d’Italia (o chi l’ha scritta e la scrive ancora) ha volutamente cancellato.
Eppure questa data per l’Italia dovrebbe significare qualcosa, dal momento che in quel giorno di 72 anni addietro si consumò uno dei misfatti più gravi di un Paese appena uscito dalla guerra, con un Governo “provvisorio” e che ancora non aveva trovato la strada per il suo futuro. Quel 17 giugno del 1945 veniva assassinato in circostanze mai chiarite il professore Antonio Canepa, capo dell’EVIS (Esercito Volontario Indipendenza Siciliana) che voleva una Sicilia “Indipendente”, non legata all’Italia. Un personaggio che doveva essere eliminato necessariamente per non rischiare un effetto domino in altre regioni.


Ogni anno, in questa ricorrenza, gruppi sparuti di Sicilianisti ricordano quell’episodio nella strada che porta a Randazzo, dove un ceppo indica il presunto luogo dove venne ucciso, in un presunto conflitto a fuoco con carabinieri, Antonio Canepa e due militanti dell’EVIS, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice.
Altri che non vogliono spingersi sino alla pendice dell’Etna, portano fiori sulla tomba dove sono custoditi i resti dei tre “guerriglieri”, nel viale degli Uomini Illustri nel cimitero di Catania.
Tante volte descritta quella vicenda alla quale gli organismi istituzionali non hanno mai dato risposte esaurienti. Per non ripeterci riportiamo quanto pubblicato lo scorso anno: il “contenuto” di quell’articolo è come se fosse stato scritto oggi.

20 giugno 2016 – La Voce dell’Isola

Antonio Canepa 17 giugno 1945: la memoria cancellata

di Salvo Barbagallo

Avrebbe stupito tutti, e soprattutto i Siciliani, il Capo dello Stato Sergio Mattarella (Siciliano) se nel festeggiare l’anniversario della Repubblica avesse ricordato gli avvenimenti che precedettero la nascita della nuova Italia e avesse ricordato la “concessione” alla Sicilia dell’Autonomia Speciale con “Speciale” Statuto prima ancora che la Repubblica Italiana nascesse, e il perché quell’Autonomia venne data.

No, non è il tempo delle “meraviglie” o degli “stupori” nel Paese che dà medaglie a chi si è macchiato d’eccidi in patria (vedi quella a Valentino Bortoloso a Schio), nel Paese dove “tutto va bene” e dove la memoria è stata scientificamente cancellata per evitare che le generazioni che non hanno vissuto gli anni tragici della guerra potessero conoscere verità scomode e inconfessabili.

Non crediamo che il Capo dello Stato abbia perduto la sua memoria, ma che probabilmente ha ritenuto non opportuno in questi giorni di pace rinverdire eventi che potrebbero riaprire contenziosi mai sanati tra lo Stato e la sua regione più a sud, la Sicilia. D’altra parte lo stesso presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, non poteva avere alcun interesse a riportare a galla episodi che hanno segnato la sua Terra in netto contrasto con l’Italia d’allora e l’Italia d’oggi.

Perché si dovrebbe “commemorare” una data come il 17 giugno del 1945, una data che aprì in Italia la stagione dei delitti di Stato e la stagione dei compromessi?

Già, il 17 giugno 1945, il giorno in cui venne “assassinato” nelle campagne di Randazzo Antonio Canepa, il professore che aveva creato l’EVIS, l’esercito di volontari che auspicavano una Sicilia Indipendente.

Già, quell’Indipendenza della Sicilia richiesta dalla maggioranza della collettività da quando l’Isola era stata “liberata” dalle truppe angloamericane e quando ancora le sorti del conflitto mondiale erano incerte.

Oggi vengono chiamati “buchi neri” i fatti che accadono ovunque che non trovano spiegazioni o soluzioni.
Una volta, invece, venivano definiti più semplicemente “misteri”.
L’Italia e la Sicilia nel corso degli ultimi settantun anni hanno collezionato una infinità di “misteri”: tanti e tanti avvenimenti, la maggior parte riferiti a crimini oppure a storie irrisolte.
Probabilmente la definizione “buco nero” (black hole in inglese) si adatta meglio a certe realtà siculo-italiche. Scientificamente un “buco nero” è una regione dello spaziotempo con un campo gravitazionale così forte e intenso che nulla al suo interno può sfuggire all’esterno, nemmeno la luce. Generalizzando: nel corso degli ultimi decenni in Italia sono stati costruiti artificialmente tanti “buchi neri” da trasformarla in un Paese dello spaziotempo dove non ci sono frontiere o confini visibili, un territorio ancora sconosciuto. Chi intendesse esplorare questo Paese correrebbe l’evidente rischio di rimanere inesorabilmente intrappolato al suo interno: in passato, infatti, chi ha tentato l’impresa non è più tornato per riferire sulle sue scoperte.

