Gesualdo De Luca, al secolo Giuseppe Ignazio, nasce a Cesarò nell’agosto del 1814.
Sicuramente avrà studiato al Real Collegio Capizzi di Bronte e dopo aver superato gli esami nel 1829 si trasferisce a Castelbuono per indossare la veste di cappuccino ed assumere il nome di Gesualdo.
Con questo nome firma tutte le sue opere letterarie.
Fu ordinato sacerdote il 23 settembre 1837. Dopo essere stato nominato segretario del Procuratore generale dell’Ordine di Messina si trasferisce a Roma e nel 1848 segue a Gaeta il Papa Pio IX che aveva abbandonato Roma.
Nel 1849 fa ritorno a Bronte dove è nominato Lettore di Teologia Dogmatica e Morale delle scuole dell’Ordine.
Scrive più di cento opere (il più famoso ” Storia della Città di Bronte “).
A seguito della legge legge 3036 del 7 luglio 1866,che sopprime gli Ordini Religiosi, diviene un “pericolo pubblico “.
Il 22 settembre 1866 padre Gesualdo fu arrestato per le sue idee filo borboniche e dopo 14 giorni di prigione messo in libertà.
Dopo alcuni anni di girovagare nel 1870 si trasferisce definitivamente a Bronte dove muore il 26 febbraio 1892.
Nel 1859 pubblica presso l’editore Galàtola di Ct : “ Elogio funebre per Sua Maestà Ferdinando II Re delle due Sicilie detto in San Martino di Randazzo chiesa collegiata parrochiale a turno matrice “ che puoi leggere qui di seguito.
Abbiamo inserito anche “La Storia della Città di Bronte” per meglio conoscere l’Autore.
CHIESA DI SAN MARTINO:
L’Arciprete Giuseppe Plumari ed Emmanuele nella ” Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della storia generale di Sicilia ” (pag.319) così la descrive:
Nel Quinto Secolo Cristiano, dalla suindicata Chiesa di S.to STEFANO fu traslocata la Cattedra Vescovile della Chiesa ALESINA in altra novella Chiesa dello stesso Rione, dietroposta alla medesima, quale fu costruita ben grande, benchè allora ad una sola Navata, dedicata a S. MARTINO Vescovo Turonese. Questa novella Chiesa fù nel XIII° Secolo ampliata a tre Navi, ed in quello XIV vi fù aggiunta la quarta coll’idea di costruirsene la Quinta uguale dal Lato Settentrionale, quale sin’ora non è stata edificata ancora. L’attual Campanile di questo Tempio riconosce un’Epoca posteriore a quella dei rimanenti, e loro sua costruzione.
La di Lui Architettura, sembra, che sia Opera dè Normanni, come è da vedersi dalla Sua Figura, che si annette.
Randazzo : Sala consiliare “Falcone e Borsellino” gremita per la presentazione del libro postumo di Lucia Lo Presti
“Randazzo la Cassino di Sicilia. Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto e danneggiato negli anni della seconda guerra mondiale”.
Si è svolta il 23 aprile, presso la Sala consiliare “Falcone e Borsellino” del Comune di Randazzo, gremita da un folto pubblico di amici, parenti, conoscenti, giovani e non, la presentazione del libro di Lucia Lo Presti Randazzo, la Cassino di Sicilia. Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto e danneggiato negli anni della seconda guerra mondiale, pubblicato da Il Convivio Editore. Una presentazione di certo insolita, per l’assenza dell’autore.
Dopo il saluto del primo cittadino, prof. Michele Mangione, ha preso la parola Gaetano Di Silvestro, in veste di moderatore, tracciando una breve biografia di Lucia Lo Presti, una ragazza di Randazzo che nel 2012 aveva conseguito la laurea all’Accademia di Belle Arti di Catania, specializzandosi in Restauro, venuta a mancare a soli 28 anni il 5 giugno 2014, dopo aver lottato contro una lunga malattia.
