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NICOLA PETRINA

Nicola Pètrina, politico e sindacalista italiano, nasce a Randazzo il 13 novembre 1861.

È stato uno dei fondatori e leader nazionali del movimento di ispirazione socialista dei Fasci Siciliani.

 I Fasci Siciliani, detti anche Fasci Siciliani dei Lavoratori  furono ufficialmente fondati il 1º maggio del 1891 a Catania, ad opera di Giuseppe De Felice Giuffrida. Il movimento era però nato in maniera spontanea già alcuni anni prima il 18 marzo 1889 a Messina. Fu un movimento di massa di ispirazione libertaria, democratica e socialista spontaneista che si diffuse fra proletariato urbano, braccianti, contadini e lavoratori.

Esso fu il primo Movimento di massa organizzato dell’Italia post-unitaria, e nacque per le intollerabili condizioni sociali in cui era costretta a vivere la gran parte della popolazione siciliana.

Dopo i fatti sanguinosi di Giardinello, Monreale, Lercara Friddi, Pietraperzia, Gibellina, Belmonte Mezzagno, Marineo, S. Caterina Villermosa ove vi furono decine di morti e centinaia di feriti, furono arrestati  i capi del Movimento.

Giuseppe De Felice, Nicola Petrina, Giacomo Montalto, Francesco Paolo Ciralli, Rosario Garibaldi Bosco, Nicola Barbato, Bernardino Verro e tanti altri professionisti e studenti sospettati di aver partecipato alle dimostrazioni o semplicemente di simpatizzare per il Movimento, furono arrestati e circa 1.000 persone furono mandate al confino, senza nessun processo.

Il 4 gennaio 1894 Francesco Crispi (che per giunta era Siciliano e con in passato “rivoluzionario” mazziniano), capo del governo italiano, decretò lo stato d’assedio e ordinò al Commissario Straordinario di Palermo di firmare il decreto di scioglimento dei Fasci.

Nicola Barbato

Furono sospesi le libertà individuali, l’inviolabilità del domicilio, la libertà di stampa e il diritto di riunione e di associazione.

Giuseppe De Felice Giuffrida

Memorabile discorso di autodifesa tenuto il 26 aprile 1894 durante il processo da Nicola Barbato:
   ” Persuadevo dolcemente i lavoratori morenti di fame che la colpa non è di alcuno; è del sistema… Perciò non ho predicato l’odio agli uomini ma la guerra al sistema. (…) Davanti a voi abbiamo fornito i documenti e le prove della nostra innocenza; i miei compagni hanno creduto di dover sostenere la loro difesa giuridica; questo io non credo di fare.  Non perché non abbia fiducia in voi, ma è il codice che non mi riguarda. Perciò non mi difendo. Voi dovete condannare: noi siamo gli elementi distruttori di istituzioni per voi sacre. Voi dovete condannare: è logico, umano. Io renderò sempre omaggio alla vostra lealtà. Ma diremo agli amici che sono fuori: non domandate grazia, non domandate amnistia. La civiltà socialista non deve cominciare con un atto di viltà. Noi chiediamo la condanna, non chiediamo la pietà. Le vittime sono più utili alla causa santa di qualunque propaganda. Condannate! “

Quella scritta dai Fasci dei lavoratori resta una delle più importanti pagine di storia sociale e politica non solo della Sicilia, ma anche d’Italia e d’Europa. I contadini organizzati posero con forza il problema dell’ammodernamento dell’agricoltura della Sicilia, ancora caratterizzata da latifondi incolti o mal coltivati, nelle mani di poche ricchissime famiglie, che li affittavano ai gabelloti mafiosi, i quali – a loro volta – li spezzettavano in piccoli lotti per subaffittarli ai contadini. Erano quest’ultimi a lavorare la terra fino a 16 ore al giorno, ricavandone appena il necessario per sopravvivere. Una situazione insostenibile. Fu per questo che i contadini posero il problema di contratti agrari più equi e di trasformazioni colturali radicali.

Bernardino Verro al centro della foto

Il nostro Nicola Petrina insieme all’anarchico Giovanni Noè, il 18 marzo 1889, istituì il primo Fascio dei Lavoratori di Messina. Nel mese di luglio 1889  venne arrestato, restando in prigione fino al 1892.

Il 21 e 22 maggio 1893, a Palermo, partecipò al congresso dei Fasci siciliani, in questa occasione venne eletto nel Comitato centrale, assumendo altresì la direzione del Fascio dei lavoratori della Provincia di Messina. Aderì, quindi, al Partito dei Lavoratori Italiani (nome iniziale del Partito Socialista Italiano).