Nel rapporto Sicilia/Italia non ci sono buchi neri ma verità abilmente nascoste dopo avere cancellato altrettanto abilmente le memorie. Parlare delle istanze indipendentiste della Sicilia è anacronistico, là dove si sta perdendo anche la misura della Sovranità dello stesso territorio nazionale e la dignità di un passato è affidata a pochi sopravvissuti nello scempio generale.

Così come sono stati in pochi a ricordare ieri (domenica 19 giugno) alla periferia di Randazzo, nel luogo della presunta scena del crimine, la fine del professore-guerrigliero che lottava per una Sicilia libera e democratica, Indipendente e Sovrana nell’autodeterminazione del suo futuro.

E non colonia come si ritrova a distanza di 70 anni dalla nascita della Repubblica Italiana

 

 

Ma chi fu Antonio Canepa?

 

Il fascismo e la sua fine, la guerra e la Resistenza, il separatismo e la sua guerra furono gli ambiti in cui si svolse la turbinosa esistenza di Antonio Canepa

Il delitto Matteotti (10 giugno 1924) indusse il giovane Canepa, che non aveva ancora compiuto sedici anni, ad esprimere tutto il suo sdegno contro il governo fascista.

Questa ostilità contro il fascismo si materializzò nella preparazione di un attentato a Mussolini: attraverso un passaggio segreto aveva progettato di giungere addirittura nella Sala del Mappamondo, a Palazzo Venezia, ma la chiusura del passaggio fece fallire il piano.

Ma, poi, nel 1937 ottenne la cattedra di Dottrina del Fascismo, con tre volumi dal titolo “Sistema della Dottrina del Fascismo. Una formidabile contraddizione che lo stesso Canepa ammette, ma che invita a sciogliere attraverso una lettura attenta del testo, dal quale si può capire che il fascismo è pericoloso per l’Italia e per gli altri Stati, che il fascismo si può combattere, che ci sono molti scrittori che lo giudicano negativamente.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale entrò in contatto dei servizi segreti britannici, preparò ed attuò con successo, la notte del 10 giugno 1943, l’attentato all’aeroporto di Gerbini, neutralizzando i caccia tedeschi, distruggendo bombe, armi e munizioni.

Come si sa bene, dopo trenta giorni gli angloamericani sbarcarono dalle parti di Gela non incontrando, anche per merito del sabotaggio alla postazione tedesca di Gerbini, un’adeguata resistenza.

A questo punto ecco un altro fatto inspiegabile o, quanto meno, difficile da spiegare: Canepa lasciò la Sicilia e si recò tra l’Abruzzo e la Toscana a fare il partigiano.

La lotta partigiana intrapresa da Canepa fu assolutamente finalizzata alla liberazione dai nazifascisti in particolare dei territori in cui operò tra l’Abruzzo e la Toscana. Avendo conseguito questo risultato e giunto a Firenze nel maggio del 1944, lanciò un’operazione politica di segno divergente rispetto alla linea politica dei CLN e del governo: in nome del Partito Dei Lavoratori, diffuse, il 20 giugno, un appello in cui, per un verso si ringraziavano gli alleati per il decisivo aiuto fornito per la liberazione dai nazifascisti, per un altro si chiedeva agli Alleati di collaborare con i partigiani ed in particolare con la componente comunista, per l’instaurazione di un governo liberato dalla “borghesia – un pugno di capitalisti, di speculatori e di parassiti – (che) ha portato l’Italia alla rovina”.

I contenuti del manifesto non potevano essere condivisi neppure dagli Alleati, sicché Canepa – Tolù perse i riferimenti con il SIS (Secret Intelligence Service), il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) lo arrestò e lo condannò a venti giorni di reclusione con la condizionale e a mille lire di multa.