Il volume presentato è appunto la sua tesi di laurea, che i familiari hanno voluto pubblicare non solo per onorarne la memoria, e per rendere tutti partecipi di una ricerca rilevante per la storia della città, ma anche per devolverne il ricavato alla Fondazione IEO (Istituto Europeo Oncologico) – CCM di Milano. Si tratta di una monografia che indaga i danni subiti dalla cittadina di Randazzo durante i bombardamenti del 1943, al fine di fare un bilancio non solo delle opere distrutte, ma anche di quelle danneggiate e ancora recuperabili.
Primo relatore è stato Giuseppe Manitta, direttore editoriale de “Il Convivio”, critico letterario, autore di numerosi volumi, tra i quali apprezzati studi sul Leopardi, ma anche compagno di studi di Lucia, negli anni di frequentazione del Liceo classico “Don Cavina” di Randazzo:
“Con Lucia ci eravamo conosciuti in un’aula del Liceo – ha esordito – e quindi la mia partecipazione emozionale è superiore rispetto ad altri episodi del genere” e ha proseguito analizzando la metodologia utilizzata dall’autrice nella ricerca e nell’uso delle fonti, affermando: “Lucia ha svolto un lavoro fondamentale, quello che è avvenuto a Randazzo fa parte della storia, ma purtroppo i piccoli centri mancano di studi su tali avvenimenti, e Lucia ha colmato questo vuoto. Il metodo di ricerca e il metodo storiografico individuano la centralità di Randazzo nella 2a guerra mondiale, poiché il paese si trovava lungo una linea di difesa che interessava le forze italo-tedesche. Oltre alle fonti letterarie e alle testimonianze, ancora più importanti sono le fonti iconografiche, sia quelle antecedenti la distruzione, sia le immagini riprese nel momento della distruzione, che mostrano le deturpazioni subite dalla città”, per concludere: “Nel libro di Lucia non è vi è solo l’analisi della distruzione, ma di quello che si può recuperare del patrimonio artistico e architettonico, quindi il libro va letto anche in positivo”.
È stata poi la volta di Maristella Dilettoso, per oltre un trentennio direttrice della Biblioteca comunale, giornalista, autrice di numerosi articoli e di testi sulla storia e tradizione locale, che si è soffermata sugli aspetti devastanti dei bombardamenti del luglio-agosto 1943 per la città di Randazzo, su come quei tragici giorni furono vissuti dagli abitanti, e quanto negli anni e nelle generazioni successive sia stato importante per loro conoscere quale fosse prima il volto della città.
“La mia generazione ha avuto la sorte di non conoscere la guerra, almeno non direttamente, ma è cresciuta nell’immediato dopoguerra, quando il ricordo di quei giorni, e di quegli eventi, era ancora troppo forte, e tante ferite non si erano ancora chiuse e cicatrizzate.
La mia generazione non è cresciuta soltanto con i racconti delle fiabe, ma è venuta su anche con i racconti ancora vivi del tempo di guerra, racconti di aerei, di bombe, di sfollamento nelle campagne, di incertezza del domani, di fame, di paura.
La mia generazione ha camminato, per diversi anni, lungo le strade di un paese che portava visibili le stimmate della guerra, imbattendosi ancora in tante case e palazzi sventrati impietosamente, o ridotti in macerie.
Cosa c’era, cosa è scomparso, cosa è rimasto, cosa è stato recuperato… ecco l’importanza di questo libro”, aggiungendo: “Il libro si rivela molto interessante perché è un altro tassello che va ad aggiungersi agli scritti che costituiscono, sotto aspetti diversi, la bibliografia su Randazzo, per noi randazzesi e per quanti ne avessero la voglia, potrà essere utile a ricostruire, a immaginare com’era il nostro paese, e a non dimenticare. Inoltre il libro raccoglie, in un tutto organico, notizie che finora si trovavano in ordine sparso, e offre una vera e propria mappatura del paese, perché suddivide la materia in edilizia sacra, civ
ile, militare, toccando chiese, palazzi, edifici pubblici, vie, porte, ecc. e distinguendo tra patrimonio distrutto, danneggiato, e recuperato”.