Nel luglio 1893 venne eletto consigliere comunale a Messina, nel corso del suo mandato scoprì e mise a nudo numerosi abusi che erano stati commessi nella città dello Stretto negli anni precedenti.

A seguito della repressione dei Fasci siciliani perpetrata dall’Esecutivo guidato da Francesco Crispi, il 4 gennaio 1894, Petrina viene nuovamente arrestato e condannato a tre anni di reclusione. Pene ben più pesanti subirono gli altri capi dei Fasci siciliani quali Giuseppe De Felice Giuffrida (18 anni), Rosario Garibaldi Bosco, Nicola Barbato e Bernardino Verro  (12 anni di carcere). Tuttavia nel 1895, con un atto di amnistia, venne concessa la clemenza a tutti i condannati in seguito ai fatti dei fasci siciliani.

Nel corso della sua attività politico/sindacale, Nicola  Pètrina fu sempre in stretto contatto con l’anarchico Amilcare Cipriani.

Nicola Pètrina morì vittima della catastrofe sismica che sconvolse Messina il 28 dicembre 1908, la sua salma venne recuperata solo l’11 gennaio 1909.

      Giovanni Puglisi, anarchico e poi militante socialista il 18 maggio 1910 nella casa natale di Nicola Petrina fece scoprire una lapide per ricordare la figura di questo nostro valoroso concittadino: 
             ” In questa casa / il 13 novembre 1861 / schiudeva gli occhi / a vita intensa di entusiasmi e di lotte NICOLA PETRINA // Le calamità pubbliche e il carcere iniquo / furono per lui campo fecondo / di azione di pensiero / La catastrofe di Messina del 28 dicembre 1908 / tragicamente lo travolse // Il Popolo di Randazzo / pose questo ricordo / il giorno 18 maggio 1910 / solennemente commemorando / il tribuno gagliardo l’apostolo fervente / di una civiltà più vera ed umana “.
La lapide non esiste più a causa degli eventi bellici del 1943 che distrussero un gran parte della nostra Città.

A cura di Francesco Rubbino


         Fasci Siciliani

Oggi, molte associazioni democratiche sono impegnate in Sicilia (a Corleone ad esempio) per la legalità e contro il modello perverso imposto da anni dalla mafia. Le radici di questa lotta affondano nella storia dei movimenti contadini e sindacali (I Fasci siciliani dei Lavoratori) che attivi per una maggiore giustizia e libertà furono repressi duramente dal giovane Stato italiano, il quale di fatto favori’ l’affermazione della “cultura” mafiosa. Un’importante pagina di storia del movimento antimafia che non viene sempre raccontata nelle scuole.

Crispi e il decreto di scioglimento dei Fasci dei lavoratori

Il 4 gennaio 1894, il capo del governo italiano, Francesco Crispi, decretò lo stato d’assedio, dando pieni poteri civili e militari al generale Morra di Lavriano per mettere a ferro e fuoco l’Isola. Gli ordini di Crispi (ironia della sorte, pure lui siciliano e con un passato di “rivoluzionario” mazziniano) furono chiari: sciogliere tutte le sezioni dei fasci, arrestarne i capi e sottoporli a processo davanti ai tribunali militari, riportare ad ogni costo l’ordine nelle campagne siciliane. Prima di lui, il liberale Giovanni Giolitti, nonostante le sollecitazioni dei proprietari terrieri e dei gabelloti mafiosi siciliani, si era rifiutato di scioglierli. Ma, nel dicembre 1893, il siciliano Crispi, inviò le truppe nei comuni più “caldi”, con l’ordine di sparare sui contadini ai primi accenni di protesta.

Repressione militare dei fasci siciliani

Fu così che il 10 dicembre a Giardinello, durante uno sciopero contro le tasse, vi furono 11 morti e diversi feriti. Il 17 dicembre a Monreale, in un’analoga situazione, numerosi feriti. E poi ancora, il 25 dicembre 11 morti e tanti feriti a Lercara Friddi. Il 1° gennaio 1894, 8 morti e 15 feriti a Pietraperzia e 20 morti e molti feriti a Gibellina. Il 2 gennaio a Belmonte Mezzagno i morti furono 2, il 3 gennaio a Marineo vi furono 18 morti e tanti feriti, mentre a S. Caterina Villermosa13 morti. In pochi giorni furono arrestati Giuseppe De Felice, Nicola Petrina, Giacomo Montalto, Francesco Paolo Ciralli, Rosario Garibaldi Bosco, Nicola Barbato, Bernardino Verro e tanti professionisti e studenti, sospettati di aver partecipato alle dimostrazioni o semplicemente di simpatizzare per il movimento. In 70 paesi si operarono arresti di massa, circa 1.000 persone furono mandate al confino, senza nessun processo. Come se non bastasse, furono sospesi le libertà individuali, l’inviolabilità del domicilio, la libertà di stampa e il diritto di riunione e di associazione.

