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Antonio Pallante

Il 14 luglio del 1948 accadde un fatto terribile e spettacolare ( non penso certamente a Gino Bartali che vince il Tour de France, anche se poi avrà un suo ruolo) l’attentato al segretario politico del PCI Palmiro Togliatti. Ma il fatto più stupefacente per noi è che l’attentatore è un giovane studente di Randazzo:  Antonio Pallante.
I randazzesi rimangono molto stupiti ed increduli. Molti conoscono la famiglia Pallante ed anche Antonio. Giovane molto impegnato in politica , anche se con idee confuse e contraddittorie,ma nessuno poteva immaginare che potesse diventare addirittura un attentatore.
Antonio Pallante e figlio di Carmine e di Meloro Maddalena, nato a Bagnoli Irpino il 3 agosto del 1923. Il padre abruzzese lavora nel Corpo Forestale ed era una persona molto rigida e severa soprattutto nei confronti dei tre figli, anche se durante un comizio di Antonio ad un certo Proietti che lo contestava gli dà un pugno che lo scaraventa a terra.
Da giovane era religioso,spinto pure dal padre che lo voleva sacerdote, ed entra nel seminario di Cassano allo Jonio in Calabria. Finita la vocazione prende la licenzia ginnasiale a Castrovillari, poi la maturità classica in Sicilia al prestigioso Real  Collegio Capizzi di Bronte, quindi si iscrive a giurisprudenza a Catania».
Per anni fa “finta” di dare esami  ingannando il padre che per mantenerlo agli studi aveva venduto un terreno di famiglia per duecentomila lire.
Ai primi di luglio del 1948 saluta i genitori, parenti e amici, raccoglie da loro tremilacinquecento lire e dice che sarebbe andato a Catania per la tesi di laurea.
A Catania ci passa  solo per acquistare una pistola la Smith calibro 38 al mercato nero per 250 lire e per 25 lire acquista in armeria cinque proiettili. e  parte per Roma.

Di seguito alcuni articoli di giornali, interviste e di recente un libro scritto dal giornalista  Stefano Zurlo inviato de “Il Giornale” –  Quattro colpi per Togliatti. Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia (Baldini+Castoldi, pagine 254, euro 17,00) , che spiegheranno bene e da diversi punti di vista cosa successe in quei terribili giorni.

 

Andrea Velardi per il Messaggero

La mattina del 14 luglio del 1948, anno della Costituzione e delle prime elezioni repubblicane, l’ Italia sfiora il baratro della guerra civile quando, davanti a Montecitorio, il giovane studente siciliano Antonino Pallante ferisce gravemente Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano.
La reazione del Migliore fa subito capire che quella del comunismo italiano sarà una vera anomalia, destinata a non reiterare gli scenari cruenti che la storia recente ha confermato essere assai realizzabili. 
A 70 anni da quell’ attentato si può considerare come tutta la storia del Partito comunista sia contenuta in nuce in questo evento così decisivo. Lo conferma il libro ricco e inusuale costruito da Salvatore Sechi mettendo insieme la sua lunga di intellettuale liberale di sinistra e la breve parentesi della sua consulenza presso la Commissione Mitrokhin, il cui lavoro viene giudicato fallimentare, a causa della censura nella accessibilità degli archivi e dei documenti, dei reciproci interessi partitici, del giornalismo petulante e sensazionalistico.

L’apparato para-militare del PCI e lo spionaggio del KGB sulle nostre imprese. Una storia di omissis fornisce, offre una tesi storiografica complessa e forte, restituendo la cornice di un’ identità del Partito comunista la cui matrice è in Togliatti e che si mantiene continua nonostante le virate e le mutazioni strategico-politiche del Novecento.

Il Pci ha perseguito due direttive contradditorie che in qualche modo hanno però realizzato la sua unicità con un equilibrio paradossale ma efficace. Da una parte l’ avversione esplicita per la socialdemocrazia, l’ influenza del Pcus e del Kgb nella politica italiana tra spionaggio industriale e tentativi di infiltrazione.
Dall’ altra l’ impossibilità di ridurre il comunismo italiano al Kgb e all’ immagine marziale del Partito così come venne espressa dall’ ampio dossier sulla organizzazione paramilitare dei comunisti italiani confezionato dal Sifar negli anni Cinquanta a cui si è appiattita tutta la vulgata storica e di cui bisogna attenuare la portata visto che una certa militarizzazione post-bellica era comune a partiti di diversa vocazione, col risultato dell’ esistenza di una Gladio bianca accanto ad una Gladio rossa.
LO SCENARIO.  Questo scenario riprende due linee adottate con grande efficacia da Togliatti.
L’ intuizione del dicembre del 1947 di non radicalizzare lo scontro armato sostenendo nella Direzione del partito la «possibilità di intreccio di lotte legali e di massa extralegali», pur non escludendo che si potesse essere costretti ad uscire dalla legalità, cioè ad abbandonare quelle che gli jugoslavi e gli stessi sovietici chiamavano «illusioni parlamentaristiche».
Vi è poi lo sforzo strumentale, ma geniale di Togliatti medesimo di agganciare la tradizione comunista a quella più risorgimentale e liberale, dissimulando in tutti i modi il reale e tremendo volto stalinista e bolscevico del Partito, con l’ effetto di italianizzare il comunismo (formula secondo Sechi poi fin troppo abusata), radicandolo inscindibilmente nella nostra tradizione sociale, istituzionale e costituzionale così da consolidare nei decenni successivi, soprattutto dopo la mutazione solo parziale dell’ era Berlinguer, una impermeabilità dei dirigenti di Botteghe Oscure alle stesse influenze sovietiche, impedendo nei fatti una infiltrazione massiccia dell’ Urss nel tessuto della nostra democrazia. 
Si dovrebbe così all’ input togliattiano se Berlinguer potrà con coraggio «non assecondare supinamente le decisioni e gli orientamenti dall’ Unione Sovietica» e insieme a Longo, Rodano e gli altri mantenere l’ ambiguità togliattiana della radicalità e dell’ enfasi della retorica della unicità storica della rivoluzione di Ottobre e della creazione dell’ Urss, nonché della contrapposizione tra comunismo sovietico e democrazie individualiste occidentali, minimizzando sulla repressione dei diritti civili come nella famosa intervista a Nuovi Argomenti nel giugno 1956 .