Come puntualmente è documentato dal libro di Lucia Lo Presti, il luglio – agosto 1943 fu un mese di incessanti attacchi aerei, dove, ad onta della Convenzione dell’Aja del 1907, non si esitò a bombardare ospedali, edifici indifesi, chiese e luoghi di culto, vi persero la vita molti civili, e come se ciò non bastasse, vi furono anche gli strascichi, a causa dei tanti ordigni inesplosi di cui pullulava il territorio di Randazzo, che nell’immediato dopoguerra causarono morti e numerosi feriti, anche tra i bambini. “A morire, oltre la gente, furono anche le opere d’arte…” con questa frase lapidaria Lucia concludeva infatti la sua Tesi di laurea.
Molto indovinate le citazioni di scrittori siciliani poste in apertura dei capitoli: dalla Cronachetta siciliana di Nino Savarese, per la parte storica, e dagli autori randazzesi per la parte descrittiva, è come se questi incipit facciano da contrappunto alla descrizione dei nudi fatti, proponendo le sensazioni e riflessioni dell’uomo.
Il sindaco di Randazzo, Michele Mangione, ha concluso, nella sua qualità di docente, ravvisando l’opportunità di adottare il testo nelle scuole superiori, e la necessità di trasmettere ai ragazzi i valori della tradizione locale, educarli a conoscere la storia del proprio paese, di avviare dei progetti che incoraggino gli alunni a ricostruire, anche attraverso la conoscenza delle fonti orali, la mappatura del paese e del patrimonio scomparso, per far crescere una gioventù impegnata a raccogliere il valore della storia e della propria storia personale.
Dopo alcuni interventi del pubblico in sala, fra gli altri quello del professore Arcidiacono, dell’Accademia di Belle Arti, col quale la giovane scomparsa aveva collaborato negli ultimi tempi a un tirocinio per il restauro di una chiesa a S. Pier Niceto, e della dott.ssa Rossella Caporale, amica e collega di studi, che tra l’altro ha osservato: “Lucia sarebbe stata felicissima, perché desiderava concretizzare con la pubblicazione questo suo lavoro”, è stato il coordinatore della serata, Gaetano Di Silvestro, a concludere, dicendo:
“Penso che Lucia ci abbia voluto dare un messaggio, di riunire le nostre forze, di capire le ricchezze che possediamo e di raccoglierne il frutto, il messaggio che ci lascia Lucia è di amore verso il proprio paese”.
Maristella Dilettoso (Articolo pubblicato su Il Convivio n. 65 – 2016)
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Lucia Lo Presti – La Cassino del Sud
(Randazzo 23 aprile 2016: Aula Consiliare “Falcone e Borsellino” – contributo di Maristella Dilettoso durante la presentazione del libro)
Se mi trovo qui stasera, è perché tempo addietro i familiari di Lucia vollero affidarmi questo testo per una revisione, prima di darlo alle stampe, e voglio ringraziarli per questa fiducia.
Il testo, infatti, era nato come una tesi di laurea, e prima che diventasse un libro, questo era un primo passaggio obbligato: dei passaggi successivi, e dell’aspetto editoriale, si è occupato poi Giuseppe Manitta. Sinceramente, dopo il suo intervento, dove sono stati approfonditi gli aspetti storici e letterari, c’è poco da aggiungere.
Avevo conosciuto l’autrice, anche se superficialmente, per ragioni familiari, e inoltre quando operavo presso la biblioteca comunale, l’avevo incontrata spesso proprio mentre lavorava alla tesi, e cercava dei testi, delle fonti, e qualche suggerimento.