Decise, quindi, nell’autunno del 1944, di tornare in Sicilia, di morire come Canepa –Tolù e di rinascere come Mario Turri. Molto probabilmente dopo l’eccidio di Palermo, il 19 ottobre 1944, Mario Turri incontrò Andrea Finocchiaro Aprile , riuscendo a convincerlo dell’opportunità di istituire l’EVIS.

Canepa tenne conto, necessariamente, degli intendimenti espressi da Finocchiaro Aprile e da Togliatti: certamente nel primo, il “fatto” istituzionale contava di più di quello sociale e non poteva che essere così (non dimentichiamo che Andrea Finocchiaro Aprile faceva parte di un triunvirato in cui c’era il conte Luigi Tasca, latifondista, e Calogero Vizzini, ex gabelloto e ora latifondista mafioso), mentre per Togliatti, condizionato ancora dalla “svolta di Salerno”, e lui stesso al governo, considerava la soluzione “autonomistica” quella più avanzata, oltre la quale non era lecito, per impedimenti nazionali ed internazionali, pensare di potere andare; in ogni caso, per Togliatti, restava la monumentale questione sociale della riforma agraria ancora da risolvere e i comunisti ne sarebbero stati ancora i grandi protagonisti.

Non si sa bene se Canepa fu più indipendentista o comunista, ma, forse, Tasca, Finocchiaro Aprile e Vizzini lo considerarono più comunista e forse anche per questo fu tolto di mezzo a Murazzu ruttu il 17 giugno 1945, colpito a morte in uno scontro a fuoco con una pattuglia di carabinieri che lo intercettarono a bordo di un furgone guidato da Pippo Amato. Assieme a Canepa quel giorno morirono Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice.

Nessuno ha mai saputo come si svolsero i fatti, chi dette inizio alla sparatoria, chi avvisò i carabinieri di Randazzo del passaggio del furgone, perché i corpi furono sepolti in tombe senza nome.
La storia della Sicilia è soprattutto storia di persone difficili da capire, di fatti difficili da capire e da spiegare perché volutamente censurati e tacitamente dimenticati.

Elio Camilleri – maggio 2013

 

 

 La morte del capo dell’EVIS Antonio Canepa primo delitto di Stato in Italia?

 

Un paese che bagna  i suoi passaggi epocali con il sangue e il mistero. Questa è l’Italia. Da Bronte ai briganti, da Canepa a Capaci e via D’Amelio è tutto un fiorire di momenti in cui, soprattutto nel mezzogiorno d’Italia, il dissenso e le figure scomode sono stati soffocati nel sangue e senza che venissero perseguiti a dovere i responsabili di crimini efferati. E la domanda che viene da farsi, forse inutilmente, è: quando è incominciata la stagione delle stragi dell’Italia repubblicana? Quando la stessa ancora non lo era ancora, Repubblica, e usciva, a pezzi, da una guerra disastrosa.

Quest’opinione viene certamente rafforzata dalla lettura dei due volumi (“Antonio Canepa ultimo atto” e “L’assassinio di Antonio Canepa” – nella collana Storia e Politica della Bonanno Edizioni- che compongono l’ultima fatica del direttore de “La Voce dell’Isola” Salvo Barbagallo, libri che verranno presentati in un tour di incontri che parte dalla Sicilia l’11 e il 12 ottobre, con gli appuntamenti di Catania (Giovedì 11 ottobre, alle ore 17.30, alle Ciminiere di Catania) e di Acireale.

Salvo Barbagallo ha analizzato a fondo i documenti che, con difficoltà enormi, è riuscito a raccogliere sulla morte di Antonio Canepa. Creatore e comandante dell’Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana, la sua scomparsa avvenne in circostanze mai chiarite in quel di Randazzo il 17 giugno del 1945 e l’autore, senza esplicitare fino in fondo la tesi della strage di Stato, lascia che quest’ultima affiori tra le righe della sua ricerca appassionata. Prima di Portella della Ginestra e della tragica fine di Salvatore Giuliano, prima degli attentati e delle sparizioni dei sindacalisti socialisti e comunisti nelle campagne dell’interno della Sicilia, c’era chi agiva per oscuri motivi e faceva fuori, senza troppi complimenti, chi si opponeva a disegni diversi da quelli previsti.