Palmiro Togliatti in ospedale dopo l’attentato

IL SOSTEGNO DELL’ URSS.  Senza coltivarne l’ immagine marziale, Sechi, che lasciò il Partito negli anni Settanta, non nasconde però quanto sia stato massiccio il sostegno economico sotto traccia del Kgb e quanto la storia del comunismo italiano sia sostanzialmente illiberale e totalitaria con buona pace di chi ha cercato di voler conciliare in tutti i modi la Rivoluzione liberale di Gobetti con il comunismo occidentalizzato, non leninista, ma certamente non pluralista, di Antonio Gramsci. 
L’ esperienza deludente della Commissione Mitrokhin e la disavventura di una infondatissima causa per diffamazione intentatagli da un ex parlamentare comunista non hanno permesso che si confermasse l’ amara conclusione di Sechi secondo cui «coltivare la speranza di ripensare la storia del comunismo è ormai impossibile». 
L’ occasione dell’ anniversario dell’ attentato a Togliatti e questo libro così denso ci fanno capire che lo sguardo dello storico può viaggiare alto al di là delle limitazioni documentarie e delle prospettive ristrette e faziose dei partiti e dei mass media.

 

LA DOMENICA DI REPUBBLICA: DOMENICA 29 APRILE 2007

La memoria:Storia d’Italia

Il 14 luglio 1948, in un periodo di estrema tensione politica, lo studente siciliano Antonio Pallante sparò da breve distanza quattro colpi di rivoltella contro il segretario del Partito comunista, che rimase ferito ma si salvò.

Abbiamo ritrovato negli archivi l’incartamento del processo che ne seguì e documenti rimasti sepolti per sessant’anni.

Antonio Pallante – arrestato

ROMA «Anche se in una cella del Regina Coeli, caro Paolo, io sono sempre quell’Antonio buono, affettuoso, e ponderato!». Era il 23 agosto del 1948 quando Antonio Pallante, da una cella d’isolamento del carcere romano, scrisse queste parole dirette al suo amico d’infanzia Paolo Marrone.
Poco più d’un mese prima, il 14 luglio, in piazza Montecitorio, quel ragazzo di Randazzo, provincia di Catania, che si definiva «buono e ponderato», all’epoca appena venticinquenne, aveva sparato a bruciapelo quattro colpi di rivoltella contro Palmiro Togliatti, ferendolo gravemente. 
E scatenando al Nord un moto insurrezionale che costò la vita a decine di persone. Quasi sessant’anni dopo, il fascicolo giudiziario di “Pallante Antonio” è diventato pubblico, custodito nell’Archivio di Stato, sezione di Galla Placidia.
Bisogna slegare sei o sette cordicelle per aprire il faldone quasi imbozzolito che contiene un migliaio di fogli ingialliti. 
Le pagine più toccanti che spuntano da quel fascicolo dimenticato sono le lettere inedite che Pallante scrisse a Regina Coeli e che la censura sequestrò.
Da quei manoscritti 
emerge il ritratto di un giovane fortemente condizionato da una ideologia intrisa di fascismo, che arrivò a Roma con un solo libro, Mein Kampf di Hitler. 
Il fascicolo giudiziario inizia con la testimonianza di “Iotti Romilde fu Egidio nata a Reggio Emilia, deputato al parlamento”, interrogata dal procuratore di Roma due ore dopo la sparatoria.
Stando 
a questa testimonianza di Nilde Iotti, che vide Togliatti «abbattersi al suolo», mentre «quel giovane pallido in viso si abbassava sul ferito e gli sparava a bruciapelo al fianco sinistro», e che fu la prima a gridare ai carabinieri «arrestatelo, arrestatelo», diventa difficile immaginare che il Migliore, quel drammatico frangente, possa aver pronunciato la fatidica frase che gli viene attribuita: «Non perdete la calma».
Dopo quello della Iotti, c’è l’interrogatorio 
dello stesso Togliatti del 22 novembre, quando, ormai guarito, pone fine alla tesi del complotto agitata a lungo dall’Unità e da esponenti del Pci. «Non sono in grado di fornire alcun elemento in merito a responsabilità di altre persone —dichiara, lapidario, ai giudici — non essendomi curato di fare indagini, né mi è stato riferito da altri alcun elemento al riguardo». 
Così il forestale Carmine Pallante descriveva il figlio. «Ha un carattere mite e ubbidiente, però un po’ nervoso, si adirava quando era contrariato anche nelle più piccole cose. Ha una certa ripugnanza per le armi. Durante il passato regime era appartenuto alla Gioventù italiana littoria».  
 
Pallante, ambizioso quanto confuso, passò dai liberali all’Uomo qualunque, e manifestò l’intenzione sia di scrivere per l’Unità, che di iscriversi all’Msi.
Ecco come 
descrisse se stesso alla polizia che lo aveva appena arrestato. «Nel ‘44 mi sono iscritto al Partito liberale, diventandone dirigente della sezione di Randazzo. Lo lasciai perché a mio giudizio troppo conservatore. Nel mio paese sono conosciuto come un fascista perché il mio noto anticomunismo viene a torto giudicato fascismo ». Ed ecco come spiegò il movente del suo gesto. «Ho sempre pensato che in Togliatti si debba ravvisare l’elemento più pericoloso alla vita politica italiana.