Decreto di scioglimento dei fasci del corleonese

Il decreto di scioglimento del Fascio di Corleone porta la data del 17 gennaio 1894 ed è firmato dal Commissario straordinario per la Sicilia reggente la regia Prefettura di Palermo. Con lo stesso decreto venivano sciolti anche i Fasci dei comuni del circondario. C’è scritto che già l’11 gennaio 1894 era stata delegata «ai signori Prefetti dell’Isola la facoltà di sciogliere i Fasci dei lavoratori», ritenendo che «l’azione fin qui spiegata dai Fasci è stata causa delle agitazioni, dei disordini e delle sommosse avvenute in alcuni comuni di questa Provincia».

In conformità alla proposta che era stata avanzata dal Sotto Prefetto di Corleone, si decretava, quindi, lo scioglimento dei «due Fasci dei lavoratori di Palazzo Adriano e Roccamena, non che quelli di Corleone, Campofiorito, Contessa Entellina, Bisacquino, Prizzi, Chiusa Sclafani e Giuliana». Il Sotto Prefetto di Corleone era stato incaricato di provvedere alla esecuzione materiale dei contenuti del decreto, che prevedeva lo scioglimento di ogni singola sezione e il sequestro delle «carte , dei registri, dei gonfaloni, delle bandiere e di quant’altro sia di pertinenza dei sopradetti Fasci». In sostanza, bisognava cancellare ad ogni costo ogni traccia di questo imponente movimento che stava sconvolgendo un ordine sociale che durava da secoli. E per giustificare un’azione repressiva di queste proporzioni, contro il movimento dei Fasci fu lanciata la gravissima accusa di avere un disegno insurrezionale, mirante a scardinare l’unità territoriale del giovane Stato unitario.

Francesco Crispi

Per zittire l’opposizione inferocita, il 28 febbraio 1894 Crispi portò in parlamento «le prove». In primo luogo, il «trattato internazionale di Bisacquino», sottoscritto dal governo francese, dallo zar di Russia, dall’onorevole Giuseppe De Felice, dagli anarchici e dal Vaticano, il cui obiettivo era quello di staccare la Sicilia dal resto del Paese, per porla sotto il protettorato franco-russo. Poi, il «proclama insurrezionale», trovato nella casa di un pastaio di Petralia Soprana, col quale si invitavano ad insorgere «gli operai, figli dei Vespri». Prove “pesanti”, ma spudoratamente false. Montature costruite ad arte da “zelanti” funzionari, per giustificare la repressione di un movimento popolare, che rivendicava semplicemente condizioni di lavoro più umane.

I Fasci dei lavoratori, primo esempio di lotta organizzata contro la mafia

Di Renato Guttuso, Contadini al lavoro

Infatti, tra il 1892 e il 1894, la Sicilia era balzata agli onori della cronaca nazionale proprio per il dilagare di un’agitazione sociale di proporzioni mai viste, che ebbe come protagonisti circa 400 mila contadini del feudo ed operai delle zolfare, organizzati da questo movimento dei Fasci, che s’ispirava ad una ideologia vagamente socialista. Esso fu il primo movimento di massa organizzato dell’Italia post-unitaria. E nacque per le intollerabili condizioni sociali in cui era costretta a vivere la gran parte della popolazione siciliana.