Delitto di Stato? Già, di uno Stato “nuovo” che ancora non era nato, e che però sapeva di non potersi permettere di perdere una risorsa strategica del suo territorio, la Sicilia. E a cui in molti, dall’estero, guardavano con occhi tutt’affatto disinteressati, nella prospettiva di rafforzare la propria presenza nel Mediterraneo.

Antonio Canepa cadde, insieme a due militanti dell’esercito indipendentista, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, “ufficialmente” colpito a morte dai proiettili esplosi dai fucili di una pattuglia di tre carabinieri. E di questa vicenda Salvo Barbagallo ricostruisce meticolosamente l’anatomia, mettendo a disposizione di tutti i documenti nei quali sono raccolte le dichiarazioni a verbale dei protagonisti del presunto conflitto, i tre carabinieri, delle dichiarazioni dei superstiti che scamparono al fuoco dei militari, di quanti potevano essere a conoscenza di ciò che realmente era accaduto. E l’autore del libro, inevitabilmente, giunge a conclusioni non certo lusinghiere: la verità su quanto si verificò a Randazzo è stata occultata sotto una montagne di menzogne.

Il conflitto bellico si era appena concluso a livello nazionale, ma in Sicilia la “pace” era scoppiata subito dopo l’occupazione dell’Isola, governata da americani e inglesi mentre l’Italia rimaneva occupata dai nazifascisti e le sorti della guerra erano incerte. Il momento migliore per far rinascere nel cuore dei siciliani l’aspirazione all’indipendenza e soddisfare così anche le esigenze di una popolazione che voleva dimenticare le violenze subite. E a molti quest’idea  apparve la formula migliore visto che nel corso di pochi mesi migliaia, centinaia di migliaia (per l’esattezza in cinquecento mila) aderirono al MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia), non ascoltando la voce di socialisti, democristiani e comunisti.
Era una “pace” che non cambiava l’ordine delle cose, quella che i Siciliani vivevano: fuori i fascisti, sostituiti da un governo di occupazione presieduto da americani e inglesi e, soprattutto, con la prospettiva di andare sotto ad un governo provvisorio italiano che, come altri prima di lui, invece di ascoltare le istanze della popolazione, si presentò con manovre repressive, sedando nel sangue le rivolte provocate dalla fame.

Canepa, quindi, come protagonista principale della prima strage di Stato repubblicano? E’ la conclusione a cui si è naturalmente portati dalla lettura della mole di documenti messi a disposizione del lettore da Barbagallo. Meglio. Una prova generale di quello che, qualche anno dopo, sarebbe stato il capolavoro che portò alla fine di tutte le velleità indipendentistiche siciliane: la fine di Salvatore Giuliano, eseguita con una metodologia che conferma uno stile che, ciclicamente, si  è ripresentato nel tempo, sino ai giorni nostri. Una strategia che i servizi segreti (noti e ignoti) in molti casi hanno applicato.
Nella vita del nostro Paese, afferma Salvo Barbagallo, non ci sono misteri, ma (semplicemente ma amaramente) verità che vengono nascoste: come dargli torto?

Alla presentazione dei due volumi a Le Ciminiere di Catania, l’11 ottobre prossimo, prendono parte Valter Vecellio, capo redattore del Tg 2 Rai (che ha curato la prefazione del primo volume), Corrado Rubino, presidente dell’Istituto per la Cultura Siciliana, Marco Di Salvo (che ha curato la prefazione del secondo volume), condirettore del quotidiano online “La Voce dell’Isola”, e l’autore dei due libri su Antonio Canepa, Salvo Barbagallo. Introduce e modera l’incontro il giornalista e scrittore (già capo redattore delle pagine Cultura del quotidiano “La Sicilia”) Salvatore Scalia.