 

 

 

 

Repubblica Nazionale

Tra il febbraio e il luglio del 1948 la giovane democrazia italiana è sottoposta a tensioni durissime, che in più di un momento sono a un passo dal metterla in discussione. Esclusi socialisti e comunisti nel giugno 1947 dal terzo governo De Gasperi, l’Assemblea costituente è ancora riuscita, superando divisioni politiche sempre più profonde, a dare al paese la sua nuova Costituzione.
Ma la carta fondamentale della Repubblica appare più la testimonianza 
estrema di un momento irripetibile, maturato nel clima di unità del dopoguerra e presto svanito, che il fondamento riconosciuto di una nuova convivenza civile.
La Guerra fredda è diventata ormai una realtà.
Il risultato delle elezioni del 
primo Parlamento repubblicano italiano, convocate per il 18 aprile, rappresenta una posta altissima per le due superpotenze, che si dimostrano tutt’altro che disposte ad accettarlo a scatola chiusa: George  Kennan, autorevole consigliere del segretario di Stato americano, prospetta l’ipotesi di «mettere fuori legge il Partito comunista e condurre un’energica azione contro di esso prima delle elezioni» per provocarlo alla guerra civile, e fornire così il pretesto alla rioccupazione militare del Paese.
Togliatti informa l’ambasciatore sovietico 
Kostylev che il Pci è pronto a reagire ad un’eventualità del genere con un’insurrezione armata nel Nord del paese.



Strutture paramilitari clandestine sono apprestate non solo dai comunisti, ma, come è ora ampiamente documentato,

anche dai cattolici, in vista di uno show down ritenuto inevitabile nel caso che gli avversari non accettino un responso sfavorevole delle urne.
Il clima è avvelenato da una situazione sociale esplosiva. La politica di risanamento economico e finanziario inaugurata da Einaudi e proseguita da Pella ha aumentato i livelli di una disoccupazione già estesissima.
La Confindustria 
attribuisce il dilagare degli scioperi a un piano preciso del Pci e invita le imprese associate a non concedere nulla sul fronte della contrattazione.
La 
campagna elettorale si apre così in un clima di contrapposizione esasperata, in cui la situazione dell’ordine pubblico sembra sul punto di sfuggire di mano.
La Chiesa e i comitati civici si mobilitano nella lotta contro «l’Anticristo».
Gli emigrati americani scrivono alle loro famiglie in Italia che in caso di vittoria del Fronte gli aiuti del Piano Marshall cesseranno, e sarà la fame.
I partiti 
del Fronte popolare, apparentemente sicuri della vittoria, plaudono al colpo di forza con cui i comunisti, in Cecoslovacchia, si sono sbarazzati degli alleati di governo, e evocano minacciosi scenari di resa dei conti finale.
I toni della 
propaganda si fanno via via più accesi, rappresentando due Italie irriducibilmente nemiche.
La vittoria della Democrazia Cristiana, netta oltre ogni previsione, non smorza la tensione.
Nelle settimane successive al voto l’attenzione del Parlamento 
è polarizzata dalla ratifica dell’accordo con gli Stati Uniti sul Piano Marshall.
Nella discussione alla Camera, il 10 luglio, Togliatti denuncia in quell’accordo una subordinazione «alla politica dei gruppi dirigenti imperialisti degli Stati Uniti» e ammonisce che se il Paese dovesse essere trascinato in una guerra, «noi conosciamo qual è il nostro dovere. Alla guerra imperialista si risponde oggi con la rivolta, con la insurrezione per la difesa della pace, della indipendenza,dell’avvenire del proprio Paese!».

Tre giorni dopo un editoriale del quotidiano socialdemocratico, siglato dal suo direttore Carlo Andreoni, bollando la «jattanza con la quale il russo Togliatti parla di rivolta», esprime la certezza che «il governo della Repubblica e la maggioranza degli italiani avranno il coraggio, l’energia, la decisione sufficiente per inchiodare al muro del loro tradimento Togliatti e i suoi complici. E per inchiodarveli non metaforicamente».
Questa prosa virulenta può essere qui matura il gesto di Pallante il 14 luglio. 
Sia la Direzione del Pci sia la Cgil sono colte di sorpresa dall’imponenza di una risposta di massa, disarticolata e in gran parte spontanea, in cui confluiscono la frustrazione per la sconfitta elettorale del 18 aprile, lo sdegno per l’attentato alla vita di un dirigente amatissimo dai militanti, la diffusa attesa per una .
Non è mai stato provato che dietro questo movimento tumultuoso ci fossero una trama organizzativa e una leadership politico-militare del Pci, come sosterrà più tardi il ministro Scelba.
È probabile piuttosto che scattino quei 
meccanismi di difesa che il partito ha predisposto per l’ipotesi di una «provocazione» e di un colpo di Stato, e che in qualche caso questi meccanismi sfuggano di mano, soprattutto per l’intervento degli ex-partigiani, a chi li aveva ideati.
Per tre giorni, paralizzata dallo sciopero generale, l’Italia sembra sull’orlo 
della rivoluzione.
Restano sul terreno almeno quindici morti, equamente 
divisi fra agenti delle forze dell’ordine e dimostranti, mentre vengono operati migliaia di arresti. 
Eppure in quel momento decisivo ciascuna delle parti che si fronteggiano compie un passo indietro sull’orlo del baratro: i comunisti frenano, evitano che il moto si trasformi in insurrezione, e presto lasciano cadere anche la richiesta di dimissioni del governo. 
Questo a sua volta non cede alla tentazione 
di mettere al bando il Pci. La guerra di movimento dei caldi mesi di febbraio-luglio si trasforma lentamente in guerra di posizione. 
Le appartenenze separate,
benché abbiano messo radici profonde e destinate a durare, non cancellano del tutto il senso di una cittadinanza comune e il rispetto di una serie di regole sia pure a malincuore condivise.
La democrazia, malgrado tutto, tiene.