Guidati da capi, espressione della piccola borghesia intellettuale dell’Isola, come Garibaldi Bosco a Palermo, Nicola Barbato a Piana dei Greci, Bernardino Verro a Corleone, Giuseppe De Felice a Catania, Nicola Petrina a Messina e Giacomo Montalto a Trapani, tanti contadini impararono i vantaggi dell’unione. Nel congresso provinciale dei Fasci, svoltosi il 30 luglio 1893 a Corleone, allora vera “capitale contadina”, erano stati approvati dai delegati i famosi “Patti di Corleone”, che rappresentano il primo esempio di contratto sindacale scritto dell’Italia capitalistica. I contenuti dei “Patti” non avevano nulla di rivoluzionario. Nella sostanza, proponevano l’applicazione della mezzadria pura, cioè la divisione a metà dei prodotti della terra tra il contadino e il proprietario. Ma diversi agrari si rifiutarono lo stesso di accettarli «per non aver l’aria di sottomettersi al fascio», spiegò Bernardino Verro al giornalista Adolfo Rossi nel settembre 1893. Per la paura, cioè, che potessero mutare radicalmente condizioni sociali ataviche, fondate sulla sottomissione dei contadini all’aristocrazia agraria isolana, che allora deteneva il 70% della superficie coltivabile, e ai gabelloti mafiosi.

Di Renato Guttuso, Occupazione delle terre incolte in Sicilia, Dresda, Gemäldegalerie

La modernizzazione della Sicilia frenata da Crispi

Quella scritta dai Fasci dei lavoratori resta una delle più importanti pagine di storia sociale e politica non solo della Sicilia, ma anche d’Italia e d’Europa.
I contadini organizzati posero con forza il problema dell’ammodernamento dell’agricoltura della Sicilia, ancora caratterizzata da latifondi incolti o mal coltivati, nelle mani di poche ricchissime famiglie, che li affittavano ai gabelloti mafiosi, i quali – a loro volta – li spezzettavano in piccoli lotti per subaffittarli ai contadini. Erano quest’ultimi a lavorare la terra fino a 16 ore al giorno, ricavandone appena il necessario per sopravvivere.
Una situazione insostenibile. Fu per questo che i contadini posero il problema di contratti agrari più equi e di trasformazioni colturali radicali.

Bernardino Verro, sindaco di Corleone

Non a caso, Bernardino Verro a Corleone pensava di integrare le colture estensive (grano, avena, orzo) tipiche del latifondo, con la coltivazione delle viti (sperimentando, in particolare, le viti americane) e di istituire una stazione di monta taurina, per selezionare e migliorare la qualità degli allevamenti bovini.

L’avere represso nel sangue il movimento dei fasci, quindi, non fu solo una scelta etica condannabile, ma anche un gravissimo errore politico, che ritardò notevolmente la modernizzazione della Sicilia, compromettendone lo sviluppo. Le conseguenze di una simile scelta la paghiamo ancora oggi, in termini di sviluppo ritardato e di presenza condizionante della criminalità mafiosa.
 L’alleanza tra aristocrazia agraria e borghesia mafiosa, sostenuta dallo Stato liberale di allora, ha condizionato lo sviluppo della vita democratica in Sicilia e in tutto il Paese.

Per una «via dei Fasci Siciliani» in ogni comune dell’Isola

Nicolo Barbato, capo del fascio di Piana dei Greci

Eppure, ancora oggi molti manuali scolastici non dedicano al movimento dei Fasci neanche una riga.
In provincia di Palermo, strade dedicate ai “Fasci Siciliani” esistono solo nei comuni di Misilmeri, Marineo e Borgetto. Non ce ne sono Palermo, a Piana degli Albanesi e nemmeno a Corleone.
Eppure in queste tre città operarono i Fasci più importanti della Sicilia, guidati da personaggi di rilievo come Rosario Garibaldi Bosco, Nicola Barbato e Bernardino Verro.
      In tutti i comuni, invece, c’è una via dedicata a quel Francesco Crispi, che represse nel sangue il movimento, fece sciogliere i Fasci e arrestare i suoi capi. Provocatoriamente, oggi i siciliani democratici potrebbero (con qualche ragione) chiedere a tutti i municipi dell’Isola di cancellare le vie e le piazze intitolare a Francesco Crispi, per reintitolarle ai Fasci dei lavoratori.

Statua di Rosario Garibaldi Bosco esposta nei locali della Cgil di Palermo

Ma, anche senza arrivare a questi eccessi, le organizzazioni palermitane della Cgil, dell’Anpi, dell’Arci e di Libera, sostenuti dallo storico prof. Giuseppe Carlo Marino, hanno redatto ed approvato un documento, con cui chiedono ai sindaci e ai consigli comunali della Sicilia di intitolare una strada o una piazza ai Fasci dei lavoratori, «allo scopo di onorare e di rendere giustizia storica alle migliaia di donne e di uomini che lo animarono».

Bernardino Verro

   

Giovanni Noè

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