20 settembre 2015 – La Voce dell’Isola

 

Ancora oggi la parola “indipendentismo” allarma

 

Se pronunciate la parola “indipendenza” nel contesto di un Paese che presenta instabilità, allora noterete che negli ambienti governativi o politici si crea subito preoccupazione, a volte anche allarmismo. Ma che significa, in fondo, questa parola che può suscitare reazioni a vari livelli e magari contrastanti? I dizionari mostrano diverse sfaccettature del termine “indipendenza”: il Sabatini Coletti per “indipendenza” indica la “Libertà di agire secondo il proprio giudizio e la propria volontà”, il Treccani come la “Condizione di chi o di ciò che è indipendente, riferito sia a stato o nazione, sia a persona, sia a cose, fatti, ecc”, il Garzanti come “La condizione di chi non dipende da altri”, insomma la “Capacità di sussistere e di operare in base a principi di assoluta autonomia”. Da “indipendenza” a “indipendentismo”, il passo è facile. Indipendentismo? I dizionari lo indicano come “atteggiamento” o come “orientamento”: “Orientamento di coloro che propugnano l’indipendenza della propria nazione, del proprio territorio o del proprio partito politico” (dizionario Hoepli).

In realtà più che un atteggiamento o un orientamento è un “sentimento” radicato in quanti aspirano a una “indipendenza” (quale che sia, e nei livelli socio-economici-militari di un territorio che non è considerato o non si “sente” sovrano. Ebbene le parole “indipendenza, indipendentismo” suscitano allarme, così come sta avvenendo in questi giorni in Spagna dove in Catalogna fra sette giorni si vota e dove i “secessionisti” sono dati per favoriti: la Confederazione Casse di Risparmio (Ceca) e l’Associazione della Banca (Aeb), le due grandi associazioni del settore bancario spagnolo, hanno minacciato (diramando una nota congiunta) di ritirarsi dalla Catalogna se diventerà indipendente. Le due banche chiedono che “venga tutelato l’ordine costituzionale” spagnolo e “l’appartenenza alla zona euro di tutta la Spagna”. Barcellona il prossimo 27 settembre giunge a un voto che può rappresentare l’inizio del processo di indipendenza del territorio regionale che verrà trasformato in un nuovo Stato, nonostante l’opposizione di Madrid. Il governo spagnolo, infatti, ha negato il referendum sull’indipendenza, bollandolo come anticostituzionale e Barcellona ha dovuto rinunciare al voto esplicito sul proprio futuro, il presidente catalano uscente, Artur Mas, ha però aggirato l’ostacolo trasformando le imminenti elezioni regionali in un pronunciamento sull’indipendenza. Con la nascita di un nuovo Stato, l’adesione della Spagna all’Unione Europea andrebbe ridiscussa, così come si verificò per i Paesi balcanici che hanno chiesto di entrare nell’Ue. L’indipendenza della Catalogna costituisce un “pericolo” immanente: c’è il rischio concreto che l’esempio catalano possa trovare molti imitatori, a partire dai baschi. La Spagna, se nelle elezioni del 27 dovesse passare l’indirizzio secessionista (e i sondaggi vanno in questa direzione) rischia di esplodere.

In Italia la questione dell’indipendentismo è stata posta poco tempo addietro per quanto attiene la situazione di degrado politica ed economica della Sicilia dal politologo (e altro) americano Edward Luttwak in un’intervista concessa a Enrico Deaglio sul “Venerdì” di “Repubblica”. Luttwak esordisce con una frase inquietante: “…Io sono l’unico ad avere la ricetta perfetta per la Sicilia” e i Siciliani. Come? “E’ semplice. Alzando con orgoglio il vessillo indipendentista sanguinante, i siciliani si riuniscono in assemblea e dichiarano la loro separazione da Roma (…)”. Certo, occorre “tirare la cinghia e risorgere, sotto un capo, un nuovo Federico II (…)”.

Apparentemente l’intervista a Edward Luttwak è passata inosservata: al messaggio, all’invito o alla provocazione del politologo (le dichiarazioni di Luttwak, ovviamente, vanno interpretate) non c’è stato (sempre apparentemente) alcun riscontro, nessuno (sempre apparentemente) ha mostrato un interesse. Eppure un personaggio come Edward Luttwak non parla mai a caso, né mai si esprime a caso: una ragione, alla radice di questa intervista (notando anche chi è l’intervistatore) deve pur esserci.