 

Storia. Pallante, cronaca di un delitto mancato

 

Un libro-intervista di Zurlo chiude la bocca alle dicerie e ad ogni dietrologia sul tentato assassinio di Palmiro Togliatti. Settant’anni dopo il “mistero” svelato dal 95enne “ex attentatore” catanese.

Roma, 14 luglio 1948, l’attentato al leader del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti che ferito gravemente viene trasportato in ospedale, si salverà

Antonio Pallante – Oggi. (95 anni)

Antonio Pallante? Ma quel Pallante… l’attentatore di Palmiro Togliatti? Ma è una storia di settant’anni fa, possibile che sia ancora vivo? Questa la conversazione avuta con amici e colleghi, anche ferrati in storia patria, subito dopo la sorprendente scoperta: quell’Antonio Pallante che attentò alla vita del “Migliore”, il leader massimo del Partito Comunista Italiano, è ancora vivo e lotta per sé, e alla veneranda età di 95 anni risiede nella sua Catania.
 A testimoniarlo è il bel libro Quattro colpi per Togliatti. Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia(Baldini+Castoldi, pagine 254, euro 17,00) scritto dall’inviato de “Il Giornale” Stefano Zurlo.
Un lavoro paziente quello di Zurlo – mesi d’attesa per essere ricevuto da Pallante, stanco solo di difendersi dai rigurgiti storiografici e caduto volontariamente nell’oblio – quanto certosino nella ricostruzione dei fatti che si innestano in un momento in cui il nostro Paese sembrava sull’orlo della guerra civile.
 «Era il14 luglio, giornata caldissima e anniversario della presa della Bastiglia, un caso naturalmente, ma sì sa le coincidenze sono terreno fertile per giornalisti, storici, dietrologi…», racconta Pallante a Zurlo, fidandosi dell’esperto giornalista affinché una volta per tutte sgombri il campo dai falsi storici e dalla perniciosa pratica dietrologica che dal dopoguerra in poi ha fatto dell’Italia il Paese dei misteri.
Pallante si confessa, e il ritratto che ne esce è quello dell’idealista formatosi e partito con la sua pericolosa idea reazionaria da un piccolo paese siciliano, Randazzo.
Un borgo del catanese che, in quei giorni di “semimoti” di un altro ’48, era assurto agli onori delle cronache per il suo gesto estremo che ferì, ma non uccise, né Togliatti e tanto meno l’odiato Pci.
 L’allora 24enne studente in Giurisprudenza (era iscritto all’Università di Catania) racconta a Zurlo di essere «stato afferrato dal demone della politica».
 Il circolo «demoliberalqualunquista che aveva fondato a Randazzo era un coacervo di pensatori più o meno liberi, di simpatizzanti liberali, monarchici e adepti del neonato Fronte dell’Uomo Qualunque, nato nel 1946 dall’idea del giornalista Guglielmo Giannini.
Il buon Antonio tra un esame e l’altro («poi non mi sono più laureato») in quel microcosmo provinciale, fatto di lunghe “conversazioni siciliane” a tavolino e di infinite partite a dama e baccarà, si scaldava in comizi vulcanici e alla stesura di elzeviri monarchici (ero diventato corrispondente de “La Voce dell’Isola”, periodico monarchico di Catania) in cui si scagliava puntualmente contro «i comunisti asserviti a Mosca.
Non sopportavo – dice – i separatisti che volevano staccare l’Isola dalla mia Italia». Le elezioni del 18 aprile 1948 divennero la grande ossessione per quel ragazzo “ultrarisorgimentale”, per certi versi letterario, «un Vitaliano Brancati senza i baffi», che respirava i venti tempestosi dello scontro tra le destre postfasciste e la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi: forze in cui credeva e che dovevano arginare la deriva insurrezionale lanciata dal filosovietico Togliatti.
Nonostante la batosta rimediata alle urne dal Pci, per mesi Antonio il caldo aveva un solo pensiero in testa: «Dovevo essere il vendicatore degli italiani traditi dal Pci». Il “Migliore” per lui era la peggiore espressione politica, un nemico da eliminare in fretta e furia, prima che l’Italia potesse diventare un nazione soggiogata dallo stalinismo e quindi si ponesse fine al Piano Marshall (con il relativo sostegno economico degli Stati Uniti) e ancor peggio alla strategia di De Gasperi che «spingeva per inserire il nostro Paese nel Patto Atlantico, l’ombrello che avrebbe garantito il nostro benessere».
Togliatti, con il suo discorso incendiario pronunciato alla Camera, il 10 luglio, aveva tuonato: «Alla guerra imperialista, si risponde oggi con la rivolta, con la insurrezione per la difesa della pace, dell’indipendenza, dell’avventura del proprio Paese». Lo spauracchio delle masse operaie e contadine, guidate dagli intellettuali estremisti, pronti a mettere a ferro e fuoco il Paese, fecero accelerare il piano di esecuzione di Pallante. L’11 luglio del ’48 in treno era salito a Roma, armato (una pistola Hopkins&Allen calibro 38 acquista al mercato nero di Catania) e deciso ad estirpare il «Male».