Tuttavia c’è un altro aspetto di questo lavoro che mi intriga, e che mi ha incuriosita da sempre, ed è la voglia di capire, di sapere come e quanto sia cambiato il volto di Randazzo nell’arco di un secolo. Tanto che mi ero occupata anni addietro dell’argomento, dei bombardamenti alleati e di ciò che ne è conseguito per Randazzo, molto più in breve, naturalmente, per un articolo pubblicato nel 2000, dove provavo a censire i danni riportati dalla città a causa dell’evento più catastrofico che l’abbia colpita fino ad ora. Questa è una ragione in più perché questo scritto mi ha profondamente colpita e interessata.
La mia generazione ha avuto la sorte di non conoscere la guerra, almeno non direttamente, ma è cresciuta, negli anni dell’immediato dopoguerra, quando il ricordo di quei giorni, e di quegli eventi, era ancora troppo vivo nei più grandi, tanti lutti erano ancora troppo recenti, tante ferite non si erano ancora chiuse e cicatrizzate.
La mia generazione non è cresciuta soltanto con i racconti delle fiabe, ma è venuta su anche con i racconti ancora vivi del tempu ri guerra, ed erano racconti di aerei, di fortezze volanti, di spezzoni incendiari, di oscuramento, di sfollati nelle campagne, di incertezza del domani, di fame, di paura.
La mia generazione ha camminato, per diversi anni, lungo le strade di un paese che portava visibili i segni della guerra, perché la ricostruzione fu lenta e faticosa, percorrendo quelle vie ci imbattevamo ancora in tante case e palazzi sventrati in modo impietoso, o ridotti in cumuli di macerie, e quelli rimasti in piedi mostravano sui muri, come delle ferite ancora aperte, i fori delle bombe.
La maggior parte dei randazzesi visse quella “lunga estate calda” del 1943 nelle case di campagna, nelle proprie o in quelle di amici e parenti, in una strana promiscuità, con poco cibo, dando fondo alle scorte alimentari che erano riusciti a portarsi dietro; qualcuno dei più giovani tentava ogni tanto delle rapide spedizioni in paese, per recuperare qualche provvista dimenticata nella fretta, mettendosi così a duro rischio e pericolo: spesso durante queste “incursioni” trovavano la loro casa già distrutta, in altri casi saccheggiata, o ancora invasa da saccheggiatori, tedeschi o inglesi che fossero.
Andando avanti negli anni, si è fatta sempre più forte e costante la voglia di conoscere quale aspetto avesse Randazzo prima di quel fatidico luglio-agosto 1943, ci sarebbe voluta la macchina del tempo, invece abbiamo dovuto accontentarci di poche immagini viste sui libri, come quello del De Roberto, e di qualche sbiadita foto d’epoca, che purtroppo non documentano tutto, perché di molti angoli del paese, chiese, palazzi, statue, quadri, ecc. non esiste più nessun documento o nessuna testimonianza.
Cosa c’era, cosa è scomparso, cosa è rimasto, cosa è stato recuperato… ecco l’importanza di questo libro.
Vero è, e dobbiamo ammetterlo, che anche prima di allora, ma soprattutto dopo, tanti altri guasti sono stati perpetrati ai danni del nostro patrimonio, e non solo con le distruzioni, ma anche con interventi quanto meno discutibili.
Ma quella che si consumò in appena un mese, un mese interminabile per chi lo visse, fu la più devastante delle catastrofi, il culmine, una sorta di spartiacque tra il prima e il dopo, perché di danni Randazzo ne aveva subiti tanti nel passato, saccheggi, incendi, inondazioni, eruzioni dell’Etna, terremoti, e tanti, anche per incuria umana o ignoranza, ne avrebbe subiti dopo.