La Sicilia non è la Catalogna. Anche se il “sentimento” dell’indipendenza non si è mai spento, nei Siciliani la spinta verso la propria “sovranità” si è addormentata settant’anni addietro, quando venne concessa alla regione un’Autonomia Speciale che nessun governante siciliano ha mai applicato (forse per un “patto occulto” con lo Stato Italia). L’idea dell’indipendenza oggi sopravvive in decine di gruppuscoli sicilianisti, l’uno in contrasto con l’altro per mancanza di una leadership unica, credibile e affidabile. Oggi non c’è in Sicilia un nuovo Federico II. In Catalogna il movimento indipendentista è stato costantemente in grado di far sentire la propria voce tanto da incutere paura. In Sicilia oggi non incute più paura neanche la mafia, continuamente mitizzata perché torna utile tenerla come paravento quando si presentano fatti di corruzione e malaffare criminale che possono essere collegati alla politica. Se qualche entità estranea ritenesse altrettanto utile rispolverare il mito dell’indipendenza siciliana quale comodo spauracchio (contro chi?), allora (statene certi) l’argomento “indipendenza siciliana” tornerà a rivivere. Ma questo è un rischio che difficilmente si può correre: in fondo, i Siciliani, potrebbero (finalmente e magari) prendere coscienza della loro condizione di sudditanza e del loro degrado. E, chissà, potrebbero approfittarne…

Salvo Barbagallo

 

LA SICILIA AI SICILIANI – ALLA SCOPERTA DI EROI DIMENTICATI, ANTONIO CANEPA

 

Domenica 19 giugno, come avviene da diversi anni, l’Associazione Culturale “La Sicilia ai Siciliani” di Messina ha deposto una corona di fiori sul cippo eretto in contrada Murazzu Ruttu (Randazzo) in ricordo di Antonio Canepa, Carmelo Rosano, Giuseppe Lo Giudice martiri siciliani facenti parte dell’E.V.I.S. (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia) di cui Canepa era comandante.

Il monumento e le lapidi ricordano anche Francesco Ilardi, morto in uno scontro a fuoco qualche giorno dopo l’eccidio di Murazzu Ruttu.
Molti, forse, non sapranno chi era Canepa e cos’era l’E.V.I.S. in quanto la storia racconta solo certe verità.
Verità che tendono a inneggiare personaggi ai quali si sono dedicate vie  come eroi ma che oggi mostrano sempre piu un lato oscuro, tanto da somigliare sempre più a carnefici per la nostra Sicilia.

        Ma chi era Canepa?
Laureato in legge si recò a San Marino dove tentò insieme agli abitanti di organizzare un colpo di stato contro il potere fascista. Arrestato fu poi rilasciato. Nel 1937 ottenne la cattedra di “Storia delle dottrine politiche” all’Università degli Studi di Catania. Dopo l’inizio della seconda guerra mondiale entrò in contatto i servizi segreti britannici e la notte del 10 giugno 1943 attuò con successo un attentato all’aeroporto di Gerbini in cui neutralizzò caccia tedeschi, distrusse bombe, armi e munizioni e dando così la possibilità agli anglo-americani di non trovare resistenza in quella zona dopo lo sbarco.

Successivamente si recò nelle zone tra Abruzzo e Toscana per aiutare i partigiani. Dopo aver conseguito la  liberazione dai nazi-fascisti rientrò in Sicilia per continuare la sua lotta per l’indipendenza della Sicilia. Lotta iniziata anche culturalmente nel dicembre del 1942 con la pubblicazione, con lo pseudonimo di Mario Turri, dell’opuscolo “La Sicilia ai Siciliani” (nome al quale si ispira la nostra associazione) che fu il manifesto della sua idea: egli riteneva che l’ìndipendenza della Sicilia fosse il mezzo per l’emancipazione delle classi popolari.
Nel 1945 costituì l’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia che si contrapponeva alle forze militari che occupavano l’isola e che avrebbe dovuto condurre la Sicilia insieme al M.I.S. (Movimento per l’indipendenza della Sicilia) all’indipendenza.
Non riuscì a portare a compimento il suo ideale politico di liberazione perché la mattina del 17 Giugno 1945 fu ucciso insieme ad alcuni militanti dell’E.V.I.S. in un agguato teso dai carabinieri in contrada Murazzu Ruttu a Randazzo,dove oggi sorge un monumento commemorativo a loro dedicato.
Antonio Canepa oggi è sepolto, insieme a Carmelo Rosano, Giuseppe Lo Giudice e Francesco Ilardi,  nel cimitero di Catania nel viale degli Uomini Illustri.

 

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