L’attentatore catanese Antonio Pallante, classe 1923

Dopo giorni di “studio” della sua vittima, con ingannevole astuzia riuscì a convincere l’onorevole Francesco Turnaturi che cedendo all’insistenza del compaesano gli rilasciò il pass d’ingresso per il Parlamento.
Il povero Turnaturi aveva introdotto la “serpe” in seno a Montecitorio e quella si rivelò la vipera velenosa di Togliatti.
 Il leader comunista, quel pomeriggio afoso del 14 luglio si fece prendere dalla tentazione di un gelato da Giolitti e mentre si recava al noto bar romano assieme alla compagna di lotte e di vita, Nilde Iotti, in via della Missione venne raggiunto da quattro colpi di pistola sparati da Pallante.
La ricostruzione di quegli attimi cruciali sono degni della miglior trama di un noir. Il giovane catanese a quel punto si ritrovò stordito, con un’arma in mano, e a salvarlo dal linciaggio intervenne, celere, il capitano dei carabinieri Antonio Perenze che «due anni dopo sarà il protagonista della misteriosa uccisione del bandito Giuliano».
Sbattendolo dentro la jeep che schizzò via al carcere di Regina Coeli, Pallante ebbe salva la vita e lì iniziò la sua seconda esistenza.
Una seconda vita non macchiata dalla morte di Togliatti, salvo per miracolo (morì nel 1964), e da una guerra civile scongiurata (secondo i “gazzettieri” anche grazie alla straordinaria impresa compiuta da Gino Bartali che vinse il Tour de France) ma che comunque ferì il “Drago rosso”.
Tra il 14 e il 15 luglio sul campo di battaglia, da nord a sud, rimasero 30 morti, 800 feriti. Oltre 7 mila le persone arrestate con danni quantificati in 50 miliardi di vecchie lire. 
Notizie filtrate arrivavano a Pallante dietro le sbarre in cui, con i giorni, cominciò a delinearsi la sua doppia immagine pubblica: quella del “carnefice” anticomunista e di contro, l’eroe di tutti coloro che lo ringraziavano per lo scampato pericolo della rivoluzione rossa.
Durante la detenzione, che proseguì al carcere di Noto, ricevette centinaia di lettere di encomio e doni, anche in denaro, persino dall’eroina d’Argentina Evita Perón che «spedì «tanti pesos, forse l’equivalente di 25mila euro di oggi», esaltando il combattente anticomunista Pallante.
Difeso da un principe del foro come l’avvocato Giuseppe Bucciante, in Cassazione la pena gli venne ridotta a 6 anni (per effetto dell’amnistia tornò a casa il Natale del 1953) ma una volta fuori continuò la scia insopportabile delle illazioni che mistificavano quella grande Storia in cui, con ingenuità, furore e orgoglio giovanile, era stato ascritto.
 La diceria degli untori lo voleva braccio armato del complottismo e della nuova spirale fascista. Ma Pallante non era mai stato fascista, neanche sotto il regime, come dimostra il suo «quinto colpo di pistola», quello sparato a Bronte. 
Il tiro mancino esploso dal moschetto del liceale: fracassò la centralina elettrica che garantiva i collegamenti «fra Roma e Tripoli, fra Mussolini e i suoi generali… Ero spacciato».
Ma anche allora dal cielo si calò l’ancora della salvezza: il direttore delle poste di Bronte, caro amico del padre, fece sparire la documentazione sul “caso Pallante”.
 In seguito, il tenente americano Charles Poletti sbarcato in Italia, per liberarla, con la VII armata, volle incontrare quel «bravo italiano» e donargli mille lire di premio. «Non ho più saputo nulla di Poletti (poi noto avvocato a New York, morto a 99 anni, nel 2002) e non so se gli giunse in America l’eco di quello che poi ho combinato…», si chiede oggi Pallante che, prima di ritirarsi a una vita privata, quasi anonima (impiegato alla Regione Sicilia fino alla pensione, sposato con due figli) ha dovuto difendersi dalle accuse più disparate.
Ora grazie al saggio-intervista di Zurlo la verità finalmente trionfa.
 Pallante nell’attentato a Togliatti ha agito da solo, senza complici. «Sono solo uno studente e agisco per la libertà», disse allora e conferma oggi, concludendo: «Mi sono preso responsabilità pesanti e me le sono tenute strette, per tutta la vita».
Massimiliano Castellani martedì 22 gennaio 2019

 

L’attentato a Togliatti: Pallante un separatista vicino ad Antonio Canepa?

Cosa ha spinto l’uomo che nel 1948 sparo’ al leader del pci? veniva da Randazzo e aveva studiato con il leader dei separatisti siciliani. C’e un nesso tra l’attentato e la causa indipendentista? l’interrogativo nell’affascinante libro di Salvatore Grillo Morasutti che ricostruisce gli anni del dopoguerra in Sicilia: dall’assassinio di Canepa, al ruolo del pci, fino a quello di don Sturzo e delle potenze alleate.

Chi è veramente l’uomo che  il 14 luglio 1948 sparò quattro colpi di calibro 38 a Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista italiano? Era davvero, ai tempi dell’attentato, un esponente di estrema destra- cosa peraltro da lui sempre negata- così come venne dipinto dai media?
IL mistero di Antonio Pallante, ancora oggi, rimane insoluto.  Ma, una nuova ipotesi comincia a prendere corpo. Una ipotesi che affonda le sue radici a Randazzo, città dalla quale partì per Roma con l’idea di uccidere Togliatti.