Perché dopo i danni inferti dagli Alleati e dai Tedeschi, la storia di Randazzo, è costellata di vere e proprie violenze al patrimonio, al residuo nostro patrimonio, che dal dopoguerra si sono protratte fino ai giorni nostri, penso all’euforia della ricostruzione negli anni ’60, e penso a tanti rifacimenti e restauri anche decisi dall’alto, e spesso improvvidi e di dubbio risultato.
Come già è stato detto, e come puntualmente è documentato dal libro di Lucia, fu un mese di incessanti attacchi aerei, dove in barba alla Convenzione dell’Aja del 1907 non si esitò a bombardare anche ospedali, edifici indifesi, chiese e luoghi di culto, persero la vita numerosi civili, o per mano dei soldati, o sotto le bombe, come quelli che si erano rifugiati dentro la chiesa di S. Martino, devastata dalle bombe il 7 agosto, anzi uno dei beni più danneggiati, e come se ciò non bastasse, vi furono anche gli strascichi, una lunga scia di sangue, a causa di tutti gli ordigni inesplosi di cui pullulava il territorio di Randazzo, che nell’immediato dopoguerra causarono morti e numerosi feriti, anche tra i bambini.
Abbiamo avuto molte testimonianze su quei giorni, oltre a quelle riportate sul libro, credo che ciascuno di noi ne abbia sentito parlare in gioventù, in famiglia e fuori, e purtroppo non abbiamo avuto sempre il buon senso e la preveggenza di registrarle o di trascriverle.
Però una testimonianza, una per tutte, vorrei riportare, dato il tema, quella di un uomo, un grande uomo, che a quei tempi non era ancora cittadino randazzese (lo sarebbe diventato nel 1979). Era venuto a Randazzo nel 1937, aveva trovato una splendida cittadina medievale, uno scrigno di tesori d’arte, e se ne era innamorato, ma anche lui come tutti dovette assistere, in quella estate infausta del 1943, allo scempio e alla devastazione. Parlo di don Virzì, che nella premessa al suo libro sulla chiesa di S. Maria descrive tutto questo con parole che a oltre 30 anni di distanza commuovono e danno i brividi.
“Ho perduto, come tanti altri, tutto, rimanendo con solo ciò che avevo addosso e col rimpianto della distruzione di tutto quello che era stato il sogno più bello della mia vita: la visione di bellezza di una città medievale (e qui descrive tanti particolari, finestre, portali, viuzze…). Ed io, pellegrino doloroso, mi immersi in mezzo a queste rovine, cercando il passaggio tra i mucchi di macerie, … ma ogni cosa gridava il suo dolore e il suo strazio…E il mio cuore impotente pianse davanti alla distruzione di tanto materiale artistico e storico insostituibile che aveva reso, con la sua scomparsa, impenetrabile e incomprensibile ormai alla mente umana intieri periodi storici della vita della città e della Chiesa…”
Per me, se mi concedete una considerazione personale, c’è una statua che compendia e rappresenta la guerra e la distruzione di Randazzo: avrete certamente presente la Madonna attribuita a Vincenzo Gagini, oggi a S. Martino, e un tempo a S. Maria del Gesù. È una statua bellissima, per me la più bella che ci sia a Randazzo, ho visto qualche vecchia fotografia che la ritrae ancora integra… invece adesso è una Madre dall’aria triste, che regge sulle braccia un Bambino con le gambe spezzate… ecco, questa statua è per me una metafora della guerra, una metafora di ciò che la guerra fece e lasciò a Randazzo: dolore, danni agli uomini e alle opere d’arte, la metafora di una storia spezzata.
Infatti “A morire, oltre la gente, furono anche le opere d’arte…” con questa frase lapidaria Lucia conclude la sua Tesi di laurea. È una frase che fa riflettere.
Perché, a rileggere queste pagine, dove è stato profuso impegno, ricerca, lavoro fisico e mentale, nel ricostruire con puntualità, precisione cronologica e documentaria, la sofferenza di una città, è difficile non ripensare alla sofferenza di Lucia, ma anche al fatto che una giovane donna, nell’espressione culminante del suo percorso di studio, qual è una tesi di laurea appunto, ha espresso un atto d’amore, ma anche di speranza e di volontà di recupero, verso il proprio paese.