Città che, insieme con tutta la provincia di Catania, in quegli anni era la culla del separatismo siciliano  e in cui, nel 1945, venne ucciso il Professor Antonio Canepa, leader dell’Evis, l’Esercito dei Volontari per l’Indipendenza Siciliana. 
Di Canepa, Pallante era stato  alunno alla Facoltà di Giurisprudenza di Catania. E  lui stesso in una intervista del 1972  trasmessa da Rai Storia (sotto il link al video) conferma che negli anni in cui era studente, in Sicilia il dibattito politico era animato dal fuoco separatista. 
C’è dunque un nesso tra la sua decisione di attentare alla vita di Togliatti e la causa indipendentista siciliana?L’interrogativo, declinato in tutti i suoi dettagli, è contenuto in un nuovo affascinante libro sugli anni che seguirono la Seconda Guerra Mondiale. Si intitola ‘Il delitto Sicilia- Operazione Vulcano’ di Salvatore Grillo Morasutti, edito da Bonfirraro (18.90euro – distribuito anche dalle librerie Mondadori), che verrà ufficialmente presentato Sabato 12 Luglio a Caltagirone. 
Il testo, scritto sotto forma di romanzo storico – che lo rende di facile lettura anche ai neofiti – ripercorre le tappe principali della politica internazionale che all’indomani del conflitto ridisegnò stati e confini.
A questo disegno, ovviamente,  non sfuggì la Sicilia, unica regione in cui gli alleati imposero un governo provvisorio (Amgot) che dovette fronteggiare le istanze separatiste (nel 1945 il Movimento separatista aveva 500mila iscritti, gli altri partiti poche migliaia).
Nel libro di Grillo Morasutti, che pubblica documenti ufficiali dell’Intelligence inglese e americana, si evince chiaramente come le Grandi potenze straniere, all’inizio, avessero avuto un atteggiamento del tutto  conciliante nei confronti di una Sicilia indipendente. Poi tutto cambia. Una Sicilia libera, infatti, avrebbe richiesto una contropartita troppo grande  in favore dei russi (ad esempio, l’annessione di quella che oggi chiamiamo Padania all’Iugoslavia di Tito). 
Da qui sarebbe nata, secondo quanto leggiamo in questa interessante ricostruzione storica, l’Operazione Vulcano, ovvero la decisione di uccidere Antonio Canepa, che mai avrebbe accettato quella sorta di compromesso (rivelatosi alquanto fasullo) che poi ha portato all’Autonomia siciliana e alla sepoltura  dell’idea separatista.
L’influenza negativa della Russia rispetto alle istanze separatiste  e il ruolo di Togliatti nel ‘sacrificio’ della Sicilia, secondo la tesi del libro, potrebbero avere contribuito a spingere Pallante fino a Roma per uccidere il segretario del Pci. 
L’autore del libro ricorda, tra l’altro, che Canepa aveva aderito al Partito Comunista fino al 1944, quando a Firenze aveva fondato il Partito dei lavoratori in polemica con le scelte fatte dai vertici sulla Sicilia. Siamo ad Ottobre. Otto mesi dopo, Canepa verrà ucciso dai Carabinieri  nell’ambito dell’Operazione Vulcano, decisa dagli Alleati e dal Governo italiano.  Al tempo dell’uccisione del leader dell’EVIS, Togliatti era il Vice Presidente del Consiglio. Difficile che non sapesse cosa si stava decidendo per l’Italia e per la Sicilia.

E’ possibile dunque che Pallante avesse voluto vendicare Canepa?

Certo è che il trattamento da lui subito dopo l’attentato a Togliatti è molto singolare. Lo Stato, stranamente, si mostrò molto clemente con lui. Fu condannato, per un reato così  grave, a soli sette anni, dei quali solo due effettivamente scontati. Una volta scarcerato, fu assunto alla Forestale: un impiego pubblico.
Un premio per cosa? Il silenzio sulle reali motivazioni che lo avevano spinto ad attentare alla vita di Togliatti? Un altro contributo a quella propaganda ufficiale che ha voluto fare dimenticare ai siciliani parte della loro storia?
Nel libro, non mancano ( e non poteva essere diversamente) interrogativi anche sul ruolo di Don Sturzo, non solo sulla causa separatista (solo nel 1947 si dichiarò contrario, mentre uomini a lui molto vicini erano di sicura fede indipendentista) ma anche sullo sbarco degli alleati, organizzato mentre il prete calatino era esule negli Usa. Difficile, anche in questo caso, escludere un suo coinvolgimento. 
Nel testo di Grillo Morasutti-  320 pagine da leggere tutto ad un fiato per la ricchezza di documenti storici citati e per  lo stile romanzesco che rende il tutto scorrevole- si sfogliano le pagine della storia dell’Isola, del suo incanto, delle sue speranze e dei suoi drammi. Ma, soprattutto, si apprendono fatti che gettano non poche ombre sulla già oscure prime ore della vita dell’Italia Repubblicana.
ANTONELLA SFERRAZZA 8 LUGLIO 2014

 

         Pallante, l’ uomo che vuol farsi dimenticare.

Catania – Ci sono uomini che fanno di tutto per farsi dimenticare. Con il passare del tempo, a volte ci riescono. Con un atto di volontà provano a seppellire la loro storia, cancellano in un solo colpo la vecchia vita, violentano sentimenti e ideali pur di diventare invisibili agli occhi del mondo. Così, alla fine spariscono.
Dati quasi per morti, questi uomini possono vivere con un po’ di pace la loro nuova esistenza.
Come? Come fa l’ anonimo amministratore di un silenzioso condominio di Catania, quartiere borghese, i palazzi anneriti dai fumi del vulcano, gli alberi bruciati dalle ultime folate di scirocco.
Si chiama Antonio Pallante, l’ amministratore del condominio al numero civico 2 di piazza Beato Angelico.
C’ è qualcuno che si ricorda più di lui, in Italia? Cinquant’ anni fa era partito una notte dalla Sicilia perché credeva di avere una missione da compiere, il giorno dopo arrivò a Roma. Nella valigia aveva una copia di Mein Kampf, nella mano destra stringeva la pistola a tamburo appena comprata al mercato nero per 1500 lire.
Chi si ricorda più di lui? Chi si ricorda più di Antonio Pallante, l’ uomo che il 14 luglio del ‘ 48 cercò di uccidere il Migliore? Siamo andati a cercarlo “l’ attentatore”, l’ altro giorno. Non era a casa. Non era in campagna. Non era al solito posto al mare. E non era a casa né in campagna né al solito posto al mare nemmeno sua moglie Nunziatina. Siamo andati ad Acireale a parlare con suo fratello Guido.
Siamo andati a Randazzo per incontrare suo cognato Alfredo. Abbiamo telefonato a sua sorella Concettina che abita a Mirabella Imbaccari. Niente, loro non sapevano dov’ era Antonio. “Quello fa la sua vita e noi facciamo la nostra, ci sentiamo solo per le feste, Natale e Pasqua“, ci hanno risposto.
Parole pesate con cura, un certo fastidio mascherato dalla fredda cortesia, nessuna voglia di rinvangare il passato più lontano.
E poi il silenzio. Un silenzio lungo come mezzo secolo. Il tempo per diventare un altro uomo e farsi inghiottire dal nulla, per disperdere il suo nome e il suo volto nei labirinti della memoria. Per scoprire chi è oggi – e chi è stato per almeno quattro decenni – il “nuovo” Antonio Pallante, abbiamo inseguito tante vie. Abbiamo parlato con il suo amico Francesco Puglisi, che dal 1956 ha la macelleria all’ Orto dei Limoni a Catania.
Abbiamo provato a risvegliare qualche ricordo al vecchio capocronista de La Sicilia Turi Musumeci, che per primo intervistò “l’ attentatore” nel 1954. Abbiamo chiacchierato con i suoi vicini di piazza Beato Angelico, la signora Sebastiana Turrisi, l’ avvocato Santi Terranova, la signora Fina Toscano.
Abbiamo incontrato i suoi ex colleghi del Corpo Forestale, dove lui lavorava fino a dieci anni fa. Abbiamo parlato con il custode del lido alla Plaja dove Antonio, di tanto in tanto, passa qualche pomeriggio al mare con il nipotino.
Abbiamo chiesto notizie sul suo conto al giornalaio, al fioraio e al salumiere che vede ogni mattina quando scende a fare la spesa al Borgo.
Sull’ anonimo amministratore del condominio di piazza Beato Angelico numero 2, ciascuno di loro ci ha raccontato tutto ciò che sapeva.
Tutto ciò che sapevano era niente. E’ riuscito a farsi dimenticare l’ uomo che con la sua Smith & Wesson sparò a Togliatti.
Di lui – anche i suoi amici più intimi conoscono solo quello che lui ha voluto far loro conoscere. Che Antonio compirà 75 anni il prossimo 3 agosto. Che gli sono sempre piaciute le Vespe. Che è molto contento della laurea in Giurisprudenza presa da sua figlia Magda e che stravede per il piccolo Antonio, il figlio di suo figlio Carmelo.
Dicono che sia un uomo dai modi molto garbati. Amministratore di condominio scrupoloso. Mai una parola in più e mai una parola in meno con gli occasionali interlocutori. Religiosissimo. Tutto casa e chiesa.
E poi? Poi nulla. Nulla da dire. Nulla da raccontare. Tranne una sorta di leggenda metropolitana che gira negli ambienti musicali di Catania. La voce racconta che lui – “l’ attentatore” – sia il proprietario (insieme a un uomo misterioso) di una grande e famosissima azienda di corde per chitarre fondata nel 1958 a Saint Louis, Stati Uniti d’ America. L’ ultima intervista l’ ha rilasciata – ne concede una ogni dieci anni e sempre alla vigilia del 14 luglio – qualche settimana fa a una rivista. E’ l’ unico cedimento che gli si conosce sul suo passato. L’ ultima intervista era comunque la fotocopia di quella che aveva fatto nel 1988 e anche di quella che aveva fatto nel 1978.
Non rinnega nulla Antonio Pallante. Non si pente di nulla Antonio Pallante. Le poche volte che parla, dice sempre le stesse cose: “Io mi misi in testa un’ idea molto precisa: se Togliatti fosse morto, l’ Italia si sarebbe salvata. Pensavo che quello fosse l’ unico modo di evitare l’ invasione dei sovietici, dovevo farlo e l’ ho fatto”. 

Da quel giorno non mi sono mai più occupato di politica”. Quel giorno, suo fratello Guido aveva 16 anni. Ricorda poco. Ricorda soltanto le parole di suo padre: “Ci disse che non avremmo potuto incontrare Antonio per molto tempo…furono quasi sei anni…”. I quasi sei anni passati da Antonio Pallante in carcere. Condanna a 13 anni e 3 mesi in primo grado. Condanna a 7 anni in Appello. Condanna a 6 anni meno qualche settimana in Cassazione. Una volta libero, “l’ attentatore” tornò in Sicilia per cominciare un’ altra vita.
Il concorso al Corpo Forestale, il matrimonio con Nunziatina, i due figli, il condominio silenzioso di Catania, la tranquilla esistenza di un uomo qualunque che si confonde con gli altri.
ATTILIO BOLZONI -14 luglio 1998 Repubblica.it 

 

Alcune immagini della vita privata di Antonio Pallante

Alcune curiosità:

 L’Attentato a Togliatti
 del cantastorie Marino Piazza

«Alle ore undici del quattordici luglio
dalla Camera usciva Togliatti,
quattro colpi gli furono sparati
da uno studente vile e senza cuor.
(…)
L’assassino è stato arrestato
dai carabinieri di Montecitorio
e davanti all’interrogatorio
ha confessato dicendo così:

“«Già da tempo io meditavo
di riuscire a questo delitto,
appartengo a nessun partito,
è uno scopo mio personal”».

 

L’intervista di Mara Venier al giornalista Stefano Zurlo

Nella puntata di ‘Domenica In‘, trasmessa il 20 gennaio, Mara Venier ha ospitato Stefano Zurlo. Il giornalista ha presentato il suo libro ‘Quattro colpi per Togliatti – Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia’. Zurlo ha intervistato l’uomo che il 14 luglio 1948 tentò, senza riuscirci, di uccidere il segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti:
“Sono riuscito a intervistare colui che 71 anni fa sparò a Togliatti. È ancora in giro, è ancora vivo, ha quasi 100 anni. Antonio Pallante finalmente si è convinto, a 96 anni d’età, a raccontarmi come arrivò a quella decisione. Lui, studente universitario, si era messo in testa che Togliatti fosse il nemico dell’Italia. Prese la pistola, dalla sua città Catania andò a Roma. Si piazzò davanti a Montecitorio per sparare a Togliatti. Realizzò l’attentato ma dato che erano pallottole comprate al mercato nero, per fortuna molto scarse e spuntate, Togliatti ha potuto raccontare quello che è successo perché è sopravvissuto all’attentato ed è vissuto a lungo. È morto nel 64”.