Il libro si rivela molto interessante – oltre che per lo scopo umanitario e solidale per cui ne è stata voluta la pubblicazione – ma perché è un altro tassello che va ad aggiungersi agli altri scritti che costituiscono, sotto aspetti diversi, la bibliografia su Randazzo, è pregevole per la ricchezza delle fonti, sia locali che esterne, ma su questo si è già soffermato Giuseppe Manitta, per noi randazzesi e per quanti ne avessero la voglia, potrà essere utile a ricostruire, a immaginare com’era il nostro paese, e a non dimenticare.
Questo libro raccoglie, in un tutto organico, notizie che finora si trovavano in ordine sparso, e offre una vera e propria mappatura del paese, perché suddivide la materia in edilizia sacra, civile, militare, toccando chiese, palazzi, edifici pubblici, vie, porte, ecc. e distinguendo tra patrimonio distrutto, danneggiato, e recuperato.
Ho trovato molto indovinate le citazioni dalla Cronachetta siciliana di Nino Savarese, per la parte storica, e degli autori randazzesi per la parte descrittiva, perché è come se questi incipit messi in apertura a ogni capitolo facciano da contrappunto alla descrizione dei fatti, dei nudi fatti, proponendo le sensazioni e riflessioni dell’uomo.
E fa ancora molta impressione (personalmente almeno mi ha molto colpita) rivedere la fredda cronologia dei bombardamenti, dell’aviazione alleata, vedere come, in questo “bollettino delle incursioni” il nome di Randazzo ricorre di continuo, quasi tutti i giorni, in un elenco cosi asettico, di una freddezza chirurgica, direi, dove si elencano le località colpite, e tutto questo mentre qui, nel paese, per ciascun abitante, ogni giornata, ogni incursione, rappresentava altra sofferenza, dolore e distruzione.
Infine, ricordiamoci (non voglio dirlo a scopo consolatorio ché sarebbe riduttivo) che ciascuno continua a vivere attraverso quello che ha prodotto, nel bene come nel male, attraverso le proprie opere: oggi ancora tanta gente del passato, artisti pittori musicisti poeti continuano a parlarci attraverso i loro quadri, le loro musiche immortali, i loro scritti, consegnando all’umanità valori che sopravvivono nella memoria, nella cultura e nella storia. E conoscere il passato del proprio paese alimenta la memoria storica, perché la memoria non è un dato immobile, statico, ma un qualcosa che, passando per la conoscenza delle proprie radici e della propria identità, ci fa proiettare verso il futuro.
Randazzo, la Cassino di Sicilia. Indagine sul patrimonio storico-artistico distrutto e danneggiato negli anni della seconda guerra mondiale:
Il saggio si articola in due parti: i danni che la guerra ha causato e ciò che, dall’altro lato, ha risparmiato.
Per ognuna di esse si ritrovano riscontri e testimonianze documentarie, siano scritturali o iconografiche, così che è possibile per il lettore non solo affidarsi alla descrizione dei mutamenti, ma anche di seguirli ipso oculo.
Tra le opere danneggiate si possono individuare due categorie ben specifiche: le opere completamente distrutte dalla guerra e dalle ricostruzioni o abbattimenti successivi, quindi oramai non identificabili nel tessuto urbano, ed opere gravemente danneggiate ma ancora esistenti…
The essay is divided into two parts: the damage the war caused and what, on the other hand, has saved. For they themselves are iconographic and documentary evidence, or scriptural, so it is possible for the reader not only rely on the description of the changes, but also to follow them ipso oculus. Among the works are damaged you can identify two specific categories: works completely destroyed by war and the subsequent slaughter, then rebuilds or unidentifiable now into the urban fabric, and severely damaged but still standing.