Mara Venier intervista Stefano Zurlo

Il commento di Mara Venier poi le scuse.

Mara Venier, allora, ha pensato di salutare Antonio Pallante: “Noi lo salutiamo perché lui forse ci sta guardando. Perciò salutiamo Antonio Pallante e grazie a Stefano Zurlo”. Il gesto di riguardo nei confronti di un uomo che all’età di 25 anni ha acquistato un’arma, ha esploso quattro colpi contro Togliatti e ha portato a termine (per fortuna senza successo) un attentato, ha suscitato grandi polemiche. La conduttrice, raggiunta da AdnKronos, si è scusata:
“Io ho soltanto salutato una persona molto anziana, di 99 anni. Chiedo scusa se qualcuno si è risentito. Sono molto dispiaciuta, ma vorrei fosse chiaro che la politica non c’entra nulla. Sono una persona spontanea, ma davvero non era mia intenzione prendere una qualsivoglia posizione”.
L’indignazione di Rita Borioni 
Dopo essere venuta a conoscenza dell’accaduto, la consigliera d’amministrazione della Rai Rita Borioni, ha espresso il proprio disappunto sui social: “Apprendo: a ‘Domenica In’ su Rai1, la conduttrice, al termine della presentazione di un libro sull’attentato a Togliatti avvenuto nel 1948, manda un ‘saluto a Antonio Pallante (l’attentatore n.d.r.) che ci segue da casa’. È sconcertante. È sconcertante che non si sappia che Togliatti rischiò di morire, che l’Italia rischiò la guerra civile e che fu solo per la responsabilità dello stesso Togliatti che si evitarono disordini. È sconcertante come si scelga di buttare tutto ‘in caciara’ e come un attentatore e potenziale assassino sia salutato come se fosse un simpatico telespettatore qualsiasi. Sono molto preoccupata per quello che sta succedendo in Rai. Molto preoccupata”.
Francesco Verducci parla di “pagina miserevole”. 
Repubblica.it riporta le dichiarazioni di Francesco Verducci, senatore Pd e membro della Vigilanza Rai, che richiede un intervento del cda per chiarire “come sia avvenuta una tale scempiaggine”: “Pallante è simbolo e artefice di una delle più drammatiche vicende della nostra Repubblica.
Vederlo ‘sdoganare’ da Rai1 nel contenitore nazionalpopolare per eccellenza è una pagina miserevole per il servizio pubblico e per il nostro Paese.
Chiediamo alla direttrice di Rai1 Teresa De Santis, all’amministratore delegato Fabrizio Salini e al cda di intervenire per chiarire come sia potuta avvenire una tale enormità e scempiaggine, per riparare questo torto e chiedere scusa agli italiani”.
Emiliano Minnucci reputa l’accaduto “vergognoso”

Emiliano Minnucci, consigliere regionale PD del Lazio, ha chiarito di reputare “vergognoso” quanto accaduto a ‘Domenica In’: “Quello che è accaduto questo pomeriggio nel corso della trasmissione ‘Domenica In’ ha dell’incredibile anzi, del vergognoso.
Mara Venier, a seguito della presentazione del libro di Stefano Zurlo, si è tranquillamente permessa di salutare il fascista Antonio Pallante. Un fatto di gravità inaudita soprattutto perché si è consumato nella rete di punta della nostra tv di stato. Mi auguro che i vertici Rai prendano immediatamente le distanze condannando l’accaduto in maniera seria e determinata. Stiamo parlando di un fascista che nel ’48 attentò alla vita di Togliatti, trascinando l’Italia sull’orlo della guerra civile con manifestazioni violente in tutto il Paese che portarono alla morte di decine di persone. La TV di stato non può essere questo”.

Alcune considerazioni vere o/e presunte su questo tragico avvenimento:
  –  Antonio Pallante non era fascista, ma sicuramente anticomunista.
  –  Agi da solo ?!  Sicuramente fu il braccio armato. In paese circolava voce che un gruppetto  di amici avente tutti lo stesso obbiettivo (uccidere Togliatti e così liberare l’Italia dal comunismo)  tirarono a sorte chi doveva farlo.
  –  Il giovane universitario Pallante aveva ingannato i propri genitori in quanto aveva dato pochi esami e conoscendo il carattere del padre (per mantenerlo agli studi aveva venduto un podere per duecentomila lire) era molto preoccupato e si sentiva in colpa. Forse anche questo fatto ebbe un suo peso. 
  – Antonio Canepa e il separatismo. Canepa muore a Randazzo il 17 giugno del 1945 vittima di un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine in contrada Murazzo Rotto. Questa è la storia ufficiale. Storia che non convinse tutti. Si dice che furono alcuni giovani comunisti di Randazzo appostati sopra il vigneto (era di proprietà del salesiano Don Mondio) che si trova di fronte dove ora vi è il monumento a Canepa e da lì fecero fuoco. Se questa è la verità il giovane Pallante, come si è detto molto attivo politicamente, non poteva non sapere e con Lui i suoi amici. Da qui a quello che poi successe il passo non dovrebbe essere lungo.  
  –  L’ultima considerazione: abbiamo riportato quanto dichiarato da alcuni rappresentanti delle nostre Istituzioni al saluto di Mara Venier nella trasmissione televisiva……. ma siamo veramente combinati così male ? ! ? !
 

 

 

continua su: https://tv.fanpage.it/a-domenica-in-mara-venier-saluta-antonio-pallante-attentatore-di-palmiro-togliatti-e-polemica/

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Una intervista, su Rai Storia, ad Antonio Pallante

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